Elogio dell'ozio

libro

«Come molti uomini della mia generazione, fui allevato secondo i precetti del proverbio che dice « l’ozio è il padre di tutti i vizi ». Poiché ero un ragazzino assai virtuoso, credevo a tutto ciò che mi dicevano e fu così che la mia coscienza prese l’abitudine di costringermi a lavorare sodo fino ad oggi. Ma sebbene la mia coscienza abbia controllato le mie azioni, le mie opinioni subirono un processo rivoluzionario.»

Elogio dell'ozio (In Praise of Idleness and Other Essays) è una raccolta di saggi a sfondo sociologico, filosofico ed economico pubblicata da Bertrand Russell nel 1935.

Elogio dell'ozio
Titolo originaleIn Praise of Idleness and Other Essays
AutoreBertrand Russell
1ª ed. originale1935
GenereSaggio
SottogenereRaccolta di saggi filosofici-sociologici
Lingua originaleinglese

La raccolta riunisce alcuni saggi inediti e altri già pubblicati in precedenza, tra questi ultimi Elogio dell’ozio e Il Mida moderno che apparvero nell'Harper’s Magazine, Gli antenati del fascismo (con titolo diverso) su The Political Quarterly nel Regno Unito e su The Atlantic Monthly negli USA, Scilla e Cariddi, ossia comunismo e fascismo su The Modern Monthly, Il conformismo moderno su The Outlook di New York (successivamente The New Outlook), Educazione e disciplina su The New Statesman and Nation.

La raccolta è intitolata come il primo breve saggio del 1932 proposto, di sole 5'026 parole[1], in cui Russell propone che si lavori per un massimo di 4 ore al giorno al fine di poter dedicare il resto del tempo al pensare, al socializzare, ecc. Gli altri saggi trattano di sociologia, filosofia ed economia ed anche problemi tecnico-architettonici, che sono discussi in un'ottica sociale proponendo soluzioni. La raccolta non tratta affatto esclusivamente delle qualità dell'ozio, ma spazia tra argomenti economici, sociali, politici e filosofici, secondo un'analisi che spesso parte da tempi lontani per poi approdare agli anni della pubblicazione, periodo comunque ricco di tematiche rimaste ancora oggi attuali.

Il tema comune dei saggi consiste nel mostrare come bigottismo, intolleranza e amore per il lavoro siano causa di sofferenza in una società moderna che invece richiederebbe calma e capacità di rimettere in discussione i dogmi con grande apertura mentale.

Tra i temi discussi troviamo le ideologie fasciste[2], comuniste e quelle socialiste[3], queste ultime le uniche che l'autore sostiene di approvare in modo complessivo, disprezzando i primi due tipi. Inoltre vengono proposte delle analisi e delle soluzioni a problematiche di tipo tecnico-architettonico nel loro riscontro sociale.

Uno degli ultimi saggi[4] tratta la famosa teoria russelliana con cui si afferma che insetti e uomini abbiano intelligenze complementari, la prima in grado di avere intuizione su tutto ciò che interessa l'umanità ma strutturalmente non interessata a ciò al punto che non può vederne alcunché, la seconda impegnata a comprendere tutto ma che non possiede quel tipo di contatto intuitivo al punto da non poter raggiungere tale comprensione (idee analoghe sull’intuizione, nel primo Novecento, erano state sostenute da Henri Bergson).

La raccolta è divisa in una prefazione e 15 saggi:

  1. Elogio dell'ozio
  2. Il sapere "inutile"
  3. Architettura e questioni sociali
  4. Il Mida moderno
  5. Gli antenati del fascismo
  6. Scilla e Cariddi, ossia comunismo e fascismo
  7. In difesa del socialismo
  8. La civiltà occidentale
  9. Il cinismo dei giovani
  10. Il conformismo moderno
  11. Uomini contro insetti
  12. Educazione e disciplina
  13. Stoicismo e salute mentale
  14. Delle comete
  15. Che cosa è l'anima?


