Bozza:Andrea Mozzali

ANDREA MOZZALI (nato a Guastalla in Piazza Garibaldi – Osteria “Al Canon” il 04 giugno 1895 – m. a Poviglio l’11 novembre 1977)

Nasce come scultore. Dopo essersi diplomato al R. Liceo Ginnasio Romagnosi di Parma, frequenta il Corso serale del Nudo alla Scuola d’Arte di Guastalla.

Nel 1916 parte per il fronte della 1^ guerra mondiale sul Trentino (Altipiano di Asiago- Monte Ortigara dove, per importante azione bellica, ha ricevuto la Medaglia d’Argento al valor militare (giugno 1917), nel corpo degli alpini, aspirante ufficiale del 53° Gruppo Artiglieria di Montagna. Dopo un corso accelerato al fronte si congedò come Tenente. Partecipò anche alla II^ Guerra mondiale con il grado di Maggiore.

Fu allievo del celebre scultore cremonese Alceo Dossena che aveva conosciuto all’inizio del 1919, durante il periodo in cui Dossena risiedeva a Guastalla per realizzare opere all’interno del Palazzo Ducale (commissionategli dal proprietario Mossina).

Ha avuto, dopo la prima guerra mondiale, da giovane ancora, l’occasione di perfezionare meglio la sua arte scultorea, seguendo appunto il maestro Dossena a Roma (Studio in Via del Vantaggio), dove rimane dalla fine del 1919 al 1923 (e dove nel contempo frequenta la scuola del nudo dell’Accademia di Francia dal 1920 al 1923), come primario collaboratore, perché proprio in quel laboratorio egli aveva messo in luce le sue capacità e il suo talento, prima di dedicarsi alla pittura.

Dopo questa esperienza torna a Guastalla insieme alla moglie, una ragazza di Udine conosciuta durante la guerra, che aveva sposato nel 1922, dalla quale ebbe 7 figli, dei quali tre morti in tenera età e due, Elena all’età di 19 anni nel 1948 e Guido all’età di 27 anni nel 1954.  

Acquista nella strada che dal voltone porta alla Piazza degli Armizi, oggi Acquedotto in Via Martiri di Belfiore, una casa che diventa il suo studio-laboratorio. Ancor oggi ornata nel sottotetto della facciata, di un artistico altorilievo di colore bianco: una serie di putti in terracotta, giostranti attorno agli utensili dell’arte della pittura, della scultura e dell’architettura.

Questa casa, un tempo sede della “Antica Trattoria dell’Aquila”, è stata polo d’attrazione culturale e artistica per gli amici artisti e letterati e che insieme a otto intellettuali guastallesi, diede vita all’istituzione della “Pia Cantina di S. Francesco” nel 1933, divenendo il libero ritrovo ufficiale della cultura guastallese.

In seguito si trasferì nell’ultima casa di Via Gonzaga, sul lato destro, allo slargo di Porta Po (porta abbattuta negli anni ’30), dove ha inserito in una nicchia (tuttora visibile) una piccola Madonna in terracotta.

In quella casa, affluivano gli appassionati d’arte e gli artisti della zona ed è in quella casa che dal 1927 al 1965, si assunse l’incarico sociale di assistenza e coesistenza con Antonio Ligabue.

Mozzali conobbe Ligabue nello studio dell’amico Marino Mazzacurati a Gualtieri ed il legame tra i due artisti rimarrà intenso anche negli anni successivi, al punto che fu proprio Mozzali, nel 1941, su invito del direttore dell’Ospedale Psichiatrico “S. Lazzaro” di Reggio Emilia, per poter dimettere Ligabue dal ricovero manicomiale, ne accettò la consegna e la responsabilità di prenderlo con sé nella propria abitazione di Guastalla. Ligabue tornerà da Mozzali anche dopo il terzo ricovero in manicomio (1945-48), non interruppero mai i rapporti, anche quando Ligabue si assentava dalla sua casa per vagare inquieto, inseguendo i suoi fantasmi o commissioni pittoriche. Lo accolse in casa sua, lo accudì e lo protesse per tutta la vita, sino all’ultimo giorno al ricovero F. Carri di Gualtieri (1965). Pur vivendo senza grande agiatezza economica, Andrea Mozzali seppe condividere generosamente con Ligabue la propria casa, i propri colori, il proprio studio.  In una pagina del suo diario si legge: “Antonio Ligabue di Gualtieri, me ne ha combinate di tutti i colori. Mi fu consegnato nel 1927 da Marino Mazzacurati e, salvo qualche breve parentesi, lo ebbi nelle costole per tutta la sua vita. Da tutti era considerato pazzo, tranne che dagli psichiatri, da Marino, e da me che lo conobbi molto scaltro. Lo feci uscire due volte dal manicomio e da morto gli ho rilevato la maschera sul viso” (la cui copia fusa in bronzo, pose sulla sua tomba nel cimitero di Gualtieri (RE), oltre all’epitaffio scritto sulla lapide). Ma non se ne vantò mai, disse che non gli aveva mai insegnato nulla perché, dato il personaggio, sarebbe stato impossibile. Un bell’esempio di onestà intellettuale.

