Utente:Giacomo-gu/Sandbox2
L’inizio della storia del caffè risale molto probabilmente al Medioevo, attorno al X o più presumibilmente verso il XV secolo, ma con possibili precedenti in tutta una serie di relazioni e leggende che circondano il suo primo utilizzo.
L'albero di Coffea (la specie nativa non domesticata) è originario dell'antica provincia di Kaffa/Kefa (da cui trae il nome) situata nel Sudovest dell'Etiopia, attorno a Gimma; la leggenda più diffusa narra che un pastore dell'Abissinia notò l'effetto tonificante di quest'arbusto sul proprio gregge di capre che stavano pascolando nei suoi pressi. La coltivazione si diffuse presto nella vicina penisola arabica, dove la sua popolarità beneficiò del divieto islamico nei confronti della bevanda alcolica; prese il nome di "K'hawah", che significa "rinvigorente".
La prima prova dimostratasi valida dell'esistenza di una caffetteria e della relativa conoscenza della pianta risale al XV secolo, nei monasteri del Sufismo nell'attuale Yemen.[1] Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, il Nordafrica, la Persia, il Corno d'Africa e l'India meridionale (il distretto di Kodagu). Attraverso l'impero ottomano si diffuse poi ai Balcani e al resto del continente europeo, al Sudest asiatico e infine alle Americhe.[2]
La sua rarità lo rese molto costoso in Europa almeno fino al primo terzo del XVIII secolo. In seguito se ne sviluppò la coltura sia nei possedimenti francesi che in quelli olandesi d'oltremare, a cui seguirono i grandi produttori nella Capitaneria generale di Cuba, nel regno del Brasile, in Venezuela, nelle Indie orientali olandesi e a Ceylon britannico nel corso del XIX secolo.
Nell'America meridionale i periodi di crisi fecero aumentare la quota delle aziende agricole contadine a scapito delle aziende basate sulla schiavitù e il lavoro forzato.[3] Il desiderio della popolazione locale di recuperare le terre che erano state rubate a loro rese la caffeicoltura un elemento costitutivo dell'identità di questi popoli, tra cui gli "andini" venezuelani e della regione Paisa in Colombia.[3]
Nel continente africano ha permesso ai Baulé della Costa d'Avorio, ai Bamiléké del Camerun, ai Kikuyu del Kenya e ai Chaga della Tanzania di svolgere un ruolo fondamentale nei loro paesi.[3] Assieme al Venezuela, Ceylon e Cuba, Haiti e la Colonia della Giamaica sono stati tra i 20 maggiori paesi produttori di caffè durante il XIX secolo. L'esportazione perdette in parte la sua influenza nel corso del XX secolo, quando le grandi aziende cominciarono a basarsi sulle nuove infrastrutture per ottenere il controllo commerciale, fissare i prezzi, ma anche contribuendo ad un'enorme crescita del volume di caffè venduto.[4]
La produzione mondiale è salita da 100.000 tonnellate nel 1825 a 8.9 milioni nel 2013, moltiplicandosi in tal modo più di 89 volte in meno di due secoli.[5] All'alba del XX secolo il commercio mondiale del caffè costituiva il terzo più grande per valore, dietro ai cereali e allo zucchero.[4] Nel XXI secolo è il prodotto maggiormente commercializzato a livello mondiale, preceduto solamente dal petrolio, con un importo di 11,23 miliardi di euro;[6] per una fornitura di 400 miliardi di tazzine annue al consumo, pari a circa 12.000 al secondo. La coltivazione permette la sussistenza a 125 milioni di persone in oltre 75 paesi tropicali,[6] con 5 milioni di grandi produttori e 25 milioni[6] di piccoli produttori indipendenti.[7] Il caffè rappresenta il 61% delle esportazioni del Burundi, il 37% dell'Etiopia, il 35% del Ruanda, il 21% dell'Uganda, il 18% del Nicaragua e il 17% dell'Honduras.[3]
Evoluzione della varietà
modificaDelle 90 specie di caffè inventate, meno di 10 sono poi state effettivamente coltivate e solo 2 sono sopravvissute fino al XX secolo: la Coffea arabica e la Coffea canephora. La prima è nata da un antico incidente cromosomico, che ha quadruplicato la propria sequenza di DNA; questa è l'unica varietà autogama. I suoi fiori si autofecondano, anche se nel 10-20% dei casi si verifica l'allogamia ovvero l'impollinazione grazie ad insetti. Le altre piante di Coffea non possono invece autofecondarsi, ma scambiano permanentemente i geni col polline, il che le rende più resistenti ai parassiti.[8] Di fronte al brusco aumento di consumo del caffè nel corso del XVIII secolo, vennero coltivate prevalentemente le piante di arabica, riducendo le varietà in circolazione e quindi la pssibilità di evoluzione della pianta. Accanto a questa solamente altre due varietà vennero piantate: Typica e Bourbon pointu.[8]
La prima prende il via dalla singola pianta che fu portata da Giava ad Amsterdam nel 1706 e poi, nel 1714, venne donata ai vari orti botanici europei, da dove si trasferì successivamente nelle Americhe. La seconda, invece, nacque dalle piante di Mokha che nel 1715 la Compagnia francese delle Indie orientali portò dallo Yemen sull'isola di Riunione, dove ha cominciato a crescere considerevolmente a partire dal 1724.[8]
I coltivatori di queste due varietà selezionarono i mutanti spontanei, poiché gli incroci non consentivano nuovi genotipi sufficienti data la bassa diversità genetica: di conseguenza il caffè è rimasto "puro" per oltre tre secoli.[8] Derivano dal Bourbon il Marogogype, dai grani grossi avvistato in Brasile e la varietà Caturra, con un'alta produttività e facilità di raccolta. Provengono invece dalla Typica la Kent dell'India e la Blue Mountain della Giamaica; quest'ultimo ha permesso i primi successi d'intensificazione della coltura, in special modo nell'America Latina.[8] Tra i vari ibridi Typica-Bourbon c'è la varietà Mondo Nuovo brasiliana.[8]
Contrariamente all'Arabica, la Canephora diede vita ad una moltitudine di sootspecie, le quali vennero selezionate e tra queste divenne predominante la varietà Robusta, che aveva una maggiore resistenza alle malattie ed una produttività maggiore rispetto alle altre.[8] Quest'ultima peserà al 38,6% nella produzione mondiale di caffè al principio del XXI secolo.[9]
L'ibridazione tra la Canephora e una delle 2 arabiche, chiamata Arabusta, risulta essere molto raro in natura a causa delle barriere cromosomiche. Nel 1917 nell'arcipelago di Timor venne scoperta una popolazione di Arabusta selvatica detta Hybride de Timor e assai resistente alla ruggine del caffè, la quale aveva devastato le piantagioni asiatiche negli anni 1870.[8] Questa prima fonte genetica differente sia da Typica che da Bourbon ha permesso d'incrociare l'arabica e creare varietà come la Catimor brasiliana o la Ruiru del Kenya.[8] Più tardi gli esperti di botanica impareranno a creare artificialmente per raddoppio cromosomico della Canephora attraverso il trattamento di Colchicina nuove varietà di caffè.[8]
Gli esperti di agronomia considerarono la Robusta essenziale per ringiovanire e differenziare le vecchie varietà di arabica. Tra il 1960 e il 1990, sotto gli auspici della FAO, decisero di tornare alle fonti delle popolazioni selvatiche dell'Etiopia per la creazione di ulteriori varietà migliorate.[9][8]
