I libri lintei furono un insieme di scritti dell'annalistica a Roma redatti su lino, secondo una tecnica attribuita agli Etruschi[1].

Il testo romano riportava una lista di magistrati romani a partire dalla data di inizio della repubblica romana (509 a.C.) e il testo di alcuni antichi trattati

Secondo una recente teoria[senza fonte] si sarebbe trattato di annotazioni originariamente redatte dai funzionari sulle loro vesti in lino.

I rotoli di lino conosciuti con questo nome sono riportati come conservati nel tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio[2] ed erano attribuiti al IV secolo a.C., ma probabilmente la loro redazione risaliva alla metà del II secolo a.C.

Lo storico Tito Livio[3] racconta che citazioni dai libri lintei erano riportate nella Storia di Roma scritta dall'annalista Gaio Licinio Macro (morto nel 66 a.C.) e che furono utilizzati come fonte anche da Elio Tuberone[4].

L'uso di scrivere testi e annotazioni su teli di lino continuò anche in epoca tardo imperiale: nell'Historia Augusta la biografia dell'imperatore Aureliano è introdotta dal racconto di come Flavio Vopisco, l'autore, ottenne dal prefetto urbano il permesso di consultare per la redazione dell'opera i libri lintei sul quale l'imperatore faceva annotare giorno per giorno le vicende che lo riguardavano e che erano conservati nella biblioteca del Foro di Traiano.

  1. ^ Un esemplare di testo etrusco, un calendario religioso, realizzato con questa tecnica è costituito dal telo di lino (originariamente una striscia lunga 3,40 m e larga 35 cm) che fu esportato in Egitto e riutilizzato nel I secolo per le bende della mummia di una donna (mummia di Zagabria).
  2. ^ Tito Livio, Ab urbe condita, 7,28,6.
  3. ^ Tito Livio, Ab urbe condita, 4,20,8.
  4. ^ Tito Livio, Ab urbe condita, 4,23.

Bibliografia

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  • Francesco Roncalli di Montorio, "Osservazioni sui libri lintei degli Etruschi", in Atti dellaPontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti, 51-52, 1978-80, pp.3-21.
  • Giulia Piccaluga, "La specificità dei libri lintei romani", in Scrittura e civiltà, 18, 1994, pp.5-22.
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