Luis Barragán

architetto e ingegnere messicano

Luis Ramiro Barragán Morfín (Guadalajara, 9 marzo 1902Città del Messico, 22 novembre 1988) è stato un architetto e ingegnere messicano.

Luis Ramiro Barragán Morfín
Premio Premio Pritzker 1980
Torres Satélite

È considerato tra i protagonisti del suo tempo, e il più importante architetto messicano del XX secolo.

Biografia

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All'età di appena 22 anni prende il Diploma di Laurea in Ingegneria all'Escuela Libre de Ingenieros di Guadalajara e solo successivamente ottiene la Laurea anche in Architettura.[1] Dapprima influenzato dall'International style, da Le Corbusier e della Nuova oggettività, sviluppa successivamente un proprio stile che reinventa le tinte forti dell'architettura popolare messicana tramite le suggestioni provenienti dal Mediterraneo e realizzando ambienti surreali e allo stesso tempo silenziosi, in contrasto con il Movimento Moderno. Negli anni successivi entra in contatto con José Antonio Coderch, il Team 10 e Giancarlo De Carlo. La consacrazione definitiva, tuttavia, arrivò nel 1976, quando il M.O.M.A. ospitò un'esposizione intitolata "The Architecture of Luis Barragan".[2] Nel 1980 gli fu conferito il Premio Pritzker. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1988, l'UNESCO inserì la sua casa-studio nell'elenco dei patrimoni dell'umanità.

La caratteristica dell'opera di Barragán - rintracciabile in alcune delle sue opere più famose come Casa Galvez, Casa Egerstrom, Casa Gilardi e la sua casa-studio – è caratterizzata dall'uso di tinte molto intense, enfatizzato ad esempio nelle "Torri Satellite" ideate con l'aiuto di Mathias Goeritz, e il rifiuto di materiali come il vetro, molto utilizzato nell'architettura del tempo. Ricorrente è poi l'uso di grandi muri lisci, spesso “tagliati”, in case che tuttavia sono vivacizzate dall'uso dell'acqua, evidente riferimento all'architettura araba. Sarà successivamente Barragán stesso a spiegare l'uso di questi giochi d'acqua: "La Natura diventa un avanzo di Natura, l'uomo diventa un avanzo d'uomo".[3]

  1. ^ L. Barragán, pp. 72–89.
  2. ^ E. Ambasz.
  3. ^ K. Frampton, p. 378.

Bibliografia

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Collegamenti esterni

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