Utente:Miss Baelish/Sandbox
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Introduzione
modificaLa carbon tax è una ecotassa che assesta direttamente il prezzo del carbone definendo una certa tassa in base al quantitativo di gas serra emesso o in base al carbone contenuto nei combustibili fossili [1] espresso in valore per tonnellata (tCO2e) [2] e che utilizza un meccanismo di aliquota che varia al variare del peso e che aumenta esponenzialmente nel tempo [3]. È uno strumento economico ideato sul modello della tassa pigouviana, ossia di tassa che permette di ripagare i danni a lungo termine prodotti nell’ambiente attraverso l’internalizzazione del costo esterno nel prezzo finale: tanto le imprese quanto i singoli devono pagare per accedere a determinate attività che causano effetti dannosi per la società [4].
A differenza delle ETS (Emission Trade System), non garantisce un livello massimo di riduzione delle emissioni ma si presenta come uno strumento efficace per il raggiungimento degli obiettivi che l’Europa e le organizzazione internazionali si sono posti nel 1997 con il Protocollo di Kyoto e nel 2015 con l’Accordo di Parigi: il processo di decarbonizzazione ha subito un notevole incremento attraverso l’indirizzamento degli investimenti verso tecnologie definite “low-carbon” e l’applicazione di strumenti di carbon pricing (in italiano, tassazione del carbone) a settori considerati ad alto rischio e che causano gravi costi esterni nei settori ambientali, sociali e sanitari [5].
Considerata come una tassa sul consumo, la carbon tax a differenza di altri strumenti si presenta come economicamente efficiente: provoca minimi effetti distorsivi sul mercato e i suoi ricavi possono contribuire a alleggerire la fiscalità in generale, con l’effetto di ridurre le tasse, o a finanziare comportamenti ecologicamente corretti, in base all’uso a cui il paese impositore li ha destinati [6]; dati a favore sono stati raccolti nel 2013, dove si è mostrato che nei paesi che hanno adottato una carbon tax il 44% dei ricavi sono stati usati per abbassare le altre tasse, il 28 % sono stati destinati a fondi governativi e il 15% per investimenti ambientali [7].
Carbon tax e tipologie di tasse sul carbone
modificaLa tassazione sul carbone può presentarsi in forma esplicita o implicita: sono forme esplicite la carbon tax, che impone direttamente un prezzo per ogni tonnellata di CO2 emessa nell’atmosfera, e le ETS, attraverso cui il Governo impone livelli massimi di riduzione nel mercato [8]. Carbon tax e ETS hanno modi di agire diversi, per questo in genere si individuano settori ETS e non ETS, in base al target di riferimento: i settori ETS di solito comprendono attività ad alto consumo di energia, mentre la carbon tax si concentra su settori come [9]
- Famiglia
- Servizi
- Trasporto stradale
- Manifatture
- Trasporto marittimo [10]
Questo non esclude che nei settori ETS si possa utilizzare una carbon tax: studi autorevoli affermano che l’applicazione combinata dei due strumenti porterebbe a un incremento di gettito che potrebbe arrivare sino a dieci volte superiore al normale [11]. La scelta di utilizzare uno dei due strumenti o entrambi attiene a scelte di politica fiscale e ambientale interne agli stati.
Sono considerate implicite [12] tutte le tipologie di tasse che non prezzano direttamente l’uso del carbone ma che nascondono il costo esterno che ne deriva, cioè i danni che arreca all’ambiente nel lungo termine, dietro aumenti di prezzo delle tasse; il settore in cui questa forma è solitamente adottata è il settore energetico, infatti l’elettricità è un’energia secondaria generata dall’energia primaria contenuta in sorgenti come gas naturali, carbone, nucleare, acqua e vento: se la fonte primaria è un carburante fossile allora ne verrà tassata la quantità utilizzata per poter produrre la quantità di energia su cui si fonda il tributo [13].
Carbon tax e possibili rischi
modificaLa carbon tax presenta due possibili rischi per i paesi che decidono di adottarla: internalizzando il “costo sociale del carbone”, si rischia infatti di creare squilibri nell’economia e di generare importanti resistenze sociali [14].
