L'onggi (옹기?) è una giara di terracotta usata in Corea per la conservazione del cibo.

Onggi.
 
Scena da Biografia illustrata di Hong Yi-sang (Kim Hong-do, 1781), in cui sono rappresentate delle onggi.

Non esiste una cronologia formale sulle origini e lo sviluppo delle onggi,[1] ma le testimonianze archeologiche ne attestano l'uso nella penisola coreana già durante il regno di Goguryeo (37 a.C.-668): urne di terracotta appaiono infatti nei murali ritrovati nelle tombe reali del III secolo.[2] Viste inoltre le somiglianze con le terrecotte della dinastia Silla (668-918), gli studiosi ritengono che abbiano un'origine molto antica, anche se è stato sollevato il dubbio che le onggi conosciute in epoca moderna potrebbero essere una mutazione avvenuta sulla scia della rivoluzione economica del XVIII e XIX secolo.[1]

Secondo le testimonianze storiche, i popoli di Baekje e Silla conservavano nelle giare riso, alcol, olio, salsa di soia e pesce salato, mentre il Goryeo gogyeong, un resoconto sulla vita nel Goryeo nel 1123, racconta che i coreani vi riponevano riso, doenjang, frutta, aceto e a volte l'acqua potabile.[3]

Con la modernizzazione della società coreana a partire dagli anni Settanta, sono state progressivamente sostituite dalle stoviglie in plastica, vetro e acciaio; continuano però a essere usate nei ristoranti di cucina tradizionale e, su scala industriale, dai fabbricanti di condimenti.[2][4]

Caratteristiche

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Le onggi sono giare per la conservazione del cibo realizzate con argilla alluvionale scura e grossolana che diventa rossa quando raggiunge i 1200 °C.[5] È necessario che la grana sia contemporaneamente fine e grossa per permettere la circolazione dell'aria che favorisce la fermentazione senza però che i liquidi fuoriescano.[6] Nella sua enciclopedia Imwon gyeongje sibyuk ji (Sedici discorsi sull'economia rurale, 1834), l'intellettuale Seo Yu-gu dà al termine ong una definizione ampia, quella di giara per contenere i liquori di cereali e la salsa di soia, che era "il più grande dei recipienti di terracotta, il più necessario per l'uso quotidiano".[1] L'ornitologo statunitense Pierre Louis Jouy, che soggiornò in Corea tra il 1883 e il 1885, descrisse così le onggi nei suoi resoconti:[7]

«Il terzo stile di ceramica è del tipo più comune, fatto di terra marrone scuro, o rossiccia, è smaltato dentro e fuori, e ha poche o nessuna decorazione fuorché una linea ondulata realizzata rimuovendo lo smalto, lasciando trasparire l'acciarino sotto la superficie. Alcuni pezzi hanno i bordi smerlati o scanalati e sono ornati con linee incise, ma in genere sono piuttosto semplici e senza questi decori.»

In base alla loro destinazione d'uso, esistono due tipi di onggi: ojigeureut (smaltate) e jilgeureut (non smaltate). Le giare smaltate vengono cotte in forno fino a ossidazione e si prestano sia alla preparazione che alla conservazione all'aperto degli alimenti fermentati (salsa di soia, doenjang, gochujang, frutti di mare, verdure in salamoia e kimchi). Le onggi non smaltate, invece, non sono completamente ossidate perché durante la cottura il ceramista aggiunge della legna di pino e impedisce l'ingresso dell'ossigeno nel forno chiudendone i comignoli: il risultato è una giara coperta di fuliggine estremamente traspirante, usata all'interno delle abitazioni per cuocere a vapore i tteok o il riso.[8] Contrariamente a quanto accade con la porcellana, lo smalto non crea uno strato superficiale vitreo, ma si amalgama alle particelle d'argilla formando dei micro-pori.[6]

Le onggi hanno una forma ovoidale che varia poco di regione in regione, ma le giare destinate all'uso cittadino sono tendenzialmente più alte e piccole per adattarsi ai ridotti spazi urbani. Le più grandi si chiamano dok e hangari, mentre quelle piccole danji. La giara di dimensioni maggiori è quella per il kimchi, in quanto deve ospitarne abbastanza da durare per tutto l'inverno.[2][9]

Uso rituale

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Oltre che in cucina, le onggi hanno trovato spazio anche nei rituali dello sciamanesimo coreano. Il missionario Claude-Charles Dallet ha riportato, in una cronaca del 1874:[10]

«[I coreani] vedono il diavolo ovunque, credono in giorni propizi e infausti, in luoghi favorevoli e sfavorevoli, e per loro tutto diventa un segno di buona o cattiva fortuna. Tirano incessantemente a sorte e consultano divinatori, e moltiplicano incantesimi, sacrifici e ogni genere di stregoneria prima, durante e dopo tutte le azioni o imprese importanti. In ogni casa ci sono una o due brocche di terracotta per contenere gli dei della casa Seng-tsou [Seongju], protettore dalla nascita e della vita; Tse-tsou [Teoju], protettore della dimora; ecc., e di tanto in tanto la grande prostrazione avviene dinanzi a queste brocche.»

  1. ^ a b c Sayers e Rinzler, pp. 19-20.
  2. ^ a b c (EN) Onggi, traditional earthenware vessel in Korea (2), su korea.net, 27 maggio 2014. URL consultato il 31 ottobre 2023.
  3. ^ (KO) 옹기(甕器), su encykorea.aks.ac.kr. URL consultato il 4 novembre 2023.
  4. ^ Sayers e Rinzler, p. 63.
  5. ^ Sayers e Rinzler, p. 55.
  6. ^ a b (EN) Kang Shin-jae, Guardians of Heritage: 'Thinking Hands' of Lee Hyun-bae, Master Onggi Artisan, su koreana.or.kr, estate 2017. URL consultato il 4 novembre 2023.
  7. ^ Sayers e Rinzler, p. 24.
  8. ^ (EN) Onggi, traditional earthenware vessel in Korea (1), su korea.net, 20 maggio 2014. URL consultato il 31 ottobre 2023.
  9. ^ Sayers e Rinzler, p. 58.
  10. ^ Sayers e Rinzler, p. 83.

Bibliografia

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  • (EN) Robert Sayers e Ralph Rinzler, Korean Onggi Potter, in Smithsonian Folklife Studies, n. 5, Washington, Smithsonian Institution Scholarly Press, 15 luglio 1987, pp. 288, DOI:10.5479/si.folklife.5. URL consultato il 2 novembre 2023.

Voci correlate

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