Lex Iulia de adulteriis coercendis

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La Lex Iulia de adulteriis coercendis è una legge romana emanata per volere dell'imperatore Augusto in un periodo supposto dal 18 a.C. al 16 a.C.[1]. per disciplinare l'adulterio (crimen adulterii) e le varie fattispecie che vi rientravano: incestum, stuprum, lenocinium. La legge fu molto apprezzata dai letterati dell'epoca.[2] Probabilmente la legge era un rimaneggiamento di legislazioni precedenti sempre in materia, tra cui una proposta o prodotta da Silla.[3]

Lex Iulia de adulteriis coercendis

Senato di Roma
TipoCostituzione imperiale
Nome latinoLex Iulia de adulteriis coercendis
AutoreAugusto
Anno18-16 a.C.
Leggi romane

Cosa prevedeva

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La Lex Iulia de Adulteriis Coercendis prevedeva che, nel caso di adulterio o stupro, fosse istituito un processo contro la moglie infedele e il complice. La legge punisce la donna adultera "con la confisca della metà della dote, la confisca della terza parte dei beni e con la relegazione in un'isola", l'uomo adultero con la confisca della "metà del patrimonio con uguale relegazione in un'isola, purché siano relegati in isole diverse".[4] Il padre della donna aveva il diritto di uccidere immediatamente la figlia e l'adultero, se colti in flagrante nella propria casa o in quella del genero tradito (non poteva risparmiare l'uno o l'altro, ma doveva necessariamente ucciderli ambedue per non incorrere nell'accusa di omicidio)[5], mentre il marito aveva il diritto di uccidere l'amante, solo in determinate circostanze, come ad esempio la sua appartenenza ad un basso rango sociale (se l'amante era di alto lignaggio allora si aveva la possibilità di catturarlo e tenerlo segregato per un massimo di 20 ore consecutive, in modo da radunare i testimoni necessari)[6], e di ripudiare la consorte, ma non di ucciderla.[7] Se il marito non denunciava l'adulterio della moglie, non cacciava la consorte e lasciava andar via l'amante colto in flagrante, oppure sfruttava la cosa economicamente, veniva accusato di lenocinio e punito come adultero.[8]

Conseguenze della legge

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Busto di Augusto, primo Imperatore Romano (27 a.C. - 14 d.C.).

Sebbene la legge fosse entrata in vigore intorno al 18 a.C. ci sono testimonianze che mostrano come essa non venisse molto rispettata. Quintiliano parla di transizione di denaro dall'adultero colto in flagrante al marito tradito per risparmiargli la vita, il che secondo la legge renderebbe l'ultimo un lenone.[9] Pare anche che, in piena funzione della legge, si potesse ancora sfregiare e mutilare l'adultero colto in flagrante senza ucciderlo.[10]

La legge ben presto venne dimenticata. Tiberio fu costretto ad attuare disposizioni per i dilaganti adulterii, anche se poco funzionanti[11], di conseguenza la mancanza di moralità continuò a dilagare[12] fino a che Domiziano la reintrodusse vigorosamente, ottenendo le lodi di Marziale.[13]

In epoca imperiale, inoltre, si riscontra pian piano una reintroduzione o accettazione del delitto d'onore da parte del marito, che va contro la Lex Iulia. Lo iustus dolor (giusto dolore) che il marito provava era la giustificazione dei delitti. Marco Aurelio e poi Commodo regolamentarono la cosa, giustificando il delitto d'onore, ma punendo ugualmente l'omicida per non aver saputo controllarsi non con ciò che dettava la legge sugli omicidii (Lex Cornelia de sicariis et veneficiis), ma con i lavori forzati (per le basse classi sociali) o la relegatio in insulam (per le alte classi sociali).[14] Anche l'uccisione dell'adultero da parte del marito, accettata dalla Lex Iulia solo in determinate condizioni, qualora avvenisse in condizione d'illegalità diveniva giustificabile e punita con pena più lieve rispetto alla solita della Lex Cornelia.[15]

  1. ^ La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari. Concubinato. Divorzio. Adulterio. Parte terza. Carla Fayer. L'Erma di Bretschneider, 2005, pag. 212.
  2. ^ Orazio, Carmina 4, 5, 21 sgg.; Carmina 4, 5, 9 sgg.; Ovidio, Fasti 2, 139; Ovidio, Ars Amatoria 3, 613 sgg.
  3. ^ Romanarum legum collatio, 4, 2, 2; Plutarco, Comparazione vite di Lisandro e Silla, 3, 2.
  4. ^ Giulio Paolo, Sententiae, 2, 26, 14 cit. in La familia romana cit., pag. 337-8 n. 467.
  5. ^ Romanarum legum collatio, 4, 2, 3. Cfr. La familia romana cit. pag. 221 sgg.
  6. ^ (LA) Theodor Mommsen, Digesta 48, 5, 26, su webu2.upmf-grenoble.fr. URL consultato il 16 aprile 2022 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2013).
  7. ^ Romanarum legum collatio, 4, 10, 1 e Giulio Paolo, Sententiae, 2, 26, 4.
  8. ^ (LA) Theodor Mommsen, Digesta 48, 5, 2, 2, su webu2.upmf-grenoble.fr. URL consultato il 16 aprile 2022 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2013). e (LA) 48, 5, 30, su webu2.upmf-grenoble.fr. URL consultato il 16 aprile 2022 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2013).; Digesta 4, 4, 37, 1. Cfr. n. 228 in La familia romana cit. pag. 254 sgg..
  9. ^ Quintiliano, declamationes minores, 279.
  10. ^ Marziale, II, 83; III, 85 e 92. Quintiliano, decl. min. 357.
  11. ^ La familia romana cit., nn. 569-70 pag. 365
  12. ^ Giovenale, 6, 2, 37: Ubi, nunc, lex Iulia, dormis? (dove sei, legge Iulia, dormi?).
  13. ^ VI, 2, 4 e 7.
  14. ^ (LA) Digesta 48, 5, 39, 8, su webu2.upmf-grenoble.fr. URL consultato il 16 aprile 2022 (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2013). La familia romana cit. nn. 556-7 pagg. 360-1.
  15. ^ Romanarum legum collatio, 4, 3, 6. La familia romana cit. n. 557 pag. 361.

Bibliografia

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Camillo Corsanego, La repressione romana dell'adulterio, 1936
Approfondimenti