Rapporti tra il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano
I rapporti tra il Partito Comunista Italiano (PCI) e il Partito Socialista Italiano (PSI), i due principali partiti della sinistra italiana fino al loro scioglimento negli anni novanta, conobbero tanto fasi di intensa collaborazione quanto momenti di acuto conflitto politico[1].
Socialcomunismo e socialdemocrazia
modificaAffermazione
modificaNella storia politica italiana, il termine "socialcomunismo" è stato usato per indicare la stretta collaborazione manifestatasi nei primi anni del secondo dopoguerra, in Parlamento e nel paese, fra il PSI e il PCI e poi della collaborazione tra quest'ultimo e il PSIUP.
La politica dei due partiti si sviluppò, in un primo tempo, sulla base di un patto di unità d'azione che, sottoscritto nel 1934 a Parigi per la comune lotta contro il fascismo, venne rinnovato dapprima nelle fasi iniziali della Resistenza, il 28 settembre 1943[2], e poi nel dopoguerra, il 25 ottobre 1946. Durante la Resistenza i rapporti tra i due partiti furono intensi al punto che in Emilia-Romagna i loro organi di stampa, l'Avanti! socialista e L'Unità comunista, furono pubblicati in versione congiunta Avanti - L'Unità[3].
Molti furono i livelli e i settori nei quali tale collaborazione si sviluppò:
- giunte comunali e provinciali espresse da maggioranze ottenute con i voti dei due partiti;
- partecipazione dei due partiti ad organizzazioni politiche e sindacali comuni al PCI e PSI: Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), Lega Nazionale delle Cooperative, CNA, associazioni professionali di sinistra, Unione Donne Italiane, Comitati dei Partigiani della Pace, Associazione Ricreativa e Culturale Italiana - ARCI;
- il frontismo, per cui i socialisti ritenevano possibile un'alleanza generale con il PCI per la conquista del potere;
- (in alcuni casi addirittura, soprattutto in paesi molto piccoli, le sezioni unificate dei due partiti).
La socialdemocrazia
modificaIl 18 gennaio 1947, con la scissione dal PSI del gruppo democratico-riformista dei "saragattiani" (contrari al fronte unico PSI-PCI), la maggior parte dei socialisti autonomisti uscì dal PSI e confluì nel nuovo partito socialista, democratico e filo-occidentale, (il "Partito Socialista dei Lavoratori Italiani", poi "Partito Socialista Democratico Italiano"). All'interno del Psi l'ultimo baluardo riformista-autonomista, contro una stragrande maggioranza di sinistra filo-comunista e massimalista, rimase la piccola pattuglia dei romitiani, rappresentata all'interno del Comitato centrale PSI (ottanta membri), solo da tre esponenti: Jacometti, Perrotti e lo stesso Romita.
Al 26º Congresso (Roma, gennaio 1948), segretario di partito Basso, il Comitato centrale viene abolito e tutti i suoi poteri avocati alla direzione. Dei 21 membri della direzione, 8 sono tendenzialmente autonomisti.
Dopo il 27º Congresso straordinario, al 28º Congresso (Firenze, maggio 1949) Romita e Viglianesi passano al partito socialdemocratico, e la corrente autonomista viene sciolta. Pietro Nenni riprende in mano il partito divenendone il Segretario.
Al 29º Congresso (Bologna, gennaio 1951) la sinistra totalizza il 90% dei posti nel Comitato centrale: analoga la situazione nel 30º (Milano, gennaio 1953) pur se si manifestano nuovi fermenti autonomistici.
Il successivo Congresso di Torino (aprile 1955) segna la ripresa della dialettica interna del partito.
Crisi
modificaLa stretta collaborazione tra i partiti socialista e comunista cominciò a incrinarsi seriamente dal 1956. Tre furono i fatti che accentuarono il progressivo distacco del PSI dal PCI:
- il riesame della situazione politica italiana e la crescente consapevolezza della sterilità della politica frontista;
- la crisi seguita al XX Congresso del PCUS, il clamoroso rapporto Chruščёv contro lo stalinismo e i crimini di Stalin e la critica sempre più rigorosa cui Pietro Nenni e i socialisti autonomisti sottoposero la destalinizzazione;
- lo choc provocato dalla spietata repressione della rivolta ungherese da parte dell'URSS.
Con il 1957 l'esperienza del socialcomunismo ebbe termine: il PSI, nei suoi organi e nei suoi esponenti autonomisti ormai proclamava l'accettazione della democrazia come metodo e sistema politico, il rifiuto del frontismo e l'impossibilità di un'alleanza generale con il PCI per la conquista del potere a livello nazionale.
A questo seguì il pratico affossamento del "Patto di consultazione", l'abbandono dell'associazione dei "Partigiani della pace" e l'ammissione della possibilità e di un interesse ad avvicinarsi ai partiti liberali.
Tutto ciò avvenne non senza contrasti con la minoranza dei cosiddetti "carristi" (così chiamati perché favorevoli ai carri armati delle truppe sovietiche in Ungheria), che in quegli anni rappresentava circa il 40% del Comitato centrale del PSI e i cui componenti, in gran parte, uscirono dal PSI nel 1964 per dar vita a una formazione che si opponeva alla svolta di centro-sinistra e che riprese il nome assunto dal partito negli anni della Resistenza: Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP).
