Italiano
Parlato in39 paesi
Locutori
Totale140 milioni di parlanti madrelingua, 360 milioni con i parlanti seconda lingua
Classifica7
Altre informazioni
TipoSVO flessiva - sillabica
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italiano
Statuto ufficiale
Ufficiale inEuropa :
Lingua ufficiale
Città del Vaticano (bandiera) Città del Vaticano
Stati Uniti di Grecia (nella Repubblica delle Isole Ionie, nel Ducato di Atene, nel Ducato di Neopatria, nel Regno di Candia, nel Regno di Negroponte, nella Maona di Chio e di Focea e nel Regno di Cipro)
Italia (bandiera) Isole italiane dell'Egeo
Italia (bandiera) Italia
Malta (bandiera) Malta
Monaco (bandiera) Monaco
San Marino (bandiera) San Marino
Svizzera (bandiera) Svizzera
Lingua amministrativa
Albania
Montenegro
Lingua minoritaria riconosciuta
Croazia (distretti di Prnjavor, Banja Luka, Konjic e Tuzla)
Romania (bandiera) Romania

Americhe :
Lingua ufficiale
Guiana italiana
Brasile (bandiera) Brasile (a Santa Teresa e Vila Velha)
Lingua amministrativa
Brasile (bandiera) Brasile (Regione Sudest del Brasile e Regione Sud del Brasile
Africa :
Lingua ufficiale
File:NO!Bandiera Unione Africana.svg Unione Africana
Unione del Maghreb Arabo

Eritrea (bandiera) Eritrea
Etiopia (bandiera) Etiopia
Libia (bandiera) Libia
Somalia (bandiera) Somalia
Tunisia (bandiera) Tunisia

Asia :
Italia (bandiera) Provincia autonoma di Socotra
Italia (bandiera) Provincia autonoma di Sabah e Brunei
Italia (bandiera) Concessione italiana di Tientsin
Lingua amministrativa
Yemen
Tailandia

Oceania::
Lingua ufficiale
Italia (bandiera) Nuova Guinea italiana


Europa (bandiera) Europa
OSCE
Sovrano Militare Ordine di Malta


Regolato daAccademia della Crusca
Codici di classificazione
ISO 639-1it
ISO 639-2ita
ISO 639-3ita (EN)
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Distribuzione geografica dell'italiano

«... del bel paese là dove 'l sì suona»

L'italiano (ascolta) è una lingua romanza, diretta erede del latino, basata sul fiorentino letterario usato nel Trecento, appartenente al gruppo italico della famiglia delle lingue indoeuropee.

L'italiano modello[1] convive anche in Italia con un gran numero di idiomi neo-romanzi e ha diverse varianti regionali, per via dell'influenza che su di esso esercitano le lingue regionali. L'italiano è lingua ufficiale dell'Italia metropolitana e d'oltremare, di San Marino[2], del Principato di Monaco, della Svizzera[3] (insieme al tedesco, al francese e al romancio), di Malta (insieme all'inglese), della Città del Vaticano (insieme al latino), del Sovrano Militare Ordine di Malta, del Regno di Libia (insieme all'arabo), dell'Eritrea, dell'Etiopia, della Somalia (insieme al somalo) e della Tunisia (insieme all'arabo). È seconda lingua ufficiale, dopo il greco, nelle Isole ionie (Grecia).

L'italiano è una delle 23 lingue ufficiali dell'Unione europea e una delle quattro lingue di lavoro della Commissione europea, insieme con l'inglese, il francese e il tedesco. È classificato al 7º posto tra le lingue per numero di parlanti nel mondo (360 milioni di parlanti, 140 milioni madrelingua L1 e 220 milioni come seconda lingua L2 secondo Ethnologue nel 2005)[4] e, in Italia, è utilizzato da circa 63,9 milioni di abitanti su un totale di 67 milioni di residenti. È la lingua materna del 95% della popolazione residente in Italia (secondo le statistiche della Commissione europea)[5] e la lingua di tutti gli scambi della vita quotidiana, della totalità dei mezzi di comunicazione nazionali, dell'editoria e dell'amministrazione pubblica dello Stato italiano È inoltre diffuso in alcune aree dei paesi mediterranei e nelle comunità di origine italiana nei diversi continenti.

L'italiano è inoltre la principale lingua di lavoro della Santa Sede, utilizzata come lingua franca all'interno della gerarchia ecclesiastica così come dal Sovrano Militare Ordine di Malta. Italian is known as the lingua della musica per via del suo uso preminente nel glossario musicale e nell'opera. Ha inoltre influenzato pesantemente anche le altre arti e il mercato dei beni di lusso.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della lingua italiana.
 
Dante Alighieri, considerato il padre della lingua italiana.
 
Il veneziano Pietro Bembo (1470-1547) fu una figura influente nello sviluppo della lingua italiana come mezzo letterario a partire dal dialetto toscano, codificando la lingua per l'uso standard moderno.

L'italiano è una lingua neolatina, cioè derivata dal latino. Più in particolare, deriva dal latino volgare parlato in Italia nell'antichità e trasformatosi profondamente nei secoli.

Tra le lingue romanze, l'italiano è la terza per parlanti madrelingua (9%) dopo spagnolo (47%) e portoghese (26%), e prima di francese (8,6%), rumeno (3,0%) e catalano (0,9%).

L'italiano moderno ha come base il fiorentino letterario usato nel Trecento da Dante, Petrarca e Boccaccio, a sua volta influenzato dalla lingua siciliana letteraria elaborata dalla Scuola siciliana di Jacopo da Lentini (1230-1250) e dal modello latino.

Dal latino volgare ai volgari italiani

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Latino volgare.

Pensare all'italiano come ad una filiazione diretta dal latino può risultare semplicistico e approssimativo: l'italiano è di fatto la stessa "lingua parlata" dei Romani, che attraverso una lunga evoluzione, è diventata l'italiano odierno. In altre parole, già in epoca classica esisteva un latino "volgare", pervenutoci attraverso testi non letterari, graffiti, iscrizioni non ufficiali o testi letterari attenti a riprodurre la lingua parlata, come accade spesso nella commedia.[6]

Esisteva poi un latino "letterario", quello adottato dagli scrittori classici e legato alla lingua scritta, ma anche alla lingua parlata dai ceti socialmente più rilevanti e più colti.[6]

A partire dal III secolo d.C., il Cristianesimo introdusse nella lingua latina nuovi significati e nuove esigenze pratiche. Queste nuove prospettive significarono anche un deciso passo verso l'incontro di lingua parlata e lingua scritta: autori come Ambrogio, Girolamo e Agostino adottarono nei loro scritti la lingua del popolo, la lingua di uso quotidiano, introducendo così, e con maggiore forza che in passato, altri elementi dialettali.[7]

Con la caduta dell'Impero romano e la formazione dei regni romano-barbarici, si assiste ad una sorta di sclerotizzazione del latino scritto (che diviene lingua amministrativa e scolastica), mentre il latino parlato si fonde sempre più intimamente con i dialetti dei popoli latinizzati, dando vita alle lingue neolatine, tra cui l'italiano.[7]

Gli storici della lingua etichettano le parlate che si svilupparono in questo modo in Italia durante il Medioevo come volgari italiani, al plurale, e non ancora lingua italiana. Le testimonianze disponibili mostrano infatti marcate differenze tra le parlate delle diverse zone mentre manca un comune modello volgare di riferimento.

Il primo documento di uso di un volgare italiano è invece un placito notarile, conservato nell'abbazia di Montecassino, proveniente dal principato longobardo di Capua e risalente al 960: è il Placito cassinese (detto anche Placito di Capua), che in sostanza è una testimonianza giurata di un abitante circa una lite sui confini di proprietà tra il monastero benedettino di Capua afferente al Benedettini dell'abbazia di Montecassino e un piccolo feudo vicino, il quale aveva ingiustamente occupato una parte del territorio dell'abbazia: Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. È una frase soltanto, che tuttavia per svariati motivi può essere considerata ormai volgare e non più latina: i casi (salvo il genitivo Sancti Benedicti, che riprende la dizione del latino ecclesiastico) sono scomparsi, sono presenti la congiunzione ko ("che") e il dimostrativo kelle ("quelle"), morfologicamente il verbo sao (dal latino sapio) è prossimo alla forma italiana ecc. Questo documento è seguito a brevissima distanza da altri placiti provenienti dalla stessa area geografico-linguistica, come il Placito di Sessa Aurunca e il Placito di Teano.

Uno dei primi casi di diffusione sovraregionale della lingua è la poesia della scuola siciliana, scritta verosimilmente in volgare siciliano da numerosi poeti (non tutti siciliani) attivi prima della metà del Duecento nell'ambiente della corte imperiale. Alcuni tratti linguistici con questa origine vennero adottati anche dagli scrittori toscani delle generazioni successive e si sono mantenuti per secoli nella lingua poetica italiana: dalle forme monottongate come core e loco ai condizionali in -ia (saria per sarebbe).

Dal volgare fiorentino all'italiano

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Illustrazione di inizio secolo XX celebrante la lingua del sì con l'immagine di Dante e la sua famosa frase sovrapposta al tricolore

L'assetto attuale dell'italiano discende in sostanza da quello del volgare fiorentino trecentesco, ripulito dei tratti più marcatamente locali [8]. Tra i numerosi tratti che l'italiano riprende dal fiorentino trecentesco, e che erano invece estranei a quasi tutti gli altri volgari italiani, si possono citare per esempio, a livello fonetico, cinque elementi discriminanti individuati da Arrigo Castellani:

  • i "dittonghi spontanei" ie e uo (piede e nuovo invece di pede e novo)
  • l'anafonesi (tinca invece di tenca)
  • la chiusura di e protonica (di invece di de)
  • l'evoluzione del nesso latino -RI- in i invece che in r (febbraio invece di febbraro)
  • il passaggio di ar atono a er (gambero invece di gambaro)

Già dalla fine del Trecento la lingua parlata a Firenze si distacca però da questo modello, che successivamente viene codificato da letterati non fiorentini (a cominciare da Pietro Bembo) e usato come lingua comune per la scrittura in tutta Italia a partire dalla seconda metà del Cinquecento. Secondo Bruno Migliorini, «Se leggiamo una pagina di prosa, anche d'arte, degli ultimi anni del Quattrocento o dei primi del Cinquecento, ci è di solito abbastanza facile dire da quale regione proviene, mentre per un testo della fine del Cinquecento la cosa è assai malagevole»[9]. A partire da questo periodo tutti gli storici della lingua parlano quindi ormai di lingua italiana in senso moderno, e non più di volgare fiorentino.

Diffusione dell'italiano nell'uso quotidiano

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Alessandro Manzoni

L'italiano rimase lingua di uso quotidiano per fasce molto ridotte della popolazione almeno fino alla seconda metà dell'Ottocento. A questo punto si deve a un altro pioniere della lingua italiana, Alessandro Manzoni, l'aver adottato il fiorentino come lingua ufficiale dell'Italia, che proprio allora stava nascendo come nazione. La sua decisione di donare una lingua comune alla nuova patria, da lui riassunta nel celebre proposito di «sciacquare i panni in Arno»,[10] fu il principale contributo di Manzoni alla causa del Risorgimento.[11]

Fra le sue proposte in seno al dibattito sull'unificazione politica e sociale dell'Italia, egli sosteneva inoltre che il vocabolario fosse lo strumento più idoneo per rendere accessibile a tutti il fiorentino a livello nazionale.[12]

«Uno poi de’ mezzi più efficaci e d’un effetto più generale, particolarmente nelle nostre circostanze, per propagare una lingua, è, come tutti sanno, un vocabolario. E, secondo i princìpi e i fatti qui esposti, il vocabolario a proposito per l’Italia non potrebbe esser altro che quello del linguaggio fiorentino vivente.»

In seguito, fattori storici quali l'unificazione politica, la mobilitazione e il mescolamento degli uomini nelle truppe durante la prima guerra mondiale, la diffusione delle trasmissioni radiofoniche hanno contribuito a una diffusione graduale dell'italiano. Nella seconda metà del Novecento in particolare, la diffusione della lingua è stata accelerata anche grazie al contributo della televisione e alle migrazioni interne dal Sud al Nord.[13]

Uso nell'età contemporanea

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L'italiano è oggi usato in Italia in tutte le situazioni comunicative, sia informali (conversazione in famiglia o tra amici) sia formali (discorsi pubblici, atti ufficiali). Gli italiani che non si servono dell'italiano fanno parte di una delle minoranze linguistiche; molto più limitato è l'uso di una lingua straniera. secondo i dati del ministero dell'interno il 95% degli italiani ha come lingua madre l'italiano e il 5% degli italiani non ha come lingua madre l'italiano ma una lingua minoritaria: essi sono le minoranze linguistiche.

