Serbia hardcore
Serbia hardcore (tit. or. Srbjia hardcore) è una raccolta di short stories dello scrittore serbo Dušan Veličković, tradotto in italiano da Sergej Roic con nota introduttiva di Nicole Janigro, pubblicato nel 2008 presso Zandonai. Il libro è la versione aggiornata di Amor Mundi (uscito in patria nel 1999) a cui è stata aggiunta la sezione “Portofino”. Il libro è uscito prima in Italia e solo l'anno successivo in Serbia.
Serbia hardcore | |
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Titolo originale | Serbjia hardcore |
Autore | Dušan Veličković |
1ª ed. originale | 2008 |
Genere | racconti |
Lingua originale | italiano |
Ambientazione | 1991-1995 |
Questi racconti ci riportano uno spaccato autobiografico della vita di Veličković, durante i bombardamenti Nato che colpirono Belgrado negli anni novanta. La raccolta può essere vista come un diario di guerra, venato di humor nero, attraverso cui l'autore ci parla di libertà di stampa negata, della difficoltà di opposizione al regime e della paura, sentimento estremamente diffuso nella società civile: vivere sotto il regime è come sopravvivere sotto le bombe. In guerra si vive nell'attesa,
«Senza sapere veramente che cosa. […] Forse il senso della nostra attesa è proprio questo: cercare di rimanere vivi fintantoché ci rimane ancora qualcosa per cui vale la pena di attendere”.[1]»
Anche i pomodori possono essere una minaccia, come ci racconta nel capitoletto intitolato, appunto, “I pomodori”: dato che le bombe contengono uranio impoverito, Dušan e famiglia temono la radioattività e l'inquinamento chimico. E i contadini lo sanno, così tutti raccontano che il loro raccolto è stato coltivato a Leskovac, la regione più pulita e fertile di Serbia. Non credendo più a nessuno (non alle autorità che minimizzano, non ai contadini che devono vendere e mentono), è meglio mettere i pomodori sotto l'acqua corrente per ore prima di mangiarli!
Lo scrittore, verso la fine del libro, auspica la fioritura di una vera cultura di libertà che, in una società fortemente militarizzata come quella serba, è possibile solo se si abbandona l'identità collettiva, che l'autore considera una finzione ideologica. Nel racconto intitolato “Milošević e io” scrive:
«Ora Milošević è morto. E io, oggi, qui, chi sono, che cosa mi succede? […] Il dittatore mi ha preso dieci anni di vita così, tanto per il gusto di farlo? […] Ma ho una mia teoria: tutti coloro che sono sopravvissuti a Milošević sono ringiovaniti di dieci anni. Abbiamo vissuto un non tempo, che non viene conteggiato. E quindi, come dice la canzone: no, no, you’re never too old to rock’n’roll, you’re too young to die.[2]»
Note
modificaCollegamenti esterni
modifica- Recensione di Paolo Finchera, su Pagina Zero
- Recensione di Silvia Camillotti, su il Gioco degli specchi