Tempo di uccidere (Flaiano)

romanzo scritto da Ennio Flaiano

Tempo di uccidere è un romanzo scritto da Ennio Flaiano pubblicato dalla casa editrice Longanesi nell'aprile 1947 e vincitore nello stesso anno della prima edizione del premio Strega,[1]. La critica nei mesi successivi non risparmiò recensioni severe e poco entusiaste al libro e al suo autore, ma in seguito il romanzo, relativamente lontano dai caratteri neorealisti tipici del periodo, e dall'atmosfera a tratti surreale, venne paragonato alle opere esistenzialiste di Albert Camus e Jean-Paul Sartre. Per la sua originale inventiva onirica basata sull'assurdo, insieme ad alcune opere di Tommaso Landolfi, Dino Buzzati e Alberto Savinio, il romanzo è considerato come una delle più importanti opere italiane rappresentative di un filone letterario non oggettivo e rivolto agli aspetti surreali del narrare.[2]

Tempo di uccidere
Copertina originale del romanzo
AutoreEnnio Flaiano
1ª ed. originale1947
Genereromanzo
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneEtiopia, 1936

Scrittura del libro e temi

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Il volume rappresenta un unicum nella carriera di Flaiano, il quale durante la sua attività letteraria pubblicherà diversi testi brevi, articoli e critiche letterarie, ma mai nessun altro romanzo. Il testo presentato a Leo Longanesi era stato originariamente intitolato Il coccodrillo ma per volere dell'editore Flaiano dovette cambiare rapidamente il titolo[3] per mandare alla stampa il testo, la cui tiratura venne ultimata a fine aprile 1947, soddisfacendo il volere e le tempistiche di Longanesi, il quale aveva chiesto appena quattro mesi prima all'amico Flaiano di scrivere un romanzo da pubblicare in breve tempo. Fu inoltre Longanesi ad insistere particolarmente a che il romanzo partecipasse al premio Strega[4].

Ambientato durante la guerra d'Etiopia, il romanzo narra la storia di un ufficiale del Regio Esercito il quale, dopo un incontro intimo con una ragazza indigena, la uccide in seguito ad un incidente e, dopo aver scoperto che il turbante indossato dalla ragazza è il segno di distinzione dei lebbrosi, inizia una peregrinazione introspettiva piena di rimorsi e frustrazioni attraverso un'Etiopia che nella mente scossa del protagonista assume connotati fantasiosi, grotteschi e quasi mistici[4]. Lo stesso Flaiano nell'autunno del 1935 era stato imbarcato per l'Etiopia con il grado di sottotenente; di questa esperienza egli lascerà alcune lettere scritte all'amico Orfeo Tamburi e il diario Aethiopia, che presenta caratteristiche letterarie e i toni ironici e distaccati che sarebbero stati più tardi ritrovati in Tempo di uccidere[2].

Durante l'invasione italiana dell'Etiopia, un ufficiale che vaga verso l'altopiano etiopico alla ricerca di un dentista che curi il suo dolore, si perde e per caso incontra una ragazza indigena con il turbante, con cui ha un rapporto intimo e che finirà dapprima per ferire accidentalmente e quindi uccidere un po' per pietà un po' per egoismo[2], mentre i due si trovano in una zona isolata. Invaso dal rimorso, il protagonista torna al campo base sulla costa e ottiene una licenza di quaranta giorni. Inizia un susseguirsi di vicissitudini che portano il protagonista sull'altipiano, dove vede alcune ragazze con un turbante analogo: gli viene spiegato da un collega che esse sono delle lebbrose, quindi intoccabili. Angosciato dal dubbio di essere stato contagiato, si reca da un medico, non per farsi visitare con il rischio di un lungo ricovero in un luogo così inospitale, bensì per aver informazioni sulla malattia. Trova poi un libro che descrive con esattezza le condizioni della sua mano, dacché si convince di aver contratto anche lui la lebbra.

