Utente:Riccardobellorio/Sandbox2
Preistoria
modificaIl territorio in questione è stato frequentato fin da epoca preistorica. Broglio e Bartolomei, grazie a scavi effettuati nel nel 1967 nella bassa valle delle Lanze (m. 1480), hanno portato alla luce i manufatti di un'industria litica del Paleolitico superiore e precisamente dell'Epigravettiano recente. L'insediamento si trova in prossimità di due pozze d'acqua dove, su materiale morenico sormontato da un deposito dovuto a un antico ghiacciaio, sono stati trovati bulini, grattatoi, coltelli di fogge diverse e altri oggetti. In tutto sono ben 153 i manufatti che richiamano i ritrovamenti presso il coevo "riparo Battaglia" vicino ad Asiago. Entrambi sono infatti tipici accampamenti stagionali di cacciatori che, nella bella stagione, salivano in quota per cacciare soprattutto stambecchi. Tali manufatti rinvenuti ora sono al Museo di Santa Corona a Vicenza.
In epoca precristiana la val d'Astico fu abitata dai Reti, un popolo celtico che giunse fino alla val d'Assa sull'altopiano di Asiago, dove presumibilmente fondò Rotzo e Bostel [1]. Nel 15 d.C. i Reti furono annientati dai Romani e il ritrovamento di numerose monete di epoca romana sembra attestare in valle una certa importanza strategica della medesima in tale periodo [2][3].
Alto medioevo
modificaNel 489 i Goti di Teodorico invasero Italia e da quel momento le Prealpi vicentine iniziarono un significativo rapporto con le popolazioni germaniche, fino a quando i Bizantini non riuscirono a imporsi[2]. Alcuni storici hanno teorizzato che i primi insediamenti cimbri discendano proprio dai resti dei Goti, altri ne collocano l'origine al tempo dei Longobardi (secoli VI-VIII) o a epoche successive (X secolo): i Longobardi infatti furono i primi a dominare sfruttando adeguatamente le terre della val d'Astico[4]. Essi nell'Alto medioevo avevano diviso il territorio in ducati e il Ducato Vicentino confinava a settentrione con quello di Trento, dove i confini seguivano la morfologia del terreno sulla linea di spartiacque: Passo della Borcola, Monte Maggio, Monte Melegna, Bocca di Valle Orsara, corso dell'Astico fino a Busatti e su fino a Cima Vezzena. Tale linea di confine subirà nei secoli modifiche dalle conseguenze significative [5], tuttavia il territorio in questione conserva tracce evidenti dell'assetto dato da questo popolo rude, ma organizzato sia militarmente che economicamente, ciò è evidente nella toponomastica[6] e nella documentazione attestante la corte longobarda di Sant'Agata a Cogollo. Grazie a questa organizzazione fortemente strutturata, in epoca longobarda la Val d'Astico era una via di comunicazione tra i monti e il piano, che facilitò i collegamenti tra l'economia dell'altopiano e quella della pianura. Attorno al X secolo la popolazione aumentò a causa delle colonie tedesco-bavaresi, spinte in questa zona dagli Ottoni tra il 952 e il 976, da cui probabilmente deriva l'origine cimbra della cultura e della lingua del luogo, che resta comunque una zona molto tranquilla, se confrontata con la pianura vicina, terra di continue invasioni.
Nel 912 il re d'Italia Berengario dona la parte sinistra della val d'Astico a Sibicone, vescovo di Padova. Con questa donazione, i vescovi presero il controllo giuridico, amministrativo ed economico della zona e furono aiutati nell'esercizio di ciò da monaci e ospizi. Celebri furono i due ospizi di San Pietro Valdastico e di Brancafora, che furono i maggiori centri attorno ai quali insediarono i primi nuclei abitati della valle. Entrambi erano retti da un priore, nominato con un diritto di rendita dal vescovo e coadiuvato da laici e monaci. Grazie a tali ospizi, dove trovavano rifugio i viandanti che risalivano la "Strada del Lancino" verso Trento o i sentieri verso l'altopiano dei Sette Comuni, si sviluppò l'agricoltura e il commercio del territorio. Dal 1450 non si parla più di ospizi, ma di parrocchie e nel 1600 la chiesa di Brancafora fu annessa alla diocesi di Trento.[7]
Basso medioevo
modificaLa vallata tra il 1164 e il 1404 subì il dominio di Vicentini, Ezzelini, Padovani, Scaligeri e Visconti. Data la sua importanza strategica, ciascun dominio cercò di difenderla dagli attacchi provenienti da nord tramite presidi. Una delle prime fortificazioni fu il Covolo di Rio Malo, grande caverna rocciosa sopra Busatti (nel comune di Lastebasse) che permetteva un agevole controllo dell'unico sentiero sottostante, la Strada del Lancino. Nel Medioevo i Vescovi di Vicenza e di Trento con i loro signori locali si contesero questa postazione strategica. Nel 1598 il procuratore ai confini della Serenissima, conte Caldogno la descrisse come una «caverna capace di trenta-quaranta soldati i quali, non potendo essere d'alcuna parte offesi, [...] possono impedir, con sassi solamente, il transito a qualunque s'arrischiasse». Nel medesimo periodo l'avvento di Casa d'Austria farà sì che il Covolo sia via via inutilizzato e verso il 1700 ne resterà solo qualche resto. Altre fortificazioni si trovavano sul versante sinistro dell'Astico, nella stretta valle tra Barcarola e Scalini, dove nel 1311 gli Scaligeri edificarono un'enorme torre con un complesso di fortificazioni, forse in luogo di un presidio già costruito dal Vescovo di Padova.[7]
Il dominio veneziano
modificaNel 1404 la Serenissima prese il controllo della Val d'Astico, con un notevole sviluppo economico e un'intensificazione di scambi tra montagna e pianura.