L'elogio dell'ozio

modifica

Nel primo capitolo, Russell mostra una serie di argomentazioni e ragionamenti sul tema del lavoro, dell'economia, dell'etica e della filosofia, allo scopo di mostrare dichiaratamente come "la fede nella virtù del lavoro provoca grandi mali nel mondo moderno, e che la strada per la felicità e la prosperità si trova invece in una diminuzione del lavoro" e come il lavoro "non è assolutamente uno degli scopi della vita umana".[5]

In particolare, secondo i vari aspetti, Russell sostiene che:

  • Il lavoro nella cultura e psicologia: Il fatto che il lavoro sia considerato come necessario, come un dovere etico, se non proprio come uno scopo della vita, è in parte una costruzione culturale non necessaria che nasce anche dall'interesse delle persone più agiate ad oziare a spese delle persone meno agiate.[6] In secondo luogo, la sensazione fallace che il lavoro sia piacevole deriva non soltanto dalla soddisfazione del dovere morale sopra citato, ma anche dalla gioia che si prova a vedere strumenti, macchine o soluzioni d'ingegno operare nella realtà. Di conseguenza, se il lavoro risulta come un piacere, non è altro che un'illusione.[7]
  • L'utilizzo del tempo libero: Russell affronta il problema evidenziato dalla diffusa opinione che le persone - in particolare se delle classi meno agiate e acculturate - non apprezzino il tempo libero e tendano ad utilizzarlo per attività dannose a loro stessi e alla società.[8] Pur rifiutando l'opinione sopra esposta, Russell affronta il problema ricordando che le persone nel mondo moderno si dedicano a riposo, frivolezze e attività passive perché già consumate quotidianamente dalle numerose ore di attività che richiede generalmente il lavoro.
  • Miglioramento tecnologico e riduzione del lavoro: Il miglioramento tecnologico migliora l'efficienza produttiva che permette di produrre maggiori quantità di beni lavorando meno tempo, ma la seconda conseguenza non si verifica perché l'aumento della produzione si scontra con la scarsità della domanda di beni, che produce a fasi alterne il fallimento delle industrie con la conseguenza che i lavoratori vengano occupati troppo (tempo di lavoro eccessivo) o troppo poco (disoccupazione).[9]
  • Raggiungimento della sufficienza della produzione: Nel periodo pre-bellico e bellico tra i paesi Alleati si è dimostrato che è già stata raggiunta una produzione di beni sufficienti al sostentamento dell'intera popolazione, dato che si è in quel periodo raggiunto il massimo benessere per la popolazione nonostante un gran numero di persone venisse rimosso dal proprio lavoro per essere impiegato in attività belliche, dal soldato, alla fabbricazione di munizioni, allo spionaggio e alla propaganda.[10]

Vengono infine esposte le conseguenze positive che avrebbe un'organizzazione del lavoro che richiedesse poche ore di lavoro, dallo svilupparsi delle attività artistiche per il maggior tempo libero e di studio, all'estendersi delle attività di pubblica utilità, al libero sviluppo di attività di ricerca originale, fino al ridursi degli impulsi bellici che richiederebbero un ritorno a maggiori ore di lavoro.

