Il dipinto si inserisce nella produzione giovanile dell’artista, tra il 1812 e il 1815, ben documentata dalle assidue presenze all’Esposizione di Belle Arti di Brera con vedute d’invenzione alla veneziana, insieme ai primi scorci milanesi. Questi soggetti compaiono alle esposizioni del 1812, del 1813, del 1815, e per l’ultima volta, del 1820, e si contraddistinguono per l’inserimento di elementi architettonici di impronta lombarda, accuratamente riprodotti dal vero negli album di disegni riferibili agli stessi anni.

A queste date Migliara - che si era già esercitato con successo nella copia di vedute di Venezia di Antonio Canal, detto Canaletto - prende a modello per le sue opere d’invenzione i celebri capricci canalettiani che compongono elementi di fantasia, motivi veneti e romani, architetture antiche e moderne, liberamente accostati in un complesso sistema di riferimenti. Elementi certamente noti all’artista attraverso le acqueforti del pittore veneziano e le incisioni tratte dai suoi dipinti realizzate da Antonio Visentini, edite per la prima volta nel 1735 ma ristampate fino alla metà dell’Ottocento.

Sul bordo della laguna si snodano alcuni edifici e archi in rovina mentre in lontananza si intravede una chiesa che ricorda quella rinascimentale della Scuola Grande di S. Marco, affacciata sulla piazza SS. Giovanni e Paolo. Il colossale colonnato antico e le architetture in mattone ricorrono con alcune varianti nelle due versioni, conservate a Torino (Galleria Sabauda) e a Venezia (Museo Correr), de Le colonne di San Lorenzo con particolari fantastici (Venezia, Museo Correr) [1], del celebre scorcio milanese, testimonianza del glorioso passato classico della città, liberamente reinterpretato dall’artista. Oltre al carattere colto dei capricci canalettiani, spesso realizzati con sofisticati riferimenti ai più celebri monumenti antichi e moderni, Migliara restituisce la dimensione quotidiana e feriale della città con i barcaioli al lavoro, i panni stesi ad asciugare e poche altre figurette in abito settecentesco, tratteggiate a rapidi colpi di pennello.

La produzione di capricci, spesso replicati in diverse varianti ad olio, aveva anche finalità incisorie e trovava un importante campo di applicazione sia nelle acqueforti, come ad esempio La casupola ricavata in rovine classiche (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), [2], sia nelle prime sperimentazioni litografiche, spesso condotte dallo stesso Migliara.