Hormoz (città)

città dell'Iran
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Hormoz (farsi هرمز), o Hormuz, è una città dello shahrestān di Qeshm, circoscrizione di Hormoz, nella provincia di Hormozgan in Iran. Si trova sull'isola di Hormuz. Aveva, nel 2006, una popolazione di 5.699 abitanti.

Hormoz
città
هرمز
Hormoz – Veduta
Hormoz – Veduta
Localizzazione
StatoIran (bandiera) Iran
ProvinciaHormozgan
ShahrestānQeshm
CircoscrizioneHormoz
Territorio
Coordinate27°05′N 56°27′E
Altitudinem s.l.m.
Abitanti5 699[1] (2006)
Altre informazioni
Fuso orarioUTC+3:30
Cartografia
Mappa di localizzazione: Iran
Hormoz
Hormoz

Marco Polo visitò la città per due volte nel 1272 e nel 1293 fornendo una dettagliata descrizione.[2]

«Dopo due giornate di cammino si giunge al Mare Oceano. Sulla riva c’è appunto la città di Cormosa con un ottimo porto. Pensate che questo è l’approdo dei mercanti indiani che vi arrivano per mare portando carichi di ogni quantità di spezie, pietre preziose di ogni tipo, perle, tessuti d’oro, zanne di elefanti e tante diverse mercanzie. In città le rivendono ad altri mercanti che poi le portano in tutto il mondo. È una città di intensissimi traffici ed ha sotto il suo dominio molte altre città e borghi tra i quali essa è capitale. Il re si chiama Maimodi Acomat. La terra è malsana per il calore intensissimo che emana dal sole molto ardente; e quando muore un mercante straniero il re si impadronisce di tutti i suoi beni.
In questa terra si fa vino di datteri, un vino speziato e davvero ottimo. Se lo beve uno che non vi è abituato agisce come una forte purga; ma poi gli fa bene e lo fa ingrassare. Gli abitanti non mangiano i cibi che mangiamo noi, pane di grano e carne, perché si ammalerebbero, e per vivere sani mangiano datteri e pesce salato, per esempio tonno; mangiano anche molte cipolle; e questi sono i cibi che si confanno al loro clima.
Le navi sono malfatte e spesso affondano non essendo le assi inchiodate con chiodi di ferro, ma cucite col filo che si ricava dal guscio delle noci d’India. Fanno macerare questo guscio finché diventa come crine di cavallo che non si guasta nell’acqua marina ed è molto resistente. Ciascuna nave ha un albero, una vela, un timone e sono senza coperta. Non avendo ferri per ancorare adoperano cavicchi di legno o altri strumenti; ed è perciò molto rischioso navigare per mare in quei luoghi su quelle navi che spesso affondano perché nel Mare d’India le tempeste sono frequenti.
La popolazione è di pelle scura e adora Maometto. D’estate nessuno resta in città perché il caldo ucciderebbe tutti. Vanno fuori, ai loro giardini dove c’è abbondanza di corsi d’acqua; si costruiscono, presso le rive dei fiumi e dei ruscelli, graticci che da un lato poggiano sulla riva e dall’altro su pali confitti nell’acqua. Per difendersi dal sole fanno un tetto di foglie, ma non si salverebbero nemmeno là se non fosse per quello che sto per dirvi. Più volte, durante l’estate, dalla terra sabbiosa che circonda la pianura si alza un vento tanto caldo che ucciderebbe le persone se al suo primo annunciarsi non si affrettassero ad immergersi fino al collo nelle acque; e così riescono a salvarsi.
Messer Marco, che si trovava da quelle parti quando avvenne una simile calidità, raccontò questo: non avendo il signore di Cormosa pagato il tributo al re di Cherman, questi pretese di averlo in un tempo nel quale gli uomini di Cormosa risiedono lontano dalla città, nel retroterra. Il re di Cherman fece preparare mille e seicento cavalieri e cinquemila pedoni e li mandò attraverso la contrada di Reobar per prenderli di sorpresa.
Ora accadde che i soldati, per essere mal guidati e non potendo arrivare al luogo designato per il calar della notte, si riposarono in un bosco non molto lontano da Cormosa. La mattina si mossero per partire; ma essendosi levato quel vento così caldo, furono soffocati in modo che non si trovò nessuno che portasse la notizia al loro signore. Saputa la cosa, gli uomini di Cormosa andarono a seppellire quei corpi perché non infettassero l’aria; e afferrandoli per le braccia per metterli nelle fosse, li trovarono così cotti dal grandissimo calore che le loro braccia si distaccavano dai busti. Bisognò fare le fosse vicino ai morti e gettarle in quelle.
Aggiungerò che seminano il frumento e le altre biade a novembre e fanno il raccolto a marzo; e lo stesso fanno di ogni altro vegetale perché in marzo si raggiunge lo sviluppo di ogni frutto. Dopo marzo non si trova un filo d’erba per tutta la terra salvo i datteri che durano però fino a maggio: il caldo dissecca ogni cosa.
Sulle navi voglio dirvi ancora che esse non sono impeciate ma unte con l’olio di pesce per non fare infradiciare il legno.
Quando muore qualcuno, uomo o donna, fanno un gran compianto. Le vedove piangono il marito per ben quattro anni dopo la sua morte e lo piangono ad alta voce almeno una volta al giorno; radunano i parenti e i vicini, e con grandi pianti e grida lamentano il morto; e poiché le morti sono abbastanza frequenti le lamentazioni non cessano mai. Si possono trovare in questo paese donne molto abili nel piangere che per un prezzo convenuto piangono quanto si vuole sulle tombe altrui.»

Due secoli più tardi pure il mercante e viaggiatore russo Afanasij Nikitin passò due volte da questa città.


Monumenti e luoghi d'interesse

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Veduta della città di Hormuz
  1. ^ Il dato proviene dal sito World Gazetteer, che non esiste più e non è stata trovata una copia disponibile.
  2. ^ HORMUZ ii. ISLAMIC PERIOD – Encyclopaedia Iranica, su iranicaonline.org. URL consultato il 17 gennaio 2016.

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