Sviluppo economico
modificaAttraverso la Valle dagli altopiani scendevano in pianura attrezzi di legno, formaggi, pelli di lana grezza e legname. Quest'ultimo si trasportava con l'utilizzo di Val Torra presso Casotto e soprattutto la Val d'Assa presso Pedescala. Da qui il Dal Pozzo ci dice che il legname scendeva via fiume fino a Passo di Riva (da dove veniva portato a Vicenza) e quindi per il Bacchiglione fino a Padova[8]. Oltre a queste attività commerciali se ne aggiungono altre legate alla presenza d'acqua a fondovalle. C'erano filande a San Pietro, a Forni, a Cogollo e a Velo, mulini per raffinare l'orzo alla cascata della Civetta (Lastebasse), a Barcarola e a Forni (Valdastico). Il nome di questa località è dovuta alla presenza di fucine per lavorare il ferro, il quale era estratto da vari luoghi nella valle, ma principalmente dalla montagna della Vena, dal nome esplicitamente allusivo. L'alpeggio era un'altra grande attività, soprattutto grazie al diritto di pascolo sul demanio pubblico sull'altipiano, la cui gente doveva scendere in Val d'Astico per usufruire dei servizi forniti da vari artigiani. Fin dal Medioevo numerosi sentieri permettevano questi contatti: i due più importanti erano la Strada del Lancino, verso Lavarone-Trento, e la mulattiera che dalla Val d'Assa saliva al Ghertele ed a Camporovere. La sottomissione da parte della Serenissima, però, scatenò le lotte per il confine al nord, i vassalli imperiali cercarono appunto di prendere il controllo di boschi e pascoli, per incrementare la loro economia. I Visconti avevano affidato il controllo militare ai nobili Velo e ai paesani di Lavarone e Brancafora. Anche Venezia affidò il controllo militare ai Cerati di Forni. Quest'ultimi difesero la valle così bene che nel '400 la stessa Venezia li utilizzò per il diritto di pesca, ed ottennero la giurisdizione di Lavarone, Luserna e una parte di Brancafora. Sotto il loro dominio venne rinforzato il Covolo di Rio Malo.[9][8]
I Lastarolli e la Montagna delle Laste
modificaIl possesso dell'altopiano di Tonezza-Fiorentini-Folgaria e del fondovalle della Valle dell'Astico fu oggetto di aspre contese fin dal medioevo. Il termine più attestato per indicare tale area è quello che troviamo nel Caldogno [10]: è la terra delle Laste. Il conte infatti scrive: «la...Montagna ...delle Laste...si divide in due parti...le Laste di sotto, che al piede sono bagnate dall'Astico... le Laste di Sopra, le quali sul capo d'ogni intorno sono minacciate da più alti monti.. Le Laste di sotto et di sopra s'intrecciano per mezzo di alcuni scaglioni.».
La strada che collega Restele con il passo Sommo di Folgaria sembra quasi la linea di demarcazione tra le Laste Alte (o di Sopra, a monte della strada, il vasto altopiano) e le Laste Basse (o di Sotto, a valle, parte ripida e scoscesa che precipita nel sottostante Astico)[11][12]. Gli abitanti delle Laste, provenienti o dal veronese già nel 1000[13] o da Folgaria stessa[14] o dall'alto vicentino[15] attorno al '500-'600 cominciarono ad essere chiamati dal nome della loro terra: i Lastarolli. Le località in cui vivevano erano Busatti, Giaconi, Snideri, Posta, Tamburinari, Montepiano a fondovalle, S. Fermo e Rustico in altopiano, tutti contadini e pastori salvo pochi addetti ad attività artigianali[16][12]. Per la gestione del territorio già nel 1188 gli uomini di Folgaria avevano giurato fedeltà ai conti Velo[17] e nel 1202 un instrumentum[18] aveva sancito il confine settentrionale del territorio vicentino assegnandolo alla Comunità di Arsiero [19]. Il territorio avrebbe potuto essere amministrato in accordo con i Velo, ma pochi anni dopo i signori di Beseno iniziarono a minacciare la terra delle Laste, per porre il confine in Val Lozza. Nel 1222 i Beseno fondarono la Comunità di Folgaria rivendicando diritti sulle “selve di Pioverna”, le “cime dei monti” fino al “fondo dell'Astico”[20][21].
