A Firenze venivano chiamati Piagnoni i seguaci del frate domenicano Girolamo Savonarola dove "piagnoni" stava per "bigotti".

La campana "piagnona", che suonò per invitare il popolo a difendere Savonarola dall'arresto

Radunatisi intorno al frate già prima della morte di Lorenzo il Magnifico, furono acerrimi avversari dei Palleschi, partigiani dei Medici. Nel 1494 furono tra i fautori della cacciata di Piero de' Medici e della restaurazione della repubblica fiorentina perché contrari alla tirannia politica signoriale e favorevoli a un governo di larga partecipazione popolare. Nemici dei piaceri e della mondanità, ma anche generosi e votati alla carità verso il prossimo, sostenevano con Savonarola una riforma della Chiesa improntata alla più stretta austerità religiosa.

Perfetto esempio del rigorismo morale dei Piagnoni è il falò delle vanità del Carnevale del 1497 che Giorgio Vasari descrive così:

«Avvenne che continovando fra Ieronimo le sue predicazioni, e gridando ogni giorno in pergamo che le pitture lascive e le musiche e i libri amorosi spesso inducono gli animi a cose mal fatte, fu persuaso che non era bene tenere in casa, dove son fanciulle, figure dipinte d'uomini e donne ignude; per il che riscaldati i popoli dal dir suo, il carnovale seguente, che era costume della città far sopra le piazze alcuni capannucci di stipa ed altre legne, e la sera del martedì per antico costume ardere queste con balli amorosi, dove presi per mano un uomo ed una donna giravano cantando intorno certe ballate, fe' sì fra Ieronimo, che quel giorno si condusse a quel luogo tante pitture e sculture ignude, molte di mano di maestri eccellenti, e parimente libri, liuti, e canzonieri, che fu danno grandissimo, ma in particolare della pittura; dove Baccio portò tutto lo studio de' disegni che egli aveva fatto degl'ignudi, e lo imitò anche Lorenzo di Credi e molti altri che avevan nome di piagnoni.[1]»

Quando Savonarola perse la presa sui fiorentini e il popolo in armi si riversò al convento di San Marco per arrestarlo, i Piagnoni si asserragliarono nell'edificio per difenderlo:

«Correva il giorno 8 di aprile dell'anno 1498, quando il popolo fiorentino, dal partito degli Arrabbiati eccitato e sommosso, correa difilato al convento di San Marco a fare vendetta contro del Savonarola e de' suoi, della riforma per loro tentata. Allora molti cittadini, capitanati da Francesco Valori, spontanei si chiudevano in quelle mura per difendere la vita del Savonarola, e con le armi propulsare le offese. Vedute chiuse e barrate le porte, i difensori alle vedette e pronti a menare le mani, gli Arrabbiati puneano il fuoco alle porte della chiesa e del convento. Allora i Piagnoni mostrarono che erano così buoni a dir paternostri come a trattare il fucile e la balestra; e dal tetto, dal campanile e dalle finestre cominciarono a trarre sugli avversari. I frati, non che prender parte alla lotta (e bene a molti ne pizzicavano le mani), raccolti dal Savonarola nel coro, prostrati avanti il Santissimo Sacramento, con pietose e lamentevoli voci chiedevanlo di soccorso. Frattanto il numero dei difensori, parte per le uccisioni, parte per la fuga, diradava ognor più. Uno di essi, il Valori, forse disperando della vittoria, partitosi dal convento, veniva trucidato a furia di popolo, e con esso la moglie. Gli assalitori penetrati nella chiesa, contaminavanla di sangue e di stragi; e venuti da vicino alle prese con i Piagnoni, cominciossi una fierissima zuffa, la quale, fra il baglior delle fiamme, il fumo densissimo, e le grida e le bestemmie dei feriti e dei morenti, era cosa spaventosa a udire e a vedere. Un Alemanno, salito sul pulpito, con un suo schioppetto traeva su gli Arrabbiati senza misericordia. Acquistando via via terreno gli avversarj, la mischia si ridusse nel coro, e in quella ristrettezza di luogo, tanta fu la resistenza, che né per uccisioni né per ferite poteano aprirsi un varco per quella via. Da ultimo, scalati i muri del giardino, cinsero i Piagnoni di fronte e alle spalle.[2]»

Nonostante la fine di Savonarola e il ritorno dei Medici in città i Piagnoni continuarono a lottare contro la signoria cittadina[3] e ritornarono alla carica nel 1527 quando i Medici furono di nuovo espulsi da Firenze e per la seconda volta venne dichiarata la repubblica.

Marco Foscari, in quell'anno ambasciatore di Venezia a Firenze, in una relazione al Senato veneto ne traccia un profilo accurato:

«Piagnoni, che in lor lingua s'intende ipocriti, è la setta o fazione che ebbe origine e dipendenza da fra Girolamo, e che seguiva la opinione di quello, la quale è perseverata fino al presente; e in questa sono quasi tutti li primi uomini di Firenze per prudenza, bontà, parentela, ricchezza, ed ogni altra sorta di esumazione. Sono molti in questa fazione, perché quantunque non tutti abbiano origine e dipendenza dal frate, tuttavia molti uomini da bene vi hanno aderito e si sono accompagnati a quelli che ebbero dipendenza ed origine da detto frate; e così questa fazione dei piagnoni è molto potente di numero e di qualità d'uomini.[4]»

Si dispersero definitivamente nel 1530 con il collasso militare dell'esperimento repubblicano e l'instaurazione del ducato di Alessandro de' Medici.

  1. ^ Delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori scritte da Giorgio Vasari, ed. Firenze, 1822, pag. 82
  2. ^ Vincenzo Fortunato Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, Firenze, 1854, pagg. 26-27
  3. ^ Renzo Pecchioli, Il "Mito" di Venezia e la crisi fiorentina intorno al 1500, Studi Storici, Anno 3, No. 3 (Jul. - Sep., 1962), pp. 451-492.
  4. ^ Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1839, pag. 69

Bibliografia

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  • Lorenzo Pignotti, Storia della Toscana sino al principato, Firenze, 1820
  • Simondo Sismondi, Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, Capolago, 1832
  • Benedetto Varchi, Storia fiorentina, Firenze, ed. 1857
  • Pasquale Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi, Firenze, 1861

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