Genocidio nella Striscia di Gaza

Il genocidio nella Striscia di Gaza è l'accusa mossa da diversi governi delle Nazioni Unite e da organizzazioni non governative nei confronti dello Stato di Israele, colpevole di aver commesso e di continuare a compiere uno sterminio nei confronti del popolo palestinese confinato nel territorio di Gaza, durante l'attuale guerra Israele-Hamas, ennesima ostilità facente parte del conflitto arabo-israeliano. Si tratta quindi di un argomento controverso e tutt'ora considerato divisivo per quanto riguarda la geopolitica internazionale. Il governo di Israele nega infatti qualsiasi ipotesi di genocidio, affermando di stare intraprendendo un conflitto armato al solo scopo di neutralizzare i terroristi colpevoli dell'attacco a Israele del 7 ottobre 2023 e di voler sfruttare i civili palestinesi con l'intento di farsi scudo[1].

Genocidio nella Striscia di Gaza
Edifici di Gaza devastati dai bombardamenti
TipoStrage di massa
StatoPalestina (bandiera) Palestina
ResponsabiliForze di difesa israeliane
Governo di Israele
MotivazioneAttacco di Hamas a Israele del 2023
Conseguenze
Morti43.799
Mappa di localizzazione
Mappa della Striscia di Gaza che mostra le città principali e gli stati confinanti

Antefatti

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Alla guerra in Palestina del 1948 seguì la fondazione dello Stato israeliano in buona parte dei territori che componevano il Mandato britannico della Palestina, creato nel bel mezzo della Prima guerra mondiale dopo che l'Impero ottomano abbandonò la regione, che venne quindi occupata dalla Royal Army. Il dominio britannico sulla Palestina fu poi confermato tre anni più tardi con la Conferenza di Sanremo. I britannici sostenevano politiche di immigrazione ebraica nella colonia palestinese, che al tempo era per l'80% formata da abitanti di etnia araba e religione musulmana. I principali esponenti della maggioranza arabo-islamica, tra cui il noto Amin al-Husseini, tentarono di opporsi a questa forma di sionismo, temendo che i valori demografici potessero presto invertirsi. Questa situazione sfociò in numerosi conflitti violenti tra i due gruppi etnici presso Gerusalemme, dove la controparte araba fu duramente repressa dalle autorità britanniche. Nel 1936 la situazione degenerò in una grande rivolta dei musulmani per chiedere l’indipendenza e la fine dell’immigrazione ebraica, che aveva raggiunto il suo apice in seguito all’ascesa del nazismo in Germania. Come risultato dell'intifada, la popolazione ebraica di Gerusalemme fu bandita dalla città. Il governo coloniale britannico in risposta pubblicò il cosiddetto Libro bianco, ovvero una serie di manovre atte a favorire il processo d'indipendenza della Palestina. L'atto non prevedeva la soluzione dei due Stati, ma si limitava semplicemente a porre un freno all'immigrazione ebraica. La decisione provocò inevitabilmente un profondo malcontento tra gli ebrei.[2]