Riguardo l’accettazione sociale, studi condotti dall’OECD dimostrano che tendenzialmente i cittadini accettino di più una tassa molto alta ma implicita che una tassa esplicita [15]. Per riequilibrare e compensare eventuali distorsioni, occorre una politica trasparente nella gestione della tassazione [16], in modo da far crescere il consenso sociale, a cui è utile accompagnare una politica di incentivi che spinga ad investire su produzioni ecologicamente rispettose. Per esempio, sull’idea di McKitrick, la British Columbia, provincia del Canada, ha accompagnato l’introduzione di una carbon tax a una riduzione generale del carico fiscale sui cittadini [17].
Riguardo gli squilibri economici, lo studio dell’OECD contenuto nel OECD Enviromental Outlook to 2050 indica che il rischio nell’introdurre una carbon tax è la manifestazione del fenomeno di carbon leakage, ossia favorire una concorrenza internazionale sleale per cui le industrie decidono di delocalizzare per indirizzare le proprie attività verso paesi con politiche ambientali meno stringenti [18]. In questo modo sia il paese che ha adottato misure ambientali idonee perde di competitività sul mercato, sia aumentano considerevolmente le emissioni del paese che non le ha adottate e verso cui le imprese spostano le loro produzioni [19]. Questo problema si è posto tanto in Europa quanto in USA e si è deciso di agire, estendendo la carbon tax dal solo fattore produttivo lavoro a fattori inquinanti come il settore domestico fino ai beni importati dagli stati che non hanno adottato forme e livelli di tutela ambientale e di disincentivazione dell’uso del carbone. Si pensi per esempio al caso italiano: guardando alle emissioni di CO2, con riguardo al commercio internazionale, si è notato che il gap di CO2 tra domanda e offerta è dovuto alle emissioni incorporate nelle importazioni, che dal 1995 al 2011 hanno visto un incremento del 46%. Per questo motivo, imponendo una tassa sui beni importati da questi paesi, li si spinge a praticare politiche ambientali più vicine agli standard europei, evitando così sin dall’inizio pratiche ed effetti distorsivi. Sommando le entrate di una carbon tax applicata a tutti i settori di attività (imprese e famiglia) e alle importazioni da Stati non europei che non si adeguano agli standard europei, si otterrebbero circa 15 miliardi di euro [20].
Il progetto di una carbon tax europea
modificaL’Unione Europea tra il 1990 e il 2000 diede impulso a processi di implementazione delle politiche ambientali per la salvaguardia dell’ambiente. In preparazione del Rio Earth Summit del 1992, l’Unione Europea decise di puntare sulla creazione di una tassa che colpisse l’estrazione e l’uso di carburanti e materie prime ricavate da carboni fossili, puntando sull’armonizzazione tra tutti i paesi stabilendo un livello minimo di tassazione per ogni tipologia di materiale fossile valevole in tutti gli Stati membri. Il progetto fallì a causa delle pressioni degli industriali e degli stati che vedevano nella carbon tax europea una causa di danno diretto alla propria competitività sul mercato, primo fra tutti la Francia [21]. Nel 1995 ci fu un nuovo tentativo che fallì e che aveva in comune con il tentativo del 1992 il fatto di cercare l’armonizzazione tra gli stati per creare una tassa unica. Da allora l’Unione Europea adotta un approccio per cui lascia alla competenza degli stati membri la decisione su quale politica adottare internamente per raggiungere gli obiettivi minimi fissati dagli organi europei, infatti ad oggi vediamo utilizzate principalmente due strade:
- Imporre una carbon tax, come in Danimarca, Olanda, Norvegia, Svezia, Irlanda e Italia
- Disporre incrementi impliciti nella tassazione energetica, come in Austria e Germania
Il G20 del 2009 [22] ha visto nuovamente i paesi europei avvicinarsi con interesse alle carbon taxes considerata la loro efficacia economica, poichè permettono di
- Raggiungere gli obiettivi di politica ambientali fissati
- Tenere traccia delle tonnellate di CO2 emesso al fine di prezzarle e monitorarle
A questo argomento si collega direttamente l’uso dei sussidi economici: il Catalogo dei sussidi del 2017 [23] ha messo in luce come i governi europei dovrebbero impegnarsi contestualmente all’imposizione di tasse sul carbone a eliminare i sussidi forniti ad attività dannose per l’ambiente e che soprattutto comportano l’uso e la produzione di combustibili fossili, per permettere lo sviluppo di politiche “low-carbon”, soprattutto su modello degli inviti fatti in sede di G20 [N4] ed estesi in sede di G7 nel 2016 [24]. Sul punto i paesi sono in via di sviluppo.
