Ruodlieb
Il Ruodlieb è un poema mediolatino, in forma di poema epico in esametri leonini, con un cavaliere per protagonista. Fu composto a metà dell'XI secolo in Germania, in un'area di lingua tedesca superiore.
Ruodlieb | |
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Una pagina del manoscritto del Ruodlieb conservato nella Biblioteca Statale Bavarese | |
Autore | ignoto |
1ª ed. originale | XI secolo |
Genere | poema epico |
Lingua originale | latino |
Intreccio
modifica«Il poema è la storia di Ruodlieb, nobile cavaliere, costretto a lasciare la sua patria in seguito alle faide in cui si è trovato coinvolto. Dopo aver lasciato alla madre tutte le sue proprietà, armato ed equipaggiato di tutto punto, parte a cavallo, seguito dal suo scudiero e dal suo segugio.
Giunto alla corte di un re africano magnanimo e giusto, l'eroe si mette al suo servizio, dando prova di grandi qualità dapprima come cacciatore, poi come comandante dell'esercito, infine come ambasciatore.
Dopo dieci anni di esilio, Ruodlieb riceve un messo inatteso, che gli porta due lettere: una dei signori della sua terra, che lo invitano a tornare in patria, poiché tutti i suoi nemici sono ormai morti o nell'impossibilità di nuocergli; e una di sua madre, che gli chiede di porre fine al proprio lutto e alla propria solitudine. Felice e commosso, il cavaliere chiede al re il permesso di partire. Il re non si oppone e come dono d'addio impartisce a Ruodlieb dodici insegnamenti che gli saranno utili nel viaggio di ritorno e nella vita in patria. Il giorno della partenza il re saluta affettuosamente il suo vassallo e gli consegna due pagnotte, raccomandandogli di aprire la più piccola in presenza della madre e la più grossa insieme alla sua futura sposa.
Ruodlieb si mette quindi sulla via del ritorno, lungo la quale incontra un uomo dai capelli rossi, uno sgradito compagno di viaggio violento ed arrogante, che finisce per compiere un omicidio; il Rosso viene catturato, processato e condannato, e l'eroe può riprendere il viaggio verso casa.
A un certo punto trova suo nipote tra le braccia di una prostituta: sottrae il giovane alla donna e lo convince a mettersi in viaggio con lui.
I due giungono ad un castello, nel quale vive la vedova di un potente nobile con la bellissima figlia e numeroso seguito; qui sono accolti con tutti gli onori. In una sala del castello, durante un concerto, Ruodlieb chiede un'arpa: ottenuto lo strumento del defunto marito della castellana, suona con grande maestria dolci melodie, al ritmo delle quali suo nipote e la fanciulla danzano e si innamorano.
Lasciato il castello, il cavaliere e il nipote giungono finalmente alla dimora della madre dell'eroe, che ha organizzato per loro un banchetto di benvenuto. Dopo il lauto pranzo, l'eroe, rimasto in compagnia della sola madre, apre le pagnotte che il re gli aveva donato e trova una graditissima sorpresa: esse sono ripiene d'oro e di splendidi gioielli.
Nel primo giorno stabilito per le nozze del nipote con la figlia della castellana, Ruodlieb accoglie gli invitati, presiede alla cerimonia e offre magnifici doni agli sposi.
Ruodlieb è ormai un ricco, rispettato e potente signore, ma è ancora privo di una moglie che gli possa dare un erede. La madre lo esorta quindi a cercarsi una sposa senza più indugiare. L'eroe allora riunisce i parenti e gli amici per ottenere aiuto nella ricerca di una consorte, una donna adeguata al proprio rango; uno dei presenti allora gli indica una damigella nobile e virtuosa.
Ruodlieb però viene in possesso del cappello e delle fasce per le gambe che, secondo informazioni pervenutegli, quella donna avrebbe perduto durante un incontro galante con un chierico. Poiché queste voci si confermano veritiere, il nobile cavaliere si dispone a cercare un'altra promessa sposa. Intanto, la madre di Ruodlieb vede in sogno il figlio mentre uccide in un combattimento due cinghiali, poi vede ancora il figlio seduto sulla cima di un tiglio mentre, attorniato da una schiera di guerrieri, riceve da una colomba una corona reale e baci affettuosi, segni del futuro glorioso dell'eroe.