La diffusione dell'italiano nella comunicazione informale è avvenuta soprattutto nella seconda metà del Novecento, e l'uso effettivo è quindi strettamente collegato all'età dei parlanti. Le persone che nel 2006 parlavano "solo o prevalentemente italiano" sono per esempio state stimate da un'indagine ISTAT pari al 72,8 % con gli estranei e al 45,5 % in famiglia, con questa distribuzione nelle fasce d'età estreme[14]:

  • da 6 a 10 anni: 68,2%
  • da 11 a 14 anni: 62,4%
  • da 65 a 74 anni: 31,9%
  • 75 e più: 28,2%

L'uso dell'italiano è generalizzato nei mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, cinema, televisione). In Italia i film stranieri sono di regola presentati con un doppiaggio in lingua italiana e le trasmissioni televisive in lingua diversa dall'italiano sono molto rare.

L'italiano tra le altre lingue del mondo

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A differenza di quel che vale abitualmente nelle dinamiche linguistiche, l’espansione dell’italiano non è avvenuta attraverso le armi (se non in modo marginale durante l'avventura coloniale). L'affermazione dell'italiano oltre la Penisola, notevole nei secoli XVI-XVIII, è stata garantita quasi esclusivamente dal suo spessore culturale. Si pensi alla poesia, con sonetto presente, come prestito diretto o mediato da un’altra lingua-ponte, non solo in francese, spagnolo, inglese o tedesco, ma anche in russo, danese, coreano, malese, indonesiano o kannada (una lingua dravidica dell'India meridionale); all'architettura con loggia, presente nel significato proprio e in quelli derivati di "palco al teatro" o e di "associazione" (attraverso le logge massoniche), tra l'altro in estone, lituano, lettone, neogreco, georgiano, neoebraico; e soprattutto alla musica. In questo caso si può dire che l'italiano faccia tutt'uno con la diffusione della musica occidentale: si pensi ai nomi di moltissimi strumenti musicali (pianoforte, viola, flauto, fino all'ocarina, ideata dal Donati nel 1867, attingendo a una voce del romagnolo nativo), o a indicazioni agogiche come allegro, che si ritrova non solo nelle lingue europee più vicine geograficamente e culturalmente, ma anche in finnico, islandese, lituano, turco, georgiano, coreano, malese, indonesiano, giapponese.
Si sa che l’italiano è stata, ed è, la lingua del melodramma. Oggi non si saprebbe immaginare un soprano o un tenore asiatici che non conoscano l'italiano e rinuncino quindi a interpretare opere che tengono stabilmente il cartellone dei principali teatri lirici del mondo; opere, si ricorderà, musicate non solo da compositori italiani, ma anche da stranieri, primo su tutti Mozart: alla sua collaborazione con Lorenzo Da Ponte si devono i capolavori ben noti, il Don Giovanni fu tra le pochissime opere ad aver goduto dalla prima rappresentazione (1787) in poi di una vita scenica ininterrotta. Il predominio dell’italiano come lingua dell’opera lirica durò fino al nazionalismo romantico, quando si scrissero libretti in tutte le lingue e diventarono comuni le traduzioni, anche di libretti italiani, nella lingua del pubblico. Ma con la moderna mobilità internazionale dei cantanti e l’introduzione dei sottotitoli, le opere sono di nuovo normalmente cantate in lingua originale. Nella stagione 2003-2004, nei grandi teatri lirici non italiani, il tasso di presenza di opere cantate in italiano risultava del 37%. La passione per la musica italiana è molto diffusa in tutto il mondo e addirittura dalla Mongolia è giunta la richiesta di costituire un comitato della Dante Alighieri solo per conoscere le parole delle opere liriche italiane. In un testo del 1785 sulla rivoluzione dell’opera italiana il gesuita spagnolo Stefano Arteagas si sosteneva che l’opera italiana, cioè la musica che accompagnava il canto, fosse la più adeguata e che la lingua italiana fosse la più adatta per gli accenti che caratterizzano il linguaggio e le parole rispetto, per esempio, al canto francese o a quello tedesco.
Ma la sorte dell’italiano nel mondo dipende non solo dalla promozione di un potente e fascinoso mezzo culturale quale è indubbiamente il melodramma dei grandissimi maestri italiani, da Claudio Monteverdi a Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Il prestigio dell’italiano come lingua della poesia, segnatamente della lirica, può essere infatti misurato anche attraverso l’adozione da parte di grandi scrittori stranieri. John Milton, l'autore del Paradiso perduto, pubblicò nel 1645 sei sonetti in italiano, probabilmente scritti ben prima di quel viaggio in Italia che ne avrebbe segnato in modo decisivo la biografia intellettuale; e il grande poeta simbolista russo Vjačeslav Ivanov, che visse in Italia gli ultimi venticinque anni della vita, dal 1925 al 1949, ci ha lasciato cinque autotraduzioni in lingua italiana, una delle quali è un vero e proprio rifacimento d'autore.
Ma la cultura non si riduce alla letteratura e alle arti. Non si può tacere il contributo che all'espansione degli italianismi ha dato l'economia tardomedievale: spicca la Toscana col suo fiorino, un nome che è stato accolto altrove per indicare la divisa nazionale (nei Paesi Bassi fino all'adozione dell’euro e in Ungheria), ma è notevole anche la vitalità dei centri mercantili settentrionali. Un solo esempio: lombardo è stato usato come antonomasia per indicare il mercante italiano che svolgeva la sua attività all'estero, prestando ad usura, ma ha anche assunto altrove significati sconosciuti in patria: da "monte di pietà" (russo, inglese, neerlandese, danese, ungherese) a "prestito su pegno" (cèco, ungherese), fino ad accezioni irradiatesi per altre strade come "tipo di cavolo" (portoghese, spagnolo del Messico) o "capomastro" (catalano).
Se la musica e le arti guardano all'Italia come centro propulsore, non mancano altri settori tipicamente legati all'Italia nell'immaginario degli stranieri, a cominciare dalla gastronomia. È prevedibile che, in un campione di 66 lingue del mondo, pizza (60), spaghetti (54) e cappuccino "bevanda" (40) siano largamente presenti; meno prevedibile la fortuna, molto più recente, di tiramisù (presente in 23 lingue diverse), pesto (16), carpaccio (13): termini che confermano la persistente popolarità della cucina italiana. Quanto alla moda, altro comparto trainante dell'economia italiana contemporanea, l'influsso si misura più sulle cose che sulle parole; ma è significativo il termine giapponese shiroganēze, tratto dal toponimo Shirogane, quartiere di Tokyo particolarmente raffinato; un termine foggiato a quanto pare sul modello di milanese, da Milano, capitale della moda: una testimonianza indiretta ma efficace del prestigio in questo campo della lingua donatrice.

I motivi fondamentali per cui si studia l’italiano sono tre: il suo destino di grande lingua di cultura, il suo destino di lingua che si appoggia a una economia in grande espansione, il suo destino come lingua delle comunità italiane all’estero. L’italiano è quindi studiato per motivi professionali ma anche per libera scelta, e da persone relativamente avanti negli anni, oltre che da studenti. Che l’italiano sia una lingua di cultura, per il suo presente e per il suo passato, è ben noto: dal Trecento al Cinquecento la letteratura e la cultura letteraria e intellettuale italiane sono state largamente esportate all’estero, dalla Francia all’Inghilterra, dalla Spagna al mondo di lingua tedesca e oltre. Un primo motivo del successo dell’italiano era dunque che in italiano erano scritte la Divina Commedia, il Canzoniere, il Decameron, l’Orlando Furioso, la Gerusalemme Liberata, e altre opere, fortunate come il Cortegiano del Castiglione. I testi letterari diffondevano la conoscenza della lingua tra coloro che potevano leggerli nell'originale, o almeno quella della cultura, tra quanti accedevano alle traduzioni. Fuori di un interesse specificamente letterario, l’italiano era lingua largamente nota nel mondo degli artisti: non c’è artista europeo che, nel Rinascimento e oltre, non abbia fatto il suo soggiorno di apprendistato a Venezia o a Roma. Ancora, nel Medioevo e nel Rinascimento le università italiane, e particolarmente quelle di Padova e Bologna, richiamavano studenti transalpini in gran numero, tra i quali filosofi e scienziati come Niccolò Cusano (1401-1464), che studiò a Heidelberg e a Padova, o Nicola Copernico (1473-1543) che frequentò le università di Cracovia e Bologna. E anche oggi l’italiano è lingua largamente nota a chi si occupa di arti figurative. Anche più lunga, poi, è stata l’incidenza dell’italiano nella musica (in molte lingue la terminologia musicale è ricavata di peso dall’italiano); e di qui viene l’immagine tradizionale dell’italiano come lingua musicale. Senza trattenerci su una tematica comprensibilmente molto vasta, ancora oggi è importante, fra le tante e qualche volta deplorevoli forme del turismo, il turismo colto, che sceglie l’Italia come una delle sue mete preferite. L’italiano come lingua del lavoro, degli affari e dell’economia ha pure un suo ruolo non secondario; e non sempre può essere soppiantato da quella lingua franca che è l’inglese. Industria e commercio sono un potente canale di comunicazione internazionale; e qui ricordiamo, perché è un’attività economicamente notevole che si collega all'aspetto culturale, l’importanza degli stilisti, che fanno della moda uno dei motivi per cui l’Italia è più nota nel mondo.

L’italiano è la lingua franca di uno dei principali soggetti geopolitici mondiali: la Chiesa Cattolica. La lingua ufficiale della Chiesa, come si sa, è il latino, ma quella in uso fra i prelati (e spesso anche i semplici preti) di nazioni diverse è soprattutto l’Italiano che è parlato correntemente in Vaticano ed usata prevalentemente dal Papa, vescovo di Roma, anche se non si tratta più di un italiano da quasi quaranta anni. Ed anche in ordini religiosi con i salesiani o i gesuiti, la lingua corrente è l’italiano.

L'italiano va di moda in Africa, soprattutto nel Maghreb e sulla costa sub-sahariana, che pure sono zone storicamente francofone. Lì sono già tanti i narratori, il più famoso e Amara Lakhuos, che scrivono dell'idioma di Dante.

L’italiano è una lingua di cultura. Gli splendori dell’Italia in campo culturale e artistico sono ben conosciuti ed apprezzati a livello mondiale; secondo i dati più recenti dell’UNESCO ben il cinquanta percento dei tesori artistici al mondo si trovano in Italia. Conoscere l’italiano significa avere accesso a un patrimonio letterario di fondamentale importanza per la storia d’Europa, a testi umanistici e scientifici di valore, alla produzione teatrale, musicale, operistica, cinematografica e televisiva italiana.

L’italiano è una lingua di studio. Sono molti gli studenti che ogni anno decidono di frequentare le nostre Scuole, le nostre Università, le nostre Accademie, le nostre biblioteche. Alcuni studenti hanno infatti indicato che avere l'italiano come lingua di specializzazione nel proprio curriculum universitario accresce sensibilmente la possibilità di un impiego post-laurea, non solo presso le ditte italiane operanti in Canada, ma anche per ditte canadesi con sedi in Italia e naturalmente presso le Organizzazioni Internazionali.

L’italiano è una lingua di lavoro. Manager, investitori, tecnici, maestranze, lavoratori entrano in contatto con il mondo industriale, artigianale e dei servizi italiano che varca le frontiere del nostro paese. Non bisogna dimenticare il presente dell’Italia di paese moderno e dinamico e dei progressi dell’Italia contemporanea, dei traguardi raggiunti negli ultimi cinquant'anni: da un paese povero, agricolo e rurale, ricco solo di monumenti ed opere d'arte, l’Italia è diventata una potenza industriale globale, collocandosi al sesto posto tra i paesi maggiormente industrializzati. L’Italia è anche fra i dieci principali partners commerciali del Canada ed è nota per l’alta qualità dei prodotti "tipici" quali l’abbigliamento, le calzature, i mobili, gli articoli di arredamento e per i prodotti provenienti dal settore industriale - in particolare le macchine utensili, l’industria aerospaziale, la robotistica, le telecomunicazioni e l’industria chimica.