Francia
modificaIn Francia ci furono tre tentativi di introdurre una tassazione sul carbone, nel 2000, nel 2009 e nel 2014, che portarono a rivolte urbane e a contrasti con la Corte Costituzionale francese.
TGAP (2000)
modificaIn Francia fino al 1999 non c’era una completa e omogenea politica ambientale. Nel 1999, a seguito delle pressioni europee finalizzate alla realizzazione di politiche ecologiche, venne inserita nella legge di bilancio una proposta di carbon tax, la TGAP [N5], con l’obiettivo di creare un sistema di tasse ambientali che colpissero le emissioni ritenute dannose [25]. Nel 2000 la TGAP venne estesa ai carboni fossili (petrolio, diesel, carbone, gas naturali) e all’energia elettrica e venne quantificata in misura di 260 franchi/tCO2, con l’avvertimento che nel 2010 sarebbe aumentata a 500 franchi/tCO2. La tassa andava a esentare determinati soggetti quali le famiglie e le pubbliche amministrazioni e a colpire maggiormente le imprese che infatti, insieme ai lavoratori del settore del trasporto stradale, portarono avanti numerose proteste [26]. La Corte Costituzionale francese dichiarò incostituzionale la misura, sostenendo che l’iniqua distribuzione del carico fiscale conduceva a una disparità di trattamento tale da farle ritenere invalida la carbon tax in questione. Inoltre riteneva controproducente tassare l’energia elettrica, considerato che la Francia da tempo aveva adottato politiche di decarbonizzazione attraverso l’incentivazione dell’energia nucleare [27].
La proposta del 2009
modificaA seguito delle pressioni europee e del patto ecologico stipulato nel 2006 dall’allora candidato presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, nel 2009 si fece una proposta per innovare lo strumento introdotto nel 2000: la nuova Carbon contribution venne approvata in Senato nel 2009 e inserita nell’Atto Finanziario del 2010 [28].
La proposta prevedeva forme di tassazione del consumo domestico toccando così tanto le famiglie quanto le industrie. La tassa avrebbe colpito i combustibili derivanti da carboni fossili e sarebbe stata di 17 euro/tCO2 [29] nel 2010. Erano escluse le società ETS, il settore agricolo, il settore dei trasporti pubblici, la pesca, i trasporti commerciali sia via terra che via mare e i biogas. Inoltre era esclusa l’elettricità, considerato che il 90% del processo di produzione produceva emissioni non significative e il restante 10% rientrava nei settori coperti da ETS [30].
La Corte Costituzionale nuovamente si espresse a sfavore della misura [31]: come nel 2000 si tacciò di incostituzionalità la carbon tax del 2009 perchè non raggiungeva lo scopo di mitigazione dei cambiamenti climatici, ma produceva solo l’effetto di ridurre la competitività del paese; inoltre violava nuovamente il principio di uguaglianza del trattamento fiscale, ritenendo che l’onere di imposta fosse troppo squilibrato tra i diversi contribuenti [N6], violando così anche il principio costituzionale secondo cui la protezione dell’ambiente è un dovere comune [32]. A differenza dell’impostazione del 2000, si nota che in questo caso l’obiettivo non era di invalidare la carbon tax ma di incentivarne la riscrittura in chiave garantista di diritti fondamentali.
