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Elusione Fiscale  

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Cenni storici ed evoluzione del concetto di abuso del diritto

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Premessa storica

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Prima di poter definire la nozione di elusione fiscale, è bene porre un breve excursus storico sull’evoluzione dell’istituto, di modo che possa fornire una base di conoscenze per comprendere l’attuale interpretazione dell’istituto, frutto di numerose riforme e modifiche nel corso del tempo.

L’ordinamento italiano è stato caratterizzato, sino alla fine degli anni ‘80, dall’assenza di una clausola antielusiva generale, il che ha portato la dottrina a chiedersi se fosse opportuno utilizzare in materia tributaria  le norme civilistiche, al fine di contrastare la condotta abusiva dell’elusione fiscale, richiamando in particolare l’articolo 1344 cc, rubricato “Contratto in frode alla legge”.[1][2]

Tale norma, tuttavia, concentrava l’attenzione sull’illiceità della causa come conseguenza all’elusione di una norma imperativa, identificando l’elusione come aggiramento di una norma attraverso strumenti giuridici conformi alla legge, ma in contrasto con la ratio della norma stessa[3].  

In contrasto con tale interpretazione si è posta la Corte di Cassazione che ha escluso l’illiceità del negozio giuridico derivante dal raggiro della norma, non riconoscendo di conseguenza alcun carattere imperativo alle norme fiscali, rifiutando l’applicazione degli artt. 1344 e 1418 c.c. e stabilendo che “Non è sufficiente infatti che una norma sia inderogabile perché possa essere qualificata come imperativa essendo a tal fine necessario che essa sia di carattere proibitivo e sia posta altresì a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico. Caratteri questi certamente non  ravvisabili nelle norme tributarie in quanto esse sono poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e, in linea di massima, non pongono divieti ma assumono un dato di fatto quale indice di capacità contributiva.[4].

Una prima esplicazione specifica, inerente al concetto di elusione, è stata introdotta dal legislatore tramite l’art. 10 della l. 408/1990, sostituita nel 1997 dall’art 37 bis del precedente D.P.R. 600/1973[5], rimasto in vigore fino alla successiva riforma del 2015.

L’articolo 10 definiva elusive tutte le operazioni “poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta"[6]. Risultava dunque necessario, per poter perfezionare la condotta elusiva, l’assenza di ragioni economiche valide e la natura fraudolenta della condotta stessa, volta proprio ad ottenere un risparmio d’imposta.

Tale requisito di fraudolenza viene meno attraverso la sostituzione dell’articolo 10 con l’articolo 37 bis, nel quale rimane, come elemento necessario per poter parlare di elusione, il requisito della mancata logica economica alla base del comportamento elusivo. Se da un lato scompare il riferimento alla fraudolenza, dall’altro, invece, viene richiesto che lo schema sia diretto ad “aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti[5]. Tale decisione risponde alla volontà ed esigenza di superare alcune perplessità intorno all’ambito applicativo della fattispecie, in modo da circoscrivere al meglio il concetto di elusione. Per l’appunto, proprio l’avverbio “fraudolentemente” era stato oggetto di disputa in quanto ritenuto “fonte di incertezza tra una concezione penalistica, sostanzialmente vanificatrice della norma, e diverse concezioni tributaristiche, su cui peraltro la norma non forniva sufficienti indicazioni[7].

Successivamente, la materia pullula di interventi e tentativi chiarificatori da parte della giurisprudenza di legittimità attraverso la funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione. Dapprima con due sentenze del 2005: l’una in cui si obiettano operazioni di compravendita di titoli azionari, che consentivano alla società cedente di trasformare un dividendo imponibile in una plusvalenza esente, evitando quindi la tassazione tipica del dividendo[8] e l’altra in cui si critica il meccanismo elusivo creatosi con le operazioni di costituzione o cessione di usufrutto su azioni, per sottrarsi al regime di tassazione sui dividendi, più oneroso per le società estere titolari delle azioni o di diritto di usufrutto sulle stesse[9]; e successivamente con le sentenze gemelle del 2008[10][11], in cui la Corte stabilisce la regola della generale illiceità fiscale delle operazioni elusive, sulla base dei principi di capacità contributiva e di progressività fissati dalla Costituzione.