Impaurito, anche per via di una possibile denunzia da parte del medico, cerca di sparargli ma sbaglia mira e scappa convinto ormai che sarà denunciato. Fugge così fino a Massaua, porto da cui le navi salpano per l'Italia, tuttavia il terrore di essere fermato per quanto accaduto con il medico lo induce a nascondere la sua identità e a cercare un imbarco clandestino, per il quale però non ha abbastanza denaro. Fa così la conoscenza di un maggiore arricchitosi con commerci illegali e lo segue durante uno spostamento su un camion da quegli guidato verso l'altipiano. Durante il tragitto, trova il modo di derubarlo e sceso a terra, prima di fuggire, svita il dado che regge una ruota del veicolo, in modo da liberarsi di lui senza possibilità di essere accusato. Il piano però sembra non riuscire e il camion continua la sua corsa, gettando il soldato nella disperazione: alla possibile denuncia da parte del medico si sarebbe assommata quella del maggiore per furto.

Resta così a vagare per la boscaglia, trovando rifugio in un piccolo villaggio dove vive solo un àscari, Johannes, ormai vecchio e stanco, rimasto per custodire i morti. Lì - dopo un inizio difficile e scontroso - i due iniziano una convivenza di stentata sopportazione reciproca fino a che il vecchio non curerà le piaghe del soldato e questi, ormai stanco, deciderà di tornare al comando per costituirsi. Arrivatovi, racconta la sua storia scoprendo che nessuno l'aveva denunciato e che, essendo la sua licenza scaduta solo da poco, non era neppure da considerarsi un disertore. Formalmente, dunque, non pagherà per le sue azioni e con gli altri soldati prende mestamente la via del ritorno in Italia, tuttavia la sua coscienza continua a essere tormentata per quelle denunce non ricevute ma che egli sente di meritare. Pare sopravvivere quindi alla lebbra, ma resta dentro di lui il dubbio che possa averla davvero contratta, perché essa «per manifestarsi, richiede a volte dieci o vent'anni».
Al proposito così si espresse Flaiano: «forse non si tratta più di lebbra, si tratta di un male più sottile e invincibile ancora, quello che ci procuriamo quando l'esperienza ci porta cioè a scoprire quello che noi siamo veramente. Io credo che questo sia non soltanto drammatico, ma addirittura tragico»[4].

Edizioni

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  • Tempo di uccidere, Collana La Gaja Scienza n.21, Milano, Longanesi, 1947, p. 385.
  • Tempo di uccidere , Milano Longanesi 1966
  • Tempo di uccidere, Collana La scala, Milano, Rizzoli, 1973, p. 272.
  • Tempo di uccidere, Introduzione di Sergio Pautasso, Collana BUR, Milano, Rizzoli, 1980, p. 273.
  • Tempo di uccidere, Prefazione di Paolo Mieli, Collana I Grandi Romanzi Italiani n.27, Milano, RCS Quotidiani, 2003.
  • Tempo di uccidere, Prefazione di Maria Bellonci, Collana Premi Strega, Torino, UTET, 2006, p. 332, ISBN 88-02-07437-2.
  • Tempo di uccidere, Collana Contemporanea, Milano, BUR, 2013, p. 312, ISBN 978-88-17-06708-9.
  • Tempo di uccidere, a cura di Anna Longoni, Collana Fabula n.360, Milano, Adelphi, 2020, ISBN 978-88-459-3515-2.

Opere derivate

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Altri media

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  1. ^ 1947, Ennio Flaiano, su premiostrega.it. URL consultato il 9 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2019).
  2. ^ a b c FLAIANO, Ennio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^ La casa editrice aveva appena pubblicato La vita del Camaleonte di Fernand Angel e Parliamo dell'elefante, così Leo Longanesi chiese a Flaiano di cambiare titolo altrimenti, come ebbe sarcasticamente a dire: «facciamo un giardino zoologico». Vedi: Gabriele Sabatini, Ennio Flaiano. Tempo di uccidere, su doppiozero.com. URL consultato il 16 agosto 2017.
  4. ^ a b c Gabriele Sabatini, Ennio Flaiano. Tempo di uccidere, su doppiozero.com. URL consultato il 16 agosto 2017.

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