Iniziarono le dispute. Nel 1285 “Folgaria prestò giuramento di fedeltà e di vassallaggio a Guglielmo di Castelbarco, signore di Rovereto”, casato agli inizi del '300 acquistò Castel Beseno mantenendolo fino al 1456[22]. Nel 1430 Venezia estese la sua influenza sulla Val Lagarina: inviò Andrea Mocenigo, Capitano di Padova, per assegnare “la Valle Orsara e le Laste ai vicentini”, e il doge Foscarini concesse a Folgaria l'emancipazione dai Castelbarco[20][12]. Nel 1448 la Serenissima decise di vendere alla Città di Vicenza la Montagna delle Laste, mentre nel 1470 i conti Trapp, subentrando ai Castelbarco, cominciarono a rivendicarne antichi diritti sul territorio[23][12]. Nel 1535 le dispute confluirono nella “Sentenza Tridentina”, che diede tra l'altro le Laste Alte a Vicenza, l'utile dominio a Folgaria e condannò i Trapp al risarcimento danni[24]. Ma questi non rispettarono la sentenza e le angherie proseguirono[25]. Nel 1605 ci fu pertanto la “Sentenza Roboretana”, che confermò le Laste Alte a Vicenza, diede a Folgaria le Laste Basse e riconobbe a Venezia la sovranità sulle montagne vicentine[26][27]. Ma mentre Lastebasse nel 1612 si ergeva a comune veneto autonomo da Folgaria, quest'ultima impediva ai Lastarolli "la fruizione dei boschi e dei pascoli comunitari"[28], tanto che per difendersi nel 1610 costituirono con Tonezza una milizia volontaria di 125 archibugeri [29].
Dopo vicende alterne, tra cui un attacco dei Folgaretani a "Laste Basse (San Fermo), Pioverna e Giaconi per distruggere i seminati"[30], si giunse al Trattato del 1751, firmato da una Serenissima ormai moritura: il confine di Stato venne posto tra Monte Maggio, Melegna, Pioverna, Valle Orsara fino San Fermo, quello comunale da Pra' Bertoldo lungo la Val Longa fino a rasentare le case di Busatti, dove venne scavato un fossato. Tragico epilogo: il villaggio di San Fermo e Rustico, essendo in territorio di Folgaria, venne raso al suolo e i suoi abitanti mandati profughi a fondovalle, concordando un risarcimento di 16.000 fiorini[31][32]. Furono demolite 44 case, alloggio di 61 famiglie, che a esodo avvenuto furono ricostruite a valle nell'attuale piazza di Lastebasse[33][34].
Nel 1753 i Lastarolli con i 16.000 fiorini acquisirono le Laste Alte, ma Venezia prima e, dopo il 1797, l'Austria diedero aiuti ai Lastarolli, a conferma dello stato di indigenza a cui erano stati ridotti dal Trattato del 1751[35][36]. Infatti nel 1811 furono aggregati al comune di Forni per non aver pagato le imposte fondiarie a Folgaria. Quest'ultima nel 1814, divenuta austriaca, distrusse le pietre di confine alla Porta del Leon (sopra Buse) e in Valle Orsara. Dopo essere passata sotto Rotzo (1818), Lastebasse nel 1843 vide arretrare il confine provinciale su quello comunale da parte della Cancelleria Aulica[37][38]. Ritornata comune autonomo nel 1850, dopo l'annessione del 1866 chiese inutilmente al Regno d'Italia il ripristino del confine sulla linea Monte Maggio-Valle Orsara. Infine nel 1868 l'istituzione della dogana a Busatti rese la vita impossibile per la presenza del confine e del fossato a ridosso delle case, pertanto nel 1882 furono i Lastarolli a far saltare i cippi confinari[39][38]. Sfumata in nulla di fatto nel 1887 la risposta positiva del Governo Regio di ripristinare la distinzione tra confine comunale e statale, come anche la discussione in merito presso la Camera dei Deputati del 1894[40], agli inizi del '900 la vicenda confinaria si intersecò con la realizzazione della cosiddetta Linea dei Forti, soprattutto i forti Cherle, Campomolon e Belvedere. La Grande Guerra provocò l'esodo, il secondo, dei cittadini di Lastebasse. Chi dal 1919 ebbe la fortuna di ritornare, riprese le rivendicazioni.
