Discussione:Ars amatoria
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Segnalo lo spostamento in discussione di alcuni contenuti
modificaSegnalo che ho spostato la sezione "Conseguenze della pubblicazione" qui nella pagina di discussione: Sette anni dopo la pubblicazione dell'Ars amatoria, un ordine dell'imperatore Augusto intima a Ovidio di abbandonare immediatamente e da solo la città. In concomitanza con questo provvedimento, la sua raccolta poetica viene bandita dalle biblioteche pubbliche e la sua lettura proibita all'interno sia di luoghi pubblici che privati. L'accusa mossa nei confronti del poeta è quella di essere autore di un manuale che induce i lettori alla trasgressione dei valori sociali di famiglia e amore, vigenti da sempre a Roma.
Questa severità è meglio comprensibile se vista all'interno del contesto storico. Proprio in quel periodo infatti, Augusto stava conducendo una guerra contro il lusso sfrenato, lo sperpero e la corruzione dei costumi, colpe di cui si stava macchiando la società benestante di Roma.
Inoltre, il principe vide Ovidio come una delle cause che avevano portato sia la figlia, Giulia maggiore, che la nipote Giulia minore all'adulterio. Mostrandosi come promotore del risanamento morale, Augusto aveva punito duramente entrambe. Per la sua condotta, infatti, Giulia maggiore era stata costretta all'esilio sull'isola di Pandataria, l'odierna Ventotene. Mentre sua nipote, Giulia minore, protagonista di uno scandalo ancora più clamoroso di quello che aveva coinvolto anni prima la madre, venne relegata, a soli ventisette anni, su una delle isole Tremiti, dove fu costretta a a passare il resto della sua vita.
La stessa sorte tocca a molti personaggi illustri della società romana, ritenuti in qualche modo responsabili dello scandalo. Tra questi vi era anche Ovidio. Egli, nei Tristia, tenta di giustificarsi dicendo di essere colpevole solo di aver visto involontariamente qualcosa che non gli era lecito vedere.
Ovidio nega con convinzione la sua responsabilità nello scandalo che lo vede coinvolto e cercando di discolparsi dall'accusa di aver indotto le nobili matrone agli amori illeciti, durante l'esilio afferma: «ho rispettato quel che lo stato verginale e matriale comporta e se la matrona vorrà mio malgrado servirsi delle mie arti, non dettate per lei, io non ne ho colpa: perché una donna vaga di malfare, potrà da ogni carme, anche di Ennio, anche di Lucrezio, ricavare le lusinghe del peccato». Tuttavia le parole di Ovidio non furono sufficienti per mitigare l'animo dell'imperatore e con esso il provvedimento
In realtà la vera colpa dell'Ars risiede nel fatto di aver dipinto involontariamente, un affresco dettagliato della vita delle classi ricche Romane e di mettere in luce quei difetti della società che fino a quel momento erano stati taciuti e nascosti in gran segreto. Gli stessi che Augusto si proponeva di correggere promulgando due leggi contro l'adulterio: la lex papia poppaea e la lex Iulia de adulteriis coercendis.
La ragione dello spostamento/scorporo che ho operato è che, a mio giudizio, il paragrafo è:
- Non-neutrale: descrive l'esilio di Ovidio secondo un punto di vista parziale, ovvero che l'Ars amatoria sia stata la causa della sua disgrazia agli occhi di Augusto; chi ha fatto anche solo degli studi classici, come me, sa bene che questa è solo una delle tante ipotesi.
- E' troppo lungo in proporzione alla trattazione della voce ed ha un taglio biografico: qualora lo si voglia reintegrare, sarà bene operare dei tagli opportuni che riducano anche il tono biografico, che svicola molto dall'argomento della voce, essenzialmente letterario.
- Mancano le fonti: prima di reintegrarlo, se lo si vuol fare, è necessario citare le fonti.