Discussione:Free jazz

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 Jazz
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LE ORIGINI DEL FREE E ORNETTE Il primo esempio di musica jazz free è stato sperimentato da un bianco, Lennie Tristano che, nel 1949 eseguì "Intuition" and "Digression". Musica free “da camera”, ispirata alla musica classica: improvvisazione totale nell’ambito di un decoro formale totale e senza sbavature. Su questo versante vi fursisissiono successivamente gli esperimenti di Jimmy Giuffre (con Paul Bley o Jim Hall), sempre musica molto rarefatta e tutt’altro che violenta. Sul lato nero, l’ambivalenza del termine free (libertà armonica e/o libertà politica) crea due fenomeni che si intrecciano: 1 la musica di protesta di Mingus e Max Roach (We instist: freedom Now!), che musicalmente oscilla tra hard bop (Roach) e le radici blues e gospel (Mingus) con solisti spesse volte molto “spregiudicati” ma non free (come Eric Dolphy, Roland Kirk e Jacky Byard) e con chiari slogan polici di “libertà”. 2 la musica in cerca di una maggior libertà armonica, in grado di superare il cliché hard bop che rinchiudeva l’improvvisazione in una ( sia pur colorata ed aggressiva) gabbia molto solida. Il primo tentativo di fuga fu quello modale di Davis e Coltrane (grazie alla mediazione armonica di quel genio di Bill Evans), che però a molti sembrava insufficiente. Per andare ben oltre a tutto ciò ci si misero Ornette Coleman e la coppia Cecil Taylor-Steve Lacy. Soprattutto Ornette che liberò il centro tonale classico, togliendo l’improvvisazione blues e bop da schemi armonici rigidi. Per fare questo dovette eliminare dal suo gruppo il piano, che nessuno avrebbe potuto suonare in modo accettabile, non sapendo che accordi avrebbe potuto usare. Il duo Ornette Don Cherry sembrava dotato di telepatia per l’abilità con cui si alternava nelle improvvisazioni, faceva il controcanto ecc. Ornette all’inzio viene preso come un bluff (odiato da Miles e Migus) ma ottiene l’appoggio insospettabile di John Lewis del Modern jazz Quartett, che lo aiuta ad emergere ed a farsi apprezzare. “Free jazz” è il momento più “concettuale” (anche se forse non il più alto dal punto di vista artistico) ed è il manifesto ufficiale di una nuova era.

COLTRANE E IL FREE JAZZ Sulla strada di Ornette si metterà anche Coltrane nel periodo finale della sua vita, sciolto il quartetto classico con Tyner e Elvin Jones, Trane farà un gruppo con un secondo sax tenore (il feroce, infuocato ed incalzante Pharoah Sanders, un batterista (a volte due) e la moglie Alice al piano (nell’inutile tentativo di dare una dimensione free al piano: sarà solo “musica decorativa” la sua). Trane sperimenterà l’esasperazione totale dell’improvvisazione (30 minuti, un’ora) e delle possibilità fisiche dello strumento, arrivando a dei momenti di “quasi inascoltabilità della sua musica (Live in Japan, At Village Vanguard again). Alla fine di questo percorso si accorge di essere arrivato in un vicolo cieco e cerca un’uscita ampliando la tavolozza musicale (flauto) e cercando un’astrazione estetico-spirituale in duo con la batteria di Rashed Ali (Interstellar Espace). La sua morte prematura lascerà un’eredità indecifrabile e due generazioni di musicisti disperati a cercare di proseguire la sua via.

DOPO LA MORTE DI COLTRANE I tre esponenti su cui contava la comunità jazz per uscire dalla crisi causata dalla morte di Coltrane erano: Sanders, Archie Shepp e Albert Ayler (Ornette era ormai libero su altre vie autonome ed anche poco imitato). Sanders in poco tempo si adagiò in atmosfere mistiche ed esotiche (un po’ come stava facendo Don Cherry), alternate ad atmosfere ruggenti e totalmente caotiche, poi entrò in crisi, provò a fare pessimo rock, sparì e ritornò riproponendo il Coltrane classico con una sonorità incredibilmente simile a quella del maestro. Quello che affrontò il problema in modo più organicamente intellettuale fu Archie Shepp che dopo una serie di dischi più intelligenti che belli, si rese conto che il free aveva portato il jazz al più basso livello di popolarità tra la popolazione nera (che ormai non considerava quasi più il jazz come musica sua). Cercò allora un recupero delle radici nere (blues, gospel, R&B) in un calderone turbolento e politicamente aggressivo, con risultati a volte positivi (Attica Blues) e volte discutibili. Il suo recupero della tradizione lo porterà fino a Parker, ma un forte calo delle sue capacità di strumentista nella parte finale della sua carriera comprometterà non poco le sue buone intenzioni. Albert Ayler è stato il più naif (assieme a Don Cherry) tra i musicisti free. Suonava temi che sembravano arrivare direttamente dalle fanfare di New Orleans per poi scoppiare in mano come una bomba ad orologeria. Fu il più misconosciuto, ma alcuni brani (in primis Ghosts) sono un punto obbligato della musica di quegli anni. Nel periodo di massima crisi del jazz tentò di fare un disco R&B (New Grass) che non ebbe successo e gli scatenò addosso anche l’ira di tutti i critici. Fu trovato ucciso in un fiume e non si chiarirono mai i dettagli della sua fine.