Si arriva, infine, all’intervento del legislatore attraverso la legge delega 11 marzo 2014 n.23[12], delegando il governo, nello specifico all’articolo 5, all’inserimento di una definizione di “condotta abusiva” a carattere generale, per contrastare la conseguente elusione fiscale e l’abuso del diritto, tramite una norma ad hoc.

La riforma del 2015 e la definizione di elusione fiscale

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Il Governo, attuando la legge delega del 2014[12] e recependo la segnalazione della Commissione europea, 6 dicembre 2012[13], introduce il D.Lgs. 128/2015 intitolato “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale” (ossia l’articolo 10 bis, L. 212/2000, Statuto dei diritti dei contribuenti), prevedendo l’applicazione dell’istituto, diversamente da quanto avveniva nella versione precedente, in via generale, a tutti i tributi senza alcuna limitazione. Il nuovo articolo 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente definisce dettagliatamente l’istituto, specificando che  “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni[14].

Inoltre specifica che per “operazioni prive di sostanza economica”, si intendano “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali[14], e che per “vantaggi fiscali indebiti” si intendono i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Per completare la nuova definizione di elusione, il legislatore prevede, al terzo comma del sopracitato articolo 10 bis, che non si considerino come abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, che rispondono ad un miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, o all’attività professionale.

Dunque, alla luce dell'analisi normativa, con il termine di elusione fiscale si indica il comportamento di chi sfrutta, a proprio vantaggio, le lacune e i difetti dell’ordinamento nazionale, in modo da ottenere indebiti vantaggi d’imposta, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento tributario[15].

Confine tra lecita pianificazione e abuso del diritto

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Occorre ora distinguere il vero e proprio raggiro delle norme tributarie compiuto dal contribuente in maniera volontaria e consapevole, dalla semplice possibilità di scegliere la via meno gravosa per il contribuente, scelta, peraltro, totalmente lecita e consentita nell’ordinamento italiano. Scegliere di cercare un minore sacrificio fiscale rappresenta, in realtà, un vero e proprio diritto del soggetto passivo e, come tale, è pienamente consentito, ed è anche considerato uno strumento utile per raggiungere gli obiettivi proposti dall’ordinamento[16]. Dunque, si distingue tra quella che è la pianificazione legittima, che si concretizza nella mera scelta di un regime fiscale più agevole e conveniente, dalla pianificazione illecita e ingannevole, avente come fine un risparmio d’imposta, che senza tale artifizio non sarebbe stato possibile e che integra propriamente l’istituto dell’elusione. Di conseguenza, è bene comprendere che non è la forma che produce il fenomeno abusivo, in quanto lecita e tutelata dall’ordinamento, bensì l’utilizzo scorretto che ne viene fatto.  

I due concetti sono distinguibili sulla base della loro liceità: l’uno presenta connotati leciti, conformi alla legge, l’altro invece distorce, tramite artifizi, quegli istituti apparentemente leciti, in chiave scorretta e di conseguenza, illecita[17].

Tuttavia, sebbene la distinzione sembri a primo impatto di facile comprensione, in realtà, non è esente da complicazioni, dal momento che spesso è incerto il confine che distingue una semplice scelta di un regime fiscale più agevole, da un vero e proprio artificio ideato per raggirare le norme tributarie.

Per cercare di far fronte all’equivoco di cui sopra, il legislatore del 2015 ha individuato tre elementi tipici dell’elusione, quali:

  • l’uso falsato e scorretto di strumenti giuridici leciti
  • il preordinamento di detto uso per ottenere vantaggi fiscali altrimenti non dovuti (presupposto soggettivo)
  • l’assenza di logiche economiche extrafiscali poste a giustificazione dello scopo delle operazioni attuate dal contribuente[18].