Primo utilizzo e leggende
modificaGli antenati etiopi del gruppo etnico degli Oromo furono con buone probabilità i primi ad aver riconosciuto l'effetto energizzante della pianta di caffè la quale cresceva spontanea nei loro territori.[1] Studi di diversità genetica sono stati eseguiti su molte varietà di Coffea arabica, che si sono rivelate scarsamente differenziate ma con la conservazione di una certa eterozigosità residua proveniente dai materiali ancestrali. È pertanto risultata essere strettamente correlata alle specie diploidi di Coffea canephora e Coffea liberica.[10]
Tuttavia non è stata rinvenuta alcuna prova diretta che possa indicare il luogo africano approssimativamente esatto in cui il caffè sia cresciuto per la prima volta e neppure che tra gli indigeni avrebbe potuto essere riconosciuto e usato come stimolante in un periodo precedente al XVII secolo.[1] Si pensa però che l'impianto del caffè domestico originale sia avvenuto ad Harar la cui popolazione nativa è considerata indigena dell'Etiopia, con l'aggiunta di distinte popolazioni poco oltre i confini del Sudan e in Kenya.[11][12]
Il caffè è stato consumato principalmente nel mondo islamico, là ove è nato; rimase anche direttamente correlato alle pratiche più strettamente religiose, ad esempio per riuscire a sopportare le lunghe veglie di preghiera.[13] Ci sono diversi racconti leggendari sull'origine della bevanda; uno di questi comprende la vita del mistico del Sufismo berbero Abu l-Hasan al-Shadhili; una storia etiopica narra che, osservando una vitalità insolita in alcuni volatili, provò ad assaggiare le bacche che gli uccelli stavano mangiando, sperimentandone la stessa energia.[14]
Altri attribuiscono la scoperta del caffè ad un discepolo della Shadhiliyya chiamato Omar. Secondo l'antica cronaca (conservata nel manoscritto del persiano Abd al-Qadir Maraghi) questi, che era conosciuto per la sua capacità di curare i malati con la sola forza della preghiera, fu esiliato da Mokha in una grotta deserta nei pressi di Ousab;[15] provò a masticare le bacche raccolte da alcuni arbusti situati lì vicino, ma le trovò amare. Allora si mise a tritarle nel tentativo di migliorarne il sapore, ma così divennero dure. Poi provò a bollirle per ammorbidirle, il che produsse un liquido fragrante bruno. Dopo averlo bevuto Omar fu capace di rimanere senza cibo per dei giorni interi. Quando i racconti di questo "farmaco miracoloso" giunsero fino a Mokha, ad Omar venne permesso di tornare e in seguito venne fatto santo.[16]
Un altro racconto riguarda un cavaliere etiopico del IX secolo, Kaldi; notando gli effetti energizzanti che subiva il suo gregge dopo aver brucato le bacche di un color rosso brillante di un certo cespuglio, si mise egli stesso a masticarle; l'euforia che ne derivò lo spinse a portare le bacche ad un monaco in un vicino monastero. Questi però non approvò il loro uso e le gettò nel fuoco; subito dopo ne fuoriuscì un intenso profumo, che fece accorrere altri monaci incuriositi. Le bacche arrostite furono rapidamente tratte fuori dalle braci, polverizzate e sciolte in acqua calda: la prima tazzina di caffè al mondo era stata creata. Dal momento però che questa storia non è nota per essere apparsa per iscritto prima del 1671, 800 anni dopo rispetto al tempo in cui viene ambientata, è molto probabile che sia spuria.[1]
XV-XVI secolo
modificaL'uso del caffè era molto antico in Abissinia: Shehabeddin Ben, autore di un manoscritto arabo del XV secolo citato nella dissertazione di John Ellis Historical account of Cojfee (1774), scrive che esso è stato impiegato fin da epoche immemorabili; ma la pratica non si diffuse durante il periodo delle Crociate in quanto gli occidentali non ne vennero a conoscenza. Il medico del XIII secolo Ibn al-Baytar, che attraversò l'intero Nordafrica fino a giungere in Siria, non ne fa alcuna menzione.[17]
La prima menzione del caffè, notata dallo speziale Philippe Sylvestre Dufour,[18] parrebbe essere un riferimento al bunchum presente nelle opere del medico persiano Rhazes; nelle edizioni successive però Dufour mette in dubbio la vera identità del bunchum, parere condiviso anche da Edward Forbes Robinson in The Early History of Coffee Houses in England (London, 1893), citato da Ukers nel 1922.
Informazioni più precise sulla preparazione di una bevanda dalle bacche di caffè tostate risalgono invece a diversi secoli più tardi. Uno dei più importanti tra i primi scrittori sul caffè fu Abd al-Qadir al-Jaziri, che nel 1587 compilò un'opera che traccia la storia e le controversie legali e religiose subite dal caffè, Umdat al safwa fi collina al-qahwa (عمدة الصفوة في حل القهوة).[19][20]
Egli riferì che lo sceicco Jamal-al-Din al-Dhabhani, muftī di Aden, fu il primo ad adottare l'uso del caffè nel 1454 circa. Scoprì che, tra le sue proprietà, vi era anche quella di cacciare via stanchezza e sonnolenza e di donare al contempo al corpo una certa agilità e vigore.[1]
Originaria di Kaffa, territorio governato dalla Dinastia Salomonide per tutto il Medioevo,[21] la Coffea arabica venne introdotta nello Yemen e qui fu coltivata ed esportata dal porto di Mokha (da cui trarrà il nome la Moka, caffettiera ideata dall'italiano Alfonso Bialetti nel 1933[22]); il paese arabo ebbe relazioni commerciali lunghe ed intense con l'Impero d'Etiopia. Cominciarono ad essere coltivati circa 50.000 ettari nei due paesi.[3] La prima testimonianza credibile della conoscenza dell'albero di caffè appare a metà del XV secolo, nei monasteri Sufi yemeniti.[1]
Furono i commercianti yemeniti ad iniziare a coltivarlo.[23] La parola qahwa originariamente significava vino e i sufi dello Yemen usarono la bevanda come aiuto alla concentrazione e per creare una specie di intossicazione spirituale quando cantavano in estasi il nome di Allah, oltre che per mantenersi vigili durante le loro devozioni notturne.[24]
Il "manoscritto di 'Abd Al-Qadir al-Jaziri" del XVI secolo traccia la diffusione del caffè partendo dall'"Arabia Felix" (l'attuale Yemen) verso Nord fino alla Mecca e a Medina, per giungere poi alle grandi città del Cairo, Damasco, Baghdad e Istanbul.[25][26] Il lavoro di Al-Jaziri è di notevole interesse anche per quanto riguarda la storia del caffè in Europa; una copia raggiunse la biblioteca reale francese, dove fu in parte tradotta da Antoine Galland alla fine del XVII secolo col titolo De l'origine et du progrès du café.[27]
Nel 1414 la bevanda era conosciuta alla Mecca e agli inizi del 1500 venne diffusa nel Sultanato mamelucco e nel Nordafrica dal porto di Mokha.[11][24] Associato al Sufismo, una miriade di "case del caffè" nacquero al Cairo, tutt'attorno all'Università al-Azhar. Vennero poco dopo aperte anche in Siria, specialmente nella città cosmopolita di Aleppo.[24] La prima caffetteria sul suolo europeo, chiamata "Kiva Han", aprì nel 1475 ad Istanbul. Il consumo si diffuse in tutto il mondo arabo e nel 1630 esistevano un migliaio di caffetterie nella sola Cairo.
