Al-Hasan ibn Gannun
al-Ḥasan II ibn al-Qāsim Gannūn (Kannūn) (Arabo الحسن الثاني بن القاسم كنون; ... – Cordova, 985) fu il tredicesimo e ultimo sultano della dinastia sciita degli Idrisidi del Maghreb al-Aqsa (attuale Marocco). Regnò dal 954 al 974.
Biografia
modificaGuerra con il Califfato di Cordova
modificaSalì al trono dopo l'abdicazione del fratello Abū l-ʿAysh Aḥmad, che abbandonò il trono dopo essere stato sconfitto a Tangeri dagli Omayyadi del Califfato di Cordova. Approfittando della debolezza dei sostenitori degli Omayyadi in Maghreb, al-Ḥasan attaccò territori maghrebini degli Omayyadi.[1] Nell'agosto del 972, il Califfo al-Ḥakam II inviò contro gli Idrisidi il generale Qāsim ibn Muḥammad ibn Tumlus e l'ammiraglio Ibn al-Rumahis.[1] Le forze andaluse riconquistarono Tangeri, e, dopo numerose battaglie vittoriose, riuscirono ad espugnare la capitale idriside Assila.
Il sultano al-Ḥasan inflisse una pesante sconfitta alle forze andaluse a Mahran, dove caddero 1500 tra i migliori soldati andalusi, tra cui lo stesso generale Ibn Tumlus.[2] Questo massacro aumentò il desiderio del califfo al-Ḥakam II di distruggere gli Idrisidi.[2] Al-Ḥasan adottò una strategia di molestie, agguati e incursioni contro le forze omayyadi.[3] Valoroso, audace e crudele, al-Ḥasan partecipava di persona ai combattimenti.[4]
Il califfo di Cordova mandò in Maghreb al-Aqsa uno dei suoi migliori generali, Ghālib ibn ʿAbd al-Raḥmān al-Saqlabī.[3] Nell'agosto 973 ricevette i rinforzi guidati dal governatore tugibide di Saragozza.[3]
Nel settembre 973 al-Ḥasan fuggì con i suoi uomini più fedeli nella fortezza di Hajar al-Nasar.[3] Abbandonato dalla maggior parte dei suoi sostenitori e duramente assediato, al-Ḥasan capitolò nel marzo del 974.[3] Con i suoi ultimi seguaci e le loro famiglie, fu inviato a Cordova, come aveva concordato con Ghālib prima di consegnare la fortezza.[5]
Esilio a Cordova, Egitto e ripresa del potere
modificaDopo essere rimasto un po' a Cordova, dove fu trattato bene, venne espulso nel 975 o nel 976, rifugiandosi nell'Egitto fatimide.[6][7] La sua espulsione è stata una delle misure prese dal ciambellano Yaáfar al-Mushafi durante la malattia finale dial-Ḥakam II, per assicurare la salita al trono di Hishām II.[4]
I Fatimidi lo accolsero e gli promisero il loro supporto per recuperare il suo regno,[7] in cambio della sottomissione all'autorità religiosa fatimide.[6] Il califfo fatimide al-ʿAzīz accettò di aiutare al-Ḥasan anche perché non voleva che gli Idrisidi e i loro sostenitori rimanessero in Egitto, perché gli considerava pericolosi.
Nel 985 tornò nel Maghreb al-Aqsa, sostenuto dai Fatimidi e dai loro vassalli Ziridi, dove riuscì a prendere per un breve periodo il potere, proclamandosi anche califfo e imam. Venne più volte sconfitto dagli eserciti mandati dal califfo di Cordova nel mese di agosto.[8][9] La morte improvvisa dello ziride Buluggīn ibn Zīrī, che avrebbe dovuto sostenere il ritorno al potere di al-Ḥasan, causò il fallimento dei piani di quest'ultimo, che si rifugiò con pochi sostenitori nella fortezza di al-Aqlam, dove alla fine si arrese.[9]
Anche se il cugino di Almanzor, che aveva partecipato alle operazioni militari, gli aveva promesso che gli sarebbe stata salvata la vita, al-Ḥasan fu decapitato per ordine di Almanzor nel settembre o nell'ottobre del 985.[7][9][10]
Ciò concluse la lunga e sanguinosa guerra tra gli Idrisidi gli Omayyadi del Califfato di Cordova.[11] La maggior parte del Maghreb al-Aqsa rimase sotto il controllo del Califfato di Cordova fino al 1012.
Discendenti degli Idrisidi
modificaGli Hammudidi, discendenti degli Idrisidi, fonderanno e governeranno più avanti la Ta'ifa di Malaga, giungendo a diventare anche califfi di Cordova durante gli ultimi anni del Califfato di Cordova.
Discendente degli Idrisidi fu anche Muḥammad ibn ʿAlī al-Gūṭī, che fu nominato sultano a Fez nel 1465, anno del massacro che portò la fine della dinastia merinide, venendo però detronizzato poco dopo da Muḥammad al-Shaykh al-Wattāṣī, primo sultano della dinastia wattaside.
Altri discendenti degli Idrisidi furono al-Idrīsī, uno dei più importanti geografi del Medioevo,[12] e Abū l-Ḥasan ʿAlī al-Shādhilī, una delle più importanti figure del sufismo.
Note
modifica- ^ Navarro, p. 85.
- ^ a b c Lévi-Provençal, p. 431.
- ^ Echevarría Arsuaga, p. 140.
- ^ Echevarría Arsuaga, p. 141.
- ^ Navarro, p. 83.
- ^ Herman-Eggermont, p. 7.
Bibliografia
modifica- Xavier Ballestín Navarro, Al-mansur y la Dawla'amiriya: Una dinámica de poder y legitimidad en el occidente musulmán medieval, Edicions Universitat Barcelona, 2004, ISBN 9788447527724.
- Ana Echevarría Arsuaga, Almanzor: un califa en la sombra, Silex Ediciones, 2011, ISBN 9788477374640.
- Évariste Lévi-Provençal, Historia de España, IV: España musulmana hasta la caída del califato de Córdoba: 711-1031 de J.C., Espasa-Calpe, 1957, ISBN 9788423948000.
- Pierre Herman e Leonard Eggermont, Alexander's Campaigns in Sind and Baluchistan and the Siege of the Brahmin Town of Harmatelia, Peeters Publishers, 1975, ISBN 9789061860372.
- H. Terrace, Histoire du Maroc, Casablanca, Atlantides, 1949-50.