L'italiano è una lingua veicolare: non è la lingua della comunicazione universale come l'inglese: ma è lingua franca, per esempio nel Mediterraneo, da dove vengono tanti degli immigrati che giungono in Italia. Nella Formula Uno, il grande circo mondiale dell’automobilismo sportivo, la lingua italiana è diffusa complici i meccanici italiani che lavorano in molte scuderie e la formazione “kartistica” dei tanti piloti che da giovani hanno corso con i kart in Italia, vero paradiso delle “macchinine”.

L'italiano come seconda lingua

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Il sito MoveHub.com – che fornisce servizi per le persone che decidono di trasferirsi in un altro paese – ha pubblicato un'infografica che mostra quali sono le seconde lingue parlate in ogni paese del mondo. L’inglese è la seconda lingua in più paesi del mondo (55, tra cui l'Italia); al secondo posto c’è il francese (13). L’italiano è al settimo posto, parlato come seconda lingua in cinque nazioni: in Argentina, in Australia, in Libia, in Liechtenstein e in Tunisia.

Lessico

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Il lessico della lingua italiana è descritto oggi da numerosi dizionari, impostati secondo criteri moderni, che includono circa 160.000 parole di uso consolidato. Alcuni dizionari includono fino a 800.000 lemmi (Treccani); d'altro lato, secondo gli studi di Tullio De Mauro, la lingua di comunicazione quotidiana è fondata su una base di circa 7.000 parole. Il Corpus lip (Lista Italiano Parlato) contiene un elenco delle parole che vengono comunemente utilizzate nella comunicazione verbale.

Nel corso dei secoli il lessico dell'italiano ha accolto numerosi prestiti e calchi linguistici da altre lingue e culture.

Prestiti da lingue prelatine

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Alcune parole dell'italiano derivano da lingue parlate in Italia prima dell'avvento del latino. Hanno questa origine, per esempio, persona (proveniente dall'etrusco) e bufalo (proveniente dall'osco-umbro). Queste parole sono entrate nell'italiano e nei dialetti dell'Italia attraverso la mediazione del latino.

Latinismi

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Il lessico italiano deriva in massima parte dal latino volgare. Il lessico con questa origine non è quindi considerato prestito; in alcuni casi, però, parole modellate su parole del latino letterario sono state reintrodotte nei volgari italiani prima e nell'italiano poi, fino all'età contemporanea. Questo a volte ha creato coppie di parole con la stessa origine ma significato diverso. Dal latino VITIUM hanno origine per esempio sia la parola vezzo, per tradizione ininterrotta, che la parola vizio, reintrodotta sulla base dell'uso latino classico. Altri latinismi sono stati reintrodotti anche attraverso la mediazione di altre lingue.

Grecismi

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Dal greco sono entrati in italiano molti termini scientifici, politici e religiosi, questi ultimi dovuti alla diffusione della Vulgata (la traduzione della Bibbia dalla versione in greco detta Septuaginta, da cui parabola, angelo, chiesa, martire etc.); dai bizantini deriva lessico marinaresco (galea, gondola, molo, argano) o botanico (basilico, bambagia).

Ebraismi

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Dall'Ebraico derivano parole usate nei riti cristiani come sabato, satana, cabala, osanna, alleluia, pasqua e altre come manna, sacco.

Arabismi

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Numeroso il lessico che proviene da parole arabe, tra cui vegetali (arancia, limone, spinaci), animali o di caratteristiche d'essi (ubara, ubèro), alimentari (sciroppo, zucchero, caffe), di suppellettili (materasso, zerbino), o di prodotti (garbo, coffa, ghirba, probabilmente valigia), termini commerciali, amministrativi e giuridici(dogana, fattura, fondaco, magazzino, tariffa, sultano, califfo, sceicco, ammiraglio, alfiere, harem, assassino), ludici (azzàrdo), scientifici (alchimia, alambicco, elisir, calibro), matematici (algebra, algoritmo, cifra, zero), altri aggettivi o sostantivi (meschino, tarsia, intarsiato) e recentemente termini come intifada, burqa e kefiah.

Persiano

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Dal persiano derivano parole come scacchi (da cui anche il matto di "scacco matto"), mago, pasdaran.

Francesismi

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Dal francese medievale o dal provenzale provengono moltissimi termini, ad esempio: burro, cugino, giallo, giorno, mangiare, manicaretto, saggio, savio, cavaliere, gonfalone, usbergo, sparviere, levriere, dama, messere, scudiero, lignaggio, liuto, viola, gioiello...; oltre il Medioevo i prestiti dall'area francese si riducono, per riprendere in occasione dell'occupazione della Lombardia nel XV secolo (maresciallo, batteria, carabina, ma anche bignè, besciamella, ragù).

In epoca illuministica e quindi con Napoleone si insedieranno ad esempio rivoluzione, giacobino, complotto, fanatico, ghigliottina, terrorismo.

Nell'Ottocento entrano ancora parole come: ristorante, casseruola, maionese, menù, paté, puré, crêpe, omelette, croissant (cucina); boutique, décolleté, plisse, griffe, prêt-à-porter, fuseaux (moda); boulevard, toilette, sarcasmo, cinema, avanspettacolo, soubrette, boxeur (anglismo passato al francese), chassis.

Il termine informatica entra rapidamente dopo la nascita del neologismo informatique nel 1962.

Germanismi

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In larga parte di origine longobarda o franca, in minor misura dal gotico sono diversi termini comuni in italiano. Per esempio: guerra, guernìre-guarnìre, zanna, grinfia, stambecco, sapone, vanga, banda, guardia, elmo, albergo, spola, guercio, stanga, schiena, banca. Alcuni prestiti sono scandinavi come per esempio renna.

Anglismi

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I prestiti dall'inglese sono relativamente recenti, indicativamente dalla fine del Settecento, ma considerevoli. Secondo Tullio De Mauro gli anglismi entrati nell'italiano si attestano attorno all'8% del lessico complessivo.

Dopo la seconda guerra mondiale, si insediano stabilmente termini relativi allo sviluppo tecnologico ed economico; molti sono prestiti di necessità, ovvero non traducibili con lemmi già esistenti: kit, jeans, film, killer, partner, okay, puzzle, scout, spray, west, punk, rock; lessico finanziario come budget, marketing, meeting, business; informatico come click, cliccare, computer, formattare, hardware, software, mouse, blog (da web-log); sportivi come goal, corner, cross, assist, baseball, basket.

Iberismi

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Dallo spagnolo, prima e durante l'occupazione asburgica, sono giunti nell'italiano termini come amaca, ananas, brio, cacao, cioccolata (originariamente nahuatl), condor (originariamente quechua), creanza, etichetta, guerriglia, lama (originariamente quechua), lazzarone, mais (originariamente taino), parata, patata (originariamente quechua), posata, puntiglio, sfarzo, sussiego, zaino ...

Dal portoghese derivano parole come, banana, cocco, mandarino (originariamente cinese), pagoda (originariamente cinese)...

Tra questi, molti hanno origine dai nuovi referenti provenienti dalla scoperta dell'America.

Fra le lingue iberiche minoritarie che ebbero una certa influenza sull'italiano, va senz'altro menzionato il catalano, parlato, insieme al toscano o ai dialetti locali, in alcune corti medievali (in Sicilia, fra il XIII e il XV secolo, in Sardegna fra la prima metà del XIV e la prima metà del XVII secolo, e a Napoli nel corso del XV secolo).

L'italiano come lingua straniera

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L'italiano come lingua straniera (LS) è l'italiano insegnato fuori d'Italia ad apprendenti di madrelingua non italiana. Alla fine degli anni settanta, l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana commissionò a Ignazio Baldelli la prima indagine sui motivi che spingevano il pubblico degli apprendenti italiano LS a studiare l'italiano. L'italiano appare studiato soprattutto per due ragioni: il prestigio della cultura italiana o una ascendenza familiare italiana. Sempre in base all'indagine di Baldelli, furono stimati più di 700.000 apprendenti stranieri, donne per i due terzi; del totale, il 70% studenti, nei restanti casi soprattutto impiegati.[15]

Il 21 e 22 ottobre 2014 si sono svolti a Firenze, su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri italiano, i primi "Stati generali della lingua italiana nel mondo", per fare il punto sulla situazione presente e definire strategie future per la diffusione della lingua a livello globale. Il libro bianco "L'italiano nel mondo che cambia" realizzato in seguito all'evento, stima in oltre 1 milione gli studenti d'italiano all'estero, maggiormente in Germania (244.000), Australia (203.000) e Stati Uniti (145.000) [16]. I prossimi Stati generali sono in programma nel 2016.[17]

Studio dell'italiano all'estero

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L'italiano, pur classificandosi solo al 15° posto tra le lingue più parlate come prima lingua, è la quarts lingua straniera più studiata nel mondo, dopo inglese, spagnolo e cinese e prima del fancese.[18] Una classifica ormai consolidata dal 2014-2015, quando lo studio dell'italiano ha registrato un boom, passando da 1,7 milioni di studenti (2013-2014) a più di 2 milioni il biennio dopo. L'italiano è sempre al quarto posto per l'anno accademico 2016/17, con 2.145.093 studenti raggiunti in 115 paesi tramite gli Istituti Italiani di Cultura. Questo grazie al fascino che l'Italia ha nel mondo e all'opera preziosa degli Istituti italiani di cultura.

Nel Canada anglofono l'italiano è la seconda lingua più studiata dopo il francese, mentre negli Stati Uniti e in Regno Unito è la quarta lingua straniera più studiata dopo francese, spagnolo e tedesco[19].

Nel corso degli ultimi dieci anni, la domanda di italiano negli Stati Uniti ha subito una crescita esponenziale. Questo forte interesse è condiviso non solo dalla grande comunità americana di origine italiana, ma anche da molti altri settori della popolazione, che considerano l'italiano la lingua della cultura, dell'arte e dello stile. L'Italiano, infatti, si sta espandendo non solo come lingua veicolare, ma anche in termini di qualità degli studi letterari. Mostre, proiezioni di film e iniziative culturali, ospitati all'interno di grandi musei, biblioteche e centri studi italiani negli Stati Uniti sono sempre molto seguiti (per non dire gremiti) da parte del pubblico Usa.
La comunità di origine italiana negli Usa è sempre più influente, con personalità ai più alti livelli nella politica americana. Inoltre, c’è una presenza di italiani che si riconoscono nelle loro tradizioni, mandando a studiare i figli nelle università italiane. L'insegnamento della lingua italiana all'interno del sistema scolastico locale e delle università è molto apprezzato negli Stati Uniti. Secondo la Modern Language Association, il numero degli studenti di italiano nelle università americane è cresciuto quasi del 60% dal 1998 al 2006, passando da 49.000 a 78.000; nel 2009 gli iscritti universitari alle classi di italiano in tutti gli States sono saliti a 80.752, facendo registrare un altro balzo in avanti del 3% rispetto agli iscritti del 2006. Se poi si va indietro di un decennio, al 1998, si scopre che l'italiano nelle aule universitarie ha guadagnato a oggi il 63%.
Uno studio recente del Ministero dell'Educazione, rivela che mentre l'offerta di altre lingue straniere nelle scuole primarie e secondarie diminuisce, al contrario l’offerta della lingua italiana cresce: l'italiano era studiato, infatti, nel 4% delle scuole nel 2008, rispetto al 3% del 1997. Ci sono cattedre di italiano ovunque negli Stati Uniti, perfino in Alaska, alle Hawaii e due anche a Puerto Rico. Più di 80 università americane hanno una sede a Firenze.
Tra le sette lingue moderne più importanti insegnate nelle università americane, l'italiano ha mantenuto costantemente il quarto posto e, da settembre 2005, è entrato nell'Advanced Placement Program (APP), ingresso che ne ha consentito l'insegnamento in più di 500 scuole secondarie degli Stati Uniti, come già avveniva per le lingue spagnola e francese. Il numero di studenti americani che decidono di passare un periodo di soggiorno/studio in Italia è in costante aumento. Secondo dati resi noti recentemente dall'"Institute of International Education", l'Italia ha ospitato nel 2008 24.858 studenti statunitensi, piazzandosi al secondo posto dopo la Gran Bretagna e superando la Spagna che segue al terzo posto con 20.806 studenti. Questi dati rappresentano una conferma ulteriore della crescita d'interesse per la lingua e la cultura italiana e sono un'importante premessa per un incremento ed un consolidamento degli ottimi risultati ad oggi raggiunti.

