Giulia Livia
Giulia Livia, conosciuta anche come Giulia Livilla (in latino Iulia Livia; nelle epigrafi: IVLIA•DRVSI•CAESARIS•FILIA[2]; 4 – 43), è stata una nobildonna romana, appartenente alla dinastia giulio-claudia.
Giulia Livia | |
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Busto di Giulia Livia | |
Nome completo | Iulia Livia |
Nascita | 4 |
Morte | 43 |
Dinastia | giulio-claudia |
Padre | Druso minore |
Madre | Claudia Livilla |
Coniugi | Nerone Cesare (20-30) Gaio Rubellio Blando (33-38 ca.) Seiano (dibattuto)[1] |
Figli | da Rubellio Rubellio Druso Rubellio Plauto Rubellio Blando Rubellia Bassa |
Origini familiari
modificaGiulia Livia nacque da Druso minore, figlio di Tiberio e Vipsania Agrippina, e da Claudia Livilla, figlia di Druso maggiore e Antonia minore. Era pertanto nipote adottiva di Augusto, nipote di Germanico, cugina di Gaio Cesare "Caligola", nipote di Claudio e zia di Nerone. Aveva due fratelli gemelli minori, nati circa quindici anni dopo di lei: Tiberio e Germanico Gemello.
Biografia
modificaNel 14, mentre Augusto stava morendo, Giulia era malata e lo stesso imperatore chiese delle sue condizioni subito prima di morire.[3]
Nel 20, appena dopo la morte di Germanico, Giulia ne sposò il figlio maggiore, Nerone Cesare, il più prossimo alla linea di successione imperiale.[4] Nerone e la madre Agrippina vennero in seguito perseguitati da Seiano, potente prefetto del pretorio sotto Tiberio, che aspirava a prendere il potere e nel 30 Nerone morì in esilio a Ponza.[5][6][7]
Nel 33, si risposò con Gaio Rubellio Blando, anziano consolare (suffetto nel 18) di famiglia equestre originaria di Tivoli, ma il matrimonio fu visto come un ennesimo atto di mortificare la discendenza di Germanico.[8] Dal secondo marito Giulia ebbe probabilmente quattro figli: Rubellio Druso, Rubellio Plauto, Rubellio Blando e Rubellia Bassa.
Nel 43, un agente dell'imperatrice, Valeria Messalina, moglie di Claudio, accusò falsamente Giulia di incesto e immoralità. L'imperatore, suo zio, non fece niente a favore della nipote ma la fece condannare a morte. Giulia, probabilmente, si tolse la vita prima di essere uccisa.[9]
Note
modifica- ^ Ci sono numerose indicazioni sul fatto che Seiano fosse entrato a far parte della casa imperiale sposandone un membro. Infatti Marco Terenzio definisce Seiano nel suo discorso riportato da Tacito (VI, 8) Claudiae et Iuliae domus partem, quas adfinitate occu paverat. Il nome di Giulia Livia come promessa in sposa a Seiano appare in Cassio Dione, LVIII, 3.9, ma questo potrebbe essere semplicemente un refuso. Secondo Jane Bellamore e altri studiosi, sarebbe stata Claudia Livilla la seconda moglie di Seiano. Infatti, nei Fasti ostienses, viene riportato che la moglie di Seiano si suicidò otto giorni dopo il marito. Considerato che Giulia Livia visse per altri dodici anni dopo la morte di Seiano e che Livilla era già stata amante del prefetto a lungo, è del tutto possibile che Seiano si fosse sposato con la seconda piuttosto che con la prima. Che la persona riportata sui Fasti sia Apicata, è poco probabile, dato che questa nel 31 non era più la moglie del prefetto, e comunque secondo Dione Apicata si tolse la vita solo dopo aver visto i corpi dei figli (Cassio Dione, LVIII, 11.6) la morte dei quali, come ci riportano gli stessi Fasti, avvenne a novembre/dicembre.
- ^ Groag, Stein, Petersen 1933, I 636.
- ^ Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 99.
- ^ Tacito, Annales, III, 29.
- ^ Tacito, Annales, V, 2.
- ^ Tacito, Annales, V, 3.
- ^ Svetonio, Vite dei Cesari, Gaio Cesare, XV.
- ^ Tacito, Annales, VI, 27.
- ^ Barrett 1996, 87; 104.
Bibliografia
modifica- Fonti antiche
- Svetonio, De Vita Caesarum, libri II-IV.
- (IT) Vite dei Cesari — traduzione in italiano di Progettovidio;
- (EN) The Lives of the Twelve Caesars — traduzione in inglese di John Carew Rolfe.
- Tacito, Annales, libri III-V-VI.
- Fonti moderne
- Edmund Groag, Arthur Stein, Leiva Petersen, Prosopographia Imperii Romani saeculi I, II et III, Berlino, Accademia delle scienze, 1933.
- Anthony Barrett, Agrippina: Sex, Power and Politics in the Early Roman Empire, New Haven, Yale University Press, 1996.
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