Utente:Pugliak/Dialetto laertino
Dialetto laertino U dialétte du Pajíse | |
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Parlato in | Italia |
Regioni | Puglia |
Locutori | |
Totale | circa 15.000 parlanti |
Classifica | non in top 100 |
Altre informazioni | |
Tipo | livello subregionale |
Tassonomia | |
Filogenesi | Lingue indoeuropee Lingue italiche Lingue romanze Dialetti italiani meridionali Dialetto barese Dialetto laertino |
Il dialetto laertino è un idioma appartenente alle lingue romanze del ceppo dei dialetti italiani meridionali, assimilato al dialetto barese. Viene parlato prevalentemente nel territorio del comune di Laterza (in Provincia di Taranto), affiancato alla Lingua italiana. Lo stesso idioma viene parlato anche da comunità laertine emigrate nell'Italia Settentrionale ed all'estero, usato come legame universale con la loro terra d'origine.
Evoluzione storica
modificaIl dialetto laertino è un'evoluzione del latino volgare; idioma diffusosi nell'Italia Meridionale, a partire dal III secolo a.C., a seguito della colonizzazione romana.
Anticamente, fra il I millennio ed il VII secolo a.C. il territorio era abitato dai Peucezi, antica popolazione italica degli Japigi, insediatasi nella Terra di Bari di origine indoeuropea e proveniente dall'Illiria. Successivamente, fra il VII ed III secolo a.C., il territorio era caratterizzato dalla dominazione greca, lo testimonia il rinvenimento, nel territorio, di numerosi reperti archeologici, fra cui antiche monete appartenenti a diverse polis della Magna Grecia (Taranto, Metaponto, Eraclea, Sibari, Crotone ed altre ancora). Le più numerose sono quelle appartenenti alla città di Taranto[2], unica colonia fondata da Sparta nel 706 a.C. e distante circa 50 km da Laterza. Il chè fa desumere che l'abitato aveva un legame molto stretto con la città tarentina, i cui abitanti, essendo spartani, parlavano greco nella variante del dialetto dorico. Con la caduta dell'Impero Romano, nel territorio di Laterza, si sono susseguite dominazioni di diverse popolazioni straniere che hanno lasciato la loro presenza anche nell'idioma locale, come Arabi e Francesi, ma soprattutto Spagnoli. Con la nascita del Regno di Napoli il dialetto laertino ha subito molte influenze della lingua napoletana, essendone in qualche modo imparentata. In fine con l'unificazione d'Italia molti termini originari del dialetto sono stati quasi totalmente soppiantati da italianismi.
Per cui si può concludere che il dialetto laertino è caratterizzato da un substrato di lingua greca[3] ed, a seguito delle dominazioni di popolazioni straniere, avvicendatesi nel tempo, si è poi modificato con ulteriori influenze linguistiche, risentendo, per cui, della presenza di un adstrato prevalentemente di lingua spagnola, ma anche di lingua araba e francese.
Scrivere il dialetto laertino
modificaNon è mai stata scritta una grammatica del dialetto laertino e tanto meno vi sono regole per la sua scrittura.
In generale nel dialetto viene sfumata la vocale finale, che viene scritta, perché sonorizza le consonante che la contengono. Per esempio Bar (bar) e Bare (Bari) o Ce ssi ffatte? (cosa hai fatto?).
Quando la vocale "e" viene pronunciata è indicata con l'accento, acuto (é) se aperta o grave (è) se chiusa. Per esempio "Méne ca me n'i á sscí!" (Forza che me ne devo andare!).
Esistono molte parole con suono chiuso che corrisponde alla codifica internazionale [ ə ] e viene scritta con il carattere ê. Ha un suono vocalico centrale medio, come per esempio nelle parole in lingua inglese: taken, circus, dinner. Nel dialetto laertino lo troviamo nelle parole pêne, chêse, sêne...
Geminazione
modificaNel dialetto laertino esiste anche la geminazione consonantica, meglio nota come raddoppiamento che consiste nella ripetizione di una lettera all'inizio di una parola. Esso avviene su tutti i vocaboli preceduti da un monosillabo tonico o non (solo per alcuni). Esempio: Ce ssi ffatte? (cosa hai fatto?) Ce sst'á ddisce? (che stai dicendo?)