Rilevanza penale (cenni)

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La rilevanza penale, in tema di elusione, è una questione piuttosto controversa nell’ordinamento nazionale, in quanto è stata oggetto di numerosi interventi da parte della giurisprudenza di legittimità, nonché di modifiche legislative nel corso del tempo.

Fino al 2010 la giurisprudenza non aveva considerato centrale l’ambito della rilevanza penale in relazione all’elusione fiscale e di conseguenza erano pochi gli interventi proposti. Inizialmente si poteva quindi affermare che i giudici ritenessero che gli estremi tipici della condotta elusiva non fossero tali da integrare una sanzione penale e, in particolare, i reati tributari previsti dal D.Lgs 74/2000, agli articoli 3 e 4, in quanto i fatti posti in essere sono palesi all’amministrazione finanziaria[19].  

Il cambio di rotta avviene agli inizi nuovo del decennio quando, la giurisprudenza di legittimità[20][21], inizia a considerare l’ipotesi della rilevanza penale in ambito elusivo.

Conseguentemente, la cassazione in alcune sentenze del 2010[22] e del 2011[23][24], aveva previsto la possibilità che la condotta elusiva potesse integrare gli estremi del reato di dichiarazione infedele (previsto all’articolo 4 del d.lgs. 74/2000[25]) e di omessa dichiarazione.

La rilevanza penale è stata, in seguito, esplicitamente definita con la sentenza del noto caso Dolce e Gabbana del 2012[26], la quale rappresenta un unicum in quanto attribuisce rilevanza penale ad una fattispecie non prevista dall’ordinamento come tale, non riscontrando, dunque, riferimento normativo penale, a condizione che si stia considerando una specifica ipotesi di elusione.

Qualche anno dopo, a seguito della riforma del 2015, la rotta viene nuovamente invertita partendo dalla smentita della sentenza del caso Mythos[27]. Il legislatore del 2015 interviene sulla definizione delle risposte sanzionatorie per il contribuente che ponga in essere un’operazione elusiva, stabilendo che simili operazioni “non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie[28], mantenendo, invece, l’applicazione delle eventuali sanzioni amministrative[29].

Ecco che l’elusione fiscale viene privata di rilevanza penale-tributaria, pur riconoscendo una eventuale sovrapposizione tra le due aree, dall’altra viene accolto nell'ambito dei reati tributari il concetto di simulazione.

La prassi elusiva all'interno delle multinazionali

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La fattispecie elusiva è assai frequente, tanto da diventare, in alcuni casi, la prassi. All’interno di questo trend possiamo trovare, in prima posizione, le multinazionali e i cosiddetti tax ruling, definiti dal Tribunale Fiscale “un’approvazione anticipata da parte dell’autorità fiscale competente di un trattamento proposto dal contribuente in riferimento a un’operazione prevista per l’avvenire”[30]. Sono, dunque, accordi tra governo-impresa che possono essere sfruttati a vantaggio di entrambe le parti a scapito sia della libera concorrenza, sia delle imprese di minor dimensione e fatturato. Gli Stati offrono quindi aliquote fiscali e gradi di tassazione notevolmente inferiori rispetto ai regimi presenti negli altri ordinamenti, in modo da attirare così le multinazionali. Ecco spiegato come nascono i c.d. “paradisi fiscali”, paesi a fiscalità agevolata, in cui i gradi di tassazione sono pressappoco nulli. Ma non solo. Anche sul territorio europeo, a partire dall’ultimo ventennio, è ormai diffusa la prassi per cui alcuni Stati stipulano accordi di favore, chiaramente discreti, al fine di assicurare un trattamento privilegiato alle imprese che basino la propria sede in quello Stato.