Davanti ad una caverna Ruodlieb cattura un nano. Questo, chiedendo la libertà, promette di rivelare all'eroe il modo di conquistare il tesoro dei re Immunch e Hartunch, di sposare la bellissima Heriburg e di ereditare così tutto il loro regno. Di fronte alla diffidenza di Ruodlieb il nano, offeso, chiama la moglie, che esce dalla caverna e si offre in ostaggio al posto del marito.
Qui il racconto si interrompe»
Genere letterario e modelli
modificaNon è facile identificare quale sia il genere letterario che si trova nel Ruodlieb. È veramente epica, oppure si tratta di uno iocus monachorum, in cui la parte satirica è prevalente?
Sembra che il genere letterario al quale assegnare il Ruodlieb sia quello del poema epico con finalità didascalico-morale.
Già l'età carolingia aveva conosciuto tre generi principali di poesia epica, che vennero ripresi e sviluppati anche in epoche successive, nel Medioevo centrale:
- La celebrazione delle gesta del re, in esametri o anche in distici elegiaci (soprattutto per la morte del re): di solito erano lunghi 4.000-5.000 versi, divisi in tre o quattro libri; spesso racchiudevano degli excursus con descrizioni di città;
- I poemi che mettevano in versi epici parte della Bibbia o della storia sacra; l'epica biblica cristiana del V secolo, per esempio, era molto letta nelle scuole carolinge;
- Le storie di argomento fantastico, con valore morale; il filologo italiano Filippo Ermini ha riconosciuto anche in questo tipo di poesia una chiara impostazione epica.
Il Ruodlieb è molto vicino al terzo di questi gruppi, e in questo ambito possiamo individuare alcune opere che potrebbero essere state dei modelli per il Ruodlieb stesso. Tra i testi di questo genere (ne conosciamo una dozzina), se ne possono segnalare alcuni che l'autore del poema in esame potrebbe avere conosciuto:
- l'Ecbasis captivi (di autore anonimo),[1] in 1229 esametri prevalentemente leonini, ma con versi molto più fluidi e scorrevoli rispetto al Ruodlieb, con diverse citazioni di classici, soprattutto di Orazio: segni di un livello scolastico dell'autore molto migliore rispetto a quello del Ruodlieb. Con un tono serissimo viene raccontata la storia di un vitello e di molti altri animali: è una storia con un fine didascalico, raccontata con lo stile delle favole di Fedro e soprattutto di Esopo. Si tratta di un'opera che non conobbe una grande fortuna nelle scuole, e non venne molto copiata: abbiamo pochissimi testimoni, tutti molto vicini cronologicamente all'originale (IX secolo-X secolo, nella zona di Toul), alcune con correzioni forse dell'autore, o comunque dei lettori.
- il Waltharius, poema epico lungo circa 1.450 versi, in esametri stilisticamente molto vicini a Virgilio (l'intento di imitarlo è evidente). Pur nel contesto della saga dei Nibelunghi, la tematica è tradotta in chiave virgiliana; si racconta come Waltharius, la sua fidanzata e un amico fuggano insieme da un nemico. Sicuramente venne scritto nell'Abbazia di San Gallo, anche se non è certa la datazione: le storie narrate, nel loro nucleo originario (i nomi dei protagonisti, per esempio), risalivano alla tradizione orale germanica, al VI secolo, quando Attila attraversava l'Europa; proprio nel contesto delle scuole monastiche avvenne il passaggio dalla tradizione orale alla forma scritta, probabilmente con l'aggiunta di episodi narrativi ripresi dalla letteratura classica.
- le Gesta Apolloni regis Tyri, anonime, attestate da un solo manoscritto mutilo del X secolo. Ne abbiamo circa 750 esametri leonini, ma la vicenda narrata si interrompe all'inizio delle vicende: il re di Tiro cerca di sposare la figlia del re di Cirene. La storia proviene sicuramente da un romanzo greco, forse del II-III secolo d.C.. Il manoscritto non è sicuramente dell'autore (è una bella copia, allestita per un committente), ma si ritiene che la data di composizione non sia molto lontana da quella della copia. È probabile che l'autore abbia avuto sott'occhio una traduzione in prosa latina di un romanzo greco; d'altra parte, proprio nel X secolo fiorirono in Europa (soprattutto a Napoli) le traduzioni dal greco di opere di agiografia, di storia (il Romanzo di Alessandro, per esempio), e anche proprio di romanzi ellenistici.