Edizioni

modifica
  1. ^ "In Praise of Idleness" Harper's Magazine 165 (Oct 1932): 552-9.
  2. ^ In Praise of Idleness and Other Essays, V "The ancenstry of fascism"
  3. ^ op. cit. VII "The case for socialism"
  4. ^ "Men versus insects", New York American, Aug., 9th 1933, 13.
  5. ^ Bertrand Russell, L'elogio dell'ozio, Longanesi, 2005, p. 1.
  6. ^ Bertrand Russell, L'elogio dell'ozio, in L'elogio dell'ozio.
    «È ovvio che, nelle comunità primitive, i contadini lasciati liberi non si sarebbero privati dei prodotti in eccedenza a favore dei preti e dei guerrieri, ma avrebbero prodotto di meno o consumato di più. Dapprima fu necessaria la forza bruta per costringerli a cedere. Ma poi, a poco a poco, si scoprì che era possibile indurli ad accettare un principio etico secondo il quale era loro dovere lavorare indefessamente, sebbene una parte di questo lavoro fosse destinata al sostentamento degli oziosi. Con questo espediente lo sforzo di costrizione prima necessario si allentò e le spese del governo diminuirono. Ancor oggi, il novantanove per cento dei salariati britannici sarebbe sinceramente scandalizzato se gli si dicesse che il re non dovrebbe aver diritto a entrate più cospicue di quelle di un comune lavoratore. Il concetto del dovere, storicamente parlando, è stato un mezzo escogitato dagli uomini al potere per indurre altri uomini a vivere per l'interesse dei loro padroni anziché per il proprio.»
  7. ^ Bertrand Russell e dice, a questo proposito, che siamo stati indotti ad un equivoco da due ragioni. La prima è la necessità di gabbare i poveri, che ha indotto i ricchi, per migliaia di anni, a predicare la dignità del lavoro, mentre dal canto loro essi si comportavano in modo ben poco dignitoso sotto questo aspetto. L'altra è la gioia che ci procurano le macchine e la soddisfazione che proviamo nel vederle operare straordinari cambiamenti sulla faccia della terra., L'elogio dell'ozio.
  8. ^ Bertrand Russell, L'elogio dell'ozio, in L'elogio dell'ozio.
    «L'idea che il povero possa oziare ha sempre urtato i ricchi. In Inghilterra, agli inizi dell'ottocento, un operaio lavorava di solito quindici ore al giorno e spesso i bambini lavoravano altrettanto (nella migliore delle ipotesi dodici ore al giorno). Quando degli impiccioni ficcanaso osarono dire che tante ore erano forse troppe, gli fu risposto che la sana fatica teneva lontani gli adulti dal vizio del bere e i bambini dai guai.»
  9. ^ Bertrand Russel, L'elogio dell'ozio, in L'elogio dell'ozio.
    «Supponiamo che, a un certo momento, una certa quantità di persone sia impegnata nella produzione degli spilli. Esse producono tanti spilli quanti sono necessari per il fabbisogno mondiale lavorando, diciamo, otto ore al giorno. Ed ecco che qualcuno inventa una macchina grazie alla quale lo stesso numeró di persone nello stesso numero di ore può produrre una quantità doppia di spilli. Il mondo non ha bisogno di tanti spilli, e il loro prezzo è già così basso che non si può ridurlo di più. Seguendo un ragionamento sensato, basterebbe portare a quattro le ore lavorative nella fabbricazione degli spilli e tutto andrebbe avanti come prima. Ma oggigiorno una proposta del genere sarebbe giudicata immorale. Gli operai continuano a lavorare otto ore, si producono troppi spilli, molte fabbriche falliscono e metà degli uomini che lavoravano in questo ramo si trovano disoccupati. Insomma, alla fine il totale delle ore lavorative è ugualmente ridotto, con la differenza che metà degli operai restano tutto il giorno in ozio mentre metà lavorano troppo. In questo modo la possibilità di usufruire di più tempo libero, che era il risultato di un'invenzione, diventa un'universale fonte di guai anziché di gioia. Si può immaginare niente di più insensato?»
  10. ^ Bertrand Russel, L'elogio dell'ozio, in L'elogio dell'ozio.
    «La tecnica moderna infatti ha reso possibile di diminuire in misura enorme la quantità di fatica necessaria per assicurare a ciascuno i mezzi di sostentamento. Ciò fu dimostrato in modo chiarissimo durante la guerra. A quell'epoca tutti gli uomini arruolati nelle forze armate, tutti gli uomini e le donne impiegati nelle fabbriche di munizioni, tutti gli uomini e le donne impegnati nello spionaggio, negli uffici di propaganda bellica o negli uffici governativi che si occupavano della guerra, furono distolti dal loro lavoro produttivo abituale. Ciò nonostante, il livello generale del benessere materiale tra i salariati, almeno dalla parte degli alleati, fu più alto che in qualsiasi altro periodo. Il vero significato di questo fenomeno fu mascherato dalle operazioni finanziarie: si fece credere infatti che, mediante prestiti, il futuro alimentasse il presente. Il che, naturalmente, non era possibile; un uomo non può mangiare una fetta di pane che ancora non esiste. La guerra dimostrò in modo incontrovertibile che, grazie all'organizzazione scientifica della produzione, è possibile assicurare alla popolazione del mondo moderno un discreto tenore di vita sfruttando soltanto una piccola parte delle capacità di lavoro generali. Se al termine del conflitto questa organizzazione scientifica, creata per consentire agli uomini di combattere e produrre munizioni, avesse continuato a funzionare riducendo a quattro ore la giornata lavorativa, tutto sarebbe andato per il meglio.»

Collegamenti esterni

modifica