Defibrillazione

metodica medica di ripristino della normale attività cardiaca
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

La defibrillazione è una tecnica di tipo medico con la finalità, attraverso la somministrazione di scariche elettriche, di ripristinare un ritmo cardiaco emodinamicamente stabile in pazienti con tachicardia ventricolare senza polso e fibrillazione ventricolare.

Nel 1947 il chirurgo statunitense Claude S.Beck realizzò il prototipo sperimentale di defibrillatore, presso i laboratori della Università di Cleveland e riuscì a salvare la vita ad un ragazzo colpito da una fibrillazione ventricolare.[1] La sua apparecchiatura era pesante, ingombrante e poco mobile, funzionava in corrente alternata e necessitava l'utilizzo di un trasformatore per aumentare la tensione fino a 1000 volt. I medici applicarono gli elettrodi direttamente sui ventricoli. Da quel momento il dispositivo venne diffuso in tutte le sale operatorie di tutto il mondo.

Nel 1956 Paul M.Zoll della Harvard Medical School, evidenziò che la defibrillazione potesse riuscire anche con il torace chiuso. Quattro anni dopo, sempre negli Stati Uniti, vennero introdotti i primi dispositivi funzionanti con la corrente continua, che sembrarono immediatamente persino più efficaci, in quanto causavano meno complicazioni (blocchi e ritmi). Nel 1966, in Irlanda del Nord, due intraprendenti medici cardiologi idearono la prima unità mobile di terapia intensiva, utilizzante un dispositivo alimentato da due batterie da 12 volt.[1]

Fino agli anni settanta l'apparecchiatura era manuale, ossia l'operatore doveva interpretare lo stato del paziente, tramite un oscilloscopio ed impostare lo shock. Nel decennio successivo, furono inventati i defibrillatori intelligenti, muniti di un programma capace di operare in automatico e di istruire l'operatore, grazie ad un sistema di sintesi vocale. Questa innovazione ha consentito un utilizzo su larga scala (oltre 250 000 solo negli Stati Uniti nel 1998) di queste apparecchiature.

Negli anni ottanta furono introdotti i primi esemplari di defibrillatori impiantabili all'interno del corpo umano, del peso di 300 grammi e grandi come una radiolina portatile, inseriti in una tasca della pelle addominale.[1] In caso di fibrillazione l'apparecchio era in grado di effettuare una scarica di 34 joule. L'evoluzione tecnologica permanente ha consentito una continua miglioria di questi dispositivi.

Principi

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Schema semplificato del circuito di un defibrillatore

Le indicazioni sono:

Durante la scarica elettrica (elettroshock) il sistema di conduzione del cuore viene ripolarizzato in toto, così che si produce all'ECG una fase di plateau refrattaria.
La depolarizzazione avverrà quindi a livello del pacemaker fisiologico, il nodo senoatriale, che restaurerà il ritmo naturale.

Alcuni fattori possono ridurre la probabilità di successo del trattamento come: elevata impedenza toracica, acidosi, ipotermia, ipossia, ecc.

La scarica viene somministrata dall'apparecchio in maniera sincrona (cardioversione), questo significa 0,02 secondi dopo l'onda R, per evitare che avvenga durante la fase vulnerabile dell'onda T (braccio ascendente).

La dose d'energia necessaria è legata a dei protocolli internazionali. Di solito più è alta l'energia (il massimo è di 360 Joule) più è efficace la scarica di defibrillazione, anche se ciò che rende efficace una defibrillazione non è tanto la quantità di energia scaricata sul paziente ma la corrente di attraversamento medio del miocardio. Le due grandezze sono intimamente legate attraverso l'impedenza elettrica del paziente (e delle piastre da defibrillazione): grossomodo si può affermare che a parità di energia, all'aumentare dell'impedenza del paziente diminuisce la corrente di attraversamento medio del miocardio. Pertanto l'efficacia della defibrillazione è legata al tipo di forma d'onda di scarica che può essere più o meno efficiente a seconda che sappia o meno compensare in modo attivo l'impedenza del paziente. Nei bimbi al di sotto degli 8 anni o 35 kg di peso si usano delle piastre a limitazione energetica, affinché la scarica stessa non lesioni il cuore. Prima di trattare una fibrillazione atriale risalente a più di 48h, bisogna sottoporre il paziente a una terapia anticoagulante almeno 4 settimane prima, da continuare anche successivamente all'elettroshock, per evitare una tromboembolia arteriosa sistemica e in particolar modo cerebrale.

Primo soccorso

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Posizionamento degli elettrodi del defibrillatore rispetto al cuore.

Oltre ai defibrillatori manuali, esistono dei defibrillatori semiautomatici che permettono a personale non medico di praticare una defibrillazione precoce. Venga tenuto presente che le possibilità di salvare una persona in arresto cardio-respiratorio, con il conseguente danneggiamento dell'organo più importante, ossia il cervello, calano del 10% ogni minuto perso. Per fare un esempio: agendo su un paziente in arresto cardiaco, dopo due minuti dal momento che il cuore si è fermato, la vittima ha l'80% di possibilità di salvarsi. Dopo tre minuti il 70% e così via.

Va ricordato inoltre che lo scopo fondamentale del BLS (Basic Life Support) è quello di mantenere con il massaggio e con la ventilazione bocca-bocca, bocca-naso (nel caso si incontrassero problemi nella bocca come rottura della mandibola gravi ostruzioni ecc) o una respirazione tramite pallone dotato di mascherina, un afflusso costante e sufficientemente buono di sangue al cervello. Dopo 4 minuti di assenza di ossigeno al cervello si va incontro a danni cerebrali in molti casi reversibili; dai 6 minuti in poi i danni diventano irreversibili e possono provocare deficit motori, lessici, o influire pesantemente sullo stato della coscienza stessa della persona, le vittime in stato vegetativo ne sono un esempio.

Una defibrillazione non va mai effettuata se il paziente si trova in una situazione dove vi è acqua in abbondanza, per esempio se si trova sopra una pozza, o se la vittima risulta bagnata. Un corpo bagnato provoca una dispersione della carica in zone dove non serve attenuando di molto l'effetto sul cuore, in questi casi si deve trasportare la vittima (sempre se il suo spostamento non generi un pericolo) in un luogo asciutto, se necessario dobbiamo spogliare il malcapitato tentando di asciugarlo quanto meglio sia possibile.

Normativa italiana

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La legge 116/2021 "Disposizioni in materia di utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 13/8/2021[2], modificando l'art. 1 della legge 120/2001, consente l'utilizzo del defibrillatore (DAE) sia automatico che semiautomatico anche ai cittadini che non abbiano seguito un corso di formazione specifica (che resta comunque consigliato). Nel caso si applica l'articolo 54 del codice penale a colui che, non essendo in possesso dei predetti requisiti (la formazione specifica), nel tentativo di prestare soccorso a una vittima di sospetto arresto cardiaco, utilizza un defibrillatore o procede alla rianimazione cardiopolmonare.

  1. ^ a b c "La defibrillazione", di Mickey S.Eisenberg, pubbl. su "Le Scienze", num.360, agosto 1998, pp. 70-75.
  2. ^ https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/08/13/21G00126/sg

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Collegamenti esterni

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