Nell'Europa centro-orientale l'italiano risulta essere studiato con alte percentuali; in Austria, Croazia, Ungheria e Russia è la seconda lingua studiata dopo l'inglese, mentre in Ucraina un'indagine dell'Accademia delle Scienze di Kiev la colloca al primo posto tra le lingue straniere studiate. Caso notevole è il Montenegro, dove l'italiano è la lingua straniera più conosciuta e studiata; la lingua italiana è stata introdotta nella scuola dell'obbligo ed è materia obbligatoria fin dalle scuole elementari. Attualmente ben 30.000 studenti di tre facoltà universitarie hanno scelto l'italiano, su una popolazione nazionale di appena 600.000 abitanti.[20]
La percentuale di studenti che studiano italiano nella scuola secondaria superiore (dati per l'anno scolastico 2009/2010) è del 37,5 % in Austria,[21] del 24,2 % a Cipro, del 50,2 % in Croazia[22], mentre in Ungheria sono il 4,1 % degli studenti delle scuole secondarie superiori d'orientazione generale[23] e l' 11,7 % degli istituti pre-professionali/professionali.[23]

È però l'America Latina il bacino che regala più studenti all'italiano ed in particolare è l'Argentina che ha il maggior numero di corsi e frequentanti, grazie anche all'alto numero di latino-americani di origini italiane. In Argentina, l'italiano è la seconda lingua più studiata con circa 93.000 studenti per un totale di oltre 5.000 corsi attivati con 1.359 insegnanti. Molto del successo deriva dal fatto che, nel 1985, l'italiano è diventata seconda lingua obbligatoria nelle scuole argentine.

Ancora più stupefacenti i risultati che riguardano la diffusione dell'italiano nel Paese del Sol Levante. Secondo le stime più accreditate, in Giappone vi sono al momento attuale almeno 500.000 persone che studiano italiano, senza contare il dato delle centinaia di piccole scuole di lingua operanti su tutto il territorio dell'arcipelago, difficilmente quantificabile. L'insegnamento dell'italiano è impartito in una ventina di università statali e una cinquantina di private, ma quello che appare davvero straordinario è il numero delle persone che seguono i corsi di italiano trasmessi per radio e televisioni: 300.000 spettatori per le trasmissioni televisive, 160.000 ascoltatori per quelle radiofoniche. Le dispense messe in vendita dalla televisione pubblica vendono 230.000 volumi ogni mese. Questo fenomeno colloca l'italiano al terzo posto delle lingue più studiate in Giappone, dopo l'inglese e il cinese.

Oltre a ciò, il Ministero degli Affari Esteri censisce, nella propria rete, 90 istituti di cultura, 179 scuole italiane all'estero e 111 sezioni italiane presso scuole straniere[24].

Tutela della lingua italiana

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Accademia della Crusca

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L’Accademia della Crusca è il più importante centro di ricerca scientifica dedicato allo studio e alla promozione dell’italiano. Essa si propone in particolare l’obiettivo di fare acquisire e diffondere nella società italiana, specialmente nella scuola, e all’estero, la conoscenza storica della lingua nazionale e la coscienza critica della sua evoluzione attuale nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo. È membro fondatore della Federazione Europea delle Istituzioni Linguistiche Nazionali - EFNIL. Come evidenziato nello statuto, l'accademia si occupa di promuovere lo studio della lingua italiana a fini storico-linguistici, lessicografici ed etimologici. L'attività scientifica dell'Accademia si svolge in tre campi principali:

  1. il Centro studi di filologia italiana, che promuove lo studio e l'edizione critica degli antichi testi e degli scrittori italiani;
  2. il Centro di studi di lessicografia italiana, che si occupa di studi sul lessico italiano e della compilazione di opere lessicografiche;
  3. il Centro di studi di grammatica italiana, addetto allo studio della grammatica storica, descrittiva e normativa della lingua italiana.

Istituto Opera del Vocabolario Italiano

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L'Opera del Vocabolario Italiano è l'Istituto del CNR che ha il compito di elaborare il Vocabolario Storico Italiano. È membro fondatore della Federazione Europea delle Istituzioni Linguistiche Nazionali - EFNIL.

Enti di promozione della lingua italiana nel mondo

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Istituti Italiani di Cultura
Il Ministero per gli Affari Esteri, attraverso la rete degli Istituti Italiani di Cultura, assicura la promozione della lingua italiana all'estero grazie a corsi di lingua e cultura italiana. Ogni anno, nel mese di ottobre, ha luogo la Settimana della lingua italiana nel mondo.[25]
Società Dante Alighieri
La Società Dante Alighieri nasce nel 1889 grazie a un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci e viene eretta Ente Morale con R. Decreto del 18 luglio 1893, n. 347: con d.l. n. 186 del 27 luglio 2004 è assimilata, per struttura e finalità, alle ONLUS. Il suo scopo primario, come recita l'articolo 1 dello Statuto sociale, è quello di "tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all'estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l'amore e il culto per la civiltà italiana". Per il conseguimento di queste finalità, la "Dante Alighieri" si è affidata e si affida tuttora all'aiuto costante e generoso di oltre 500 Comitati, di cui più di 400 attivi in Africa, America, Europa, Asia e Oceania.
Comunità Radiotelevisiva Italofona
Costituita il 3 aprile 1985 quale collaborazione istituzionale tra radiotelevisioni di servizio pubblico – Rai, Rtsi, TV Koper-Capodistria, Radio Vaticana e San Marino RTV – la Comunità radiotelevisiva italofona nasce come strumento di valorizzazione della lingua italiana. La sua struttura articolata può essere illustrata da uno schema in tre cerchi: il primo cerchio è formato dai soci fondatori; il secondo comprende tutti i media "osservatori", registrati; il terzo cerchio, infine, include gli "amici", cioè quel quadro ambientale che favorisce l'humus di crescita della Comunit

Quotidiani in lingua italiana

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Tra i diversi quotidiani in lingua italiana editi non in Italia, si citano:

L'italiano nell'Unione europea

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L'italiano è una delle principali lingue europee, è una delle 6 lingue ufficiali dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (insieme all'inglese, al francese, al tedesco, al russo e allo spagnolo), una delle 23 lingue ufficiali dell'Unione europea e una delle lingue di lavoro del Consiglio d'Europa e della Commissione europea. Secondo un sondaggio dell'Unione europea a 15, relativo al 2001, l'italiano è al secondo posto per numero di parlanti madrilingua in ambito comunitario (16%), dopo il tedesco (24%) e davanti a francese e inglese. Un sondaggio più recente dell'Unione europea a 25, effettuato su un campione di 28.694 cittadini europei e relativo al 2006, ha confermato la seconda posizione dell'italiano quanto a numero di madrelingua comunitari, preceduta solo dal tedesco (18%).

Nelle statistiche dell'Unione Europea, la lingua italiana è parlata come lingua madre dal 13% della popolazione totale, ovvero da 69 milioni di persone,[28] soprattutto in Italia. Nell'UE, l'italiano è parlato come seconda lingua dal 3% della popolazione, ovvero 14 milioni di persone. Includendo gli italofoni madrelingua in altri Paesi non facenti parte dell'EU (come la Svizzera e l'Albania) e in altri continenti, il numero totale di parlanti madrelingua italiano raggiunge i 90 milioni.[29] Tra gli stati europei, l'italiano è parlato come seconda lingua a Malta dall'84% della popolazione, in Croazia dal 23,91%, in Slovenia dal 15%, in Bulgaria dal 12%, in Austria dall'11%, in Romania e Grecia dall'8%, in Francia e Lussemburgo dal 6% e in Germania e Cipro dal 4% della popolazione.[28] L'italiano è inoltre una delle lingue ufficiali della Svizzera, che non è un membro dell'Unione Europea.[30] L'italiano è molto parlato e studiato anche in Albania e in Montenegro, altri due paesi non-membri dell'UE, per via dei loro legami storici e della vicinanza geografica con l'Italia; in tali paesi è la lingua straniera più conosciuta ed è insegnata obbligatoriamente in tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Da un punto di vista giuridico l'UE riconosce all'italiano come ad altre 22 lingue nell'Unione lo status di lingua ufficiale.[31] Tuttavia l'attuazione di tale politica ha fatto sorgere delle preoccupazioni in vari Paesi. Sebbene il multilinguismo non sia ufficialmente in discussione, sono molti i documenti o decreti redatti unicamente in inglese, tedesco, francese e italiano: di fatto si sta progressivamente affermando un multilinguismo a quattro, sostenuto dai rappresentanti dei quattro paesi interessati. Anche fuori dell'ambiente politico, c'è chi chiede che sia rispettata di fatto l'uguaglianza per tutte le lingue ufficiali, come teoricamente l'Ue garantisce.[32] È stata anche avanzata la proposta di adottare una lingua ausiliaria non appartenente a nessun popolo per evitare la sopraffazione delle altre lingue sotto il peso dell'inglese, che di fatto assume importanza maggiore anche nel multilinguismo a quattro.

Mediterraneo e lingua italiana

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L'italiano e il mare

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Si dice spesso che la lingua franca parlata dal X secolo negli ambiti marittimi e mercantili del Mediterraneo avesse una base italiana o spagnola nel bacino occidentale e una base veneziana in quello orientale (italiano come lingua franca). La lingua franca barbaresca, essendo di natura orale e conosciuta attraverso la letteratura parodistica, risulta difficile da definire, ma se fosse stata «un pidgin a base soprattutto italiana» (Cifoletti, 2004) sarebbe significativo, perché rifletterebbe la diffusione delle varietà parlate dai naviganti e dai mercanti italiani che solcavano le rotte del Mediterraneo.

La diffusione del veneziano nel bacino orientale era dovuta alla politica espansionistica della Repubblica di Venezia dal X secolo in poi in Dalmazia, Grecia, Cipro, Rodi, Creta, e nel Peloponneso, soprattutto nei centri cittadini e portuali. Come la lingua franca, questa varietà non dovrebbe essere definita italiana; tuttavia (secondo Cortelazzo, 1998) «il primato dell’italiano è indiscusso nel Mediterraneo orientale», tanto che ha arricchito di numerosi termini le lingue di tali territori. Venezia portò nelle isole Ionie non solo il veneziano ma anche l’italiano del diritto, tanto che nella Corfù britannica le leggi municipali furono pubblicate in italiano nel 1846.

Prima tra le lingue europee, l'italiano si dota di regole grammaticali e di un grande dizionario. Non è questa l'unica linea della sua storia: nel mondo plurilingue del Mediterraneo tra XVI e XVIII secolo l'italiano è impiegato per le transazioni marinaresche, anche in assenza di interlocutori italiani. Ancora, l'italiano ha avuto ripetuti, inaspettati impieghi nella diplomazia dei Balcani e nell'Oriente della Turchia Ottomana. La vita avventurosa di Lord Byron, conclusasi in Grecia, è un'altra chiave di accesso (non l'unica) che spiega perché sia redatto in italiano il documento che fonda la legittima proprietà delle sculture del Partenone da parte del British Museum. Nel Settecento in Turchia l'italiano faceva da lingua intermediaria fra il russo e il turco e in Egitto l’italiano fu lingua ufficiale dell'amministrazione fino al 1876. Ad esempio, russo, italiano e turco sono le uniche lingue in cui vennero scritte le copie originali del trattato di Küçük Kaynarca tra impero russo e impero ottomano: Il Grand Visir Muhsinzade Mehmed Pasa firmò copie del trattato in turco ottomano e italiano. mentre il feldmaresciallo russo P. A. Rumyantsev firmò testi in russo e italiano, con la clausola che, in caso di divergenze di interpretazione tra i testi in russo e turco, avrebbe prevalso la versione in lingua italiana.

L’italiano lingua ufficiale di uno "stato" internazionale

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Fondato a Gerusalemme nell’XI secolo per assistere e difendere i pellegrini cristiani, l’Ordine di San Giovanni, religioso, militare e ospedaliero, era inizialmente composto da membri francesi e la sua prima lingua era il francese; poi il numero dei cavalieri di altre nazionalità crebbe e negli statuti e altri strumenti ufficiali fu adottato il latino.

