Deportazioni di massa del Gebel
Con la locuzione di deportazioni di massa del Gebel si indicano le deportazioni coattive messe in atto dalle forze armate italiane tra il 1929 e il 1931 ai danni delle popolazioni nomadi e seminomadi della regione libica del Gebel el-Achdar, nell'ambito dei più ampi eventi della cosiddetta riconquista della Cirenaica. Ai fatti è stata data anche, da diversi autori[1][2], la definizione di genocidio del Gebel, locuzione che altri invece rifiutano in quanto da loro ritenuta non neutrale.[3]
Storia
modificaContesto
modificaNel 1926 l'esercito italiano senza molte difficoltà era stato in grado di occupare l'oasi di Giarabub e nel 1931 l'oasi di Cufra. Gebel el-Achdar invece era un territorio più difficile, era un altopiano a picco sul mare ricco di boscaglie che permetteva ai libici azioni di guerriglia. Inoltre i guerriglieri si confondevano con la popolazione locale, rendendo difficili le operazioni di rastrellamento. Nel 1929 il Generale e governatore della Cirenaica Pietro Badoglio decise che bisognava separare nettamente la popolazione locale dai ribelli, conscio che questo provvedimento avrebbe potuto causare la rovina di quella popolazione[4]
La deportazione nei campi di concentramento
modificaPer sciogliere la matassa dopo la conquista di Fezzan fu richiamato sul posto Rodolfo Graziani che stabilì la deportazione della popolazione di 100.000 cirenaici da Gebel el-Achdar in 13 campi di concentramento costruiti nelle inospitali regioni della Sirtica[5]. Questi campi di concentramento facevano versare le popolazioni in condizioni pessime, per cui la popolazione fu decimata a causa della fame, di problemi igienici e per le malattie.[3] Tra questi campi si ricordano El-Agheila, Massa el-Braga, Ain Gazala e Soluch, dove venne impiccato il capo della resistenza libica Omar al-Muktar[6]
La popolazione valutata di 225.000 abitanti nel 1920 si ridusse a 142.000. Anche l'economia agricola e pastorale ebbe un grosso contraccolpo, sembra che gli ovini passassero da 800.000 nel 1926 a 95.000 nel 1933, i dromedari da 75.000 a 2.400, i cavalli da 14.000 a 1.000 e gli asini da 9.000 a 5.000[7]
Alcune testimonianze di comunità islamiche del 1930 parlano di 80.000 persone deportate nel deserto di Sirte alle quali furono confiscati i terreni che sarebbero poi stati ceduti a coloni italiani.[8][9]
Graziani fece costruire un reticolato di 270 km al confine con l'Egitto dalla costa fino a Giarabub che era costantemente pattugliato da truppe italiane.[7] La costruzione di questo muro ante-litteram richiese l'opera di 2500 operai civili e 1200 militari per la sua vigilanza. Questa opera era indispensabile per Graziani, perché per vincere la ribellione bisognava bloccare le vie di rifornimento (rifornimenti di munizioni e alimentari venivano contrabbandati dall'Egitto).[10]
Storiografia parziale
modifica- Studiosi come Eric Salerno in "Genocidio in Libia", pubblicato prima nel 1979 e (nuova edizione Manifesto Libri) nel 2001, Angelo Del Boca o Giorgio Rochat che fecero studi approfonditi e trovarono documenti che testimoniavano che in Libia erano avvenuti fatti criminali gravissimi.[8]Secondo Giorgio Rochat si può parlare di "genocidio", perché la società del Gebel fu distrutta dalle fondamenta.[1]
- Nicola Labanca assegna alla deportazione delle popolazioni del Gebel il termine di "genocidio", perché vi sarebbe stato un accanimento su un gruppo etnico ben definito (seminomadi e nomadi Beduini del Gebel e del deserto). Inoltre, sempre secondo Labanca, fu ferita la tradizione delle popolazioni sopravvissute ai campi, che hanno dovuto cambiare cultura, forme di convivenza e condizioni lavorative.[2]
- Federica Saina Fasanotti ritiene che paragonare le deportazione del Gebel con il genocidio nazista sia una forzatura, in quanto in quest'ultimo c'era un vero e proprio progetto di sterminio fondato su un forte odio razziale. Secondo la Fasanotti ciò non è applicabile ai campi italiani, istituiti con l'unico scopo di fiaccare la resistenza libica. In effetti la vita nei campi era molto dura e si moriva di fame e di malattie ma non vi era volontà di sterminio, pertanto sovrapporre i due diversi eventi sarebbe una forzatura ideologica.[3]
Note
modifica- ^ a b Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943, Einaudi, p. 13
- ^ a b Nicola Labanca, La guerra italiana per la Libia, il Mulino, p. 197
- ^ a b c Federica Saini Fasanotti Libia 1922 1931 le operazioni militari italiane, Stato maggiore dell'esercito -Ufficio storico
- ^ Giorgio Rochat, La repressione della resistenza in Cirenaica 1927-1931, pp. 116-117.
- ^ Enciclopedia Treccani - Rodolfo Graziani approfondimento di Angelo Del Boca
- ^ storiadelXXIsecolo.it
- ^ a b Candeloro Giorgio, Storia dell'Italia moderna vol.9 Il fascismo e le sue guerre (1922-1939), Feltrinelli, 2002. ISBN 8807808048. Pag 180-181
- ^ a b Google Libri - L'Africa del Duce: i crimini fascisti in Africa
- ^ Enciclopedia Treccani - Libia
- ^ Articolo de l'Avvenire, Libia gli italiani che fecero il muro.