- l'Ecloga Theoduli, un altro testo, anonimo, che ebbe una fortuna molto maggiore rispetto ai precedenti, dato che agli inizi del XII secolo entrò nei testi scolastici e divenne uno degli Auctores octo morales. Sono 344 esametri leonini in un buon latino. La datazione è molto controversa; poiché è un testo scritto veramente bene dal punto di vista retorico (per scioltezza e padronanza della composizione), si è pensato ad una composizione nel Tardo Antico, magari nel VI secolo; oggi sembra invece che alcune citazioni letterarie di altri autori facciano propendere per una composizione nel X secolo, o forse addirittura nel XII. È una discussione tra "Menzogna" (il pastore di capre Pseustis) e "Verità" (il pastorello di pecore Alithia), davanti a "Sapienza" (Fronesis) in vesti di giudice: Pseustis racconta la mitologia greca, Alithia l'Antico Testamento (con un solo riferimento a Gesù Cristo). Secondo gli accessus,[2] l'autore era un italiano che aveva studiato in Grecia; secondo gli studiosi dei Monumenta Germaniae Historica che ne hanno curato l'edizione, invece, il nome "Teodulo" potrebbe tradurre il tedesco Gottshalk-Godescalcus: non esistendo un corrispettivo italiano, l'autore potrebbe anche essere stato un tedesco.
- il De triumphis Christi di Flodoardo di Reims (scholasticus della Cattedrale di Reims, morto nel 966): è una narrazione di passioni di martiri e di vite penitenti di asceti, divisa in tre parti (nella Palestina, circa 3.000 versi; ad Antiochia, circa 2.500 versi; in Italia, circa 14.500 versi), tutta in esametri anche se talvolta compaiono dei distici elegiaci o dei senari giambici. Flodoardo mette in versi delle vite di santi (paleocristiani o più recenti) che ha a disposizione in prosa, con atteggiamenti molto diversi a seconda delle fonti: quando ha di fronte Girolamo, cerca di utilizzarne tutte le parole, quando invece prende da fonti ritenute retoricamente meno valide, è molto più impacciato e tortuoso.
- il De quodam piscatore quem ballena absorbuit, opera attribuita a Letaldo di Micy,[3] in 208 esametri leonini che narrano le vicende del pescatore anglo Within, divorato con tutta la sua barca da una balena. È stata scoperta una identità di dettagli e di parole tra quest'opera e gli Hisperica famina, i "Detti irlandesi", un testo scritto in Irlanda nel VII secolo.
Si può notare una vicinanza del Ruodlieb anche con altre opere di argomento fantastico a finalità morale: le commedie di Rosvita di Gandersheim e l'Ysengrimus, poema comico in 6.500 distici elegiaci, scritto nel XII secolo nelle Fiandre.
Manoscritti
modificaIl Ruodlieb è giunto a noi in un testo frammentario e mutilo.
È ricavato da un gruppo di frammenti:
- 18 fogli di pergamena, già utilizzati per la legatura di codici e ora conservati alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco,
- un solo bifoglio usato come legatura in un codice all'Abbazia di Sankt-Florian in Austria.
Il manoscritto di Monaco è dunque costituito da una cartella di frammenti sparsi. All'inizio dell'Ottecento un bibliotecario aveva riconosciuto in diversi fogli usati come legature una mano comune. Durante il XIX secolo le pergamene furono strappate dai volumi che ricoprivano (manoscritti e a stampa), tutti provenienti dal monastero benedettino di Tegernsee.
Con l'aiuto di Jakob Grimm, nel 1838 si arrivò all'editio princeps. Nel 1840 sul mercato antiquario si identificarono altri due frammenti, che andarono ad aumentare il corpus. Una decina di anni più tardi, il filologo Moriz Haupt riconobbe anche il bifoglio di Sankt Florian (con una sezione di testo coincidente con quella dei frammenti di Monaco).
