Joshg
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Come mamma non posso che essere solidale con il tuo spavento ma come wikipediana ti invito a leggere Aiuto:Pagina utente dove sono decritti scopi e uso della pagina utente :-D Ciao e benvenuto ;-) --Civvì talk 21:56, 13 mag 2006 (CEST)
Ahi ahi ahi… e arrivò il giorno della prima parolaccia di mia figlia! A chi non è capitato. Beh… si dice sempre così ma quando successe a me rimasi di ghiaccio poiché non avrei mai immaginato un'espressione così "colorita" in bocca di mia figlia… Jessica aveva due anni da poco e aveva iniziato a frequentare l'asilo nido. Andava tutto bene e si divertiva molto. Un pomeriggio, uscendo con la macchina per accompagnarla alla scuola, esordì così con tono ilare: "Papà…. Porca T…a!!!" Mi sentii gelare. Mi trovavo ancora nel mio giardino e bloccai la mia auto, mi girai verso mia figlia e, per immediata reazione, stavo per agitarmi e per dirle che quelle parole non si dovevano dire ecc. ecc. Era la prima volta che Jessica usava un termine così pesante. Mi fermai qualche secondo e la fissai: lei mi guardava con la dolcezza di sempre e sorridendo ingenuamente; mi fece chiaramente capire con quanta innocenza si era espressa: non aveva quell'aria maliziosa di chi volesse combinarne qualcuna… Questo mi rasserenò, mi fece riflettere e comunque le dissi: "Jessica mia, ascoltami. Chi ti ha detto questa parola?" Jessica: "Paola., la mia amica." "Bene Jessi, Ok. Ti voglio dire una cosa importante. Questa parola non è bella e tu forse non lo sapevi… è vero?" Jessica: "Si papi non lo sapevo." "Tu puoi dire quella parola, ok? Però sappi che è molto volgare, davvero di cattivo gusto e se la dirai quando ti trovi insieme alle altre persone, esse possono restare un po' serie e forse un po' offese e tristi perché Porca T…a è una parola di cattivo gusto. Comunque, amore mio, fai come vuoi." Jessica: "va bene papi…" Quel giorno usai un bel po' di coraggio come papà educatore. Volevo vedere, in questo modo, che cosa succedeva; il mio intento era quello di provocare la sua curiosità per non reprimere un suo gesto anche se, questo fatto, era da verificare e da gestire. Con questo modo d'educare un po' "contro corrente" mi aspettavo delle risposte indirette dalla mia bambina. Credevo anche che il concetto della "verità" funzionasse ancora una volta per crescere meglio la mia bambina. Ero altresì fiducioso di averla indirizzata verso la giusta direzione. Stavo nuovamente valutando il mio comportamento prima del suo. Come concetto di vita penso che "funziona ciò che vedi funzionare" e ciò che funziona non è consigliabile cambiarlo. In più non ho mai pensato di avere assolutamente ragione su niente e su nessuno… Fino a quel giorno le cose erano andate piuttosto bene e, se nel caso specifico, trovavo delle difficoltà, avrei prontamente modificato o cambiato il mio stile d'educazione verso la mia bambina. Dovevo anche tener conto che la piccola Paola, la sua amichetta, era figlia di due simpaticissime persone che, tuttavia, usavano nella quotidianità, termini, non così corretti e "oxfordiani"… ecco perché detti credito alla risposta di mia figlia. Non ne parlai più. Dopo due giorni, sempre in auto, Jessica ribadì: "Papi ma è vero che Porca T…a è una parola volgare di cattivo gusto?" Ecco il normale senso della curiosità e dell'immaginazione dei bambini. Io volevo proprio usare questo viatico per persuadere equamente mia figlia a non dire parolacce. Volevo usare la sua stessa energia per darle la giusta informazione. Usando la sua energia era probabile trovassi il suo "accordo". In questa dimensione speravo di comunicarle "fai la cosa giusta" e non più "fai come ti pare"… "Oh! Si amore mio è proprio così! Brava che me lo hai fatto notare! Dillo anche alla tua mamma che forse non lo sa. Aiutami ti prego ad informarla…". Coinvolgendo anche la figura della sua mamma come se anche lei avesse questo tipo di bisogno, cercavo di "spingere" ancora di più la Jessica per farle scoprire "le differenze" fra le buone e le cattive parole. Contemporaneamente, volevo che lei trattasse tale argomento non solo in una posizione di subordinazione nei confronti dei genitori ma anche in uno stato di indipendenza e di libertà. Ho sempre creduto nella libertà. Negli anni successivi, mia figlia non ha più usato tale termine, anzi, è capitato il paradosso, un felice paradosso… tante volte aiutavo ancora la mia bambina a fare toilette… un giorno le dissi: "Jessi vieni che ti lavo il culetto…", lei si fermò e mi rispose risentita: "papi che cosa stai dicendo, si dice sederino. culetto è una parola di cattivo gusto e non si può dire." "Giusto" le risposi!!! Non credevo alle mia orecchie. (Erano trascorsi venti giorni dall'episodio sopra descritto e la mia bambina aveva decisamente capito e accettato questo modo per non dire parolacce. Un modo, direi sereno da parte mia, usato senza forme imposizione, né altre d'inibizione ma semplicemente attraverso una spiegazione veritiera senza tanti fronzoli). Il rischio che mi ero assunto quel giorno era delicato ma pur trovando qualche dubbio risultò vincente. Fui mosso anche dal ricordo dei due anni e mezzo trascorsi fino a quel giorno nei quali abbiamo sempre parlato a nostra figlia in termini di costruttiva serenità e poi, anche oggi, in fondo, mi chiedo: dov'è la volgarità? Nelle comiche "parolacce" dei bambini o ascoltando un telegiornale zeppo di notizie di guerra? Qual è il rischio più alto? Credo che questa domanda sia autentica per molti genitori.
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Ciao Joshg,
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--.anaconda 00:15, 30 ott 2006 (CET)
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