L'Hávamál (Discorso dell'Eccelso) è la seconda composizione dell'Edda poetica.

Come la Profezia della Veggente, anche questo è un lungo monologo, e a parlare è Odino, qui chiamato con l'epiteto di Hár (l'Alto o l'Eccelso), da cui anche gli altri titoli con i quali il poema è conosciuto: Canzone dell'Alto o Canzone dell'Eccelso. Evidenze storiche e linguistiche mostrano che le sue parti più antiche risalgono con ogni probabilità all'inizio del X secolo.

La parte di argomento sapienziale è limitata rispetto a quella sentenziale: buona parte del lunghissimo poema è infatti occupato da una lunga sequenza di massime che riguardano le occorrenze della vita quotidiana e il giusto comportamento da tenersi nei rapporti tra gli uomini, e tra uomo e donna.

Da questo punto di vista il poema risulta interessante come documento psicologico del mondo della Scandinavia medievale.

Ne sortisce il ritratto di un popolo piccolo ma vigoroso, tenace e fiero, avvezzo alla lotta contro una natura ostile e alla sopravvivenza in tempi di violenza e di sopraffazione.

La parte più strettamente sapienziale comprende invece alcuni preziosi passaggi sulle rune e sui canti magici. Vi sono poi rapide esposizioni di tre importanti miti riguardanti Odino: la mancata seduzione della figlia di Billingr, il furto dell'idromele della poesia, l'acquisizione delle rune da parte di Odino.[1]

  1. ^ HÁVAMÁL, su bifrost.it.

Bibliografia

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  • Olga Gogala Leesthal (a cura di), Canti dell'Edda, UTET, Torino, 1939
  • Piergiuseppe Scardigli (a cura di), Il canzoniere eddico, Garzanti, Milano, 1982

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