Antonia Cenide

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Antonia Cenide (in latino Antonia Caenis; ... – 75) è stata una schiava, poi affrancata, di Antonia minore, la madre dell'imperatore Claudio, per la quale svolgeva il compito di segretaria[1], ma nota soprattutto per essere stata l'amante (contubernium) dell'imperatore Vespasiano.

La stele funeraria di Antonia Cenide

Durante il matrimonio di Vespasiano con Flavia Domitilla maggiore divenne dapprima l'amante dell'imperatore[2] e poi, alla morte della moglie, prima del 69, la sua concubina, e tale rimase anche dopo che Vespasiano salì al trono.[2]

Antonia Cenide ebbe una forte influenza su di lui e accumulò ingenti fortune attraverso i doni offerti da coloro che tentavano così di guadagnare i favori dell'imperatore[3]. Ma nonostante venisse considerata dall'imperatore alla stregua di una moglie legittima,[2] Svetonio ci narra un episodio in cui Domiziano, il figlio di Vespasiano, la trattò con disprezzo, porgendole la mano da baciare[4].

Visse a Roma in una lussuosa villa sulla via Nomentana nei pressi di Porta Nomentana, dove morì nel 75[5]. A lei è dedicata un'iscrizione trovata su un'ara della villa:

(LA)

«Dis Manib(us) Antoniae Aug(ustae)
l(ibertae) Caenidis optumae patron(ae)
Aglaus l(ibertus)
cum Aglao / et Glene et Aglaide / filiis
»

(IT)

«Agli Dei Mani di Antonia Cenide,
liberta di un'Augusta, ottima patrona
(dedicatale da) il liberto Aglao,
con i figli Aglao, Glene e Aglaide»

Nella cultura di massa

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  • Cenide è una dei personaggi principali della serie Il destino dell'imperatore di Robert Fabbri, incentrata sulla vita di Vespasiano.
  1. ^ Cassio Dione - Storia di Roma - Epitome del Libro LXV, su penelope.uchicago.edu. URL consultato il 2-11-2010.
  2. ^ a b c Svetonio, Vita di Vespasiano 3.
  3. ^ Biografia di Caenis, su ancientlibrary.com. URL consultato il 1-11-2010 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2012).
  4. ^ Vite dei Cesari - Domiziano, su penelope.uchicago.edu. URL consultato il 1-11-2010.
  5. ^ (EN) Funerary Inscription for Antonia Caenis, su www2.cnr.edu. URL consultato il 2-11-2010.

Bibliografia

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