Etimologie
modificaParole di origine latina
modificaEssendo il barese una lingua neo-latina in esso sono presenti alcuni termini presenti in latino come: Cras (domani) e Cerasum (ciliegia): Crà/Crè n'am'á sscí á ppigghiá le ceráse? (Domani dobbiamo andare a prendere le ciliegie?). Prole di origine latina[4]
- Nustèrze, "Avantieri" (latino: Nudiustertius);
- Diatèrze, "Due giorni fa" (latino: Dies tertia);
- Procunare, "Bandire-rimproverare" (latino: Praecon=banditore);
- 'Ngallesce, "Riscaldare" (latino: Incoalescere);
- Arreppê, "Conservare" (latino: Abripere);
- Mìjere, "Vino buono" (latino: Merus, a differenza di merum vinum che era ordinario);
- Ijosce, "Oggi" (latino: Hodie);
- Crê, "Domani" (latino: Cras);
- Pescrê, "Dopodomani" (latino: Biscras / Post cras);
- Ingegnê, "Cominciare" (latino: gignere; dal greco γίγνομαι);
- Afferrê, "Prendere" (latino: Auferre);
- Mêgghìjre, "Moglie" (latino: Mulier);
- Scallê, "Riscaldare" (latino: călĕfăcĕre);
- Addurmescje, "addormentarsi" (latino: obdormiscere, addormiscere);
- Canìgghje, "crusca" (latino: canilia);
- Jidde, "egli, esso" (latino: ille, illa, illud);
- Tràsije, "entrare" (latino: ransire);
- Accattê, "comprare" (latino: ad captare; italiano arcaico: accattare);
- Tanne, "allora, in quel tempo" (latino: ante annum).
Prole di origine greca
modifica- Attruppecchê, "inciampare" (greco: τρύπτικω, o truptico, "rompersi o piegarsi");
- Cerasê, "ciliegia" (greco: kérasos);
- Graste, "vaso da fiori in terracotta" (greco: gastra);
- Nêchê, "culla" (greco: naka, "culla"; sumerico: nâcher, "riposare");
- Vastêse, "rozzo" (greco: βαστάζω, "bastazu").
Influenza araba
modificaNel famoso scioglilingua Ce 'nge n'am'á sscí, sciamanínne, ce non 'nge n'am'á sscí, non 'nge ne sime scénne (Se ce ne dobbiamo andare andiamocene, se non ce ne dobbiamo andare, non ce ne andiamo), è messo in risalto il verbo andare, la cui traduzione in barese proviene direttamente da influenze arabe. Andare in arabo si dice infatti نمشي(namsci). Alcuni pensano che "'nge n'am'á sscí" sarebbe facilmente analizzabile come "Ce ne abbiamo a gire", con radici lessicali prettamente latine.
- Lêmune, "limone" (arabo: limun);
- Tavùte, "bara, cassa da morto" (arabo: tabut; dal greco: τάφος o tafos, "sepolcro").
Influenza francese
modifica- 'Uccjire o Vuccjire, "macellaio" (francese: bouchier)
- Mustazze, "baffi" (francese: moustaches)
- Àccìje, "sedano" (latino: apium; spagnolo: apio; francese: ache)
Influenza spagnola
modifica- Serre, "sega" (spagnolo: serra);
- Zita, "fidanzata" (spagnolo: cita, "appuntamento");
- Ammucchê, "cadere, versare, inclinare, capovolgere" (spagnolo: abocar; dal greco: apokhèo "versare fuori, cadere" o dal latino: bucca, "bocca").
Influenza tedescae
modifica- Ciùncête, "storpio, acciaccato" (tedesco: cionk);
- Sparagnê, "risparmiare" (tedesco: sparen).
Curiosità
modificaIl giornalista e scrittore italiano Pino Aprile, divenuto Cittadino onorario di Laterza il 1º Febbraio 2012, ha inserito dei riferimenti a Laterza ed in particolar modo del dialetto nel suo libro "Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali".
Note
modifica- ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
- ^ Luigi Galli, "Storia di Laterza", Palo del Colle (Ba), M. Liantonio, 1940. pag. 43
- ^ nella variante del dialetto dorico, ndr
- ^ vedere anche libro di Luigi Galli, "Storia di Laterza", Palo del Colle (Ba), M. Liantonio, 1940. pagg. 48 e 49
Bibliografia
modifica- Raffaella Bongermino, "D'acchessí se cande o pajíse mìje", 1985, Schena Editore, Fasano di Puglia (BR), ISBN 8875141436.
- Michele Loporcaro, Grammatica storica del dialetto di Altamura, Pisa, Ist. Editoriali e Poligrafici, 1988.
- Bari fra dialetto e poesia, Caratù Pasquale, Daniele M. Pegorari, Rubano Anna, Palomar, 2008.
- Vocabolario dialettale barese, Barracano Vito, Adda, 2000.
- D'Amaro, Sergio. "Apulia"
- In tal senso Dante: «Apuli quoque, vel a sui acerbitate, vel finitimorum suorum contiguitate, qui Romani et Marchiani sunt, turpiter barbarizant. Dicunt enim Volzera che chiangesse lo quatraro». Dante, De vulgari eloquentia, I, XII 7-8.
- G. Bertoni (1916), Italia dialettale, Milano, Hoepli, p. 152.
- G. I. Ascoli (1882-85), L'Italia dialettale, in "Archivio glottologico italiano", 8, pp. 98-128.
- B. Migliorini (1963), Parole Nuove. Appendice di dodicimila voci al "Dizionario moderno" di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, p. 177.
- H. Lausberg (1939) Die mundarten Suedlukaniens, Halle, Niemeyer.
- G. Rohlfs (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi.
- A. Varvaro, Lingustica Romanza
- M. Dardano, Nuovo Manualetto di Linguistica Italiana