Ma il progressivo divergere delle strategie del PSI da quelle del PCI era ormai irreversibile e avrebbe portato ai governi di centro-sinistra (basati sull'alleanza del PSI con la Democrazia Cristiana, il PRI, il PSDI), il PLI ed alla riunificazione, poi fallita, fra socialisti e socialdemocratici.
Nel 1964 si sviluppò un dibattito sul tema dell'unificazione delle forze di sinistra in un unico partito. La discussione, avviata da Giorgio Amendola sulla rivista comunista Rinascita con una serie di articoli che suscitarono notevole clamore[4], non condusse tuttavia ad alcun risultato politico tangibile[5].
I nuovi autonomisti: i "craxiani"
modificaLa spaccatura del PSI durò in pratica fino all'avvento di Bettino Craxi che riunì tutto il partito su posizioni filo-occidentali.
All'inizio degli anni ottanta iniziò infatti una revisione ideologica ed anche estetica del partito, effettuata in buona parte dallo stesso Craxi. Ad esempio, vennero cancellati dal programma politico alcuni termini che potevano ricondurre al marxismo; venne eliminato il termine autonomismo che venne sostituito con la parola riformismo, giudicata più inerente dalla corrente moderata e democratico-riformista. Venne inoltre abolito il termine "Comitato centrale" (perché esso riconduceva immediatamente ai partiti comunisti), sostituito dal più neutro "Assemblea Nazionale", nella quale entrarono a far parte oltre ai politici anche uomini dello spettacolo, della moda, dello sport e della cultura. Si rinunciò al tradizionale anticlericalismo socialista (con l'approvazione del nuovo Concordato) e fu infine ridotto e poi eliminato (dal 1987) il simbolo della falce e martello nel logo del PSI, sostituito dal vecchio simbolo ottocentesco del garofano rosso, che da allora divenne emblema del partito.
L'epicentro del potere socialista e craxiano era Milano, centro nevralgico della finanza e degli affari, con il cui ambiente il PSI finì per identificarsi. Si avvicendarono alla guida del comune una giunta monocolore socialista appoggiata all'esterno da altre forze laiche, con l'adesione del PCI, guidata da Carlo Tognoli, per ben 2 mandati (1976-1986), seguita, nel dicembre 1986, dall’elezione a primo cittadino di Paolo Pillitteri, cognato di Craxi.
Note
modifica- ^ Sergio Romano, Socialisti e comunisti nel 900. A volte alleati, sempre nemici, in Corriere della Sera, 21 giugno 2010.
- ^ Il testo dell'accordo, seguito da un commento nelle pagine successive, è in Il Patto d'unità d'azione con il Partito Socialista (PDF), in La Nostra lotta, I, n. 5, dicembre 1943, p. 7. URL consultato l'11 agosto 2019.
- ^ Avanti - L'Unità, su stampaclandestina.it. URL consultato il 1º marzo 2020.
- ^ Giorgio Amendola, I conti che non tornano, in Rinascita, a. XXI, n. 41, 17 ottobre 1964, pp. 1-2; Il socialismo in Occidente, in Rinascita, a. XXI, n. 44, 7 novembre 1964, pp. 3-4; Ipotesi sulla riunificazione, in Rinascita, a. XXI, n. 47, 28 novembre 1964, pp. 8-9; Battaglia unitaria per il socialismo, in Rinascita, a. XXI, n. 49, 12 dicembre 1964, pp. 7-8.
- ^ Michele Fatica, Giorgio Amendola, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 34, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1988. URL consultato il 22 ottobre 2019.
Bibliografia
modifica- Gennaro Acquaviva e Marco Gervasoni (a cura di), Socialisti e comunisti negli anni di Craxi, in Gli anni di Craxi, Venezia, Marsilio, 2011, ISBN 9788831711739.
- Rino Formica, Formica: tra Pci e Psi un gioco all'eliminazione reciproca, in Ventunesimo Secolo, vol. 1, n. 1, marzo 2002, pp. 200-206, JSTOR 43611863.
- I. A. Fridman e Paolo Spriano, Le correnti del Partito Socialista e la fondazione del P.C.I., in Studi Storici, vol. 5, n. 3, luglio-settembre 1964, pp. 550-564, JSTOR 20563393.
- Alexander Höbel, Dal "terribile 1956" alla "solidarietà nazionale". Il Pci, il Psi e la Rivoluzione d'Ottobre, in Marco Di Maggio (a cura di), Sfumature di rosso. La Rivoluzione russa nella politica italiana del Novecento, Torino, Accademia University Press, 2017, pp. 206-239, ISBN 978-88-99982-32-4. Ospitato su OpenEdition.
- Paolo Spriano, La mancata fusione P.C.I.-P.S.I. nel 1923, in Studi Storici, vol. 7, n. 4, ottobre-dicembre 1966, pp. 709-746, JSTOR 20562839.
Voci correlate
modificaCollegamenti esterni
modifica- Roberto Russo, A Ponticelli l'unico scontro a fuoco tra comunisti e socialisti nel 1921, in Corriere del Mezzogiorno, 5 aprile 2017. URL consultato il 7 ottobre 2024.
- Claudio Martelli, intervista a cura di Walter Veltroni, Claudio Martelli: «L'ultima telefonata con Craxi a Natale. La sua voce era così stanca», in Corriere della Sera, 13 ottobre 2019, pp. 28-29.
- Achille Occhetto, intervista a cura di Walter Veltroni, Achille Occhetto: «La svolta del Pci fu dolore e speranza. Ma era mio dovere correre quel rischio», in Corriere della Sera, 19 luglio 2020.