Pasquale Galliano Magno

avvocato italiano

Pasquale Galliano Magno[1] (Orsogna, 25 febbraio 1896Pescara, 9 settembre 1974) è stato un avvocato italiano, figlio del notaio Eugenio Magno.

Biografia

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Studi e attività professionale

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Dopo gli studi classici a Chieti frequentò l'università a Macerata, dove si laureò in legge. Nel 1927 sposò Maria Luisa D'Angelo ed ebbe da lei due figli: Valeria, che conseguì la laurea in giurisprudenza presso l'università di Roma, e Carlo Eugenio, laureatosi anch'egli in legge, presso l'università di Bologna. Entrambi i figli hanno svolto, nella città di Pescara, attività di avvocato.

Convinto antifascista e oppositore del regime, fu sindaco di Orsogna, suo paese natio, appena divenuto maggiorenne. Fu il sindaco più giovane d'Italia, in quel tempo. Provvide a istituire a Orsogna una biblioteca pubblica, tuttavia l'attività amministrativa durò poco a causa del movimento fascista dell'avversario Raffaele Paolucci, che ebbe il sopravvento contro i socialisti, con minacce e ritorsioni. Sicché Magno fu costretto a dimettersi e a vivere da "esiliato" fuori Orsogna.

L'avvocato Magno esercitò la professione dapprima a Chieti e poi a Pescara.

Patrocinio nel processo Matteotti

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Ha partecipato quale avvocato difensore della signora Velia Titta, vedova di Giacomo Matteotti, barbaramente ucciso da un gruppo di fascisti, al primo processo per l'accertamento delle responsabilità nell'assassinio del marito.

L'istruttoria del processo iniziò nel giugno del 1924 presso il Tribunale di Roma. Il giudizio fu poi rimesso dalla Corte di Cassazione alla Corte d'Assise di Chieti, con la risibile motivazione della sussistenza di gravi motivi di pubblica sicurezza; il dibattimento ebbe quindi luogo nel 1926 a Chieti[2]. Non intendendo più soggiacere a soprusi e malefatte, la signora Velia Titta, pur facendo le più ampie riserve per l'esercizio delle azioni civili a lei spettanti nei confronti di tutti gli imputati, si vide costretta, date le angherie subite e lo spirito poliziesco che aleggiava nel processo, a non partecipare alla successiva fase dibattimentale: pertanto incaricò Magno al ritiro della costituzione di parte civile[3] (per sè e per il figlio)[4], già avvenuta a conclusione della fase istruttoria nelle deduzioni di parte depositate a Roma dall'onorevole Giuseppe Emanuele Modigliani[5].

A questo fine l‘avvocato Magno, per incarico e procura conferitagli dalla signora Velia Titta, svolse attività professionale in Chieti nei vari atti istruttori che precedettero la fase dibattimentale. A riscontro di tale attività, i magistrati[6], i quali avrebbero dovuto rendere giustizia, si limitavano costantemente (influenzati anche dallo stato di coartazione morale stabilito dal fascismo) ad osteggiare e disattendere le varie istanze, all'evidente scopo di insabbiare il processo e comunque operare il salvataggio completo degli assassini di Giacomo Matteotti, dei loro complici e mandanti: persino le richieste e le supplichevoli istanze, intese ad ottenere la restituzione degli effetti personali appartenenti alla vittima[7], vennero inopinatamente respinte.

Perciò l'avvocato Magno lo definì "un processo burla". In effetti, a conferma dei suoi sospetti e della sua denuncia, la Corte d'Assise con una vergognosa sentenza[8], ritenne di dover condannare i soli imputati Dumini Amerigo, Volpi Albino, e Poveromo Amleto per il reato di omicidio preterintenzionale. Fu esclusa la premeditazione e furono concesse le attenuanti generiche. I tre assassini furono condannati alla pena di cinque anni, mesi undici e giorni venti di reclusione, nonché all'interdizione dai pubblici uffici.

Già allora l'abitazione e lo studio professionale dell'avvocato Magno - nel palazzo Tella, al civico numero cinque di via dello Zingaro in Chieti - furono oggetto di varie perquisizioni e di sequestri di atti e documenti inerenti al processo. Solo poche lettere e veline di comparse furono salvate, nascondendole altrove. L'epoca era quella di un fascismo violento, quando i magistrati, anche i più noti di essi, ricevevano ordini che scendevano dall'alto. Le “squadracce” fasciste costrinsero l'avvocato Magno ad ingurgitare olio di ricino, bastonandolo, come umiliazione e “castigo” per l'attività che stava esercitando, con impegno, lealtà e rettitudine, nel processo. Iniziò così contro di lui il periodo dei soprusi e delle persecuzioni, durato fino al crollo del fascismo.

Nel secondo dopoguerra

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Nel dopoguerra l'avvocato Magno ha svolto incarichi politici e varie attività: è stato Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, ha svolto nell'immediato dopoguerra le funzioni di vice Prefetto Politico per volontà degli Alleati, che lo scelsero anche per poter meglio controllare, in zona, l'attività politica degli italiani nel periodo della defascistizzazione e epurazione. Ebbe contatti con Mauro Scoccimarro, Palmiro Togliatti e Rita Montagnana che ospitò in occasione dei comizi da essi tenuti a Pescara.