Nel 1965 il regista Raffaele Andreassi girerà il documentario “Nebbia” sui due pittori, sono anche gli anni delle prime mostre di Ligabue a Guastalla, Milano, Roma, alle quali Mozzali darà sempre il proprio aiuto organizzativo. Nel 1977 fu girato da S. Nocita un altro sceneggiato sul pittore intitolato “Ligabue”, interpretato da Flavio Bucci (Mozzali è interpretato da Luciano Melani). Nel 2020 è stato girato l’ultimo film su Ligabue (interpretato da Elio Germano), diretto da Giorgio Diritti dal titolo “Volevo nascondermi” (Mozzali è interpretato da Andrea Gherpelli).

Le prime opere pittoriche di Mozzali risalgono al 1936. E’ facile intuire quanta profonda influenza abbia avuto l’amicizia di Marino Mazzacurati, a questo proposito è possibile notare come tra i due artisti padani vi siano delle affinità profonde, ma divergenti. Infatti Mazzacurati nasce come pittore naturalista, è il primo che scopre il Po nella sua vera essenza espressiva, ma raccoglie il successo con la scultura, per cui oggi è noto più come scultore che come pittore.

Nella pittura di Mozzali non è il colore che predomina, è la rappresentazione, la figura: la vita in tutte le sue forme, dalle più semplici alle più complicate, rappresentata con elementi figurativi di facile intuizione, di apparente ingenuità stilistica, ma se analizzata in modo più approfondito si percepisce la preparazione accademica e intellettuale espressa attraverso una carica di ironia, uno spunto di bonario sarcasmo, un intento critico veramente notevole.

Mozzali ha la visione poetica, il senso della realtà, la capacità di analisi da tradurre in sintesi espressiva che assume il valore di una satira.

Essa vive sul ritmo, le cui componenti sono: il movimento e l’espressa intenzione della ricerca della verità. Questo è il fulcro della espressione artistica di Andrea Mozzali, la ricerca della verità, qualunque essa sia, gioiosa e dolorosa, purchè sia la verità.

Pur non avendo raggiunto fama e notorietà a livello nazionale, A.M. ha rappresentato una pagina illustre nella storia dell’arte della Bassa Padana per almeno cinque decenni del secolo scorso. M. ha rappresentato la linea di sutura tra l’arte colta e accademica, e l’arte naif. Questa capacità, dipendeva dalla sua stessa natura per così dire “ambivalente”.

E’ inutile chiedersi se Mozzali fosse o meno un naif. Egli, caso unico, in certa sua produzione, specialmente in quella scultorea, non era affatto naif, per raffinatezza formale, per la tecnica di chiara derivazione accademica, per il giudizio critico che, come ha osservato Renzo Margonari, introduce nei suoi quadri. Questi, dovrebbero essere elementi decisamente ostativi alla sua qualificazione come naif, per la consapevolezza che aveva della superiore padronanza tecnica della materia.

La sua inclusione nel genere naif è arbitraria ed affrettata legata alla osservazione superficiale delle opere a soggetto popolare-vernacolare, racconti scherzosi che si svolgono su un filo di garbata e benevola satira.

Il nome di questo artista è stato accomunato a quello di altri due grandi pittori padani: Ligabue e Rovesti ma è indubbio che Andrea Mozzali non è un pittore “naif”.

La sua pittura è il prodotto di un senso della realtà non comune. A.M. ha un fondo culturale e artistico indiscutibile: conosce perfettamente l’arte del disegno, della scultura e della pittura e con esse, quella della prospettiva.

L’accostamento che la critica fa di questi tre pittori, dai caratteri espressivi così diversi l’uno dall’altro, lo si può giustificare solo col fatto che si tratta di tre esponenti dell’arte in Pianura Padana, vista nella pienezza della sua espressione stilistica: quella espressionistica e quella ingenua.

Non vi è ingenuità nella pittura di Mozzali, o se essa traspare si tratta di una ingannevole impressione che assale l’osservatore ignaro della personalità del pittore. Chi ha conosciuto Andrea Mozzali afferma che si tratta di un artista perfettamente conscio del valore artistico della propria missione che, volendo realizzare il più largamente possibile il messaggio contenuto della sua arte, si mantiene ad un livello popolare, accessibile a qualsiasi spirito osservatore.

Dove egli si muove con assoluta libertà e autonomia creativa è nelle “scenette di vita quotidiana”, là dove racconta la vita paesana nelle sue varie dimensioni sociali e domestiche.

Con il suo pennello discorre di tutto, di tutti gli accadimenti e figure che costituiscono la trama multiforme ed articolata del tessuto di una comunità di provincia.

Naturalmente, attraverso forme trasfigurate da una fantasia e da un umorismo che colgono gli atteggiamenti insoliti e curiosi dei personaggi e delle situazioni, senza compiacersi della umana stupidità sulla quale pure ironizza.