Dopo la sanguinosa Seconda guerra mondiale e gli eventi correlati alla Shoah, nel novembre 1947 l'Assemblea delle Nazioni Unite optò per la creazione di due stati sovrani e indipendenti: Israele e Palestina. Una soluzione in principio non troppo dissimile negli intenti a quella che pressoché contemporaneamente portò alla separazione tra India e Pakistan dopo la fine del Raj Britannico. Sei mesi dopo terminò ufficialmente l'occupazione coloniale, sebbene già da tempo l'area fosse abbandonata a sé stessa e sull'orlo di una guerra civile. Ben presto i paesi arabi confinanti invasero militarmente la regione per impedire l'affermazione del progetto sionista. Tuttavia il nascente Stato ebraico ottenne una vittoria schiacciante, riuscendo ad annettere gran parte dello Stato arabo. I restanti territori furono poi inglobati da Egitto e Giordania. Il decennio seguente fu caratterizzato da forti tensioni tra Israele e le nazioni limitrofe, impegnate ad affermare i princìpi del socialismo arabo e dell'antisionismo. La Crisi di Suez e il Secondo conflitto arabo-israeliano del 1956, portarono alla ribalta del presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser e della sua visione di un Medioriente panarabico e anti-imperialista. Egli si prodigò infatti per l'ambizioso progetto di un'unione politica tra Egitto e Siria, definitivamente tramontato all'inizio degli anni '60. Pochi anni anni dopo Nasser e il mondo arabo concepirono l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, inizialmente semplice strumento per regolarizzare il pattugliamento dei confini, si tramutò ben presto nel principale organo a disposizione della resistenza palestinese di stampo laico. Durante la Guerra dei sei giorni gli israeliani invasero nuovamente il Sinai, la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme. Questo causò la reazione delle Nazioni Unite, che chiesero il ritiro dell'Esercito israeliano dai territori occupati. Tuttavia lo Stato ebraico si limitò a porre tali zone sotto la supervisione di un'amministrazione militare, per indurre la popolazione araba ad emigrare spontaneamente. Intanto l'OLP guidato da Yasser Arafat effettuò un cambio di strategia, anteponendo la guerriglia alle meno efficaci sommosse popolari. Una coalizione araba attaccò Israele nel 1973 per liberare i territori occupati. Il conflitto è ricordato come Guerra del Kippur e terminò senza esiti risolutivi, ma fu un importante successo per i paesi arabi, che per la prima volta mostrarono di poter mettere in difficoltà l'apparato militare dello Stato ebraico, fino a quel momento di gran lunga superiore rispetto alle forze nemiche.[3]

In quel periodo prese vita il fenomeno del terrorismo palestinese, caratterizzato da violenti attentati che colpirono diverse aree del mondo. I primi eventi terroristici di quegli anni riguardano: il Dirottamento del volo El Al 426, l'Attacco al volo El Al 253 e quello al Volo Swissair 330. Seguirono altri fatti violenti come il Massacro di Monaco di Baviera ai danni di alcuni atleti israeliani durante Giochi della XX Olimpiade e un nuovo attacco aereo, riguardante il dirottamento del Volo Japan Air Lines 404, compiuto grazie alla collaborazione dei terroristi palestinesi con alcuni membri dell'Armata Rossa Giapponese, gruppo terroristico di ispirazione comunista. I rapporti tra quest'ultima organizzazione terroristica e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, portò ad altri molteplici attacchi mortali tra i quali il Massacro dell'Aeroporto di Lod e l'Attentato di Napoli.[4]

 
Mappa che mostra il territorio rivendicato dai nazionalisti palestinesi

Fondato da Ahmed Yassin sui valori dei Fratelli Musulmani, nel 1987 nacque Hamas (Movimento di Resistenza Islamica). Trattasi di un'organizzazione islamista palestinese di carattere paramilitare e politico, ritenuta un gruppo terroristico da Israele e dai paesi occidentali. Si pone come obiettivo quello di causare l'espulsione dello Stato ebraico dalla regione cananea, sostituendolo con uno Stato islamico che segua i confini della Palestina mandataria. Durante lo stesso anno i giovani palestinesi protestarono animatamente per ribellarsi contro l'esercito israeliano, accusato di vessare la popolazione araba. La sommossa fu sedata in seguito a numerosi arresti di massa. Dopodiché si ritiene che molti civili palestinesi vennero sommariamente processati e quindi giustiziati in quanto considerati spie agli ordini dell'OLP. Poiché al contrario di quanto previsto dal progetto iniziale delle Nazioni Unite, un vero Stato palestinese non fu mai riconosciuto fino a quel momento, per tentare di pacificare la situazione iniziarono colloqui tra la stessa OLP e Israele, i quali condussero nel 1993 agli Accordi di Oslo, che determinarono la nascita dell'Autorità nazionale palestinese. Lo status giuridico della Palestina resta tuttavia dubbio e controverso, in quanto ufficialmente è riconosciuto come Stato non membro avente riconoscimento di osservatore permanente. Per via di tali provvedimenti il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin fu accusato di essere un nazista, da due futuri capi di Stato suoi connazionali: Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu. In seguito all'assassinio di Rabin da parte di un fanatico nazionalista ebraico nel 1995, Sharon e Netanyahu vennero accusati di aver creato un clima di odio nei confronti dell'ex primo ministro. Cinque anni dopo il vertice al Camp David tra Bill Clinton e Arafat, scatenò nuove rivolte di massa in Palestina, caratterizzate stavolta dalla presenza di numerosi attacchi kamikaze. Nel 2006 il conflitto interno tra l'OLP e Hamas, ha visto quest'ultimo prendere il potere nella Striscia di Gaza, mentre la fazione politica fedele all'OLP ha mantenuto il controllo in Cisgiordania. Ciò si tradusse in un peggioramento della situazione per l'exclave di Gaza, giacché le autorità di Tel Aviv emanarono un embargo nei confronti del suo territorio, decretandone il tracollo economico.[5] Gli aanni seguenti furono caratterizzati dall'Operazione piombo fuso, una campagna militare israeliana volta a liberare Gaza dalla presenza di Hamas. Ciò avrebbe tuttavia causato un elevato numero di vittime civili e il devastamento delle infrastrutture locali, aprendo la strada a quello che fu poi il Conflitto Israele-Striscia di Gaza del 2014 e alla Marcia del Ritorno indetta da Hamas a partire dal 2016, costata la vita a molti civili palestinesi. Netanyahu ha difatti adottato misure severe nei confronti di Hamas. Sotto la sua leadership, Israele ha implementato una strategia di contenimento, combinata con attacchi militari mirati contro i leader terroristici e le infrastrutture di lancio di razzi. Netanyahu ha anche cercato di isolare Hamas politicamente e finanziariamente dalla comunità internazionale, trovando talvolta supporto da quei paesi musulmani che considerano Hamas un avversario in quanto vicino al governo iraniano, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Con due di questi paesi nel 2020 Israele ha ratificato una serie di trattati di normalizzazione, rinominati Accordi di Abramo. Questi accordi hanno lo scopo di stabilizzare la sicurezza dei paesi coinvolti e promuovere legami economici proficui.[6]

