Cephalophus
Cephalophus C. H. Smith, 1827 è uno dei sei generi che costituiscono la tribù dei Cephalophini; ad esso vengono ascritte le quattro specie più grandi di cefalofo. Il nome scientifico si riferisce alla cresta di lunghi peli che si trova tra le corna; in lingua inglese questi animali vengono detti duikers, parola afrikaans che significa «tuffatori», per la loro abitudine di «tuffarsi», entrando a testa bassa anche nei cespugli più fitti se disturbati.[2]
I cefalofi non sono comuni allo stato fossile, ma le specie attuali mantengono molti caratteri presenti nei resti fossili di Bovidi primitivi e talvolta vengono considerati tra le antilopi africane più primitive.[2]
Tassonomia
modificaFino a poco tempo fa, tutti i cefalofi, ad eccezione della silvicapra (Sylvicapra), venivano assegnati al genere Cephalophus, ma già nel 2001 Peter Grubb e Colin Peter Groves riconobbero Philantomba come genere distinto in uno studio del 2001; lo stesso studio rivelò l'esistenza di tre distinte linee evolutive in seno a Cephalophus. La prima comprendeva i cefalofi giganti, come il cefalofo di Jentink e il cefalofo dorsale, la seconda i cefalofi rossi dell'Africa occidentale, come il cefalofo di Peters e il cefalofo di Ogilby, e la terza i cefalofi rossi dell'Africa orientale, come il cefalofo rosso e il cefalofo dalla fronte nera.[3] Un altro studio genetico del 2012 confermò pressoché esattamente questi risultati. Tuttavia, esso dimostrò che né il cefalofo di Aders né il cefalofo zebra potevano essere assegnati con precisione a uno di questi tre gruppi. Come ulteriore risultato, la silvicapra si rivelò essere una specie gemella dei cefalofi giganti e quindi un taxon più profondamente radicato nel genere Cephalophus di quanto originariamente ipotizzato: stando così le cose, il genere Cephalophus doveva considerarsi parafiletico.[4] Di conseguenza, gli studiosi iniziarono a discutere se le varie specie di cefalofi rossi dovessero essere escluse da Cephalophus: a tale scopo, venne suggerito per loro un nome generico alternativo, Cephalophorus. Nello stesso contesto, venne valutata l'istituzione di due nuovi generi monotipici, Leucocephalophus per il cefalofo di Aders e Cephalophula per il cefalofo zebra.[5][6] La tassonomia generale dei cefalofi stabilita dagli studi del 2001 e del 2012 è stata supportata da un'ulteriore analisi genetica del 2019.[7] Nel 2022, nell'ambito di un altro studio genetico, si sono aggiunte nuove prove a quanto era già stato ipotizzato e il genere Cephalophus è stato suddiviso.[8]
Attualmente, al genere Cephalophus sono ascritte solamente le seguenti quattro specie:
- cefalofo dorsale o cefalofo dalla schiena nera - Cephalophus dorsalis Gray, 1846;
- cefalofo di Jentink - Cephalophus jentinki Thomas, 1892;
- cefalofo dei boschi o cefalofo dalla schiena gialla - Cephalophus silvicultor (Afzelius, 1815);
- cefalofo di Abbott - Cephalophus spadix True, 1890.
Descrizione
modificaAl genere Cephalophus sono ascritti i cefalofi più grandi. Le loro dimensioni variano dai 70-100 cm di lunghezza per un peso di 19-25 kg del cefalofo dorsale ai 115-145 cm di lunghezza per un peso di 45-80 kg del cefalofo dei boschi. Le corte zampe anteriori e le posteriori più lunghe, la forma arcuata del corpo consentono ai cefalofi di scivolare facilmente nella vegetazione fitta.
I sessi sono simili all'apparenza, sebbene le femmine siano più lunghe dei maschi di quasi il 4%.[2] Le corna, corte e coniche, sono presenti in entrambi i sessi.[2] La colorazione varia a seconda delle specie: il cefalofo dorsale ha un manto che va dal giallo-marrone al marrone rossastro, con una striscia dorsale nera dal naso alla coda; il cefalofo di Abbott presenta una colorazione uniforme dal marrone nocciola scuro al nero; il cefalofo dei boschi ha il manto interamente marrone nerastro, eccetto una placca gialla sulla parte posteriore; ma la colorazione più particolare è quella del cefalofo di Jentink, che presenta testa e collo neri, spalle bianche e dorso e posteriori brizzolati «sale e pepe».[2]
Distribuzione e habitat
modificaTutte e quattro le specie di Cephalophus vivono nelle foreste tropicali dell'Africa occidentale e centrale. Le specie più diffuse sono il cefalofo dorsale e quello dei boschi: il primo è presente dalla Guinea-Bissau fino alla Repubblica Democratica del Congo a est e all'Angola a sud, il secondo dalla Guinea-Bissau fino al Sudan del Sud e all'Uganda a est e allo Zambia a sud. Le restanti due specie occupano invece areali circoscritti: il cefalofo di Jentink è presente solamente in Guinea, Sierra Leone e Liberia, e quello di Abbott popola solamente le foreste di alta montagna della Tanzania.