Esercitò con equilibrio il suo compito, spesso in contrasto con chi perseguiva con violenza gli ex fascisti. A tale proposito, nel 1945 svolse attività di mediazione e protezione nei confronti dell'ex ministro fascista, barone Giacomo Acerbo, che poté trovare rifugio presso i suoi coloni nell'agro di Loreto Aprutino, sfuggendo alla giustizia sommaria di alcuni epuratori. Durante il successivo periodo di carcerazione Giacomo Acerbo nominò l'avvocato Magno - benché avversario politico - amministratore unico del suo cospicuo patrimonio (comprendente tra l'altro la preziosa collezione delle famose ceramiche antiche di Castelli) fino al 1951, anno della sua riabilitazione, e lo ritrovò intatto.

Tutto questo non fu senza conseguenze: nel 1945 il prefetto Pace fu rimosso dall'incarico e l'avv. Magno, capolista e promotore del PCI-PSI, coalizione che costituì il famoso “caso Pescara”, fu eletto, ma per i suoi atteggiamenti di moderazione non condivisi, la sua candidatura a deputato non fu appoggiata. Non vedendo possibile l'attuazione di quei valori di giustizia e di illuminato equilibrio nei quali aveva sempre creduto, la delusione fu profonda e si ritirò definitivamente dalla politica attiva.

Svolse comunque la funzione di Presidente dell'Ospedale Civile di Pescara e quella di Commissario Governativo alle Ferrovie Elettriche Abruzzesi[9] (F.E.A.), in diretto contatto con il ministro dei trasporti Ugo La Malfa, facendo effettuare la ricostruzione della linea ferroviaria elettrica Pescara-Moscufo-Penne, dal 1945 al 1947.

Fu anche Presidente del Consorzio per l'Acquedotto della Valle di Foro.

Sulla sua vita, nel 2024 Milo Vallone ha realizzato uno spettacolo in CineprOsa "E io ero Sandokan" che ha debuttato in anteprima nazionale all'interno del cartellone della XXII edizione del FLA[10]

  1. ^ https://4.bp.blogspot.com/-vH_bh2quv8c/UARdsAyHt4I/AAAAAAAABOk/QJ4MB5dR5Yo/s1600/galliano-magno.jpg
  2. ^ Il motivo per il quale fu scelta la città di Chieti può essere desunto anche dal fatto che essa, all'epoca, aveva ironicamente la nomea di città “della camomilla”.
  3. ^ Archivio di Stato di Roma, Corte di appello di Roma. Processi Matteotti, Procedimento penale contro Amerigo Dumini e altri per l'omicidio dell' on. Giacomo Matteotti (primo processo), 1922 - 1927, num. 70, Fascicolo degli atti e delle citazioni riguardanti il dibattimento a carico di Dumini Amerigo e altri (volume 70), 1926, busta 463.2, num. 18, Verbale di revoca di costituzione di parte civile presentato dall'avvocato Pasquale Galliano Magno in qualità di procuratore speciale di Velia Titta vedova Matteotti, 1926 feb. 20.
  4. ^ Archivio di Stato di Roma, Corte di appello di Roma. Processi Matteotti, Procedimento penale contro Amerigo Dumini e altri per l'omicidio dell' on. Giacomo Matteotti (primo processo), 1922 - 1927, num. 70, Fascicolo degli atti e delle citazioni riguardanti il dibattimento a carico di Dumini Amerigo e altri (volume 70), 1926, busta 463.2, num. 19 , Verbale di revoca di costituzione di parte civile presentato dall'avvocato Pasquale Galliano Magno in qualità di procuratore speciale di Velia Titta vedova Matteotti in rappresentanza del figlio minore Giancarlo Matteotti, 1926 feb. 20
  5. ^ Modigliani, suo patrocinatore in quella fase istruttoria, aveva incluso nelle sue conclusioni la riproduzione della lettera che la vedova rivolgeva al Presidente della Corte d'assiste di Chieti: Archivio di Stato di Roma, Corte di appello di Roma. Processi Matteotti, Procedimento penale contro Amerigo Dumini e altri per l'omicidio dell' on. Giacomo Matteotti (primo processo), 1922 - 1927, num. 70, Fascicolo degli atti e delle citazioni riguardanti il dibattimento a carico di Dumini Amerigo e altri (volume 70), 1926, busta 463.2, num. 20, Deduzioni e conclusioni per la parte civile Giancarlo Matteotti presentanti dal legale rappresentante Giuseppe Emanuele Modigliani e relativa verbalizzazione di notifica agli imputati, 1926 gen. 18, ff. 49-50.
  6. ^ La Corte d'Assise di Chieti era composta dal Presidente Giuseppe Francesco Danza, dalla pubblica accusa Alberto Salucci, nonché dai giurati.
  7. ^ «Velia lo incarica di recuperare le poche cose del marito: una tessera ferroviaria, una ciocca di capelli, la falangetta di un dito, pantaloni e giacca, con la manica staccata»: Mario Giunco, LA PENNA DI GIACOMO MATTEOTTI, Roseto.com, 12 Maggio 2024.
  8. ^ Il fatto che si sia trattato di un processo combinato è attestato anche dal fatto che - per un reale accertamento delle responsabilità - si rese necessaria, dopo la liberazione dell'Italia dal regime fascista, la celebrazione di un nuovo processo, a carico di tutti gli imputati: esso fu definito dalla Corte di assise di Roma con la sentenza del 4 aprile 1947, che condannò Dumini, Viola e Poveromo alla pena dell'ergastolo, poi commutata nella reclusione per trent'anni.
  9. ^ Dal quotidiano on line www.PrimadaNoi.it [1][collegamento interrotto] [2][collegamento interrotto] [3][collegamento interrotto]
  10. ^ di Sabrina Dei Nobili, Al Fla la storia di Galliano Magno l’avvocato del processo Matteotti, su Il Centro, 3 novembre 2024. URL consultato il 12 novembre 2024.
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