Nel 1511 fu però proibito dagli imam conservatori e ortodossi a causa del suo effetto stimolante in un concilio teologico svoltosi alla Mecca.[19] Tali divieti tuttavia vennero completamente ribaltati nel 1524 grazie ad un ordine esplicito del sultano della Dinastia ottomana Solimano il Magnifico, con il Gran Mufti Ebussuud Efendi che emise una "fatwā" per consentire il consumo di caffè.[28] Al Cairo una simile proibizione venne proclamata nel 1532 e le caffetterie e i magazzini contenenti i chicchi furono completamente saccheggiati.[29]
Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, i Safavidi persiani e l'intero Impero ottomano. Da qui si diffuse verso la penisola italiana, poi nel resto d'Europa e le piante di caffè cominciarono ad essere trasportate dagli olandesi nelle Indie orientali olandesi e nelle Americhe.[2]
Allo stesso modo il caffè sarà bandito anche dalla Chiesa ortodossa etiope poco prima del XVIII secolo;[30] tuttavia nella seconda metà del XIX secolo gli atteggiamenti si ammorbidirono e il suo consumo troverà una rapida diffusione tra il 1880 e il 1886.
Secondo il documentario televisivo Mararna il caffè sarebbe stato introdotto per la prima volta in Europa sull'isola di Malta nel XVI secolo, attraverso gli schiavi musulmani turchi imprigionati dai Cavalieri Ospitalieri nel 1565, l'anno dell'Assedio di Malta; ne fecero subito la loro bevanda tradizionale.
In questo periodo le proprietà del caffè vennero notate da vari viaggiatori e studiosi europei, tra cui il botanico tedesco Leonhard Rauwolf (1582),[31] che fu il primo europeo a parlarne,[32] il botanico e medico veneziano Prospero Alpini (1591), che fu il primo europeo a pubblicare una descrizione dettagliata della pianta di caffè, e il viaggiatore tedesco Gustav Sommerfeldt(1663).
Lo scambio mercantile attivo tra la Repubblica di Venezia e i musulmani del Nordafrica, dell'Egitto e dell'Impero ottomano portò all'introduzione di una grande varietà di beni, incluso il caffè, in direzione di Venezia, allora uno dei principali porti europei. I mercanti veneziani introdussero - con molte insistenze - la bevanda tra l'aristocrazia. In seguito passò anche nella terraferma, innanzitutto tra studenti, docenti e visitatori dell'Università di Padova[33]
Nel 1645 fu inaugurata a Venezia la prima caffetteria europea, oltre a quelle già presenti nell'Impero ottomano e a Malta[2].
Il caffè rimase una bevanda popolare nell'alta società maltese, con molti negozi aperti espressamente per favorirne il consumo[34].
XVII secolo
modificaSecondo la descrizione fatta da Rauwolf il caffè sarebbe divenuto un bene disponibile in Inghilterra già entro la fine del XVI secolo, in gran parte attraverso gli sforzi congiunti della Compagnia britannica delle Indie orientali e della Compagnia olandese delle Indie orientali.
Con sicurezza entrò nel continente europeo attorno al 1600, grazie ai mercanti veneziani. Si consigliò a papa Clemente VIII di farlo proibire, in quanto avrebbe rappresentato una minaccia satanica proveniente dagli infedeli;[35] dopo averlo assaggiato però il Santo Padre benedisse la nuova bevanda, affermando che lasciarne il consumo solo agli infedeli avrebbe costituito un autentico peccato mortale.[36]
Nel 1614 il commerciante di Anversa Pieter van den Broecke scoprì lo strano tipo di "acqua nera e calda" al porto di Mokha, mentre si trovava in navigazione per conto della "Compagnia olandese";[6] due anni dopo riuscì ad ottenere alcuni cespugli e li portò ad Amsterdam ove li piantò nell'orto di casa: cominciarono a crescere rigogliosi. Questo evento ricevette una ben poca pubblicità all'epoca, ma ebbe un impatto decisivo sulla storia occidentale del caffè.
Nel 1615 le imbarcazioni della Repubblica di Venezia portarono in patria una borsa di chicchi di caffè provenienti da Istanbul e già nel 1660 circa ne giunsero dai territori turchi 20.000 quintali a Marsiglia;[6] considerati estremamente costosi ricevettero il loro primo nome dal porto di Mokha affacciato sul Mar Rosso, da cui vennero esportati via Suez e Alessandria d'Egitto: dalle navi attraccate a Venezia, Genova e Marsiglia cominciarono ad essere distribuiti. Il loro ampio utilizzo penetrò nei territori dell'Europa occidentale a partire dal 1665.
Intanto i chicchi che van de Broecke aveva acquistato a Mokha più quarant'anni prima si adattarono alle condizioni climatiche locali nelle serre dell'orto botanico di Amsterdam e produssero numerosi cespugli di Coffea arabica sani. Nel 1658 gli olandesi li impiegarono per iniziare la coltivazione del caffè a Ceylon e più tardi nell'India meridionale.[37]
Nicolaes Witsen[38], presidente della "Compagnia" nonché fondatore dell'Orto botanico di Amsterdam nel 1638[39], fece acclimatare il caffè etiopico a Batavia (l'odierna Giacarta)[40], dopo di ché esportò il metodo anche nella Guyana olandese. Nel 1696 i primi semi vennero fatti piantare nell'isola di Giava su un terreno di proprietà del governatore generale Willem van Outhoorn: venne rapidamente devastato da un'inondazione[21]. L'esperimento fu ripetuto nel 1706, dopo che la "Compagnia olandese" ricevette gli altopiani di Priangan (nell'attuale provincia di Banteng) a Giava Occidentale dal regno musulmano di Mataran come forma di rimborso per i servizi resi durante la prima guerra di successione giavanese.
Come precauzione una delle piante che si erano precedentemente salvate venne inviata nella madrepatria; il primo esemplare di Coffea entrò così a far parte ufficialmente del orto botanico di Amsterdam: essa divenne il capostipite di tutte le varietà di Coffea arabica coltivate in seguito, da quelle dell'ex Brasile olandese e dell'intera Colonia del Brasile e dei Caraibi olandesi.[21]
Nel giro di pochi anni le sedi dell'impero coloniale olandese divennero i principali fornitori di caffè dell'intero continente europeo.
