Giovanni Dore
Giovanni Dore (Suni, 1930 – Alghero, 25 maggio 2009) è stato un presbitero, etnomusicologo, museologo, organologo italiano, studioso delle tradizioni popolari sarde.
Biografia
modificaReligioso[1] e ricercatore delle tradizioni sarde, Giovanni Dore concentrò i propri studi sugli strumenti musicali popolari e sulle poesie religiose scritte in lingua sarda.[2]
Organologo non accademico,[3] ampliò gli studi avviati, nei primi decenni del Novecento, dal musicologo cagliaritano Giulio Fara.[4]
In oltre cinquant’anni di attività raccolse oltre cinquecento strumenti musicali, oggetti sonori e congegni fonici che ebbe modo di esporre in numerose mostre regionali e internazionali[5] che, a partire dagli anni settanta, furono raccolti all’interno del Museo degli strumenti della musica popolare sarda, allestito nei locali della casa parrocchiale della chiesa di San Nicola di Bari di Tadasuni, in provincia di Oristano.[6] Per decenni il museo divenne luogo di riferimento per studiosi internazionali di etnomusicologia.[7]
Di rilievo, le poderose raccolte di poesie religiose sarde pubblicate dall'ISRE (Istituto superiore regionale etnografico), centrate soprattutto sui componimenti denominati gosos, che il ricercatore riteneva imparentati con i κοντάκια (da contacio) bizantini.[8] L'ultima sua opera è stata dedicata alle poesie scritte dal sacerdote Giovanni Battista Madeddu, originario di Ardauli.[9]
Dore si distinse anche come divulgatore etnomusicale,[10] all’interno della rassegna "Musica e preistoria",[11] pubblicando numerosi saggi in riviste e opere scientifiche, inoltre curando trasmissioni radiofoniche e televisive specialistiche.[12]
Nel 1977, vinse il Premio di cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.[13] Dopo il decesso, la collezione degli strumenti musicali è passata in eredità a due nipoti.[14]
L'opera del Dore è stata di stimolo culturale per numerosi musicisti sardi[15] ed è stata valorizzata da etnomusicologi, tra cui Roberto Leydi, Sandra Mantovani,[16] Febo Guizzi,[17] Diego Carpitella, Pietro Sassu,[18] Paolo Mercurio,[19] e dal linguista Giuseppe Mercurio.[20]
Opere
modifica- Giovanni Dore, Gli strumenti della musica popolare della Sardegna, Cagliari, 3T, 1976, SBN IT\ICCU\CAG\0024988.
- (SC) Giovanni Dore, Vol. 1. Lodi in lingua logudorese, in onore della Vergine, del Signore, della Trinità e per ricorrenze varie. Vol. 2 e 3. Lodi e preghiere in lingua logudorese, campidanese e gallurese in onore della Vergine, del Signore, della Trinità e per ricorrenze varie, in Gosos e ternuras: testi e musiche religiose popolari sarde secondo l'antica e ininterrotta tradizione di pregare cantando, Nuoro, Istituto superiore regionale etnografico, 1983 e 1986, SBN IT\ICCU\PBE\0015233.
- Giovanni Dore, I testi del dramma silenzioso del Venerdì Santo ed il rito degli strepiti, in Liturgia e paraliturgia nella tradizione orale: primo Convegno di studi: Santu Lussurgiu, 12-15 dicembre 1991, Cagliari, Universitas, 1992, SBN IT\ICCU\CAG\0028100. A cura di Giampaolo Mele, Pietro Sassu.
- Giovanni Dore, Gli strumenti della musica popolare, in “La Sardegna Enciclopedia”, a cura di Manlio Brigaglia, Cagliari, Cagliari, 1988.
- Giovanni Dore, I miei incontri con i suonatori di launeddas, in Launeddas: l'anima di un popolo, Cagliari-Nuoro, AM&D-Istituto superiore regionale etnografico, 1997, SBN IT\ICCU\CAG\0040475. A cura di Giampaolo Lallai; fotografie di Nico Selis.
- (SC) Giovanni Battista Madeddu, Canticos sacros in sardu idioma, Ghilarza, Iskra, 2006, SBN IT\ICCU\CAG\1226055. Trascrizione e revisione dei testi a cura di Giovanni Dore.
Note
modifica- ^ Seguì gli studi teologici a Cuglieri, come sacerdote operò a Bosa, Santulussurgiu, Sedilo e Scano di Montiferro. Nel 1964, divenne parroco di Tadasuni, Boroneddu e Zuri (nel Barigadu), dove operò fino al 2009.
