Testamento (San Francesco)

Il Testamento di san Francesco è uno degli scritti più importanti lasciati dal santo d'Assisi ai suoi confratelli.

(LA)

«Dominus ita dedit michi fratri Francisco incipere faciendi penitentiam. Quia cum essem in peccatis nimis michi videbatur amarum videre leprosos. Et ipse Dominus conduxit me inter illos et feci misericordiam cum illis. Et recendente me ab ipsis, id quod videbatur michi amarum, conversum fuit in dulcedinem animi et corporis. Et postea parum steti et exivi de seculo.»

(IT)

«Il Signore, così, dette a me, frate Francesco, di iniziare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi pareva cosa tanto amara vedere i lebbrosi, ed il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. Ed allontanandomi da loro, ciò che mi pareva amaro mi fu mutato in dolcezza di animo e di corpo. Ed in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.»

Nel 1230, Papa Gregorio IX la bolla Quo elongati nega il valore giuridico del testamento e permette ai frati di ridurre le sofferenze fisiche che esso comportava, generando poi la disputa interna con il distacco degli Spirituali.[1]

Un solo testamento?

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Il più noto testo di Francesco dal sapore di "testamento spirituale" è quello redatto nelle settimane immediatamente precedenti la sua morte, probabilmente nel settembre del 1226. In realtà, però, sono stati tramandati due diversi opuscula (scritti) chiamati entrambi "testamento". Accanto al più lungo e celebre testo, è stato conservato anche una breve testo, noto come il Testamento di Siena, dettato dal Santo nella primavera dello stesso anno. Il Santo si trovava nella città toscana di Siena quando, a seguito di un prolungato sbocco di sangue, i compagni temettero il peggio e gli chiesero di lasciare loro le sue "ultime volontà". Ecco di seguito il testo:

(LA)

«Scribe qualiter benedico cunctis fratribus meis, qui sunt in religione et qui venturi erunt usque in finem seculi. Quoniam propter debilitatem et dolorem infirmitatis loqui non valeo, breviter in istis tribus verbis patefacio fratribus meis voluntatem meam, videlicet:
ut in signum memorie mee benedictionis et mei testamenti semper diligant se ad invicem, semper diligant et observent dominam nostram sanctam paupertatem et ut semper prelatis et omnibus clericis sancte matris ecclesie fideles et subiecti existant.»

(IT)

«Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo. E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole.
Cioè: in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa.»

Alcuni dei temi di questo piccolo testamento ritornano, come dilatati e contestualizzati, nel più ampio e meditato testo definitivo.

  1. ^ Ovidio Capitani, Gregorio IX, in Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000.
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