La prima caffetteria inglese venne inaugurata ad Oxford nel 1651[41]. Entro il 1675 vi erano già più di 3.000 caffetterie in tutta l'Inghilterra.[42] A seguire aprirono caffetterie in più o meno in tutta Europa: a partire dalla Francia, dall'Olanda, per proseguire verso Germania, Austria e Polonia. [43][44][45]
Molti in questo periodo credettero che il caffè potesse avere anche delle proprietà medicamentose.[46] Tuttavia la nuova merce si rivelò per alcuni essere invece oggetto di controversie.[47]
Nel 1669 Suleiman Aga, ambasciatore del Sultano Mehmed IV, giunse nella capitale francese con il suo entourage portando con sé una grande quantità di caffè; lo offrì con certezza per la prima volta al "Re Sole".[6] Egli fornì ai suoi ospiti francesi e europei un caffè da bere e regalò alcuni chicchi alla corte reale. Tra il 1669 e il 1670 Suleiman riuscì a stabilire tra i parigini l'abitudine di bere il caffè. Nel 1692 il sovrano francese aveva concesso un monopolio al mercante della nascente borghesia parigina François Damame; ma per il commercio d'importazione dall'Oriente Marsiglia mantenne saldamente i maggiori utili finanziari, prima che nel XVIII secolo non si scontrasse con la formidabile concorrenza attuata da una compagna commerciale di Saint-Malo la quale andava direttamente alla ricerca della Coffea arabica nel Mar Rosso doppiando il Capo di Buona Speranza[48].
Il caffè raggiunse la Confederazione polacco-lituana nel corso del XVII secolo, principalmente attraverso i mercanti che commerciavano con gli ottomani.[49] Continuò a rimanere una merce di lusso nella Repubblica Popolare di Polonia per tutta la durata del regime comunista. Il consumo ha iniziato a crescere e stabilizzarsi solo a partire dalla trasformazione della Polonia in una democrazia aperta al capitalismo nel 1989, anche se esso ha una diffusione "pro capite" relativamente più bassa rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell'Unione europea.[50]
XVIII secolo
modificaDi fronte ad un brusco aumento della domanda fin dall'inizio del XVIII secolo, la coltura di Coffea arabica si ampliò rapidamente, seppur su una base genetica assai limitata.[8] L'alta domanda causò una penuria di prodotto per i primi trent'anni del secolo.
Entro il 1730 vi erano già tre denominazioni di caffè in competizione: Java, Mokha (comprendente il caffè delle attuali Antille olandesi) e Bourbon pointu (francese, a partire dal 1715 a La Réunion e successivamente di Saint-Domingue)[51]. Con lo scoppio della rivoluzione francese oltre l'80% della produzione mondiale giungeva dalla Guyana olandese, dalla Colonia del Brasile e da Saint Domingue; quest'ultimo sarà principalmente riesportato, sia nel continente europeo ma anche nel Vicino Oriente, a tutto discapito del Java.
Il Regno di Francia si procurò alcune piante con la forza già nel 1708. Lo Yemen proibì totalmente qualsiasi esportazione delle piante o delle "bacche verdi", mentre il mercato di Amsterdam favorì un monopolio di cui approfittò ampiamente. I pochi arbusti trasferiti con velocità prima nell'Europa occidentale e poi nelle Indie orientali olandesi e nelle Indie occidentali erano del tutto prive di qualsiasi certezza sulla qualità.
Le piantagioni di Coffea vennero rafforzate artificialmente grazie all'utilizzo intensivo della manodopera gratuita proveniente dalla tratta atlantica degli schiavi africani; le navi negriere salparono dai principali porti francesi, mentre le colonie oltremare dell'impero britannico risultarono svantaggiate dalle forti tassazioni imposte sui prodotti coloniali.
La comparazione dei prezzi del caffè di Amsterdam proveniente da Giava e Sumatra mostra un notevole divario tra il 1660 e il 1770; per il Java 3 guilder per libbra, molto di più rispetto alle aree produttive da cui proveniva il che viene spiegato dagli storici quale effetto dei larghi margini di profitto derivanti dalla monopolizzazione messa in atto dalla "Compagnia olandese".[52] Confrontando le differenti origini del mercato di Amsterdam si può constatare che nel 1721 importava ancora il 90% di Mokha, mentre già nel 1736 la proporzione si era rovesciata a favore del Java[4], la cui produzione era appena decollata. Questo cominciò a diventare più economico di quello yemenita importato già negli anni 1720 e il divario non fece che allargarsi: passò dai 14,5 fiorini olandesi per libbra ai 10,75 nel 1774. Il caffè giavanese venne quindi battuto da quello della Guyana olandese, che venne a costare solo 6 fiorini.
La Réunion mise per la prima volta in discussione il monopolio olandese nel 1735; sarà però spodestata verso il 1750[4] dalla Guyana olandese passata in gran parte dallo zucchero al caffè;[53] quest'ultima esportò in quantità maggiore e più velocemente nei confronti di Giava, godendo di una prima ondata di crescita alla fine degli anni 1760.
Saint Domingue colmò il distacco al termine della Guerra dei sette anni, dopo che i piantatori francesi vendettero in massa le piantagioni di zucchero per acquistare terreni in quota da adibire alla caffeicoltura;[52] approfittarono immediatamente della prima ondata di crescite alla fine degli anni 1760 con l'intento di battere la Guyana olandese. Questo causò una prima crisi finanziaria nel 1771 e una seconda alla fine dello stesso decennio.
Nel 1769 la colonia francese produsse già 5 volte di più della Guyana olandese, quando quest'ultima raccolse 7.615 tonnellate annue assieme a Giava e Réunion durante il loro picco produttivo nel periodo 1772-75.[4] La guerra d'indipendenza americana innescò poi un rapido declino della disponibilità di prodotti coloniali[54] e una relativa rincorsa nei prezzi d'esportazione, facendo crescere il prezzo del caffè rapidamente.
Nel 1789 più dell'80% arrivava da Hispaniola. Entro il 1790 l'intensa caffeicoltura a Saint Domingue produsse la deforestazione dell'intera isola e l'amplificazione naturale dell'attività irrigua, in un contesto in cui si alzò esponenzialmente anche l'infiorescenza e la fruttificazione;[55] tutti i maggiori mercati globali vennero inondati dal "caffè di Santo Domingo": New York, Londra, Amsterdam, Trieste, Amburgo, Il Cairo, Bordeaux e Le Havre. Con lo scoppio della rivoluzione francese oltre l'80% della produzione mondiale giunse dalla Guyana olandese, dalla Colonia del Brasile e da Saint Domingue; quest'ultimo sarà principalmente riesportato, sia nel continente europeo ma anche nel Vicino Oriente, a tutto discapito del Java.[4] A Marsiglia il 90% degli arrivi prendevano la via di Istanbul.[56]
XIX secolo
modificaIl XIX secolo ha veduto l'abolizione della tratta degli schiavi sia nell'impero coloniale francese che nell'impero britannico, ma lo schiavismo persisteva nella Capitaneria generale di Cuba spagnola, nel Regno del Brasile prima e nell'Impero del Brasile poi. Questi furono i due maggiori produttori emergenti i quali fecero deprimere il prezzo del caffè in precedenza cresciuto grazie alle guerre e rivoluzioni scatenatesi tra il 1800 e il 1830. Londra assunse la funzione di centro delle aste del caffè, laddove nel corso del XVIII secolo Bordeaux e Le Havre si erano messe in competizione con Amsterdam.[51]
Nel gennaio del 1813 il prezzo al quintale scese a 40 scellini, quando veniva precedentemente venduto fino a 500 scellini al mercato di Amburgo durante la corsa al rialzo a causa della sua carenza.[57] Nel 1820 Giava fornì solo il 6% del consumo europeo e nel 1840 lo Yemen tra il 2% e il 3% di quello mondiale.[4]
La produzione brasiliana fu superiore a quella cubana e delle Indie occidentali britanniche a partire dalla fine degli anni 20 del secolo.[58] Nelle colonie inglesi e francesi la schiavitù fu proibita rispettivamente nel 1833 e 1848;[59] il Venezuela assieme a Cuba e Brasile lo abolirono rispettivamente nel 1856, 1886 e 1888, beneficiando fino ad allora di una forma di "social dumping" (concorrenza data dal costo del lavoro più economico).