Presunto genocidio

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Un'ambulanza della Mezzaluna Rossa di Khan Yunis dopo essere stata gravemente danneggiata da un attacco aereo militare israeliano

Il 7 ottobre 2023 un attacco significativo è stato lanciato da Hamas contro Israele, segnando un'escalation notevole nel conflitto israelo-palestinese. Hamas ha effettuato un attacco coordinato che ha coinvolto razzi, infiltrazioni di combattenti attraverso il confine e raid in diverse località israeliane, causando centinaia di vittime e rapimenti tra i civili e le forze di sicurezza israeliane.[7]

In risposta a questo violento attacco, Israele ha avviato operazioni militari su vasta scala nella Striscia di Gaza, intensificando i bombardamenti e affrontando attacchi rappresaglie da parte delle forze di Hamas. Questa fatti hanno portato a un alto bilancio di morti e feriti, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi. Ci sono stati infatti scambi di fuoco diretti tra Hamas e le forze israeliane. Hamas ha lanciato razzi verso il territorio israeliano, mentre Israele ha risposto con attacchi aerei mirati contro obiettivi militari strategici a Gaza. Questo ciclo di violenza ha causato ulteriori vittime e distruzioni. Nel dettaglio le prime ripercussioni sulla questione palestinese hanno incluso un aumento della tensione nelle relazioni geopolitiche globali. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per la violenza e il potenziale di una crisi umanitaria. In molte parti del mondo, ci sono state manifestazioni di solidarietà con i palestinesi, così come proteste in sostegno di Israele. L'attacco ha anche suscitato dibattiti su come gestire la questione della sicurezza e dei diritti umani nella regione, con richieste di una revisione delle politiche nei confronti di Israele e di Hamas. La popolazione di Gaza continua a manifestare contro le condizioni di vita difficili, aggravate dal blocco israeliano e dalla crisi socio-economica. Le manifestazioni intensificatesi, stanno tutt'ora portando a scontri con le forze di sicurezza. Da ambo le parti la violenza è aumentata in risposta a provocazioni, come attacchi a luoghi sacri. Gli attacchi sui civili sia a Gaza che in Israele, hanno contribuito a un clima di paura e incertezza. Ad alimentare il conflitto gioca un ruolo fondamentale il coinvolgimento degli Hezbollah, gruppo militante islamista libanese che come Hamas è impegnato nella resistenza contro Israele. La principale differenza tra le due fazioni risiede nel fatto che gli Hezbollah siano prevalentemente sciiti, mentre Hamas è sunnita. Altro caso che ha messo a repentaglio la pace in Medioriente, è stata la crisi Iran-Israele del 2024, innescata dal bombardamento di un complesso consolare iraniano a Damasco, in cui sono rimasti uccisi alcuni funzionari della Repubblica islamica. Il governo di Netanyahu ha mantenuto una posizione rigorosa nei confronti di Hamas, giustificando le operazioni militari come una legittima forma di difesa necessaria per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani e negando qualunque accusa di genocidio, pulizia etnica e attacchi deliberati a strutture sanitarie.[8][9]

