Nello Buono (Spello, 26 settembre 1893Auschwitz, 2 dicembre 1944) è stato un meccanico italiano, attivista politico e sindacale, antifascista, vittima dell'Olocausto.

Biografia

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Terzo di sette figli, iniziò molto presto a lavorare (probabilmente subito dopo aver ottenuto la licenza elementare) e a mostrare interesse per l'attività politica[1].

Nell'aprile del 1915 si trasferì a Terni rispondendo alla richiesta di manodopera per la produzione di guerra della fabbrica d'armi e delle acciaierie. Visse in prima persona le difficoltà economiche della fine della guerra, e il periodo di proteste (tra il 1918 e il 1920) che in alcuni casi culminò con l'occupazione delle fabbriche.

Prime attività politico/sindacali, arresto e condanna del 1927

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Successivamente si trasferì a Torino, trovando lavoro all'Ansaldo automobili, e proprio in territorio piemontese intensificò l'attività politica e sindacale[1].

Nel 1925 fu sorpreso, e conseguentemente obbligato a tornare a Spello, in una riunione clandestina in fabbrica a Torino. Il 30 giugno 1927 venne arrestato e deferito al tribunale speciale per essere stato notato tra i partecipanti a una riunione regionale clandestina, svolta il 26 giugno, della Confederazione Generale del Lavoro (CGL) in Val di Susa, in località Trucco sulla strada che sale verso il monte Rocciamelone[1].

Nello Buono e molti altri partecipanti alla riunione clandestina vennero processati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e condannati a scontare anni di carcere, con l'accusa di aver ricostituito il Partito Comunista e averne svolto attività di propaganda.

Buono venne condannato a 6 anni di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e a 3 anni di vigilanza speciale. La condanna maggiore inflitta in questo processo fu a carico di Carlo Venegoni, presente alla riunione in Val di Susa e indicato come il principale artefice della ricostituzione del partito, condannato a 10 anni di reclusione[2].

Dalla scarcerazione alla condanna del 1939

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Per effetto dell'amnistia emanata con il Regio Decreto del 5 novembre del 1932 venne scarcerato quando ormai aveva già scontato nel carcere di Lucca 5 anni, 4 mesi e 9 giorni di reclusione.

Tra il 1932 e il 1938 Buono visse costantemente vigilato, cambiando numerose volte lavoro, licenziato più volte per le frequentazioni di "compagni di fede" (come indicato dalle relazioni di carabinieri e polizia[1]) e trasferendosi più volte tra il Piemonte e l'Umbria.

Nel 1938 espatriò clandestinamente in Francia e raggiunse un fratello, che viveva in una zona con forte presenza di emigranti italiani, a Villerupt. Rimase in Francia fino al 1º ottobre del 1939 quando tentò di ritornare in Italia e venne arrestato alla frontiera di Bardonecchia. Fu condannato a 1 anno e 2 mesi di carcere con l'accusa di espatrio clandestino e abbandono di fabbrica impegnata in produzioni di guerra.

Scontò la pena nel carcere di Gaeta e una volta terminata la reclusione nel 1941 tornò a vivere e lavorare a Torino. Per i 3 anni successivi non venne fatta nessuna annotazione al fascicolo personale fino a un avvistamento al paese di nascita Spello nel febbraio del 1944.

Condanna del 1944 e deportazione

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Nel marzo del 1944, a seguito di scioperi in fabbrica, fu arrestato, trasferito inizialmente a Bergamo e il 16 marzo a Mauthausen, raggiungendo il campo di concentramento dopo un lungo viaggio durato 4 giorni.

A Nello Buono venne assegnato il numero 58753. Passò nove mesi tra vari campi di concentramento, in quanto il temuto arrivo dell'esercito sovietico portava a trasferire i deportati in altri lager. Dal campo di Mauthausen fu trasferito prima a Gusen, poi a Schwechat-Floridsdorf, e infine il 1º dicembre 1944 intraprese il viaggio verso Auschwitz insieme ad altri 1119 detenuti di varie nazionalità.

La morte di Nello Buono viene registrata con data 2 dicembre, e anche se non si hanno notizie certe si considera molto probabile che sia morto di freddo o di sfinimento durante il trasferimento verso il campo di Auschwitz[1].

  1. ^ a b c d e Olga Lucchi, Li presero ovunque, Mimesis, 2010, p. 119-128.
  2. ^ Tribunale speciale per la difesa dello Stato, Decisioni emesse nel 1928, Tomo secondo, Ministero della difesa, p. 696.