Entro il 1820 l'opinione pubblica britannica riuscì ad ottenere un maggior controllo sul trattato che vietava il commercio di schiavi attraverso il "Diritto di visita delle navi straniere" da parte della Royal Navy. La marina francese dal Rhode Island importò schiavi a Cuba da adibire alle piantagioni di caffè di proprietà degli esuli francesi. L'isola servì anche come mercato portuale per l'acquisto di schiavi da deportare negli Stati Uniti meridionali attraverso l'isola di Amelia nelle Sea Islands, grazie anche alla collaborazione degli ex coloni di Saint-Domingue.[60]
Già nel 1850 le piantagioni brasiliane produssero la metà dei raccolti di caffè del pianeta, distanziando gradualmente altre regioni con l'eccezione del continente asiatico. Nel 1855 la Panama Railway evitò di dover doppiare Capo Horn per giungere nell'America centrale, le cui piantagioni solitamente si aprirono con una maggior facilità verso la sponda dell'Oceano Pacifico su terreni vulcanici, producendo la crescita di una delicata Coffea arabica priva d'impurità: il prodotto derivatone divenne ben presto molto ricercato[4].
Prima le aziende europee d'immigrazione e poi i commercianti tedeschi investirono nel Guatemala, ove il caffè venne coltivato dagli amerindi nativi americani, prima di passare in Messico, nella Repubblica della Nuova Granada ed infine nel Burundi. La produzione complessiva afroasiatica scese a solo il 5% del totale alla vigilia della prima guerra mondiale.[4] Nel continente asiatico le piante risultarono decimate nel 1869 dalla comparsa della "ruggine del caffè", una malattia causata da funghi come l'Hemileia vastatrix, arrivando a sradicare la gran parte del caffè di Ceylon britannico[61] e di Giava.[21]
Ma il caffè indonesiano continuò a crescere nonostante la pubblicazione nel 1860 del romanzo parzialmente autobiografico Max Havelaar ovvero Le aste del caffè della Società di Commercio olandese[62] di Multatuli; esso ebbe un'eco clamorosa nei Paesi Bassi. Il dimezzamento della produzione nel 1870 fu comunque effetto della malattia fungina; ciò condusse ad un inarrestabile declino entro la fine del secolo.
La coltivazione venne seriamente presa in considerazione da molti paesi dell'America Latina entro la metà del XIX secolo e, in quasi tutti i casi, coinvolsero lo spostamento e lo sfruttamento su vasta scala delle popolazioni indigene amerinde. Le difficili condizioni di lavoro e di vita condussero a numerose rivolte, colpi di stato e sanguinose ritorsioni contro i contadini[63].
L'eccezione notevole a questa regola fu la Costa Rica, dove la scarsa disponibilità di forza lavoro tra i nativi impedì la formazione di aziende agricole su larga scala. Le piccole fattorie e le condizioni maggiormente egualitarie migliorarono via via la situazione durante tutto il XIX e il XX secolo.[64]
L'impero brasiliano divenne il maggiore produttore di caffè nel mondo a partire dal 1852 e ha mantenuto tale status da allora in poi, esportando da solo più caffè di tutti gli altri paesi messi assieme tra il 1850 e il 1950.[65]
XX secolo
modificaL'inizio del XX secolo vide il mercato della caffeicoltura schiacciato dal gigante brasiliano, che controllò dal 73[66] all'80% dell'intera produzione mondiale tra il 1900 e il 1909;[3] apprese inoltre in questo periodo anche l'abilità di pilotare i prezzi utilizzando appositi "piani di conservazione" rispettivamente nel 1906, 1917 e 1921. Tutto ciò fu accresciuto dalla massiccia distruzione della foresta amazzonica.
Nel 1914 metà della fornitura mondiale passò ancora attraverso Amburgo e Le Havre le quali mantennero forti legami col Brasile, ma gli statunitensi scoprirono le nuove degustazioni provenienti dall'America Centrale. Nel giugno del 1915 un giornalista di ritorno dal Guatemala si preoccupò del fatto che "l'impero tedesco ha sempre importato almeno i 2/3 del caffè del centroamerica"; questo prima del ruolo che verrà ad assumere la California.[67] Ma la situazione corrente si venne a modificare in special modo solo dopo il "Martedì nero" di Wall Street nel 1929, che indusse il valore delle bacche verdi a precipitare.
Come diretta conseguenza tra il 1927 e il 1960 la produzione brasiliana e la sua rispettiva quota di mercato si ridusse globalmente, mentre crebbero i produttori africani, centroamericani e messicani. Perù e Venezuela, ancora tra le prime 5 posizioni nel 1927, scompariranno quasi completamente nel corso del resto del secolo.
Anni | 1900-1904 | 1925-1929 | 1940 | 1950 | 1953 | 1960 | 1970 | 1982-1984 | 1990 | 2002 |
Offerta mondiale (in tonnellate) | 1,02 milioni[66] | 1,8 milioni[68] | 2,1 milioni | 2,1 milioni[69] | 2,05 milioni[70] | 2,6 milioni[70] | 3,8 milioni[71] | 5,4 milioni[72] | 6 milioni[71] | 8,5 milioni[71] |
Brasile e Colombia continuarono a dominare il mercato mondiale fino al 1929, secondo le statistiche del 1927 le quali mostrano anche la progressiva marginalizzazione della caffeicoltura nell'impero coloniale francese; le raccolte della Nuova Caledonia (810 tonnellate), di Guadalupa (593 tonnellate), dell'Indocina francese (398 tonnellate), dell'Africa Occidentale Francese (nell'odierna Costa d'Avorio, 187 tonnellate) risultarono essere assai modeste.[73]
Nel periodo 1925-1929 l'America Latina, esclusi il Brasile e la Colombia, rimasero la seconda area di produzione mondiale con 260.000[68] tonnellate di caffè annue: il 90% in più rispetto alla singola Colombia e 4 volte superiore al totale asiatico. Ma il Venezuela e l'America Centrale subiranno più di altri la crisi che seguì innescando al contempo forti contrazioni e gravi disordini sociali.
Dopo il 1929 il Brasile bruciò le scorte con l'intento di rilanciare la corsa; apparve il caffè solubile. Le ambiziose politiche coloniali permisero invece lo sviluppo della caffeicoltura tra i contadini indigeni. Queste ebbero un successo più che discreto in Madagascar, mentre fu più lieve nel Congo belga il quale beneficiò comunque della migliore Coffea arabica importata agli inizi del secolo dai coloni tedeschi.
In Madagascar il sostegno dato ai contadini creò un vasto malcontento tra i coloni e i commercianti europei, ma la produzione si moltiplicò di 6 volte, il che ispirerà l'amministrazione coloniale francese in Costa d'Avorio, dove la raccolta aumenterà di 20 volte tra il 1945 e il 1962 attraverso una massiccia deforestazione all'interno di un contesto di prezzi mondiali più alti.