CONSIDERAZIONI FINALI Col tempo il free diventa sempre più europeo, sia per l’emergere di molti musicisti free europei, sia per la grande ospitalità data ai musicisti americani che ormai in America non trovavano più scritture (anni 70/80). Le nueve generazioni free (Braxton, David Murray, World Saxophone quartet, Art Ensemble of Chigago ecc.) sono più intellettuali e meno viscerali, fanno musica meticcia che cerca di conciliare caratteristiche e stilistiche di differnti culture. Il free europeo cerca strade tra la musica colta e quelle folklorica, creando di fatto una via europea jazz del tutto autonoma. Lentamente i musicisti free (salvo Taylor che ha continuato un suo percorso delirante, virtuoso, allucinatorio, ma anche molto ripetitivo) sono ritornati in qualche modo su posizioni più morbide. Anche Ornette, pur rimanendo sempre un musicista spigoloso, ha sperimentato la musica funky, la composizione per orchestra classica ed altre amenità, confermando la sua inquieta natura. Un discorso a parte sarebbe da fare su Sun Ra, ma sarà per un’altra volta.

Alberto Arienti


Nota per Alberto Arienti ( presumibilmente l'utente anonimo 151.38.173.212 e/o 151.42.53.232:

Questo materiale, se inedito e buono, poteva essere tranquillamente immesso nella pagina in una sottosezione storia del free jazz.

Twice25 16:21, Ago 2, 2004 (UTC)

Altri freemen

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Pur nella necessaria concisione, mi sembra grave non aver ricordato i musicisti di Chicago facenti cappo all'AACM (Association for the Advencement of Creative Musicians): Richard "Muhal" Abrams per cominciare, poi quelli dell'Art Ensemble of Chicago: Roscoe Mitchell, Joseph Jarman, Lester Bowie, malachi Favors, Don Moye; Henry Threadgill, Fred Hopkins, Steve McCall (che nel 1971 si sarebbero costituiti nel trio Air); e taccio dei minori ma non minimi, come Kalaparusha (Maurice McIntyre) e dei chicagoani-AACM di seconda generazione, che ha personaggi di grandissima caratura come George Lewis e un protagonista del jazz degli anni Ottanta come David Murray, e molti altri sono certo di dimenticare.

Già prima alla metà del decennio (le prime attestazione discografiche ascrivibili all'AACM sono del '66-'67) questo ambiente indicava delle vie d'uscita alle strettoie del primo free: un'attenzione maggiore alla composizione; un senso vivo dell'ironia quando non dell'umorismo; un'attenzione costante alla dimensione spettacolare e teatrale della musica e della sua rappresentazione; l'estensione spropositata dello strumentario, che diventerà signature dell'AEOC e di Braxton…


Appunto

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Volevo fare una piccola considerazione: gli artisti free che si nominano nella voce, come Coleman per esempio, non amavano chiamare il loro stile musicale "Free Jazz", per via della parola "jazz", che irrimediabilmente li riconduceva ad una tradizione di musica nera spesso legata (soprattutto negli anni '20/'30) a pregiudizi razziali. Non volevano insomma essere connessi, seppur solo nel nome, ad una musica nella quale il nero veniva spesso visto dal bianco come mero fenomeno da palcoscenico. I musicisti free preferivano definire la loro musica "New Thing". A mio avviso questo andrebbe sottolineato alla voce "Free Jazz". --Jg 10:51, 26 set 2006 (CEST)Rispondi

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Cordiali saluti, Lsjbot (msg) 02:44, 20 mar 2015 (CET)Rispondi

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