Su base paleografica il testo è stato datato all'XI secolo (non proprio all'inizio) ed è stato riferito all'area del tedesco superiore (alta valle del Danubio, alta valle del Reno).
All'epoca della secolarizzazione dei beni ecclesiastici (verso il 1803) parecchio materiale proveniente da conventi e monasteri della Baviera era giunto alla Biblioteca di Monaco (la stessa cosa non era accaduta in Austria). Alla Staatsbibliothek era così giunto tutto il fondo librario proveniente dal monastero di Tegernsee: un'abbazia che conobbe fasi di grande importanza tra XI e XII secolo, dopo l'età ottoniana, e poi ancora dopo il concilio di Basilea, nel XV secolo, proprio quando le pergamene di opere medievali vennero ritenute più utili per rilegare altre opere (anche a stampa), che giungevano sfascicolate alla biblioteca monastica.
Il filologo tedesco Benedikt Konrad Vollmann ha esaminato tutti i frammenti del Ruodlieb conservati alla Staatsbibliothek e ha scoperto che durante l'abbaziato di Konrad Airimschmalz (1461-1492) era stato affidato l'incarico di riordinare i volumi della biblioteca del monastero a tre monaci bibliotecari: Konrad Geisenfeld (tra 1450 e 1465), Raphael Neupöck (tra 1466 e 1485) e Michael Sagkrev (tra 1485 e 1494); i loro nomi sono annotati proprio sui frammenti del Ruodlieb.
Si tratta, però, di capire se a Tegernsee nel Quattrocento si utilizzassero, per rilegare i volumi, solo frammenti provenienti dalla biblioteca del monastero. Potrebbe anche essere accaduto che il monastero si rivolgesse, per la legatura, a botteghe esterne, oppure che si utilizzassero fogli provenienti da altre biblioteche...
Nei frammenti riconosciamo una mano principale, sostituita talvolta da altre due (o tre) mani, che le danno il cambio. Questo non impedisce che il testo sia proprio l'originale autografo (scritto dall'autore): poteva capitare, infatti, che in uno scriptorium monastico l'autore si facesse aiutare da copisti di supporto, dettando loro certe parti oppure passando loro delle minute.
I fogli del Ruodlieb presentano una rigatura che prevede circa 35 versi per pagina, ma ci sono pagine in cui dei versi sono stati aggiunti in fondo, in margine, scritti anche in verticale: questo porta ad avere in alcuni casi fino a 50 versi per pagina. La parte che si ipotizza autografa presenta molte aggiunte e correzioni d'autore. Resta da capire se certe glosse, con la traduzione in tedesco di alcune parole, siano dell'autore.
Anche per il frammento presente nella biblioteca di Sankt Florian si può ipotizzare una vicenda simile a quella dei fogli di Tegernsee, e cioè che il bifoglio provenga da un codice smembrato perché ritenuto non più interessante. Il frammento è certamente di mano diversa rispetto a quello di Tegernsee, il campo scrittorio è differente, come differente è la grafia: si tratta di un manoscritto più di lusso, e anche nella parte in comune con i frammenti bavaresi si nota che era più curato (nel frammento austriaco è stata introdotta, per esempio, una correzione metrica rispetto al testo di Tegernsee).
Ci rimangono, in tutto, circa 2346 versi (il numero oscilla a seconda di come si computino i versi a metà, quelli illeggibili o perduti). Tra i vari frammenti, vengono ipotizzate delle lacune intermedie di circa 1200 versi; non sappiamo, invece, quanti versi possano mancare alla fine.
Autore
modificaIl Ruodlieb potrebbe dunque essere stato scritto all'Abbazia di Tegernsee.
Questo monastero venne fondato dai fratelli Otkar e Adalberto nel 746 o nel 765 e intitolato al Cristo Salvatore. Nel 972 il monastero venne rifondato, con l'arrivo di un gruppo di monaci provenienti da Treviri. Un illustre abate fu Gottardo, poi vescovo di Hildesheim.