Infatti i civili israeliani, specialmente quelli che vivono nei pressi della Striscia di Gaza, esprimono paura e insoddisfazione per l'insicurezza causata dagli attacchi missilistici. Molti risultano assuefatti dall’uso della forza come unico metodo di risoluzione e supportano le azioni del governo per garantire la sicurezza, ma ci sono anche voci critiche che chiedono un approccio più diplomatico e meno militarista. Infatti la società israeliana è ormai stanca e divisa, la sua economia è in crisi e decine di migliaia di cittadini stanno lasciando il paese in cerca di un'esistenza più tranquilla. Nella Striscia di Gaza, la maggioranza dei civili palestinesi vive in condizioni critiche e precarie, con tassi di disoccupazione elevati, carenza di elettricità, acqua potabile e generi alimentari. Molti cittadini sono frustrati dalla leadership di Hamas, incapace di trovare una soluzione efficace per garantire stabilità e migliori condizioni di vita. Alcuni sostengono la resistenza armata contro Israele, altri chiedono vie politiche diplomatiche per risolvere la crisi e fermare quello che ritengono essere un vero e proprio genocidio ai danni della popolazione palestinese.[10]

Negli ultimi anni numerose organizzazioni internazionali, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno denunciato gravi violazioni dei diritti umani sia da parte di Israele che dei gruppi armati palestinesi. Le violazioni includerebbero bombardamenti e attacchi aerei sui civili, oltre al blocco nel rifornimento di beni fondamentali, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Anche Hamas è stata accusata di perpetrate violazioni, comprese esecuzioni sommarie e uso di scudi umani. tuttavia è bene ricordare che la parola "genocidio" è utilizzata in modo controverso nel contesto della Striscia di Gaza. Alcuni attivisti e osservatori sostengono che le azioni israeliane, in particolare i bombardamenti indiscriminati e il blocco che contribuisce alla crisi umanitaria, possono essere considerate come atti di genocidio o quantomeno di pulizia etnica. Al contrario, altri avvertono che usare questo termine in modo improprio può minare la serietà delle questioni legate al fenomeno. In ogni caso la maggior parte degli organi internazionali e dei governi concordano su quanto sia fondamentale intervenire per promuovere un dialogo autentico e cercare soluzioni sostenibili per la pace e la giustizia, ribadendo che le violazioni dei diritti umani debbano essere affrontate con urgenza, lavorando verso una risoluzione del conflitto che tenga conto dei diritti e delle aspirazioni di entrambe le parti.[11]

Azioni giudiziarie

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Organi internazionali

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Le posizioni riguardo all'escalation del conflitto nella Striscia di Gaza e le accuse di genocidio variano notevolmente tra gli organi internazionali e le diverse organizzazioni umanitarie interessate alla vicenda.

L'ONU ha spesso espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e le perdite civili presso la Striscia di Gaza, i rapporti dell'alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno menzionato potenziali crimini di guerra, ma l'uso del termine "genocidio" è più delicato e meno frequentemente utilizzato senza una precisa indagine e documentazione.

Anche la Corte Penale Internazionale ha aperto indagini su possibili crimini di guerra nella regione, ma non si è mai pronunciata esplicitamente sulla questione del possibile genocidio senza essere in possesso di prove concrete in tal senso[12]. Nel maggio 2024, il procuratore capo della CPI Karim Khan ha chiesto un mandato di arresto per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu[13] e il Ministro della difesa Yoav Gallant, accusandoli di sterminio, utilizzo della fame come metodo di guerra, negazione di aiuti umanitari e stragi contro i civili[14][15][16], azioni che costituiscono crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Tali mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant (nel frattempo non più ministro) sono stati poi effettivamente emessi il 21 novembre 2024[17][18][19].

