Peppi Paci
Giuseppe Paci, in arte Peppipaci (Canicattì, 1890 – Padova, 1967), è stato un poeta italiano.
Biografia
modificaSarto, con un'apprezzata sartoria nella piazza centrale di Canicattì, in Palazzo Ferreri, fece parte di quel cenacolo che diede vita alla "Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese", e ne diventò il poeta cantore. Ma, come osserva Gaetano Augello, "pur condividendo l'atteggiamento ironico e a volte irriverente tipico dei componenti del sodalizio, si distinse soprattutto per la genuinità dell'ispirazione poetica e per la capacita' di dar voce ai personaggi "minori" della sua citta'" ( Gaetano Augello, La vicenda umana e artistica di Peppi Paci, in Canicatti in 138 "pillole", Canicatti', 2018).
Nelle poesie di Peppipaci vi è umorismo e satira al costume. Nei suoi versi, ritrae i tratti spirituali delle persone e certe biasimevoli situazioni sociali con tocchi di colore vivace, ma sempre atti a promuovere il riso.
Di lui restano due raccolte poetiche, oltre che numerose liriche sparse. Dei suoi due libri di poesie l'uno ha per titolo "Mascari di Paci"[1] e l'altro "La scecca di patri Decu".[2].
Mascari di Paci ci offrono - dice Gaetano Augello - "una visione disincantata dello svolgersi della vita quotidiana a Canicatti'". Temi ricorrenti nelle sue liriche: "le difficoltà della vita quotidiana, la morte, la giustizia, l'alternarsi delle stagioni ed il succedersi di fatti lieti e tristi nella vita di ciascuno". Tra le sue liriche più belle ricordiamo: Predica di Quaresima, Lu gran sbagliu, Gnuranza, Autru è parlari di morti, autru muriri, Lu varberi di li tempi antichi, Genti a la banna dintra.
Scrive ancora Gaetano Augello: "Il gioco sottile di ironia che caratterizza la poesia di Peppi Paci raggiunge un momento di straordinaria efficacia in L'ochi di Palermu. È una poesia davvero deliziosa ove si descrive lo sguardo meravigliato ed estasiato di un "paesano" condotto dal padre nella città mitica e finora lontana, Palermo, nel giorno in cui essa sfoggia il suo massimo sfarzo: il festino della patrona santa Rosalia. La gente passeggia indossando gli abiti migliori, le ragazze sfilano, forse anche in cerca di marito, con i visi "appitturati"".
"Il ragazzo chiede trepidante: "Papa', chi sunnu chissi?". E, quasi a voler salvaguardare l'innocenza del figlio dai pericoli della citta', il padre risponde imbarazzato: "Sunn'ochi... un ci badari...". Il ragazzo è perplesso ma non osa contrastare la spiegazione paterna. Tornera' successivamente in citta' per gli studi universitari. Il padre gli raccomandera' accortezza nel muoversi nei meandri della metropoli, di far sacrifici e soprattutto di studiare e dare notizie di se'. Ma, in seguito, una lettera avrebbe sconvolto il genitore: Bedda e' Palermu, o patri', cc'e' villi, cc'e' tiatri. e tanti nuvita'... Cc'e' cursi di cavaddi', cci sunnu festi e giochi', ma cchiu' di tuttu... l'ochi... mi piacinu... papa' (Gaetano Augello, ibidem).
Note
modificaBibliografia
modificaGaetano Augello, L'Accademia del Parnaso e la poesia di Peppi Paci, Campobello di Licata, 2001.
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Collegamenti esterni
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