Massacro di Ruvo del Monte

Il massacro di Ruvo del Monte fu una strage avvenuta il 10 agosto 1861, compiuta prima dai briganti guidati da Carmine Crocco ai danni di alcuni notabili e poi, come rappresaglia, dalle truppe del regno italiano contro i civili del comune lucano, colpevoli di aver appoggiato l'invasione delle bande.

Massacro di Ruvo del Monte
strage
TipoPrima fase: Rivolta antigovernativa

Seconda fase: Rappresaglia

Data10 agosto 1861
LuogoRuvo del Monte (Potenza)
StatoItalia (bandiera) Italia
ObiettivoPrima fase: possidenti locali.

Seconda fase: cittadini e sostenitori di Crocco.

ResponsabiliPrima fase: Briganti di Carmine Crocco

Seconda fase: Guardia Nazionale e Regio Esercito

MotivazionePrima fase: insurrezione contro i poteri dello Stato, rivolta contro possidenti e liberali locali.

Seconda fase: accusa di sostegno alle bande di Carmine Crocco.

Conseguenze
MortiPrima fase: 13 notabili uccisi dai briganti di Crocco.

Seconda fase: Numero imprecisato di civili e circa 30 esponenti filoborbonici uccisi dal Regio Esercito

FeritiImprecisati

I fatti

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Il 10 agosto 1861, Carmine Crocco, a capo di 80 uomini, assaltò il comune di Ruvo del Monte, strenuamente difeso dalla Guardia Nazionale e dalla cittadinanza borghese. La popolazione, provocata ad insorgere contro i poteri dello Stato, appoggiò l'occupazione dei briganti.[1] I briganti, con il supporto della plebe, saccheggiarono il paese; uccisero 13 persone, tra liberali e ricchi possidenti; incendiarono le case dei signori, gli archivi comunali e distrussero gli stemmi dei Savoia. Inoltre, secondo quanto dichiarato da Giuseppe Carrieri, segretario comunale di Rionero, i briganti «hanno abusato delle donne, ed hanno portato in trionfo le teste degli uccisi».[2]

Terminato il sacco, Crocco e i suoi uomini lasciarono Ruvo e alla sua armata si aggregarono 32 ruvesi. Nel frattempo erano tallonati da un reparto di Guardie Nazionali e Bersaglieri, comandato dal maggiore Davide Guardi. Giunto in paese, Guardi ordinò il rastrellamento della popolazione civile, rea di aver collaborato con i briganti, e la fucilazione immediata;[1] molte abitazioni vennero date alle fiamme e, a detta di Carrieri, «con un po' di licenza delle forze si sono commessi altri atti che si sono creduti necessari nella circostanza».[2] Il numero delle vittime è incerto. Venne data la caccia ad esponenti reazionari che fuggirono per le campagne, una trentina vennero freddati.[2]

Lasciati i cadaveri sul luogo dell'esecuzione, Guardi convocò i galantuomini del paese e ordinò di fornire il contingente con il denaro comunale. Il sindaco fece notare che le casse erano vuote poiché depredate dai briganti e il maggiore, davanti alla sua risposta, fece arrestare i notabili, con l'accusa di attentato alla sicurezza interna dello Stato e complicità in brigantaggio.[3] Prosciolti in istruttoria, i maggiorenti di Ruvo vennero rinviati a giudizio per aver fatto parte di una Commissione che, per ordini superiori, aveva tassato i propri cittadini sotto minaccia verbale di fucilazione.[4] Il tribunale circondariale di Melfi, esponendo una versione incompleta dei fatti[4] e senza accertarsi su chi abbia dato tali disposizioni[4], condannò ad un anno di reclusione i notabili per tentata estorsione.

  1. ^ a b Tommaso Pedio, Brigantaggio Meridionale (1806-1863), p.78
  2. ^ a b c 14 agosto 1861: Lettera di Giuseppe Carrieri a Giuseppe Michele Giannattasio sui fatti di Ruvo del Monte del 10 agosto 1861 (PDF), su comune.news, prolocoruvo.net. URL consultato il 3 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 5 ottobre 2016).
  3. ^ Tommaso Pedio, Brigantaggio Meridionale (1806-1863), p.79
  4. ^ a b c Tommaso Pedio, Brigantaggio Meridionale (1806-1863), p.94

Bibliografia

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  • Tommaso Pedio, Brigantaggio meridionale: (1806-1863), Capone, 1997

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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