Degno di menzione è il noto caso LuxLeaks[31], inchiesta giornalistica condotta da un gruppo di 80 giornalisti appartenenti a circa 30 paesi diversi, che ha smascherato l’abuso di numerose agevolazioni concesse dal governo del Lussemburgo (da cui il deriva nome LuxLeaks), per il periodo tra il 2003 e il 2011, ad oltre 350 imprese, tra cui figurano anche Amazon, Apple, Starbucks, Pepsi, Volkswagen e Fiat[32], ma anche Unicredit e Intesa San Paolo e via dicendo. Grazie a tali accordi, le multinazionali hanno potuto compiere movimenti strategici attraverso lo spostamento di sedi e profitti, beneficiando di notevoli risparmi d’imposta indebiti.

Uno studio[33] [34]reso pubblico dal Parlamento europeo ha calcolato, tramite una stima, che il valore di entrata evaso ogni anno dalle multinazionali con sede europea ammonti a circa 160-190 miliardi di euro. Proprio in seguito a tale studio, la Commissione europea ha proposto la direttiva anti-elusione[35], successivamente approvata dal Parlamento, ed entrata definitivamente in vigore nel maggio 2017, in cui si vieta espressamente agli Stati di contrarre accordi finalizzati all’ottenimento di vantaggi fiscali per le imprese, senza che vi figuri alcuna valida ragione commerciale.

Il Caso Apple

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Uno dei casi di maggior rilievo è stato proprio quello legato al colosso della tecnologia, il caso Apple[36]. L’azienda americana, nel 2016, è stata sanzionata dalla Commissione per 13 milioni di imposte non pagate per il periodo 2003-2014. L’azienda aveva costituito due società sussidiarie in Irlanda, la Apple Sales International e la Apple Operation Europe, godendo di regimi fiscali vantaggiosi grazie al cost sharing agreement firmato con l’azienda madre, che prevedeva il pagamento del 60% dei costi di ricerca e sviluppo.

L’artificio consisteva nello sfruttare la mancata tassabilità delle sussidiarie sia per il Fisco americano, siccome registrate in Irlanda, sia per il Fisco irlandese, in quanto l’amministrazione era gestita dalla California e secondo le norme irlandesi una società è fiscalmente imputabile nel luogo in cui si trovi la sua attività amministrativa. Inoltre, le sussidiarie irlandesi maturavano diritti di proprietà intellettuale nei confronti dei prodotti Apple. Grazie al suddetto accordo, i profitti derivanti dalle vendite in store nei paesi UE, venivano automaticamente segnati a Dublino. Tali profitti venivano sottoposti a tassazione d’impresa solamente in minima parte, attribuendone la maggior parte ad una sede centrale priva, in realtà, di residenza fiscale. Questo macchinoso intervento ha fatto sì che la tassazione sugli utili passasse dall’1% del 2003 allo 0,005% del 2014.                         