L’Ordine, strutturato in otto ‘Lingue’ (cioè nazioni: Francia, Provenza, Alvernia, Italia, Aragona, Castiglia, Inghilterra e Germania), quando si trasferì a Rodi avvertì la necessità di una lingua interetnica meno ostica del latino. Nel 1446 un cavaliere italiano, Giacomo De Soris, aggiunse una nota allo Statuto rivelando che verba faciemus in quo humili stilo et materno quasi sermone utimur («parliamo in stile umile e ci serviamo di una lingua quasi materna»), il che fa pensare all’adozione dell’italiano, sicuramente fra i cavalieri dei sette priorati d’Italia (Lombardia, Venezia, Pisa, Roma, Capua, Barletta e Messina) e probabilmente anche da parte degli altri gruppi etnici.

Sintomatico del tipo di italiano che si scriveva a Rodi nel XV secolo è un codice del 1467 (Biblioteca Nazionale di Malta, Archivio 1700), il cui sommario dice:

«Usagi et sguardi et bon costumi della santa Mansione del hospital di San Giovanni battista de hierusalem li quali deno tenir et usare li frati del hospital: Li casi per li quali el fratre perde lhabito et la compagnia della mansione perpetualmente […] Li jeiunij della mansione.»

L’importanza dell’italiano risulta dal fatto che gli atti dei Capitoli Generali degli anni 1454, 1475, 1495 e 1501, redatti a Rodi, contengono allegati in italiano, che non riguardano solo la Lingua d’Italia, ma anche le altre Lingue.

Dopo che gli Ottomani scacciarono l’Ordine da Rodi, Carlo V offrì le isole di Malta in feudo ai Cavalieri, che vi si stabilirono nel 1530. La vicinanza alla Sicilia, gli stretti rapporti con Roma e l’affermazione del volgare fiorentino in Italia spinsero i Cavalieri ad adottare l’italiano come lingua ufficiale accanto al latino. Gli atti dei Capitoli Generali continuarono a scriversi in latino, ma il primo tenuto a Malta, nel 1532, contiene un lungo brano in italiano sui regolamenti della Marina. Dopo la consueta introduzione in latino si legge:

«E primo. Che ’l venerando Capitano e patroni de gallere se debiano constituire et ponere in l’officio per doi anni bene faciendo. Item che sopra cadauna gallera non si debia portare più de ottanta scapuli boni et sufficienti et portandone davantagio che sia sopra el capitano et patroni.»

A Malta l’italiano dell’Ordine perse le peculiarità veneziane e assunse un carattere più meridionaleggiante (Brincat 2003: 379-386). Dopo alcuni decenni, lo studio delle grammatiche del Cinquecento (comprovato dalle numerose copie conservate nella Biblioteca Nazionale di Malta, che ha ereditato gran parte dei libri personali dei Cavalieri) portò il livello dell’italiano scritto a Malta dai cavalieri italiani e da alcuni non italiani, e anche dai maltesi colti, a un livello difficilmente distinguibile da quello scritto in Italia. Onofrio Acciaioli, nella presentazione degli Statuti tradotti dal latino in italiano da Paolo Del Rosso e pubblicati a Firenze nel 1567, descrive così la situazione a Malta:

«essendo che la maggior parte delle persone de’ nostri tempi hanno poca notizia della Latina, la quale ordinariamente non si usa, et che questa nostra non solamente in Italia, ma ancor in ogni altra Provincia è conosciuta, et si intende, et si parla ancora più che ogni altra lingua, in cotesta isola di Malta dove è la nostra residenza.»

Nel ricchissimo archivio dell’Ordine, conservato alla Valletta, la maggior parte dei manoscritti e dei libri stampati tra XVII e XVIII secolo sono infatti in lingua italiana.

L’Ordine promosse trattati in vari settori, dalla medicina alla navigazione, e nel Settecento pubblicò in italiano due codici che regolavano non soltanto le faccende dei Cavalieri ma anche l’amministrazione della giustizia nello stato di Malta. Le Leggi e Costituzioni Prammaticali (1724) del Gran Maestro De Vilhena e il Diritto Municipale di Malta (1784) del Gran Maestro De Rohan stabilirono la base italiana del sistema giudiziario maltese, il quale resistette tenacemente all'anglicizzazione più volte tentata dal governo britannico tra il 1813 e il 1936.

L'italiano delle colonie

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Le colonie italiane che si stabilirono nell'Africa del Nord tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, quando l’esodo di operai e contadini italiani (soprattutto siciliani, sardi e calabresi) fu massiccio. Tra il 1949 e il 1956 in Tunisia vivevano 120.000 italiani, in Egitto erano 10.000 nel 1849 e 55.000 nel 1940, e in Marocco il migliaio del 1911 si decuplicò nel 1935. Anche se erano generalmente dialettofoni, gli italiani diedero vita a varie attività culturali, promossero la pubblicazione di giornali e libri e crearono scuole italiane. Le scuole regie ebbero fortuna; i rapporti ufficiali dal 1922 al 1927 firmati dal direttore delle scuole italiane all'estero affermano che le più floride erano quelle in Tunisia, che avevano una media di 500 alunni.

Nel Mediterraneo il futuro dell’italiano sembra legato, almeno come esposizione, soprattutto alla televisione, dato che l’ascolto dei canali italiani è relativamente alto a Malta, in Albania, in Tunisia e in Marocco, e all’accessibilità dei siti italiani in Internet.

Comunità dei paesi di lingua italiana

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Le stime della Società di Linguistica Internazionale valutano che al mondo esistano oltre 200 milioni di persone in grado di parlare italiano: si contano circa 70 milioni di persone di madrelingua italiana (63,5 milioni di questi sono residenti in Italia) ed oltre 131 milioni di persone che parlano l'italiano come seconda lingua.

In alcuni paesi l'Italiano è lingua ufficiale; in altri ha un uso relativamente diffuso, anche se privo di riconoscimento giuridico. È inoltre fra le tre lingue più studiate al mondo (come lingua non madre).

In termini assoluti i paesi in cui, pur non essendo lingua ufficiale, l'italiano è più parlato sono Argentina (più di 5.000.000 di italofoni), Brasile (4.050.000, il 2,07% della popolazione)[33] e USA (oltre 1,8 milioni). Seguono l'Albania, con 1,6 milioni di italofoni, la Romania, con 1.502.950 parlanti,[34] la Croazia (1.004.097, il 23,91% della popolazione)[35] Canada e Francia, con 1.000.000 di italofoni ciascuno, e la Svizzera (769.147). La lingua italiana è la 15a lingua parlata come prima lingua per dimensione; essa è parlata in complessivamente 40 paesi da 75 milioni di persone.

L'italiano come lingua ufficiale:[36]
Stati o altre divisioni territoriali dove l'italiano è l'unica lingua ufficiale:
Stati o altre divisioni territoriali dove l'italiano è una delle lingue ufficiali:
Stati in cui la lingua italiana è localmente ufficiale:
L'italiano come lingua di insegnamento obbligatoria e/o lingua amministrativa:[36]
  •   Albania (lingua straniera conosciuta dall'80% della popolazione e dal 1933 insegnata in tutte le scuole come prima lingua straniera obbligatoria; prima lingua in alcune regioni del litorale)
  •   Austria (Carinzia e Tirolo; utilizzato per motivi commerciali nel resto del Paese)
  •   Brasile (ufficiale a livello regionale ed etnico a Santa Teresa e Vila Velha, e come tale insegnato obbligatoriamente nelle scuole. Nel Rio Grande do Sul è riconosciuto come lingua ufficiale regionale, e a São Paulo è diffuso non ufficialmente)
  •   Montenegro (lingua straniera più conosciuta e insegnata nelle scuole)
  •   Uruguay (dal 1942 lingua obbligatoria nelle scuole superiori)
L'italiano come lingua nazionale o altra lingua parlata
Paesi in cui l'italiano è lingua di cultura privilegiata
  •   Egitto (parlato vicino al confine della Libia e dagli italiani d'Egitto; largamente usata nel campo del turismo)
  •   Israele (parlato per lo più da ebrei italiani, libici, eritrei, etiopi e somali)
  •   Romania
Paese Parlanti madrelingua % Anno Fonti Parlanti totali % Anno Fonti
  Albania 523 0,02% 2011 1.600.000+ ~ 80% [40]
  Argentina 1.500.000 3,7% [41] 5.000.000+ >12,33%
  Australia 405.038 2,6% 1986 [42] 555.300 < 4% 1983
  Austria 10.742 0,13% 2001 [43]
  Belgio 190.816 1,72% 2012 580.667 5,24% 2012 [44]
  Brasile 4.050.000 2,07%
  Canada 538.765 2,5% 1971 [45] 694.000
  Cile 56.834 0,32%
  Città del Vaticano 744 89% 836 100% 2012
  Colombia 122.901 0,30% 2005 [46][note 1]
  Croazia 18.573 0,43% 2011 [47] 1.004.097 23,91%
  Finlandia 2.857 0,05% 2018 [48]
  Francia 655.961 1,19% 2007 [49][note 2] 3.237.620 5,11% 2012 [50][51]
  Germania 632.903 0,76% 2010 [52][note 2] 2.536.126 3,16% 2012 [53][54][55]
  Giappone 6.900 0,01% [56]
  Grecia 375.096 3,38% 2012
  Irlanda 14.505 0,31% 2016 [57]
  Italia 62.138.000 90,4% 2011 66,5 M+ 96,8% [44][note 2]
  Liechtenstein 570 1,51% 2015 [58]
  Lussemburgo 28.561 6,9% 2011
  Malta 84%
  Messico 16.200 0,2%
  Monaco
  Nuova Zelanda 8.214 0,19% 2013 [59]
  Paesi Bassi 39.519 0,23%
  Perù 32.362 0,10%
  Polonia 10.295 0,03% 2011 [60] 707.987 1,86% 2012 [50][51][note 2]
  Portogallo 9.411 0,09% 2012 [44][note 2]
  Regno Unito 102.248 0,16% 2011 [61] 1.335.739 2,1% 2012 [62][63][note 2]
  Romania 2.949 0,02% 2011 1.502.950 7,44% [64]
  Russia 1.013 0,001% 2010 [65] 83.202 0,06% 2010 [61]
  San Marino 32.448 100% 2013 32.448 100% 2013 [66]
  Spagna 111.919 0,24% 2016 [67][note 2] 1.128.417 2,41%
  Sudafrica 5.768 0,01% 1996 [61]
  Svizzera 11,1% 1.277.411 15,5% 2014 [68][69]
  Uruguay 94.442 2,74% [70][71]
  USA 4.144.315 2,842% 1970 [72]
  Venezuela 600.000 2,58% 2010 [73]
Totale

Territori subnazionali

Territorio Paese Parlanti L1 Percentuale Anno Fonti
Catalogna   201.200 3,2% 2018 [74]
Uusimaa   1.800 0,11% 2018 [75]
Ticino   267.617 88,8% 2016 [76]
Inghilterra   92.241 0,17% 2011 [77]

Lingua ufficiale

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L'italiano è lingua ufficiale nell'Italia metropolitana e d'oltremare (Isole italiane dell'Egeo in Europa, Guiana italiana in Sudamerica, Tientsin in Asia), a San Marino, nella Città del Vaticano, nel Principato di Monaco, in Svizzera (insieme a tedesco, francese e romancio), a Malta (insieme all'inglese), nelle Isole ionie (Grecia), in Libia (insieme all'arabo), in Eritrea, in Etiopia e in Somalia (insieme al somalo) . L'italiano è inoltre una delle 23 lingue ufficiali dell'Unione europea.

Fuori d'Europa, l'italiano è anche diffuso nelle ex-colonie italiane in Africa: Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia. L'italiano, arrivato nel continente africano con la colonizzazione da parte del Regno d'Italia, è spesso una seconda lingua per la popolazione locale ma in alcune regioni e contesti è diventato una lingua materna, sostituendo in tutte le funzioni comunicative le lingue locali: è il caso del dipartimento italiano delle Isole Hanish e di alcune aree urbane e metropolitane come quella di Asmara, capitale dell'Eritrea. L'avanzare della conoscenza dell'italiano è in costante crescita grazie alla scolarizzazione, è parlato dalla quasi totalità della popolazione e negli ultimi anni sta cominciando a diffondersi come lingua materna per le giovani generazioni di africani.

L'italiano è utilizzato da comunità storiche di emigrati in numerose altre località del bacino mediterraneo (da Gibilterra alla Crimea, da Costantinopoli all'Algeria passando per Alessandria d'Egitto e il Libano).