Biologia
modificaLa storia naturale di queste specie è poco conosciuta a causa della impenetrabilità del loro ambiente naturale e della loro natura riservata.[2] Il cefalofo dorsale dovrebbe essere attivo sia di giorno sia di notte, ma alcune specie sono attive solo durante il giorno, mentre altre, come il cefalofo dorsale, sono attive solo di notte.[2] I cefalofi sono principalmente brucatori e richiedono un cibo di alta qualità a causa della loro taglia relativamente piccola.[2] Si nutrono di foglie, frutta, germogli, gemme, semi e cortecce.[2] Talvolta catturano piccoli uccelli e roditori e all'occasione si nutrono anche di insetti e carogne.[2]
I cefalofi posseggono grosse ghiandole olfattive dietro agli occhi.[2] La struttura di queste ghiandole differisce da quella delle ghiandole preorbitali che si trovano nelle altre antilopi.[2] La secrezione, che può essere chiara o bluastra in alcune specie, viene emessa attraverso una serie di pori invece che attraverso una singola grande apertura.[2] In cattività molti cefalofi strofinano queste ghiandole sugli steccati, sugli alberi o su altri oggetti a loro disposizione.[2] Questo comportamento di solito è stato interpretato come marcatura territoriale.[2]
La gestazione, almeno nel cefalofo dorsale, dura 7,5-8 mesi. La longevità allo stato libero è sconosciuta, ma in cattività alcuni esemplari possono vivere fino a 10-15 anni.
Note
modifica- ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Cephalophus, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o Macdonald, D.W. (2006) The Encyclopedia of Mammals. Oxford University Press, Oxford.
- ^ Bettine Jansen van Vuuren e Terence J. Robinson, Retrieval of Four Adaptive Lineages in Duiker Antelope: Evidence from Mitochondrial DNA Sequences and Fluorescencein Situ Hybridization, in Molecular Phylogenetics and Evolution, vol. 20, n. 3, 2001, pp. 409-425.
- ^ Anne R. Johnston e Nicola M. Anthony, A multi-locus species phylogeny of African forest duikers in the subfamily Cephalophinae: evidence for a recent radiation in the Pleistocene, in BMC Evolutionary Biology, n. 12, 2012, p. 120.
- ^ Alexandre Hassanin, Frédéric Delsuc, Anne Ropiquet, Catrin Hammer, Bettine Jansen van Vuuren, Conrad Matthee, Manuel Ruiz-Garcia, François Catzeflis, Veronika Areskoug, Trung Thanh Nguyen e Arnaud Couloux, Pattern and timing of diversification of Cetartiodactyla (Mammalia, Laurasiatheria), as revealed by a comprehensive analysis of mitochondrial genomes, in Comptes Rendus Biologies, n. 335, 2012, pp. 32-50.
- ^ Colin Groves, Current taxonomy and diversity of crown ruminants above the species level, in Zitteliana, vol. 32, 2014, pp. 5-14, DOI:10.5282/ubm/epub.22382.
- ^ Taghi Ghassemi-Khademi e Kordiyeh Hamidi, Re-evaluation of Molecular Phylogeny of the Subfamily Cephalophinae (Bovidae: Artiodactyla); with Notes on Diversification of Body Size, in Jordan Journal of Biological Sciences, vol. 12, n. 5, 2019, pp. 637-647.
- ^ Eva V. Bärmann, Vera G. Fonseca, Kathrin Langen e Prince Kaleme, New insights into the taxonomy of duiker antelopes (Artiodactyla: Bovidae) from the eastern Democratic Republic of the Congo, with the formal description of a new genus, in Mammalian Biology, 2022, DOI:10.1007/s42991-022-00279-7.
Bibliografia
modifica- Groves C. & Grubb P., Ungulate Taxonomy, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2011, ISBN 978-1-4214-0093-8.
- Ronald M. Nowak: Walker's Mammals of the World. Johns Hopkins University Press, 1999 ISBN 0-8018-5789-9
- D. E. Wilson, D. M. Reeder: Mammal Species of the World. Johns Hopkins University Press, Baltimore 2005. ISBN 0-8018-8221-4
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