- ^ Per riferimenti generali, si vedano: Mercurio, pp. 30-33; Un’opera etnomusicale per ricordare Don Giovanni Dore, in Il Messaggero Sardo, giugno 2010; Introduzione alla musica sarda, Giovanni Dore e gli studi organologici, Milano, 2014, pp. 88-96; Giovanni Dore, anima colta tra poesia religiosa e strumenti musicali sardi, in BF magazine, 20 settembre 2015; Giovanni Dore, la poesia religiosa in lingua e gli strumenti musicali popolari sardi, pp. 139-150, in “Etnomusicologia, Etnorganologia, Folk revival. Nove incontri tra studio, ricerca e umanità”, Milano, 2017 .
- ^ Febo Guizzi, Don Dore e l'organologia italiana, Do-Re-Musica.
- ^ Come specificato nell’introduzione all'opera Gli strumenti della musica popolare della Sardegna, Cagliari, 1976, p. 14, Fara studiò pionieristicamente 25 strumenti musicali tradizionali, contro i 72 analizzati dal Dore.
- ^ P. G. Pinna, Salvate il museo di Tadasuni e i segreti della musica antica, in La Nuova Sardegna, 17 aprile 2007. Nell'articolo, Dore ha ricordato in particolare le mostre allestite a Ginevra, Parigi, Londra e New York.
- ^ Il museo venne gestito direttamente dall'organologo sardo. Annualmente, veniva visitato da migliaia di studenti, turisti e ricercatori. M. Perlato, La morte di don Giovanni Dore, fautore del museo degli antichi strumenti musicali sardi, in Tottus paris, 26 maggio 2009.
- ^ Musicista autodidatta, oltre a organizzare lezioni e conferenze, Dore era solito dare rilievo alle visite museali con esecuzioni estemporanee, improvvisate dallo stesso ricercatore. Mercurio, p. 31.
- ^ Giovanni Dore, Gosos e Ternuras, vol. I, pp. VII e VIII.
- ^ Madeddu.
- ^ Marras, con acclusi due dvd, contenenti una lezione tenuta a Tadasuni nel 1995 e una video-relazione tenuta a Trescore Balneario, nel 2007.
- ^ Le musiche di accompagnamento sono state composte dal sassofonista nuorese Gavino Murgia.
- ^ In particolare, la serie per "Radio Sardegna", Canne armoniose e cembali: riscoperta di costumi musicali della Sardegna (trentasei puntate). Nel 2004, Dore è stato testimonial televisivo per una campagna informativo-pubblicitaria della CEI, cfr. P. Pinna, Salvate il museo di Tadasuni, cit.
- ^ Note biografiche in Giovanni Dore, Canticos Sacros in Sardu Idioma, cit.
- ^ Il museo è stato smantellato e attende una definitiva collocazione. In merito sono stati scritti diversi articoli, come Sedilo e don Dore, i suoi strumenti in un unico museo, in La Nuova Sardegna, 21 dicembre 2015.
- ^ Paolo Fresu, in Musica dentro, Feltrinelli, Milano 2011, cap. 10: La tradizione, il jazz, l’ascolto; Ricordo di Enzo Favata, in Alessandra Atzori, Don Dore: musica e fede, in "Musicamore", 28 maggio 2009; per Gavino Murgia si veda l'opera citata, curata da Silva Marras.
- ^ Roberto Leydi - Sandra Mantovani, Dizionario della Musica Europea, Milano, 1970. Con i due ricercatori, Dore collaborò per conferenze e, negli anni ottanta, per l’allestimento della mostra sugli strumenti musicali. Si veda, Paolo Mercurio, Giovanni Dore, anima colta tra poesia religiosa e strumenti musicali sardi, cit.
- ^ Roberto Leydi - Febo Guizzi, Gli strumenti musicali e l'etnografia italiana 1881-1911 , 1996, LIM, Lucca; Gli strumenti musicali della musica popolare italiana, Lucca, 2002,
- ^ La musica di tradizione orale, in Enciclopedia Sardegna, a cura di Mario Brigaglia, vol. 1, Cagliari, 1982,
- ^ L'etnomusicologo ha dedicato al Dore due opere: Cantores (De cantoribus cantu, Nuoro, 2002) e Mercurio.
- ^ Giuseppe Mercurio, Gosos e Ternuras di Don Giovanni Dore, in I Nuraghi, Milano, 1 settembre 1988.
Bibliografia
modifica- Silva Marras (a cura di), La voce della musica: don Giovanni Dore, s.l., s.e., 2010, SBN IT\ICCU\UBO\3820677. Con 2 Dvd.
- Paolo Mercurio, Immagini della musica sarda, In memoriam dell’amico Don Giovanni Dore, Nuoro, 2009.
- Marcello Furio Pili, Salvatorangelo Pisanu, Gianluca Dessì (a cura di), Do-Re-Musica: atti del convegno di studi in onore di Don Dore, Sassari, EDES, 2015, SBN IT\ICCU\CAG\2056222.
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