  1. ^ Gallo, Franco., Elusione, risparmio d' imposta e frode alla legge., [s.n.], OCLC 848475327. URL consultato il 15 novembre 2021.
  2. ^ Gallo, Franco., Limiti e caratteristiche degli acquisti con prevalente finalità fiscale., [s.n.], OCLC 848469100. URL consultato il 15 novembre 2021.
  3. ^ Alexander Bell, Giovanni Falsitta e Alfio Valsecchi, La linea di confine fra elusione fiscale e reati tributari, in Diritto Penale e Uomo, Fascicolo 7-8/2019, n. 42.
  4. ^ Cass. civ. Sez. V, 03/09/2001, n. 11351.
  5. ^ a b DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 29 settembre 1973, n. 600 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  6. ^ LEGGE 29 dicembre 1990, n. 408 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  7. ^ Relazione ristrutturazione aziendale, su legislature.camera.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  8. ^ Cass. civ. Sez. V, 21/10/2005, n. 20398 (rv. 584630) Ministero dell'Economia e delle Finanze e altri c. Banchi Maison S.p.A.
  9. ^ Cass. civ. Sez. V, (ud. 10-03-2005) 14-11-2005, n. 22932.
  10. ^ Cass. civ. Sez. V, (ud. 16/01/2008) 21-04-2008, n. 10257.
  11. ^ Cassazione Civile, Sez. Tributaria, Sentenza del 17.10.2008, n. 25374.
  12. ^ a b LEGGE 11 marzo 2014, n. 23 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  13. ^ Raccomandazione 2012/772/UE, 6 dicembre 2012 sulla pianificazione fiscale aggressiva.
  14. ^ a b LEGGE 27 luglio 2000, n. 212 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  15. ^ G. INGRAO, L'evoluzione dell'abuso del diritto in materia tributaria: un approdo con più luci che ombre, in Dir. e Prat. Trib., vol. 4, 2016, p. 1433.
  16. ^ Paolo M. Tabellini, L'elusione fiscale, Giuffrè, 1988, pp. 19-20, ISBN 88-14-01802-2, OCLC 799188425. URL consultato il 15 novembre 2021.
  17. ^ Dario Stevanato, Elusione e abuso del diritto tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea (PDF), su giustizia-tributaria.it.
  18. ^ LEGGE 27 luglio 2000, n. 212 - Normattiva, art 10-bis, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  19. ^ Cassazione pen., Sez. V, 7 luglio 2006, n. 34780 e Trib. Pinerolo, G.i.p., 10 luglio 2000.
  20. ^ Cassazione pen., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 26723, Ledda, rev. 250958.
  21. ^ Cassazione pen., Sez. III, 26 maggio 2010, n. 29724, Castagnara, rev. 248109.
  22. ^ Cassazione pen., Sez. III, 26 maggio 2010, n. 29724, Castagnara, rev. 248109.
  23. ^ Cassazione pen., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 26723, Ledda, rev. 250958.
  24. ^ Cassazione pen., sez. III nella  sentenza n. 26723 del 18 marzo 2011.
  25. ^ DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74, art 4 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  26. ^ Cassazione pen., Sez. II, 28 febbraio 2012, n. 7739, cd. Caso Dolce e Gabbana (PDF).
  27. ^ Cass., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 36859 (PDF).
  28. ^ LEGGE 27 luglio 2000, n. 212, art 10-bis comma 13 - Normattiva, su www.normattiva.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  29. ^ TROYER, Luca., Transfer price e sanzioni penali, OCLC 1192792232. URL consultato il 15 novembre 2021.
  30. ^ S.Vorpe, Lo scambio spontaneo di informazioni sui ruling fiscali, Analisi del Piano di azione 5 del BEPS ed emetti per la Svizzera, 2016, pp. 529 ss..
  31. ^ M.C.Galizia, M.Cabra e M.Williams, E.Diaz-Struck, D.Reuter, C.S.Gallego, Luxembourg Leaks Database, in The International Consortium of Investigative Journalists, November 2014.
  32. ^ A.Nastari, LuxLeaks in diretta, in OXFAM Italia, 2016.
  33. ^ Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla trasparenza fiscale per combattere l'evasione e l'elusione fiscali, su ec.europa.eu.
  34. ^ Ramboll Management Consulting., Corit Advisory. e European Commission. Directorate General for Taxation and Customs Union., Study on structures of aggressive tax planning and indicators: final report., Publications Office, 2016, DOI:10.2778/59284. URL consultato il 15 novembre 2021.
  35. ^ Direttiva del Consiglio 6661/2017 relativa del Consiglio recante modifica della direttiva (UE) 2016/1164 relativamente ai disallineamenti da ibridi con i paesi terzi, su data.consilium.europa.eu.
  36. ^ State aid: Ireland gave illegal tax benefits to Apple worth up to €13 billion, Bruxelles, 30 August 2016, in the Official website of the European Union, su ec.europa.eu.