In Italia l'italiano è lingua ufficiale in quanto l'art. 12 della Costituzione recita: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica.».

Lingue e dialetti d'Italia
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Situazione linguistica in Italia prima della II guerra mondiale secondo Clemente Merlo (Lingue e dialetti d'Italia, Milano 1937, p. 4)

     Toscani

     Italiani centro-meridionali

     Italiani settentrionali

     Corsi e sardo-corsi

     Sardi

     Occitani

     Franco-provenzali

     Catalani

     Retoromanzi

     Rumeni

     Tedeschi

     Slavi

     Arbereshe

     Greci

La lingua ufficiale dell'Italia è l'italiano. Esistono diverse lingue locali (catalano, sardo, corso, veneto, sloveno, croato, sudtirolese, occitano e francoprovenzale), ma il governo italiano e il sistema scolastico ne hanno scoraggiato l'uso fino a poco tempo fa. Le lingue regionali vengono ora insegnate in alcune scuole, anche se l'italiano rimane l'unica lingua ufficiale in uso dal governo, locale o nazionale.

I dialetti (intesi come varianti) dell'italiano sono quasi tutti estinti.

La lingua ufficiale dello Stato italiano discende storicamente dal toscano letterario, il cui uso è iniziato coi grandi scrittori Dante, Petrarca e Boccaccio verso il 1300, e si è in seguito evoluto storicamente nella lingua italiana corrente. La lingua italiana era parlata solo da una piccola minoranza della popolazione al momento dell'unificazione politica nel Regno d'Italia nel 1861, ma si è in seguito diffusa, mediante l'istruzione obbligatoria e il contributo determinante e più recente della televisione.

Dal punto di vista degli idiomi locali preesistenti, ne consegue un processo di logoramento linguistico in cui le generazioni successive acquisiscono sempre più caratteristiche italiane, processo accelerato sensibilmente dall'ampia disponibilità di mass media in lingua italiana e dalla mobilità della popolazione. Questo tipo di cambiamenti ha ridotto sensibilmente l'uso delle lingue regionali, molte delle quali sono ormai considerate in pericolo di estinzione (anche a causa delle enormi discriminazioni verificatesi nel Novecento). Nel passato, parlare in un dialetto italiano e in lingua minoritaria era spesso deprecato come segno di scarsa istruzione. Per quanto riguarda le varianti dell'italiano, le differenze fra varianti regionali possono essere dimostrate da vari fattori: l'apertura della vocali, la lunghezza delle consonanti, e l'influenza della parlata locale (per esempio, annà può rimpiazzare andare nell'area di Roma, anche nell'uso di chi parla abitualmente italiano).

A livello locale sono riconosciute come co-ufficiali le seguenti lingue:

L'italianizzazione dell'Italia
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«Una d’arme, di lingua, d’altare»

Il 1861 è l'ideale linea di demarcazione tra una penisola composta da forze contrapposte a un'Italia unita sotto un'unica bandiera, simbolo della nuova unità nazionale.

Un avvenimento, quello dell'unità, che è necessario analizzare non solo dal punto di vista amministrativo e legislativo, ma anche e soprattutto dal punto di vista linguistico: in effetti sono proprio la lingua e la reciproca comprensione a dar vita a quella condivisione comunicativa che deve essere necessariamente alla base di uno stato.

Immediatamente dopo l'unificazione dell'Italia, la situazione dal punto di vista linguistico non era affatto positiva: l'italiano era in effetti appannaggio di una ristretta élite, composta esclusivamente da colti e letterati. La restate popolazione italiana, analfabeta, continuava ad utilizzare le diverse forme dialettali proprie delle differenti zone della penisola.

Un problema sentito, quello della divisione linguistica, tanto che lo stesso Alessandro Manzoni, già prima dell'unificazione e precisamente nel 1806, si riferì all'italiano come 'lingua morta', poiché non condivisa e, soprattutto, non parlata dalla moltitudine. Un problema che il letterato toccò con mano durante la stesura dei Promessi Sposi, quando si accorse dell'inadeguatezza della sua lingua, non codificata in modo univoco e, soprattutto, intrisa di francesismi, lombardismi e toscano colto. Fu però all'indomani dell'unità che Manzoni, vicino alle problematiche del suo tempo, propose la diffusione del solo fiorentino colto, al fine di ottenere la tanto agognata unità linguistica.

Secondo De Mauro, illustre linguista italiano, all'indomani dell'unificazione la percentuale degli italofoni si aggirava intorno al solo 2,5% su 25milioni di abitanti, benché fosse più estesa la competenza passiva dell'italiano, ovvero la capacità di comprendere la lingua senza però saperla parlare.

Il primo passo intrapreso fu quello di rendere più capillare l'istruzione e l'alfabetizzazione lungo la penisola. Un processo che fu certamente utile, ma che non eliminò completamente il problema ma lo disgregò in due diversi fenomeni, ovvero la formazione dei diversi italiani regionali (esistenti ancora oggi nelle diverse zone dell'Italia) e l'italianizzazione del dialetto.

Altra spinta alla nascita dell'italiano come lingua condivisa furono sicuramente le migrazioni interne dalle campagne alla città e da nord a sud.

Ma a fare la differenza furono senz'altro la stampa e i mezzi di comunicazione di massa, allora rappresentati dalla radio e successivamente dalla TV. Ognuno di questi mezzi contribuì a creare non solo un'apparenza condivisa all'unità nazionale, ma anche la possibilità di apprendere la lingua italiana e diventarne 'portavoci'.
Solo nel XX secolo il bilinguismo si è diffuso gradualmente in tutta la popolazione, determinando una forte accelerazione del processo di italianizzazione, che ha potuto coinvolgere direttamente tutte le varietà dialettali, senza bisogno di mediazione delle koinè. Prima la radio nel 1926 e poi la televisione nel 1953, riuscirono letteralmente a irrompere negli nelle case degli italiani, accelerando e portando a compimento il processo di italianizzazione cominciato all'indomani dell'unificazione nazionale.

Solo nella seconda metà del XX secolo, grazie anche ai mezzi di comunicazione di massa, televisione pubblica in testa, si compie la svolta che porta oggi nove cittadini italiani su dieci a convergere verso la lingua italiana. Come ricorda Tullio De Mauro nel quaderno speciale che Limes, in collaborazione con la Società Dante Alighieri, ha dedicato alla geopolitica delle lingue ("Lingua è potere"), «mai in tremila anni di storia le popolazioni italiane avevano conosciuto un simile grado di convergenza verso una stessa lingua».

Sardegna
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«Sorge ora la questione se il sardo si deve considerare come un dialetto o come una lingua. È evidente che esso è, politicamente, uno dei tanti dialetti dell'Italia, come lo è anche, p. es., il serbo-croato o l'albanese parlato in vari paesi della Calabria e della Sicilia. Ma dal punto di vista linguistico la questione assume un altro aspetto. Non si può dire che il sardo abbia una stretta parentela con alcun dialetto dell'italiano continentale; è un parlare romanzo arcaico e con proprie spiccate caratteristiche, che si rivelano in un vocabolario molto originale e in una morfologia e sintassi assai differenti da quelle dei dialetti italiani»

 
Mappa delle lingue e dei dialetti parlati in Sardegna

In Sardegna si parlano oggi diverse lingue romanze: oltre all'italiano, introdotto per la prima volta nell'isola con un atto potestativo nel mese di luglio del 1760[78][79] e correntemente espresso dalla gran parte dei locutori nella sua variante regionale, la lingua più diffusa nell'isola è il sardo, ritenuta subito dopo l'italiano[80] la più conservativa tra le lingue romanze[81] Parlata in larga parte dell'isola,[82][83] essa è ripartita da una parte dei glottologi[84] in due varianti fondamentali:

  • nel cosiddetto "capo di sopra" il sardo logudorese (sardu logudoresu) è la variante rimasta più simile al latino in desinenze e pronuncia e generalmente considerata quella di maggior prestigio letterario; in essa furono scritte molte poesie e componimenti come, per esempio, l'inno del Regno sabaudo, No potho reposare e l'inno patriottico Procurad'e moderare, barones, sa tirannia. Nel logudorese viene generalmente compresa come sottovarietà la variante nuorese e barbaricina (sardu nugoresu e sardu barbaritzinu), che si caratterizza per una ancor maggiore conservazione e fedeltà al latino ma con frequenti elementi arcaici del sostrato preindoeuropeo. Nella regione del Guilcer sono diffuse parlate di transizione col campidanese, a cui si sono ispirati gli studiosi che hanno elaborato la variante scritta della Limba Sarda Comuna, adottata dalla Regione nel 2006.
  • nel cosiddetto "capo di sotto" il sardo campidanese (sardu campidanesu) presenta vocaboli di matrice fenicio-punica oltre che nuragica, ed è parlato nell'intero meridione isolano, costituendone anche la variante più diffusa; nell'Ogliastra la parlata ha una matrice campidanese arcaica, con molti vocaboli barbaricini.

Il sardo (nelle due varianti logudorese e campidanese) durante il periodo medioevale ha costituito la lingua ufficiale e nazionale dei Giudicati isolani, anticipando in emancipazione le altre lingue neolatine. Presentava ovviamente un maggior numero di arcaismi e latinismi rispetto alla lingua attuale, l'utilizzo di caratteri oggi entrati in disuso nonché in diversi documenti una grafia della lingua scritta che risentiva degli influssi degli scrivani, spesso toscani, genovesi o catalani.

L'influenza del toscano medievale nel corso dei secoli è documentata nel vocabolario della lingua sarda, la quale conserva, oltre a quelli contemporanei dell'italiano, un gran numero di prestiti linguistici; questi si sono perfettamente adattati alla fonetica sarda e sono, perciò, spesso difficilmente riconoscibili.

Malgrado ciò, nella Sardegna medievale si registra una netta prevalenza di documenti scritti in lingua sarda, oltre che in quelle iberiche. Il primo documento scritto in cui compaiono elementi della lingua sarda risale al 1063 e si tratta dell'atto di donazione da parte di Barisone I di Torres indirizzato all'abate Desiderio a favore dell'abbazia di Montecassino.[85]

Altri documenti di grande rilevanza sono la Carta Volgare (1070/1080), il Privilegio logudorese (1080-1085) conservato presso l'Archivio di Stato di Pisa[86], la Donazione di Torchitorio (1089 o 1103) proveniente dalla chiesa di San Saturnino nella diocesi di Cagliari e, assieme alla seconda Carta Marsigliese[87], attualmente conservata negli Archivi Dipartimentali delle Bouches-du Rhone a Marsiglia[88], oltre ad un particolare atto (1173) tra il Vescovo di Civita Bernardo e Benedetto, allor amministratore del'Opera del Duomo di Pisa[89].

Gli Statuti Sassaresi, scritti in logudorese (1316), sono un altro importante esempio di documentazione linguistica[90]; è infine d'uopo menzionare la Carta de Logu[91][92] del Regno di Arborea (1355-1376), che sarebbe rimasta in vigore fino al 1827.

Il sardo è stato utilizzato in diverse epoche come lingua istituzionale; tra i documenti più importanti vi sono i condaghi, gli Statuti Sassaresi e la Carta de Logu.

 
Statuti Sassaresi del XII - XIII secolo, scritti in logudorese e latino, in gotica corsiva.

Accanto alla lingua sarda propriamente detta, nel nord dell'isola sono parlati due idiomi romanzi di derivazione corso-toscana:

Vi sono infine delle isole linguistiche, presenti nel versante occidentale dell'isola:

Dante Alighieri nel suo De vulgari eloquentia (1303-1305) ne riferisce ed espelle criticamente i sardi, a rigore non italiani[93], in quanto essi soli appaiono privi di un volgare loro proprio e imitano la "gramatica" come le scimmie imitano gli uomini: dicono infatti "domus nova" e "dominus meus", in quanto a parer suo non avrebbero volgare preferendo invece scimmiottare il latino[94][95]

Tale controversa asserzione sulla rappresentazione del sardo, a parere di Dante latino schietto, è stata confutata non solo dalla ricerca scientifica moderna, ma anche dal fatto che il sardo, ormai evolutosi autonomamente dal latino, fosse divenuto già in quell'epoca una lingua pressoché incomprensibile a tutti fuorché gli isolani. Famosi sono due versi del XII secolo attribuiti al trovatore provenzale Raimbaut de Vaqueiras, che paragona il sardo al tedesco ed al berbero: «No t'intend plui d'un Toesco / o Sardo o Barbarì» (lett. "non ti capisco più di un tedesco / o sardo o berbero")[96][97].