Stati e organismi sovranazionali

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  •   Turchia: ha accusato Israele di genocidio in diverse occasioni.
  •   Iran: ha utilizzato il termine "genocidio" per descrivere le azioni israeliane contro i palestinesi.
  •   Sudafrica: ha depositato un atto d'accusa verso Israele alla Corte Penale Internazionale, che ha avviato un processo contro lo Stato Ebraico
  •   Stati Uniti: supportano Israele e tendono a rimanere scettici riguardo alle accuse di genocidio, sostenendo che le azioni israeliane sono in risposta a minacce di sicurezza.
  •   Arabia Saudita: molti hanno sollevato preoccupazioni per le violenze, cercando di mantenere relazioni diplomatiche sia con Israele che con i palestinesi.
  •   Unione europea: pur sollevando preoccupazioni per la violenza, hanno generalmente evitato di usare il termine "genocidio", adottando una posizione di mediazione ed esprimendo preoccupazione per entrambe le parti. Chiede tregua e negoziati di pace, senza però utilizzare esplicitamente il termine "genocidio".
  •   Cina,   India e   Russia: a loro volta coinvolti in dispute internazionali, questi stati hanno preferito non esprimersi direttamente poiché consapevoli che prendere posizione in un caso così delicato reca pochi vantaggi e potrebbe turbare irreversibilmente le loro relazioni nella regione.
  •   Brasile: ha intimato esplicitamente Israele a cessare immediatamente tutti gli atti e le misure che potrebbero costituire genocidio.
  1. ^ La controversa questione delle accuse a Israele, su affarinternazionali.it.
  2. ^ Il Mandato britannico della Palestina, su storicang.it.
  3. ^ La fondazione e l'affermazione dello Stato ebraico, su treccani.it.
  4. ^ Gli attentati internazionali degli anni '70-'80, su tg24.sky.it.
  5. ^ Sviluppo di Hamas nella questione palestinese, su wired.it.
  6. ^ Sviluppo del conflitto e accordi geopolitici, su affarinternazionali.it.
  7. ^ Violenze del 7 ottobre 2023, su lab.repubblica.it.
  8. ^ Attacchi alle strutture sanitarie, su savethechildren.it.
  9. ^ Accusa di genocidio, su legrandcontinent.eu.
  10. ^ Escalation dopo il 7 ottobre, su ilmanifesto.it.
  11. ^ Denunce da parte delle ONG, su ilbolive.unipd.it.
  12. ^ Posizione degli organi internazionali, su giuristidemocratici.it.
  13. ^ (ENFRARHE) Statement of ICC Prosecutor Karim A.A. Khan KC: Applications for arrest warrants in the situation in the State of Palestine, su icc-cpi.int.
  14. ^ Redazione di Rainews, Cpi chiede mandato di arresto per Netanyahu e leader Hamas: "Nessuno può agire impunemente", su RaiNews, 20 maggio 2024. URL consultato il 22 maggio 2024.
  15. ^ "Crimini di guerra". L'Aja chiede l'arresto per Netanyahu e tre capi di Hamas, su ilGiornale.it, 20 maggio 2024. URL consultato il 22 maggio 2024.
  16. ^ (EN) ICC statement on arrest warrants of Israeli and Hamas leaders, su bbc.com. URL consultato il 29 agosto 2024.
  17. ^ (EN) Situation in the State of Palestine: ICC Pre-Trial Chamber I rejects the State of Israel’s challenges to jurisdiction and issues warrants of arrest for Benjamin Netanyahu and Yoav Gallant, su Corte penale internazionale, 21 novembre 2024. URL consultato il 21 novembre 2024.
  18. ^ La Corte penale internazionale ha emesso un mandato d'arresto contro Benjamin Netanyahu, su Il Post, 21 novembre 2024. URL consultato il 21 novembre 2024.
  19. ^ (EN) Andrew Roth e Julian Borger, ICC issues arrest warrant for Benjamin Netanyahu for alleged Gaza war crimes, in The Guardian, 21 novembre 2024. URL consultato il 21 novembre 2024.

Voci correlate

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