Una ironia che non si fa sarcasmo o invettiva moralistica o condanna degli altri, che non pretende, ridendo, di correggere i costumi, ma che diviene piuttosto conoscenza dell’individuo e del gruppo, illustrazione di momenti di vita. Un’ironia che Mozzali esercita anche su se stesso, quando si rappresenta come “imbianchino” o “pittore sul lastrico”, e che lo conduce ad una evidente bonomia nel giudicare il mondo, nonché ad una certa dose di scetticismo di fronte alle cose. E’ la rappresentazione di un mondo che scompare, ove un senso di umiltà e di solidarietà univa le persone nel gioco triste e gioioso della vita. Eppure non si tratta di nostalgia o di rimpianto del passato ma di una celebrazione del presente, perché le cose che Mozzali ci racconta sono attuali e, in qualche modo, anche di domani: vi sono costumi e mode caduche, ma il sentimento e comportamento dei soggetti appartiene all’humus più costante e permanente del genere umano.

Così la pittura di Mozzali si fa medium narrativo di una cronaca quotidiana umile e vera, di una realtà che ha una sua provvisorietà ed un suo limite; specchio fedele e trasfigurazione poetica di ciò che scorre sotto i nostri occhi.

Ma in altra produzione, in una parte di quella squisita pittura volta a rappresentare scenette di vita domestica, di festa paesana e sagraiola, si dirama dalla sua personalità un filone che, pure avendo solide radici storiche e culturali (ad es. la pittura “di genere” di fine ottocento nelle sue divulgazioni oleografiche e popolari), finisce per assumere involontariamente connotazioni così ingenue da defilarsi rispetto alla sua stessa matrice accademica. Confluiscono e si condensano in queste immagini tutti gli umori sarcastici, il gusto per il grottesco e il rassegnato fatalismo.

Motivi ai quali attinse anche Marino Mazzacurati, suo amico, che ebbe dimestichezza coi naif pur erigendosi al di sopra di essi.

In Mozzali – ha osservato il critico Renzo Margonari – la disposizione al racconto è la stessa di tutti i naifs, ma vi è nel suo modo di narrare, sotto le apparenze di una festosità artificiale e voluta, una nota di costume velata di amarezza, un’ironia inquieta, una polemica bonaria ma precisa.

E’ stato il pubblico ad attribuirgli insistentemente quel ruolo, e Mozzali, senza accettarli, finì col non dare troppa importanza alla cosa.

Moltissime sono le sue opere pittoriche e scultoree di arte storica antica, condotte attraverso la copia e il rifacimento di capolavori di maestri del passato, nonchè opere scaturite dal suo estro e dalla sua ispirazione, perlopiù di natura religiosa e funeraria, commissionategli per chiese e cimiteri.

SINTESI DEI 4 PERIODI DELLA SUA VITA ARTISTICA

- anni 1910-30: studio dell’arte e produzione di opere accademiche e di studio con l’influenza del maestro scultore Alceo Dossena;

- anni 1930-40: lapidario e monumentale funebre e religioso;

- anni 1940-50: pitture rievocative di maestri rinascimentali;

- anni 1950-77: pitture e sculture in marmo, terracotte di carattere oleografico popolare.

(ELENCO DI ALCUNE DELLE OPERE)

I busti del Gran Capitano Ferrante Gonzaga Duca di Guastalla e della moglie Isabella di Capua Principessa di Molfetta, eseguiti in marmo di Carrara di dimensioni superiori alla normale, che erano esposti nell’atrio interno del Palazzo Ducale (oltre a fregi e bassorilievi);

Nel 1930 (su commissione di L. Parmeggiani) collabora con M. Mazzacurati alla realizzazione del busto di Fontanesi da collocare nei giardini pubblici di Reggio Emilia;

Molti monumenti in marmo o in bronzo nei cimiteri dei dintorni (Angelo del dolore - Cimitero di Mantova) e cimiteri monumentali di Milano, Varese, Brescia ….

Numerose statue, dipinti e bassorilievi nelle chiese della provincia;

Portale centrale con pannelli in bronzo e 2 statue monumentali fuse in bronzo ai lati della facciata della Chiesa Parrocchiale SS. Cosma e Damiano di Timoline (BS);

Lunetta in terracotta del portale della Chiesetta romanica di S. Giorgio (Anno X) raffigurante S. Giorgio che trafigge il drago, donata a Mons. R. Baratti (1943)

Tavoletta semicircolare di terracotta policroma, raffigurante la deposizione di Gesù dalla Croce, composta per Mons. R. Baratti;

Statue in cemento dei SS. Antonio, Carlo, Pietro e Paolo sulla facciata del Santuario Madonna della Porta di Guastalla, in sostituzione di quelle del Dossena andate in deperimento

Statue in marmo dei SS. Prospero e Francesco sulla facciata della Chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Castelnuovo Sotto (RE)

Quattro medaglioni dei musicisti Verdi, Rossini, Donizetti e Bellini nel Teatro Municipale di Viadana;

Monumento ai Caduti in marmo (Angelo del dolore) – S. Girolamo di Guastalla (1929)