Nel 1923 infatti, in una nazione vittoriosa sull'Austria, si giunse vicini ad un accordo: Vicenza e Trento discussero fino alla proposta di concedere a Lastebasse la “Fittanza”, area di dirupi rifiutata dai vicentini. Nel 1932 sembrò vicina la soluzione grazie al Prefetto dott. Francesco Piomarta, ma non si giunse a una soluzione conciliativa[41][42].
Concluso il secondo conflitto mondiale, ritornò più pressante la carenza di risorse e il conseguente malcontento, tanto che nacque una sorta di “società segreta”, l'“Orsara”, che si prefiggeva la riconquista delle terre usurpate tramite atti dimostrativi (Munari, cit., pp. 146-7). L'Amministrazione comunale, non condividendo questa soluzione, decise di cercare altre vie. Su consiglio di esperti si decise di rivendicare l'uso civico delle montagne di Folgaria e nel 1952 ne rivolse istanza al Commissariato agli Usi civici di Milano. A tal fine venne designato il Ministero dell'Agricoltura e Foreste quale autorità competente, che nel 1971 diede incarico al Commissario agli Usi Civici di Venezia (Munari, cit., pp. 149-152). Dopo alterne vicende nel 1997 fu nominata una Commissione tecnica d'Ufficio (C.T.U.) di esperti scelti tra i ricercatori dell'Università di Trento (Munari, cit., pp. 156-7). Nel 1998 la commissione giunse a queste conclusioni: il comune di Lastebasse ebbe origine da quello di Folgaria condividendone il demanio civico fino al 1751; tale uso civico non si limitava alle terre sul versante destro dell'Astico (per le quali ebbe il risarcimento di 16.000 fiorini), ma anche sul versante sinistro. Sulla base di tali conclusioni dapprima il Giudice di Venezia indicò al comune di Folgaria un risarcimento a quello di Lastebasse di dieci milioni di euro per la mancata liquidazione dei diritti di tale uso civico, poi, dopo una serie di alterne vicende, nel 2008 si giunse ad una transazione: la Provincia autonoma di Trento corrispose al comune di Lastebasse tre milioni di euro, quest'ultimo rinunciò a rivendicazioni sul territorio di Folgaria. La transazione si inserisce in un accordo di integrazione turistica a investimento congiunto previsto dal Piano di Sviluppo turistico e valorizzazione ambientale del 2004 della Provincia di Trento, che prevede piste da sci, impianti di risalita e strutture nell'area lungo il confine (delibera provinciale 04/06/2004).
Note
modifica- ^ Sartori, pp. 50-54
- ^ a b Carollo, p. 34
- ^ Cevese, p. 163
- ^ Carotta, pp. 35-36
- ^ De Peron, pp. 1-2
- ^ Si veda Fara Vicentino, toponimo che allude a fara, cioè "clan di consanguinei"
- ^ a b Carollo, pp. 34-45
- ^ a b Dal Pozzo, p. 253
- ^ Carollo, pp. 34-35
- ^ Caldogno, manoscritto p. 30
- ^ Munari, p. 11
- ^ a b c d Bellò, p. 108
- ^ Zordan, p. 147
- ^ Caldogno, manoscritto p. 40
- ^ Bottea, p. 81
- ^ Munari, p. 12
- ^ Bortolami, p. 283
- ^ ASVI, Ufficio del Registro, 1422, libro sesto 269v-v271r
- ^ Zordan, p. 174
- ^ a b Munari, p. 22
- ^ Bellò, p. 106
- ^ Teso, p. 10
- ^ Munari, p. 25
- ^ Pompilio Valle, cit., p. 16
- ^ Cevese, pp. 168-169
- ^ Munari, pp. 29-30
- ^ Bellò, p. 121
- ^ Bellò, pp. 121-122
- ^ Cevese, p. 169
- ^ Caldogno, manoscritto p. 32
- ^ Munari, pp. 46-51
- ^ Bellò, pp. 122-123
- ^ Munari, pp. 50-63
- ^ Le cosiddette case nove. cfr. Bellò, p. 123
- ^ Munari, p. 63
- ^ Bellò, p. 123
- ^ Munari, pp. 77-81
- ^ a b Bellò, p. 124
- ^ Munari, pp. 83-86
- ^ Munari, pp. 102-103
- ^ Munari, pp. 139-143
- ^ Bellò, pp. 125
Bibliografia
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