Negli anni cinquanta la prima ondata di disboscamento permise alle colonie africane, ma anche al Centroamerica, di aumentare notevolmente la loro produzione di caffè, mentre la coltivazione globale non aumentò per 5 anni;[70] questo moto si amplificherà durante il decennio seguente in Costa d'Avorio, Madagascar e nell'Angola ancora sotto dominazione portoghese.
I due maggiori produttori, Brasile e Colombia, videro i raccolti stagnare o diminuire leggermente nel corso degli anni cinquanta e la loro quota di fornitura globale si ridurrà nuovamente negli anni sessanta, quando invece la produzione mondiale aumentò del 46%; il ritmo ineguale continuò, tanto più che l'effetto del "grande freddo" brasiliano nel 1975 fece ancora sentire i suoi effetti fino al 1980.[74] Ciò modificherà l'intera struttura delle piantagioni del paese.
Il relativo successo delle politiche adottate nel mercato azionario brasiliano portò alla creazione nel 1962 di un accordo internazionale che permise a produttori e consumatori di pianificare una soluzione commerciale stabile a lungo termine; essa venne però rimessa in discussione nel 1989 dimezzando la produzione nazionale e triplicando i prezzi mondiali.
La seconda metà del secolo ha visto la comparsa di diversi altri importanti produttori, in particolar modo la crescita della Colombia, l'entrata nel mercato della Costa d'Avorio, dell'Etiopia e, più di recente, anche del Vietnam; quest'ultimo ha superato la stessa Colombia diventando così il 2° produttore mondiale nel 1999 e raggiungendo una quota di mercato pari al 15% entro il 2011.[65]
Negli ultimi trent'anni del secolo la produzione mondiale è più che raddoppiata. L'ultimo decennio ha visto la rinascita di grandi operatori commerciali in un mercato liberalizzato e diversificato che la permesso la risalita delle quote di Vietnam e Indonesia coltivate a Coffea canephora.
Produzione nel XXI secolo
modificaAll'inizio del XXI secolo 3 dei 6 maggiori produttori del mondo - il Vietnam, l'Indonesia e l'India - erano asiatici, una crescita eclatante dopo le epidemie parassitarie che avevano relegato l'Asia a solo il 5% della produzione esattamente un secolo prima, come mostrato dalle statistiche di produzione per il periodo 2002-2004:[75]
Brasile | 2.367.000 tonnellate |
Vietnam | 760.000 tonnellate |
Indonesia | 701.000 tonnellate |
Colombia | 691.000 tonnellate |
Messico | 312.000 tonnellate |
India | 289.000 tonnellate |
Guatemala | 229.000 tonnellate |
Uganda | 187.000 tonnellate |
Etiopia | 220.000 tonnellate |
Perù | 172.000 tonnellate |
Honduras | 170.000 tonnellate |
Costa d'Avorio | 138.000 tonnellate |
Costa Rica | 133.000 tonnellate |
Filippine | 115.000 tonnellate |
El Salvador | 92.000 tonnellate |
Nel 2005 hanno dominato il mercato della torrefazione a livello mondiale 4 gruppi. Il maggiore di essi è Nestlé, che controlla più della metà del giro d'affari del caffè solubile istantaneo; Kraft Foods, di proprietà di Philip Morris International, rappresenta il 14% delle vendite di globali attraverso marchi come Maxwell House, Kenco, Hag e Jacobs.[76]
Sara Lee Corporation, proprietaria delle marche Douwe Egberts e Superior degli Stati Uniti d'America, rappresenta l'11% del totale delle vendite al consumo, mentre Procter & Gamble occupa l'8% del mercato offrendo i suoi prodotti principalmente nell'America del Nord.[76]
Carte Noire, anch'essa parte del gruppo Kraft, opera in Francia assieme a Malongo. La Senseo olandese è incorporata a "Dowve Egberts"; Nespresso è svizzera; il Kahlúa è messicano con sedi in territorio francese; Julius Meinl è austriaca.
Kimbo Caffè è italiano e smercia il prodotto brasiliano, Illycaffè è stata fondata nel 1939 a Thalwil; anche Caffè Vergnano, Vescovi Caffè, Splendid, Segafredo Zanetti, Goppion Caffè, Caffè Molinari, Emporio Artari, Hausbrandt, Zicaffè, Saicaf, Passalacqua, Ninfole Caffè e l'azienda Lavazza sono tutte imprese storiche italiane.
Il Perù gioca la carta del caffè "bio" e vince
modificaDagli inizi del millennio il Perù è diventato il terzo produttore di caffè dell'America Latina con 3,1 milioni di sacchi di arabica, il 30% in più rispetto all'anno precedente.[77] Nonostante la concorrenza dei paesi asiatici, riuscì a diventare l'8º paese produttore nel 2016. La produzione crebbe in un contesto sfavorevole, in quanto i prezzi di vendita erano più bassi rispetto ai costi di produzione, portando molti critici a sottolineare come questo non facesse altro che peggiorare la sovrapproduzione di caffè.[77]
Come primo esportatore di caffè equo-solidale e secondo per quello biologico il Perù portò avanti diversi progetti per la sua coltivazione. Il governo incoraggiò un programma di riforestazione tramite le piante di caffè, dandoli poi in mano a cooperative di lavoratori volontari o pagati in nome della salvaguardia del clima. Il programma, lanciato nel 1998, garantì, attraverso lla prevenzione e il miglioramento della quaità genetica delle piante, una resistenza maggiore agli insetti e alle malattie e un incremento della qualità e della quantità del prodotto, aumentando del 15% la redditività.[78]
La valle dei fiumi Apurimac, Ene et Mantaro era una regione montagnosa nella quale i narcotrafficanti avevano creato delle piantagioni di coca - tradizionalmente usate come rimedio per la fatica, se masticate o in infuso -. Nel tentativo di riconvertire ad una produzione legale l'area, nel 2017 alcune cooperative di Asháninka decisero di puntare su caffè e cacao biologici. L'obiettivo era quello di dimezzare la produzione di coca entro il 2022.[79] Nello stesso anno l'Organisation internationale du café ha rivisto le stime di produzione del paese, portandole a 4.2 milioni.[80]
L'Etiopia con 5.000 varietà differenti ritorna 5° nel mondo
modificaL'Etiopia ha vissuto una crescita spettacolare della caffeicoltura, che l'ha portata nel 2005 a raggiungere il 5º posto tra i maggiori produttori mondiali, anche se la sua quota di esportazioni rimane relativamente bassa a causa del consumo locale che assorbe quasi il 50% della coltura.[3]
L'equivalente di 3,6 milioni di sacchi è stato consumato a livello nazionale, pari al 71,6% dell'intero consumo di caffè nel continente africano e all'8% di quello dei paesi esportatori. "TO.MO.CA", il marchio più conosciuto, appartiene alla stessa famiglia da 60 anni e ha aperto la sua prima succursale a Tokyo nel maggio del 2015."Gli etiopi amano socializzare e incontrare i propri soci d'affari nella caffetteria", ha spiegato Wondwossen Meshesha, la nipote ventottenne del fondatore.[81]
Esistono 5.000 diverse varietà di caffè etiope e l'80% di queste viene coltivata da piccole aziende[81] senza alcuna vocazione commerciale nelle regioni forestali interne.[82] Qui la resa media per ettaro è di 225 kilogrammi, la metà dei 450 ottenuti nel sistema agricolo semi-boscoso.[82] Il governo sta cercando di promuovere il prodotto per far progredire l'export dalle 190.837 tonnellate nel 2013-2014 fino a 200.000[81].