Da subito il problema fu di comunicazione: il 66% dei francesi non era convinto dell’effettiva neutralità ed efficacia della carbon tax e ne era sfavorevole [N7], era percepita come una misura punitiva in nome della protezione ambientale. Questo causò numerose proteste che portarono la Francia ad abbandonare il progetto fino al 2013.
La CCE (2013)
modificaDopo il fallimento del 2000 e del 2010, il progetto venne ripreso durante la campagna presidenziale del 2012: Francois Hollande dichiarò che “la transizione elettrica ed ecologica sarà portata ai massimi livelli” [33]. Il partito socialista firmò con il partito EELV [N8] un patto elettorale che includeva la proposta di tassare il carbone da euro 36/tCO2 a euro 56/tCO2 nel 2020. Nonostante i propositi, il progetto venne ostacolato dalle proteste dei partiti avversari, che lamentavano una futura perdita di competitività nel mercato, e dalle drastiche riduzioni dei poteri del Ministero dell’ecologia operate dal Primo Ministro Jean Marc Ayrault [34].
Nel 2014, in occasione dell’approvazione del nuovo piano finanziario, il partito verde rese nota al Parlamento la mancanza di una normazione in materia ambientale, con il rischio di presentare un nuovo Atto Finanziario senza misure di salvaguardia. Nonostante le opposizioni, il Governo decise di attuare una riforma da inserire nel piano finanziario del 2014 e incaricò un Comitato nel dicembre 2012 [35].
Nel 2013 il Comitato fornì un report che proponeva la creazione di tasse sul carbone contenuto nell’energia, fissando il prezzo del carbone a euro 7/tCO2 per il 2014, che sarebbe salito a euro 20/tCO2 nel 2020. Sarebbero stati esclusi i settori coperti da ETS, i trasporti pubblici, i taxi, gli agricoltori il trasporto aereo turistico, il trasporto su fiume, le navi e i sistemi di consegne [36]. Insistette inoltre sull’uso di sistemi di compensazione comprensibili e trasparenti, in modo che non si ripetessero gli scenari del 2000 e 2009 in cui le misure erano state rigettate socialmente ed economicamente: per i cittadini furono previsti incentivi per l’uso di energie alternative, tra cui incentivi per l’acquisto di automobili che non fossero a benzina o a diesel, per le imprese invece erano previste ingenti riduzioni sui costi di impiego dei lavoratori [37].
Nel settembre 2013 il Presidente Francois Hollande annunciò che la Climate energy contribution (o CCE) sarebbe stata inserita nel piano finanziario del 2014 [38]. La CCE si presenta non come una nuova tassa, come era la CC del 2009, ma come una nuova componente in quelle già esistenti che prezza l’uso del carbone tassandolo progressivamente a euro 7/tCO2 nel 2014, a euro 14.5/tCO2 nel 2015 e a euro 22/tCO2 nel 2016 [39].
A queste misure a breve termine vennero accostate misure a lungo termine: nel 2015 nell’Energy Transition for Green Growth vennero previste misure ambientali finalizzate alla transizione ecologica applicate a settori come trasporti, consumi, lavoro, difesa oltre che per energia e ambiente. Si pone come obiettivo l’innalzamento della carbon tax a euro 100/tCO2 nel 2030 [40].
Stati Uniti e carbon tax
modificaIn base agli studi condotti dal CTC [N9], gli Stati Uniti sono tra i principali produttori di CO2 [N10] e non possiedono alcuna legge, federale o statale, che limiti queste emissioni. Il problema riscontrato risiede nel fatto che gli stati federali non sono propensi a fissare una tassa che potrebbe portare a uno svantaggio sul livello della competitività delle industrie. Al momento sono stati fatti dei tentativi a livello di sussidi e ETS [N11] ma non raggiungono il livello di efficacia di una vera carbon tax [41]. Si è pensato di seguire il modello europeo e individuare dei settori modelli in cui applicare questi strumenti, ma sono rimasti fermi a livello di proposta [42].
Note
modificaBibliografiche
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