Ewa Kłobukowska

velocista polacca
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Ewa Janina Kłobukowska (Varsavia, 1º ottobre 1946) è un'ex velocista polacca, campionessa olimpica della staffetta 4×100 metri ai Giochi di Tokyo 1964.

Ewa Kłobukowska
Ewa Kłobukowska nel 1964.
NazionalitàPolonia (bandiera) Polonia
Altezza170 cm
Peso60 kg
Atletica leggera
SpecialitàVelocità
SocietàSkra Warszawa
Record
100 m 11"1 (1965)
Carriera
Nazionale
1964-1966Polonia (bandiera) Polonia
Palmarès
Competizione Ori Argenti Bronzi
Giochi olimpici 1 0 1
Europei 2 1 0

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Biografia

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Nel 1964 ha vinto la medaglia d'oro olimpica nella staffetta 4×100 metri e quella di bronzo nei 100 metri piani femminili ai Giochi di Tokyo.

Nel 1965, a Praga ha stabilito il record mondiale nei 100 m col tempo di 11"1. L'anno successivo agli Europei di Budapest ha vinto due medaglie d'oro (100 m e staffetta 4×100 m) ed una d'argento (200 m).

Kłobukowska è stata anche la prima atleta olimpica a fallire il test del sesso.[1] Avendo fatto registrare "un cromosoma di troppo", fallì una delle prime forme dell'esame della cromatina nel 1967 e di conseguenza fu bandita dalle competizioni sportive professionistiche.

L'esatta tipologia della sua anomalia cromosomica non fu mai rivelata,[2] tuttavia, alcuni anni dopo la sua esclusione fu riportata la notizia che fosse rimasta incinta e avesse dato alla luce un figlio.[3][4]

Palmarès

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Anno Manifestazione Sede Evento Risultato Prestazione Note
1964 Giochi olimpici   Tokyo 100 metri   Bronzo 11"6
4×100 metri   Oro 43"6  
1966 Europei   Budapest 100 metri   Oro 11"5
200 metri   Argento 23"4
4×100 metri   Oro 44"4
  1. ^ (EN) Paul Garbett, Sports gender controversies, The Telegraph, 20 agosto 2009. URL consultato il 21 agosto 2009.
  2. ^ (EN) Ethel Sloane, Biology of Women (4ª edizione), Cengage Learning, 2001, p. 159.
  3. ^ (EN) Patricia Nell Warren, The Rise and Fall of Gender Testing, outsports.com. URL consultato il 21 agosto 2009 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2004).
  4. ^ (EN) David Smith, Caster Semenya sex row: 'She's my little girl,' says father, The Guardian, 20 agosto 2009. URL consultato il 21 agosto 2009.

Voci correlate

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