Nei decenni in cui si colloca la composizione del Ruodlieb è attestata dai cataloghi della biblioteca una donazione di libri al monastero di Tegernsee. Un personaggio interessante, a questo proposito, è Frumondo di Tegernsee, un monaco del monastero. Originario di Ratisbona, studiò a Colonia (anche un po' di greco), e fu maestro alla scuola di Tegernsee dal 995 al 1008. Abbiamo un codice di suoi scritti, con alcune lettere all'abate di Sant'Emmerano di Ratisbona che documentano scambi di codici tra le due biblioteche, tra i quali opere di Stazio, Persio, Ovidio, Prisciano, Boezio e anche estratti di libri in greco. Nel suo manoscritto, Frumondo inserisce anche 42 poemetti scritti da lui (epigrammi in 4 o 6 versi, una Apologia pro schola Wirceburgensi in 286 versi, etc.). Vi troviamo anche alcuni documenti pontifici, imperiali ed episcopali, copiati come modelli epistolari.
Se l'identificazione dell'autore del Ruodlieb con Frumondo non è documentata, è comunque possibile che l'anonimo autore del poema sia stato un monaco suo discepolo, e abbia potuto utilizzare anche i volumi di autori classici che erano presenti nella biblioteca del monastero.
L'uso della Bibbia nel Ruodlieb
modificaIl Ruodlieb non vuole essere un "poema cristiano" (tanto meno un poema "crociato", visto che è stato scritto ben prima dell'organizzazione delle prime Crociate).
L'unico passaggio che in qualche modo richiami la religione cristiana si trova ai versi V,5-13, dove si racconta come il re africano si comporti, durante le sue campagne militari, da perfetto comandante cristiano, con tanto di cappella privata per la celebrazione della liturgia:
«Curti contiguum stat tentorium satis amplum
Solis ad exortum, de quo posuere podismum,
Cuius ad extremum fixerunt papilionem,
In quo stans mensa vestita fuit velut ara.
Quam super est posita regis crux et diadema,
Qua misse regi solet officium celebrari,
Matutinalis, et vespertinam sinaxis
Cursibus inmixtis aliis de more diurnis.
Quo dum rex venit, missam properantius audit.»
«Accanto alla corte, a Oriente, era stato eretto un padiglione molto grande;
partendo da esso distesero una passerella,
al cui termine piantarono una tenda.
Il tavolo che fu collocato in essa venne addobbato come un altare,
sopra al quale furono poste la croce e la corona del re.
In questa tenda veniva celebrata la messa per il re,
l'ufficio mattutino e quello vespertino,
intervallati come sempre dalle altre funzioni diurne.
Quando il re arrivò lì, ascoltò subito la messa.»
Per il resto, però, nel poema non ci sono altri richiami alla religione: nel suo insieme il Ruodlieb è una storia di cavalleria germanica, non cristiana, con un laico per protagonista. La Bibbia non è mai citata esplicitamente, neanche parafrasata o messa in parodia, e non si fa mai un esplicito richiamo al valore sacro o comunque autoritativo del testo.
Si riconoscono, però, delle frasi che sembrano richiamare il testo biblico: queste evocazioni erano un modo per far entrare il testo nella memoria di chi ascoltava, facendo appello ai suoi sentimenti e aumentando la sintonia tra il poeta e chi lo ascoltava.
Note
modifica- ^ In passato era stata attribuita a Letaldo di Micy, ma oggi questa ipotesi di attribuzione non è più sostenuta.
- ^ L'accessus era un testo di poche righe che nella tradizione scolastica medievale si premetteva ad un libro per dire di che cosa trattava.
- ^ Questa volta l'attribuzione è più probabile, rispetto all'Ecbasis captivi, grazie agli studi di André Wilmart, che ha identificato in questo monaco proveniente da Orléans e fuggito a Le Mans il Letaldus di cui parlano le rubriche dei due manoscritti che ci sono giunti.
Bibliografia
modificaTesti e commenti
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Voci correlate
modificaCollegamenti esterni
modifica- Anonymi Tegirinsensis, Ruodlieb, su Bibliotheca Augustana. URL consultato il 13 agosto 2016. Testo di tutto il poema, sulla base dell'edizione di B.K. Vollmann (1985).