Dopo una prima diffusione orale del toscano nel nord Sardegna durante il medioevo dovuta alla vicinanza della Corsica, ma anche ai commerci e all'influenza politica delle repubbliche marinare, l'annessione catalano-aragonese portò all'utilizzo amministrativo prima del catalano e poi dello spagnolo fino al XVIII secolo.
L'esito della guerra di successione spagnola determinò la sovranità austriaca dell'isola, confermata poi dai trattati di Utrecht e Rastadt (1713-1714); purtuttavia durò appena quattro anni giacché, nel 1717, una flotta spagnola rioccupò Cagliari e nell'anno successivo, per mezzo di un trattato poi ratificato all'Aia nel 1720, la Sardegna venne assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia in cambio della Sicilia: l'isola entrò così nell'orbita italiana dopo quella iberica. L'utilizzo dell'italiano come lingua scritta e di cultura venne definitivamente sancito nel momento in cui i Savoia adottarono ufficialmente l'italiano nei loro territori.

Nel periodo sabaudo, opere di intellettuali quali il canonico, professore e senatore Giovanni Spano posero in maniera esplicita la questione della lingua sarda, elevando una variante unanimemente accettata a letteraria per via dei suoi stretti rapporti con il latino, esattamente come il dialetto fiorentino si sarebbe imposto in Italia quale "italiano illustre"[98]; degna di nota è anche l'opera, considerata come il primo studio sistematico sulla lingua sarda, del filologo Matteo Madau, Il ripulimento della lingua sarda lavorato sopra la sua antologia colle due matrici lingue, la greca e la latina, nella quale non nasconde un qual certo spirito patriottico nei confronti della Sardegna[99]: l'intenzione che lo anima è, difatti, quella di tracciare il percorso ideale attraverso il quale il sardo assurga allo status ufficiale di lingua nazionale dell'isola[100][101]. Purtuttavia, la politica del governo savoiardo (in particolare, del ministro Bogino) di espansione verso la penisola italiana portò verso l'unione linguistica dei territori sabaudi con l'imposizione, nell'isola, dell'italiano per legge nel 1760[78][79][102][103] (benché la stessa dinastia regnante fosse invece francofona, rimanendo tale per lungo tempor[104]); l'italiano era, fino ad allora, una lingua pressoché sconosciuta alla popolazione[105]. La diffusione, all'inizio lenta, del toscano ha dunque innescato un processo di erosione ed estinzione linguistica che potrebbe portare il sardo alla sua scomparsa definitiva in seno all'isola stessa.

A detta di Carlo Baudi di Vesme (Cuneo 1809Torino 1877), la proscrizione e lo sradicamento della lingua sarda da ogni profilo privato e sociale dell'isola sarebbe stato auspicabile nonché necessario, quale opera di "incivilimento" dei sardi, perché fossero così integrati nell'orbita ormai spiccatamente italiana del Regno[106], ma in realtà ineriva ad un progetto di rafforzamento politico del dominio savoiardo sulla classe colta isolana ancora molto legata alla penisola iberica, attraverso la neutralizzazione di qualsivoglia elemento recasse traccia iberica nell'isola e, conseguentemente, del cosiddetto "Partito Spagnolo". Nello stesso periodo di tempo, vari cartografi piemontesi italianizzarono i toponimi dell'isola: benché qualcuno fosse rimasto inalterato, la maggior parte subì un processo di adattamento alla pronuncia italiana che perdura tutt'oggi, spesso artificioso e figlio di un'erronea interpretazione del significato nell'idioma locale.

Nonostante queste politiche di acculturazione, l'inno del Regno di Sardegna sabaudo e del Regno d'Italia, composto da Vittorio Angius e musicato da Giovanni Gonella nel 1843, sarebbe stato S'hymnu sardu nationale finché, una volta unificata la penisola italiana, non venne sostituito dalla Marcia Reale.

In un crescendo di multe e divieti all'insegna dell'assimilazione culturale, nel corso del ventennio fascista il regime era inoltre riuscito a bandire, dal 1932 al 1937, anche le gare poetiche tenute nella suddetta lingua: paradigmatico è il caso di Salvatore Poddighe, uccisosi per disperazione in seguito al sequestro del suo magnum opus (Sa Mundana Cummedia).

 
Chiesa del Pater Noster, Gerusalemme. Iscrizione del Padre Nostro (Babbu Nostru) in sardo.

Anche in Sardegna come nelle altre regioni, l'utilizzo preponderante dell'italiano standard a scapito delle lingue locali si è realizzato in sostanza dalla fine della seconda guerra mondiale in poi con l'alfabetizzazione e i mezzi di comunicazione di massa. Politiche di stampo assimilatore sarebbero state applicate anche nel secondo dopoguerra, con una italianizzazione progressiva di siti storici e oggetti appartenenti alla vita quotidiana e un'istruzione obbligatoria che ha insegnato l'uso della lingua italiana, non prevedendo un parallelo insegnamento di quella sarda e, anzi, attivamente scoraggiandolo attraverso divieti e sorveglianza diffusa di chi lo promuovesse[107]: i maestri disprezzavano infatti la lingua, ritenendola un rude dialetto e contribuendo a un ulteriore abbassamento del suo prestigio presso la comunità sardofona stessa.

Alcune personalità, specialmente d'ambito autonomista e indipendentista, ritengono che l'innescamento del processo di assimilazione possa portare anche alla morte del concetto di nazione sarda[108] diversamente da quanto avvenuto, per esempio, in Irlanda. Purtuttavia, benché l'italiano fosse stato reso lingua ufficiale fin dalla metà del Settecento, il vero processo di sostituzione della lingua sarda con quella italiana si è avuto solo dopo gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso[109], che hanno visto la diffusione, sia sul territorio isolano che nel resto del territorio italiano, dei mezzi di comunicazione di massa[110]. Soprattutto la televisione ha diffuso l'uso dell'italiano e ne ha facilitato la comprensione e l'utilizzo anche tra le persone che, fino a quel momento, si esprimevano esclusivamente in sardo.

Si è osservato, nel periodo contemporaneo, a livello istituzionale un forte osteggiamento della lingua[111][112] e nel circuito accademico-intellettuale italiano, concezione poi interiorizzata nell'immaginario comune, essa è[113][114] (il più delle volte per ragioni ideologiche o come residuo, adottato per inerzia, di vecchie consuetudini date dalle prime) spesso etichettata come un dialetto italiano (laddove, all'estero, la maggior parte degli studiosi[115] riteneva che si dovesse considerare un gruppo autonomo nell'ambito delle lingue romanze), subendo tutte le discriminazioni e i pregiudizi legati ad una tale associazione, soprattutto l'esser ritenuta una forma "bassa" di espressione[116] e l'esser ricondotta ad un certo "tradizionalismo".[117][118]

Benché siano state avviate numerose campagne a favore di un bilinguismo effettivamente paritario, e vi risultino al riguardo profondi fermenti di matrice identitaria[109], ciò che si riscontra attraverso analisi pare sia una lenta ma costante regressione nella competenza sia attiva che passiva di tale lingua, per motivi di natura principalmente politica e socioeconomica (l'uso dell'italiano presentato come una chiave di avanzamento e promozione sociale[119][120], stigma associato all'impiego del sardo, il progressivo spopolamento delle zone interne verso quelle costiere, l'afflusso di genti dalla penisola e i potenziali problemi di mutua comprensibilità fra le varie lingue parlate[121], etc.): appena il 13% dei bambini parlerebbe in sardo abitualmente, peraltro solo in zone interne[122] quali il Goceano, l'alta Barbagia e le Baronie[123][124]. Prendendo in esame la situazione di taluni centri logudoresi (come Laerru, Chiaramonti e Ploaghe) in cui il tasso di sardofonia dei bambini è pari allo 0%, vi è chi parla in merito di un autentico suicidio linguistico in capo a ormai poche decine di anni[125].

Il sardo viene tuttora parlata in quasi tutta l'isola di Sardegna da un numero di locutori variabile tra 1.000.000 e 1.350.000 unità, generalmente bilingue (sardo/italiano) in situazione di diglossia (la lingua sarda è utilizzata prevalentemente nell'ambito familiare e locale mentre quella italiana viene usata nelle occasioni pubbliche e per la quasi totalità della scrittura). Più precisamente, da uno studio commissionato dalla Regione Sardegna nel 2006[126] risulta che ci siano 1.495.000 persone circa che capiscono la lingua sarda ed 1.000.000 di persone circa in grado di parlarla.
Nonostante quella di lingua sarda sia la più grossa minoranza linguistica dello Stato italiano, essa non è tutelata costituzionalmente.

L'italianizzazione durante il fascismo
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Ettore Tolomei fu uno dei principali fautori dell'italianizzazione dell'Alto Adige negli anni trenta

«Basta con gli usi e costumi dell'Italia umbertina, con le ridicole scimmiottature delle usanze straniere. Dobbiamo ritornare alla nostra tradizione, dobbiamo rinnegare, respingere le varie mode di Parigi, o di Londra, o d'America. Se mai, dovranno essere gli altri popoli a guardare a noi, come guardarono a Roma o all'Italia del Rinascimento… Basta con gli abiti da società, coi tubi di stufa, le code, i pantaloni cascanti, i colletti duri, le parole ostrogote.»

L'italianizzazione durante il fascismo venne perseguita in senso nazionalistico attraverso una serie di provvedimenti aventi forza di legge (come l'italianizzazione della toponomastica, dei cognomi, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui) ed un gran numero di disposizioni alla stampa ed alle case editrici, invitate ad evitare termini e nomi stranieri preferendogli i corrispondenti italiani o italianizzati.

Molti intellettuali accolsero favorevolmente l'iniziativa: sin dall'Umanesimo i linguisti e i letterati della corrente "purista" rifiutavano l'eccessiva eterogeneità linguistica del paese, composta non solo da vere e proprie lingue, ma anche da numerosissimi dialetti.

Tra i molteplici aspetti di questa politica, si ricordano:

  • L'italianizzazione di termini ormai di uso comune con equivalenti, ad esempio "Mescita" in luogo di Bar, "Acquavite" in luogo di Brandy o di Whisky. Furono introdotti alcuni termini in sostituzione di altri recentemente entrati a far parte dell'uso comune, come sandwich che divenne tramezzino, cocktail che fu trasformato in bevanda arlecchina. Alcuni termini, come tramezzino, sono rimasti in uso nella lingua italiana.
  • l'italianizzazione di moltissimi cognomi non italiani (per esempio gli sloveni Vodopivec in Bevilacqua, Russovich in Russo, Krizman in Crismani, ecc. oppure nell'area di Nizza e in Savoia il francese Dupont divenne Del Ponte, Leblanche, Blanc e Blanqui si tramutarono in Bianchi, Baudoin in Baudino, Giraud in Giraudo, Serrat in Serrati, Micha in Micca, Pellegrin in Pellegrini, Tuche in Tucci, Vigneron in Veneroni ecc.), portata avanti dallo Stato italiano.
    Solo nella provincia di Trieste, ad esempio, furono italianizzati i cognomi di almeno cinquantamila persone prevalentemente di origine slovena e croata[132]. Con il Fascismo l'opera divenne sistematica: se si riteneva che il cognome avesse radice latina o italiana, l'italianizzazione (definita in questo caso "restituzione") avveniva d'ufficio, senza richiesta di consenso all'interessato, mentre, se il cognome era chiaramente straniero, l'italianizzazione (qui, "riduzione") era "facoltativa", anche se "raccomandata" spesso sotto minaccia, specie per i funzionari pubblici, ai quali un cognome straniero poteva arrivare a bloccare la carriera.[133]

Il processo previde inoltre la censura o la chiusura di giornali in lingua diversa da quella italiana[136] e l'incentivazione al trasferimento di italofoni nelle zone a maggioranza linguistica alloglotta (il caso più eclatante è quello di Bolzano, oggi comune dell'Alto Adige a maggioranza linguistica italiana). Si aggiunse la chiusura delle banche e degli istituti di credito locali e l'abolizione di eventuali seconde lingue ufficiali.[136]

Numerosi intellettuali appoggiarono la politica di italianizzazione: tra questi Gabriele D'Annunzio, il quale propose ad esempio il termine Arzente per indicare il distillato di vinacce e, in generale, qualsiasi liquore ad alta gradazione alcolica. Arzente è una variante di ardente[137], usata nell'antica locuzione acqua ardente (e da cui probabilmente derivò il termine arzillo).

