81P/Wild

cometa
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81P/Wild, o cometa Wild 2, è una cometa periodica del Sistema solare, appartenente alla famiglia cometaria di Giove[2]. È stata scoperta il 6 gennaio 1978 dall'astronomo svizzero Paul Wild. La cometa è stata obiettivo della missione spaziale Stardust della NASA.

Cometa
81P/Wild
Stella madreSole
Scoperta6 gennaio 1978
ScopritorePaul Wild
Designazioni
alternative
1978 XI; 1984 XIV;
1990 XXVIII
Parametri orbitali
(all'epoca 2456400,5
18 aprile 2013)
Semiasse maggiore3,4500223 UA
Perielio1,5959973 UA
Afelio5,304 UA
Periodo orbitale6,41 anni
Inclinazione orbitale3,238°
Eccentricità0,5373951
Longitudine del
nodo ascendente
136,1112028538°
Par. Tisserand (TJ)2,879 (calcolato)
Ultimo perielio20 luglio 2016
Prossimo perielio15 dicembre 2022
Dati fisici
Dimensioni4 km (diametro)[1]
Dati osservativi
Magnitudine app.
  • 9a (max)
Magnitudine ass.9,8

Evoluzione dell'Orbita

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Evoluzione dell'orbita della cometa Wild 2

Da studi condotti da Marsden (1978) e Nakano (1979) è emerso che nel 1974 la cometa è transitata a sole 0,2 UA da Giove[3]. L'azione gravitazionale esercitata dal pianeta ha modificato l'orbita della cometa indirizzandola verso il sistema solare interno. Il suo periodo orbitale è cambiato da 40 anni circa a 6,17 anni, mentre la distanza perielica è diminuita da 4,9 UA a 1,59 UA[4].

Missione Stardust

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La NASA ha lanciato la sonda Stardust il 7 febbraio 1999. La sonda ha eseguito un incontro ravvicinato della cometa il 2 gennaio 2004 ed ha raccolto dei campioni del materiale emesso dalla chioma cometaria, che è stato riportato a Terra insieme alla polvere interstellare raccolta durante il viaggio.

 
Sequenza di immagini raccolte dalla sonda Stardust durante il sorvolo ravvicinato della cometa Wild 2

Durante la missione sono state raccolte settantadue immagini ravvicinate del nucleo cometario. Esse rivelano una superficie crivellata da depressioni dal fondo piatto, con pareti a strapiombo ed altre caratteristiche dalle dimensioni comprese dal molto piccolo ai 2 km. Si ritiene che tali caratteristiche siano crateri da impatti o aperture di sfogo dei gas. Durante il sorvolo ravvicinato della sonda Stardust, erano attive almeno dieci aperture di sfogo. Il nucleo ha un diametro di 4 km.

Il contenitore del materiale cometario raccolto è giunto a Terra in ottime condizioni il 15 gennaio 2006, atterrando nello Utah. Un gruppo di ricercatori della NASA ha analizzato le celle di raccolta del materiale ed ha rimosso ogni grano di materiale cometario o di polvere interstellare. Tale materiale è stato quindi inviato a 150 ricercatori in tutto il mondo[5]. L'associazione The Planetary Society, in collaborazione con la NASA, ha avviato un progetto chiamato "Stardust@Home", in cui viene permesso a dei volontari di aiutare a localizzare le particelle sul collettore per mezzo del proprio personal computer.[non chiaro]

 
Rappresentazione artistica dei getti di gas prodotti dalla cometa visti dalla superficie
 
Immagine del nucleo della cometa raccolto dalla sonda Stardust della NASA

Fino ad ora[6] nella polvere riportata a Terra dalla sonda sono stati individuati numerosi composti organici, due dei quali contenenti azoto utilizzabile biologicamente, ed idrocarburi alifatici in catene più lunghe rispetto a quelle normalmente osservate nel mezzo interstellare. Non sono stati osservati silicati idrati, né carbonati, e ciò suggerisce che la polvere della cometa Wild 2 non ha subito alterazione per mezzo di acqua liquida. Sono state trovate poche particelle di carbonio puro, mentre il quantitativo di silicati cristallini è sostanziale: olivina, anortite e diopside[7], tutti materiali che si formano ad alta temperatura. Questa misura è in accordo con precedenti osservazioni di silicati cristallini sia nella coda di alcune comete, sia nei dischi circumstellari, a grande distanza dalla stella. Le possibili spiegazioni del perché materiale che si forma solo ad alta temperatura si trovi ad una grande distanza dal Sole sono state raccolte prima della missione Stardust da van Boekel et al[8]:

«Sia nel Sistema solare che nei dischi circumstellari sono stati individuati silicati cristallini a grande distanza dalla stella. L'origine di tali silicati è oggetto di discussione. Sebbene nelle calde regioni interne del disco, i silicati possano essere prodotti direttamente da condensazione dalla fase gassosa o tramite successivo riscaldamento termico [di un silicato amorfo], le temperature tipiche di un grano nelle regioni del disco esterno (2-20 UA) sono molto al di sotto della temperatura di transizione vetrosa dei silicati di approssimativamente 1.000 K. I cristalli potrebbero essere stati trasportati in queste regioni da dei meccanismi interni al disco oppure per l'azione del vento stellare. Una fonte alternativa di silicati nelle regioni esterne è la produzione in situ attraverso il riscaldamento termico, generato ad esempio da onde d'urto o fulmini. Una terza possibile fonte di silicati cristallini potrebbe essere la distruzione a seguito di una collisione di un corpo massiccio in cui hanno avuto luogo processi secondari. Possiamo usare la mineralogia delle polveri per derivare informazioni sulla natura dei processi primari e/o secondari subiti dalla popolazione di grani [oggetto di studio]»

  1. ^ I dati di 81P dal sito JPL.
  2. ^ (EN) List of Jupiter-Family and Halley-Family Comets, su physics.ucf.edu. URL consultato il 7 settembre 2008.
  3. ^ La cometa Wild 2 sul: Gary W. Kronk's Cometography. URL consultato il 6 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 5 luglio 2008).
  4. ^ I dati di 81P dal sito MPC.
  5. ^ William Jeffs, Scientists Confirm Comet Samples, Briefing Set Thursday, su nasa.gov, 18 gennaio 2006. URL consultato il 6 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2008).
  6. ^ Light element isotopic compositions of cometary matter returned by the STARDUST mission , 10 ottobre 2006, Lawrence Livermore National Laboratory ( PDF (PDF). URL consultato il 6 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2017).)
  7. ^ Vince Stricherz, Comet from coldest spot in solar system has material from hottest places, su uwnews.org, 13 marzo 2006. URL consultato il 6 aprile 2008 (archiviato dall'url originale il 16 ottobre 2007).
  8. ^ van Boekel et al, The building blocks of planets within the `terrestrial' region of protoplanetary disks[collegamento interrotto]. novembre 2004, ukads.nottingham.ac.uk - URL consultato il 6 aprile 2008

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