La raccolta è incrementata con regolarità a partire dal 1961, da 75.000 a più di 111.000 tonnellate nel 1972[83]. Ha continuato il suo slancio anche dopo il 1974, aumentando di 1/3 tra il 1975 e il 1995, per poi continuare a crescere, sostenuta con fermezza da un ampio e ben fornito mercato interno, nonostante i vari conflitti protrattisi nel tempo.
Le piantagioni contadine si trovano nei pressi delle abitazioni, in particolare a Sud e ad Est del paese, mentre una strada lunga 890 km collega Addis Abeba al porto di Assab in Eritrea, che può giungere a imbarcare un milione di tonnellate di merci all'anno. Circa 1/3 della produzione caffeicola viene classificata come "selvaggia" o "semi-selvatica" in quanto realizzata in ambito forestale. L'espansione della Catha edulis, che si è piazzata alla 2ª posizione tra le esportazioni etiopi nel 2005 rimane una valida concorrenza, dato che i prezzi pagati ai produttori sono un po' più alti di quelli per il caffè[3].
Coltivazione forestale a El Salvador
modificaLa sovrapproduzione di caffè forzò El Salvador a modificare lo sviluppo della caffeicultura: l'intenso sfruttamento del terreno veva portato alla deforestazione, perciò ad un certo punto venne privilegiato all'inizio del millennio una caffeicultura più ecologica anche se con una redditività minore.Errore nelle note: </ref>
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L'ombra della foresta primaria sebbene riduca il raccolto[84] garantisce un'ampia biodiversità: 224 specie indigene crescevano sul Chiapas ed eran asociate alle piante di caffè.[84] Inoltre sono state individuate quasi le stesse specie di pipistrelli della vicina foresta primaria. Quindi le coltivazioni agiscono come corridoio biologico e aiutano ad assorbire le emissione di gas serra.[84] Inoltre, a causa della massicci deforestazione del secxolo precedente, l'80% del verde del paese è dato da queste coltivazioni, che quindi contribuiscono a ridurre l'erosione del terreno.[85]
Lo shade-grown coffee è una tecnica nella quale le piante di caffè crescono all'ombra di una canopia. In quest caso può venire da banani, andando ad integrare le entrate della piantagione.[86] Una delle cooperative che applica questa tecnica è la Ciudad Barrios, che opera tra le montagne Cacahuatique e che possiede la certificazione della Rainforest Alliance.
Evoluzione dei principali produttori mondiali nel decennio 2010
modificaLa produzione globalie di caffè negli anni 2010 eimase dominata dal gigante brasiliano e più in generale dai paesi dell'America Latina: nei primi 15 più grandi raccolti mondiali, quasi uno su due proviene da queste regioni.[87]
Produzione in milioni di sacchi da 60 kg[88] | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 |
Brasile | 39,4 | 50,8 | 54,7 | 52,3 | 50,3 | 55 |
Vietnam | 17,8 | 25 | 27,6 | 26,5 | 28,7 | 25,5 |
Colombia | 8,1 | 9,9 | 12,1 | 13,3 | 14 | 14,5 |
Indonesia | 11,4 | 13 | 11,2 | 11,4 | 12,3 | 10 |
Etiopia | 6,9 | 6,2 | 6,5 | 6,6 | 6,7 | 6,6 |
Honduras | 3,6 | 4,5 | 4,6 | 5,2 | 5,8 | 5,9 |
India | 4,8 | 5,3 | 5,1 | 5,4 | 5,8 | 5,3 |
Perù | 3,3 | 4,4 | 4,3 | 2,9 | 3,3 | 3,8 |
Messico | 4,1 | 4,3 | 3,9 | 3,6 | 2,8 | 3,1 |
Guatemala | 3,8 | 3,7 | 3,2 | 3,3 | 3,4 | 3,5 |
Uganda | 2,8 | 3,9 | 3,6 | 3,7 | 3,6 | 3,8 |
Nicaragua | 1,9 | 1,9 | 1,9 | 1,9 | 2,1 | 2,1 |
Costa d'Avorio | 1,8 | 2 | 2,1 | 1,7 | 1,9 | 2 |
Costa Rica | 1,3 | 1,6 | 1,4 | 1,4 | 1,6 | 1,5 |
El Salvador | 1 | 1,2 | 0,5 | 0,7 | 0,5 | 0,6 |
Per la stagione 2016-17 l'ICO ha aumentato la sua previsione di produzione a 153,9 milioni di sacchi, dai 151,6 milioni precedenti, in crescita dell'1,5% e con un record indonesiano e peruviano di 11,5 milioni di sacchi. La produzione di Coffea arabica è stimata dall'ICO a 97,3 milioni di sacchi, in aumento del 10,2%; mentre la Coffea robusta viene attestata a 56,6 milioni, in calo del 10,6%.
Cronologie tematiche: quadro politico, commerciale e logistico della caffeicoltura
modificaPopoli del caffè
modificaMolte popolazioni si sono appropriate della coltura del caffè, a volte dopo il periodo del colonialismo segnato da violenze e espropri delle terre indigene. La prima caffeicoltura libera dalla schiavitù, dal lavoro forzato o dalle pressioni coloniali emerse ad Haiti e nel Venezuela nei primi decenni dopo l'acquisizione dell'indipendenza, quando la diminuzione dei prezzi mondiali facilitò le intromissioni commerciali.
- I Tamil vennero fatti mobilitare in massa nel corso dell'espansione caffeicola degli anni 1840 a Ceylon britannico.
- Gli "Andini" del Venezuela e i Maya del Guatemala entrarono a far parte della manodopera di piantagione fin dagli anni 1870.
- Prima in Buganda e poi in tutta l'Africa orientale vennero fatte distribuire ai nativi sementi da parte dei Missionari d'Africa a partire dagli anni 1880.
- I Kanak della Nuova Caledonia assunsero il controllo delle colture abbandonate dai coloni francesi nel 1912.
- Nell'America Latina i coltivatori si sosterranno reciprocamente organizzandosi in aziende autogestite all'inizio del XX secolo, ispirando un modello di sviluppo che fiorì soprattutto dopo il 1945.
- I messicani di lingua tzotzil del Chiapas rimasero coinvolti nella "rivoluzione del caffè" agli inizi degli anni 1910, riuscendo in seguito ad ottenere terre proprie nel territorio di Soconusco a partire dal 1915.
- Lo stesso fecero i "País Paisa"[3] colombiani, che nel 1927 crearono la potente "Fédération nationale des caféiculteurs".
- I Baulé ivoriani furono partecipi dell'esplosione del caffè nel paese dopo il 1960.
- I Bamiléké introdussero massivamente il caffè in Camerun.
- I Kikuyu del Monte Elgon innescarono una sommossa nel 1952 contro la penuria di terreni coltivabili in Kenya.
- Gli Haya divennero abili caffeicoltori promuovendone lo sviluppo e la rapida crescita tutt'attorno al Lago Vittoria.
