Monumento agli Alpini d'Italia

monumento di Milano, Italia

Il monumento agli Alpini d'Italia è una scultura in bronzo di Emilio Bisi posta in Piazza Giovanni XXIII a Milano.

Agli Alpini d'Italia
AutoreEmilio Bisi
Data1914
Materialebronzo
Altezza220 cm
UbicazionePiazza Giovanni XXIII, Milano
Coordinate45°28′29.96″N 9°09′51.41″E
Map

Descrizione dell'opera

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Lo scultore Emilio Bisi, fratello di Maso Bisi, fondatore dell'Associazione Nazionale Alpini, realizzò la scultura per onorare il 5º Reggimento alpini ritraendo un avvenimento della guerra di Libia. Esaurite le munizioni, l'alpino Antonio Valsecchi della 51ª compagnia del battaglione alpini "Edolo" è ritratto mentre scaglia un macigno contro beduini che tentavano la scalata della "Ridotta Lombardia". Il monumento era destinato al cortile della caserma Majnoni in Via Pagano.[1]

Erano presenti quattro targhe sul monumento:[2]

  • «Sorga così nella gloria / il V Reggimento Alpini / che alle alture libiche orbe di nevi / aggiunse le fedi delle Alpi d'Italia»
  • «Insegna o Alpino a' tuoi echi nativi / i nomi delle belle vittorie / onde Italia dai libici lidi / protegge i suoi migranti pel mondo»
  • «Commilitoni Comuni Sodalizi affini / questo segno ponendo al loro Reggimento / vedono l'alba sulle valli lombarde / salutando da esse tutta la Patria»
  • «Questi che noi celebriamo caduti / vivono altrove lontani / sono nel profondo avvenire / sacra avanguardia a prepararvi l'Italia»

Altre targhe riportavano i nomi di battaglie e dei caduti. Il monumento doveva essere inaugurato l'8 ottobre 1914, ma la cerimonia fu annullata per lo scoppio della prima guerra mondiale. L'11 febbraio 1915 il monumento fu consegnato al comando del Reggimento.[2]

Spostamenti

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A Bergamo e il ritorno a Milano

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Nel 1921 il 5º Reggimento alpini fu inserito nella 2ª divisione alpina, stanziata a Bergamo. Il monumento venne perciò là trasferito con inaugurazione il 15 giugno 1922.[3]

Nel 1926 il Reggimento fu reinserito nella Brigata alpina di Milano e tornò a Milano anche il monumento sempre all'interno del cortile della caserma.

L'attentato del 1928

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Il 12 aprile 1928 ci fu un attentato a Vittorio Emanuele III all'inaugurazione della Fiera Campionaria. Tra le vittime ci furono anche tre alpini del 5º Reggimento alpini. Il podestà Ernesto Belloni stabilì allora lo spostamento del monumento dal cortile in Via Pagano a spese del Comune.[4] Il 16 dicembre 1928 il monumento fu riconsacrato ufficialmente.[5]

Lo spostamento del 1948

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Domenica 21 novembre 1948 il monumento fu nuovamente inaugurato in Piazzale Cadorna, non più dedicato al 5º Reggimento alpini ma a tutti i caduti alpini.[6]

«Il momento solenne è poi venuto: l'alpino Valsecchi, un vecchio gagliardo, ha sollevato sulle braccia un bimbo di sei o sette anni, orfano di un ufficiale alpino caduto in Russia, e il bimbo ha strappato il bianco lenzuolo. Grida di Viva gli alpini! e battimani e squilli e fanfare e clamori.[6]»

La collocazione attuale

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Il monumento fu nuovamente spostato nel 1963. La nuova inaugurazione si tenne domenica 22 settembre 1963.[7]

«Mancava - si trova a Lecco in ospedale - l'alpino Valsecchi, colui che il monumento ritrae nell'atto di scagliare una grossa pietra[7]»

L'epigrafe recita «ai caduti alpini / di tutte le guerre / nel centenario glorioso / l'associazione nazionale alpini / mcmxlviii»

  1. ^ Per il monumento al 5º alpini, in Corriere della Sera, 17 aprile 1914, p. 5.
  2. ^ a b La cerimonia di stamane alla caserma Majnori. Il monumento per i caduti in Libia consegnato al Quinto Alpini, in Corriere della Sera, 11 febbraio 1915, p. 6.
  3. ^ Piazza Carrara e l’alpino sparito. Che fine ha fatto il monumento?, su Eco di Bergamo, 9 ottobre 2015.
  4. ^ Assegni alle vittime, in Corriere della Sera, 26 aprile 1928, p. 5.
  5. ^ Il monumento al Vº Alpini riconsacrato in Via Mario Pagano, in Corriere della Sera, 5 dicembre 1928, p. 5.
  6. ^ a b Diecimila alpini celebrano le glorie immortali della Patria, in Corriere della Sera, 22-23 novembre 1948, p. 2.
  7. ^ a b Concluse le peregrinazioni del monumento al V Alpini, in Corriere della Sera, 23 novembre 1963, p. 4.