- Uguale compito si assunsero i Chaga della regione del Kilimangiaro, creatori nel 1925 delle prime cooperative ad essere presenti nel territorio del Tanganica[3].
- I Rwas ruandesi e gli Arusha della regione di Arusha coltivarono alle pendici del Monte Meru, ognuno sul proprio versante, riuscendo a portare avanti le loro rivendicazioni fino all'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1952.
Prezzi globali, cartelli e organizzazioni di mercato
modifica- 1700-75: Giava, La Réunion e Guyana olandese iniziano la produzione, i prezzi cominciano a scendere, esaurimento nello Yemen.
- 1736: Giava ha triplicato il suo raccolto in 12 anni.
- 1735-44, il caffè "Bourbon" francese passa da 0,1 a 2,5 milioni di libbre prodotte annualmente.
- 1739-90: ha termine il monopolio di Amsterdam, il consumo europeo si moltiplica di 10 volte.[89]
- 1770 e 1779: aumento dei prezzi; la "rivoluzione del caffè a Saint-Domingue" (aumentato da 7 a 77 milioni di libbre prodotte, pari a 37.000 tonnellate)[90] spodesta la Guyana olandese e Giava.
- 1800-21: la rivoluzione haitiana crea una carenza globale, ponendo la Colonia della Giamaica in un effettivo regime di monopolio e rilanciando le Indie orientali olandesi; il passaggio dal cacao al caffè in Venezuela viene ostacolato a causa della Guerra d'indipendenza del Venezuela.
- 1821-47: Caraibi, Brasile, Venezuela e continente asiatico risentono dell'eccesso di offerta la quale provoca un decremento dei prezzi, che alla fine toccano i minimi storici negli anni 1840; al mercato di Filadelfia il caffè haitiano passa dai 26 centesimi del 1821 ai 6 centesimi del 1844.
- 1826: il Regno del Brasile esporta 21.000 tonnellate, quasi il triplo in 6 anni[91].
- 1835: fine del monopolio del caffè nelle Filippine spagnole[89].
- 1858: i prezzi sono rimbalzati del 50% in 15 anni.[92]
- 1861: i prezzi recuperano il 18% del proprio valore in tre anni.[92]
- 1876: i prezzi sono raddoppiati (da 12 a 23 centesimi per libbra) in sei anni, poi sono scesi a 11 centesimi nel 1883 dopo la crisi di sovrapproduzione del 1882.[93]
- 1882-1883: tre mercati a termine (Futures) vengono create nel continente europeo ed entrano nella programmazione concorrente a seguito del crollo del caffè prodotto nel 1880 dalla speculazione.[94]
- 1896: sovrapproduzione di caffè dal Brasile, giunto a 22 milioni di sacchi.[95]
- 1906, 1917 e 1921: "piani di conservazione" brasiliani, i mercati si riprendono tra la massima sorpresa degli economisti.
- 1928: sul mercato di Anversa un kilogrammo di Coffea canephora sale da 3,50 a 12,55 franchi belgi sullo sfondo di uno scenario d'inflazione generale.
- 1930: i prezzi scendono, i paesi dell'America Latina subiscono un lento ma costante decremento; il Venezuela scompare dal mercato. Il Brasile rimonta nel 1933 ma brucia le scorte.
- 1954: il prezzo d'acquisto aumenta di 200 franchi francesi nell'impero coloniale francese.
- 1956: il prezzo mondiale è quasi triplicato in 10 anni.
- 1958: la conferenza di Rio de Janeiro riunisce in un unico cartello quasi tutta l'America Latina caffeicola.
- 1962: firma dell'"Accordo internazionale sul caffè". La produzione è stata moltiplicata di 20 volte in appena 10 anni nella Costa d'Avorio, di 15 nel Camerun.
- 1974: "mini-OPEC" del caffè ad imitazione dell'OPEC.
- 1989: ratifica dell'accordo internazionale sul caffè.
- 2001 Il Vietnam e l'Indonesia hanno contribuito ad abbassare il valore del caffè fino a toccare il livello più basso in 150 anni.
Principali infrastrutture relative alla coltivazione del caffè
modifica- HAPAG (compagnia di spedizioni fondata nel 1847).
- Linea ferroviaria di Mauá nell'impero del Brasile (aperta dal 1854).
- Panama Railway (completata nel 1855).
- Norddeutscher Lloyd (compagnia di spedizioni fondata nel 1857).
- "São Paulo Railway" (aperta nel 1867).
- "Hamburg Süd" (compagnia di spedizioni fondata nel 1871).
- Ferrovia della Costa Rica (la costruzione inizia nel 1871).
- Elevador Lacerda, attrezzatura del porto di Salvador de Bahia eretta tra il 1869 e il 1873.
- Cavo sottomarino transatlantico che collega Londra a Recife, inaugurato nel 1874.
- Linea ferroviaria del Guatemala (la costruzione inizia nel 1876).
- Tratto ferroviario del Nicaragua che collega Granada a Corinto (la costruzione inizia nel 1880).
- Ferrovia del dipartimento di Antioquia in Colombia (la costruzione inizia nel 1876 ma diviene pienamente operativa solo nel 1926).
I grandi commercianti
modifica- Benjamin Green Arnold (New York, 1868-1883).
- Théodore Wille (Amburgo e Santos).[96]
- "Neumann Kaffee Gruppe" (Amburgo e Santos).[97][98]
- Caspar Voght e Georg Heinrich Sieveking (Amburgo).
- Famiglia Delius (Brema).
- Famiglia di Rodolfo Dieseldorff (San José nella Costa Rica).[99]
- George Stiepel (Valparaíso in Cile).
- "Hockmeyer & Rittscher" (Amburgo e Guatemala a partire dal 1858).[100]
- "Rieper Augener" (Brema e Guatemala).[93]
- "Ospina, Vasquez e Jaramillo" (Colombia e Guatemala).[101]
- "Prado Chaves" (Santos).[102]
- "Gruppo Lacerda" (Santos).[103]
- Famiglia di Philippe Jobin (Le Havre).[104][105][106][107]
- Famiglia di Louise Delamare (Le Havre).[108][109]
- Famiglia Rufenacht-"Société commerciale interocéanique" (Le Havre).[110][111]
- Jacques Siegfried (Le Havre).[112]
- Charles Latham (Le Havre).[110][113]
- Georges Ancel (Le Havre).[114]
- Louis Drouin (Nantes).[115]
- Hermann Sielcken (New York e Baden-Baden).[116]
Note
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- ^ a b c d e f g h i j (FR) Jean-Christian Tulet, Le café en Amérique latine, une durabilité à géométrie variable, in Géocarrefour, vol. 2008, Vol. 83/3, 1º settembre 2008, pp. 171–180, DOI:10.4000/geocarrefour.6845. URL consultato il 20 ottobre 2019.
- ^ a b c d e f g h i (EN) Steven Topik, The World Coffee Market in the Eighteenth And Nineteenth Centuries, from Colonial To National Regimes (PDF), 2004. URL consultato il 6-10-2019 (archiviato dall'url originale il 15 febbraio 2017). . Sito del dipartimento di storia della LONDON SCHOOL OF ECONOMICS
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- ^ a b c d e f (FR) Pierre Bezbakh, Maître de conférences à l'université Paris-Dauphine, Le café, de la traite des Noirs au commerce équitable, su Le Monde, 27 settembre 2013.
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