Inoltre l'italianizzazione venne vista da molti intellettuali vicini al fascismo, tra cui Giovanni Gentile - direttore scientifico e animatore della prima edizione dell'Enciclopedia Italiana nel 1925 - come il recupero linguistico di terre che erano state in precedenza "deitalianizzate", o almeno "delatinizzate", in seguito a politiche di assimilazione linguistica praticate da Stati stranieri.

Fu quindi naturale per l'Enciclopedia Italiana accogliere e ufficializzare l'italianizzazione di toponimi tripolitani e cirenaici[138] (più tardi anche del Fezzan) proposta nel 1915 - dopo un primo insoddisfacente tentativo di Eugenio Griffini per conto dell'Istituto Geografico Militare - da Carlo Alfonso Nallino, principale arabista italiano, docente dell'Università di Roma cui, fascista egli stesso, fu affidata dall'Enciclopedia Italiana la cura di tutto ciò che riguardava il mondo arabo e islamico. La Libia era infatti vista come un territorio già romano e quindi, con azzardata deduzione, italiana, di cui era necessario italianizzare i toponimi, ancorché la massima parte non fosse costituita da arabizzazioni di originali latini (ma anche greci), bensì da termini del tutto arabi o berberi, con rare presenze turche.

Il recupero linguistico era avvenuto prevalentemente in Istria, dove il processo di migrazione degli Slavi era cominciato ai tempi della prima migrazione slava del VII secolo, molto prima di quello tedesco.

 
Manifesto affisso a Dignano

Il processo di italianizzazione fu più forte in Alto Adige che nella Venezia Giulia. Al riguardo si deve specificare che, mentre nella regione altoatesina gli italiani nel 1910 erano il 3%, in Venezia Giulia, sempre secondo il censimento austriaco del 1910, vi era una maggioranza relativa italiana attestata intorno al 40%. Tuttavia non vi fu alcun tentativo di mantenere il plurilinguismo, vigente fino ad allora, e si impose l'uso di una lingua che non era la lingua madre della maggioranza della popolazione autoctona, pur essendo compresa. Nell'alta e media valle del fiume Isonzo, in parte del Carso fino alla località di Senosecchia, nei paesi gravanti nell'orbita triestina e goriziana, oltre ai centri di Idria e a Postumia Grotte a parlata slovena, l'italiano era conosciuto e compreso da tutti; lo stesso accadeva per tutti i croati residenti nelle zone dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia, un tempo appartenute alla Repubblica di Venezia. Nei restanti territori (valli affluenti all'Isonzo, Carso interno, zona del monte Nevoso ecc.) l'italiano non era conosciuto e qui il processo di italianizzazione fu un'imposizione tout court.

Non avvenne italianizzazione forzata nella città dalmata di Zara, la cui componente etnica italiana era maggiore di quella di Gorizia. Riguardo all'isola di Lagosta, a forte maggioranza slava, l'italianizzazione fu dovuta non a una precisa volontà del governo italiano, ma al trasferimento spontaneo di famiglie da altre isole dalmate (principalmente da Lissa).

Piemonte
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Nella regione Piemonte (pronuncia Piemónte, /pje'monte/[139]; Piemont [pje'munt] in piemontese, in occitano e in francoprovenzale) a parte l'italiano, che è la lingua ufficiale oltre che la più diffusa tra la popolazione dalla seconda metà del Novecento, sono presenti ben sette lingue storiche: il piemontese, costituito da una varietà occidentale e una orientale molto simili tra loro, l'occitano parlato nelle vallate occitane di Cuneo, Val Pellice, Val Chisone e Germanasca e Alta Val Susa, il francoprovenzale parlato a Coazze, intorno alla città di Susa, nelle valli di Lanzo, nella valle del Piantonetto, nell'alta valle Orco, in tutta la valle Soana e in Valle d'Aosta; il francese, che non è una lingua autoctona, ma ha un valore storico presso la comunità valdese; il walser, che resiste nei comuni di Macugnaga, Rimella, Alagna Valsesia e Formazza, ed era la lingua germanica dei coloni alemanni provenienti dal Canton Vallese; il genovese parlato nell'estremo sud-est del Piemonte, in Val Borbera e nei dintorni di Novi Ligure e Ovada, oltre che il ligure alpino dell'Alta Val-Tanaro (da Pievetta di Priola compresa[140]) e di Briga Alta, e in ulltimo il lombardo occidentale, al cui tipo linguistico appartengono quasi tutte le varietà gallo-italiche della Provincia di Novara (eccetto alcuni comuni sulla riva della Sesia) e tutte le varietà romanze del VCO. Il tortonese è un dialetto di transizione che a metà Ottocento è stato assegnato dallo studioso Bernardino Biondelli[141] all'emiliano, di cui costituirebbe l'estremità più occidentale; in anni più recenti è stata oggetto di dibattito la posizione di questo dialetto rispetto al lombardo, con il quale condivide pure molti tratti; in ogni caso non è considerato parte della lingua piemontese, nonostante la sua collocazione nel Piemonte amministrativo.

Queste lingue, dopo anni di ostacolamento proveniente dal mondo politico e culturale (a cui ha corrisposto un simmetrico ed ulteriore rafforzamento dell'italiano), sono dagli anni novanta destinatarie di alcuni progetti di valorizzazione su iniziativa di associazioni e gruppi folcloristici[142] ma non di enti pubblici.

Dialetti franco-provenzali, che molti glottologi fanno rientrare nel sistema dialettale francese, erano e in parte sono ancora parlati in una grande penisola delle Alpi occidentali che comprende 71 comuni della provincia d’Aosta e 53 comuni della provincia di Torino (Piemonte). Nel secolo XVI, la lingua francese fu assunta come ufficiale nella Valle d’Aosta e in alcune valli della provincia di Torino. Oggi, lo Stato italiano non tutela le minoranze di lingua francese o franco-provenzali, che appaiono quindi privi di ogni tutela costituzionale.
Per opera del regime fascista vennero italianizzati i nomi dei comuni del Piemonte (compresa la Valle d'Aosta), della Savoia e del Nizzardo che avevano una forma francese (anche se vi si parla in grande maggioranza il piemontese, l'occitano, il dialetto savoiardo e, specialmente in Valle d'Aosta, il francoprovenzale).

Italianizzazione dei toponimi in Piemonte
Nome originale Nome italianizzato Data
Abriès Abrié
Briançon Brianzone
Ceres Cere 1939
Cervières Cervere
Chianoc Chianocco 1939
Chiavrie Caprie 1936
Clavières Claviere 1939
Druent Druento 1939
Entraque Entracque 1940[143]
Exilles Esille 1939
Leyni Leini 1939[144]
Mathi Mati 1937
Névache Nevasca
Oulx Ulzio 1939
Pradleves Pradleve 1940[143]
Praly Prali 1939
Roburent

Roure

Roburento

Roreto Chisone

1940[143] 1939
Salmour Salmore 1940[145]
Sampeyre Sampeire 1940[145]
Sanfront Sanfronte 1940[145]
Sauze d'Oulx Salice d'Ulzio 1928
Salbertrand Salabertano 1939
Sestrières Sestriere 1935
Traves Trave 1939
Vayes Vaie 1939
Venaus[146] Venalzio 1939
mont Chaberton monte Ciabertone

Le lingua autoctone della Valle d'Aosta sono il francoprovenzale nella sua varietà dialettale valdostana e, solamente nei comuni di Issime, Gressonei La Trinità e Gressonei San Giovanni, due varietà della lingua walser; la lingua più diffusa, invece, è oggi l'italiano.
Nella bassa valle è conosciuto e parlato anche il piemontese, in virtù dei rapporti storici e commerciali con il Canavese.

La Valle d'Aosta fu la prima amministrazione al mondo ad adottare la lingua francese come idioma ufficiale (1536), tre anni prima della Francia stessa.[147] Il francese è stata l'unica lingua ufficiale nella regione dal 1561 (quando rimpiazzò il latino) al 1861[148]. L'italiano divenne ufficiale nel 1861. Nel censimento del 1861 il 93% della popolazione della Valle d'Aosta si dichiarò francofono; nel 1921, anno dell'ultimo censimento con una domanda sulla lingua, parlava il francese l'88% della popolazione.[149] Il francese fu bandito durante il fascismo: in seguito all'avvento al potere di Benito Mussolini venne infatti avviata la politica di italianizzazione della Valle d'Aosta. Il Consiglio provinciale scolastico di Torino dispose la soppressione di 268 scuole di villaggio, nell'intento di centralizzare e italianizzare l'educazione valdostana. Al contempo fu promossa una massiccia industrializzazione, con l'inaugurazione del tunnel ferroviario fra Cogne e Acque Fredde per il trasporto del minerale ferroso delle miniere, la fondazione della Ansaldo-Cogne e della Industrie Lamiere Speciali SpA a Ponte San Martino. A partire dagli anni venti cominciò l'immigrazione dal resto d'Italia, in concomitanza con l'installazione dell'industria siderurgica Cogne ad Aosta e con lo sfruttamento intensivo delle miniere di ferro a Cogne e di carbone a Porta Littoria. La politica di italianizzazione voluta dal governo fascista favorì l'emigrazione in particolare di numerosi piemontesi, veneti e calabresi (originari soprattutto di San Giorgio Morgeto), dal secondo dopoguerra sino agli anni settanta. Grazie all'immigrazione dal resto d'Italia, la popolazione residente in Valle d'Aosta al censimento del 1931 ammontava a 83.479 abitanti, di cui oltre il 50% nati fuori Valle (in maggioranza provenienti dal resto del Piemonte e dal Veneto).

Nel 1927 fu costituita la nuova provincia di Aosta con il regio decreto n. 1 del 2 gennaio 1927, con il quale si riformarono numerose circoscrizioni provinciali. La nuova provincia comprendeva i comuni dei soppressi circondari di Aosta e di Ivrea, già appartenenti alla provincia di Torino.[150] Questi 113 comuni canavesani (fra i quali i territori della valle Orco, val Soana e il circondario di Ivrea fino a Carema) furono attribuiti ad Aosta allorché Mussolini, formando la nuova provincia di Aosta, volle che questa perdesse il suo carattere tipicamente alpino e francese, diluendolo con i territori canavesani, che ne costituivano per altro la componente economicamente più viva.

Nel 1937 cominciò la revisione della toponomastica cittadina ad Aosta, modificando il nome di vie e piazze e nel 1939 venne elaborata una proposta per ridurre alla forma italiana il toponimo dei 74 Comuni valdostani.

Nome originale Nome italianizzato Data
Allain Alleno 1939[151]
Antey-Saint-André Antei Sant'Andrea 1939[151]
Arvier Arviè 1939[151]
Ayas Aias 1939[151]
Bionaz Biona 1939[151]
Brusson Brussone 1939[151]
Challant Villa Sant'Anselmo 1939[151]
Chambave Ciambave 1939[151]
Chamois Camosio 1939[151]
Champorcher Campo Laris 1939[151]
Châtillon Castiglion Dora 1939[151]
Courmayeur Cormaiore 1939[151]
Donnaz Donas 1939[151]
Doues Dovia d'Aosta 1939[151]
Etroubles Etroble 1939[151]
Gressoney Gressonei 1939[151]
La Magdeleine La Maddalena d'Aosta 1939[151]
La Salle Sala Dora 1935
La Thuile Porta Littoria 1939[151]
Morgex Valdigna d'Aosta 1929[152]
Ollomont Ollomonte 1939[151]
Oyace Oiasse 1939[151]
Pontboset Pianboseto 1939[151]
Pont-Saint-Martin Ponte San Martino 1929[153]
Pré-Saint-Didier San Desiderio Terme 1939[151]
Quart Quarto Praetoria 1929[154]
Rhêmes Val di Rema 1939[151]
Saint-Oyen Sant'Eugendo 1939[151]
Saint-Rhémy San Remigio 1939[151]
Saint-Vincent San Vincenzo della Fonte 1939[151]
Torgnon Torgnone 1939[151]
Valgrisanche Valgrisenza 1939[151]
Valpelline Valpellina 1939[151]
Valsavaranche Valsavara 1939[151]
Valtournanche Valtornenza 1939[151]
Verrès Castel Verres 1939[151]
Villeneuve Villanova Baltea 1926[155]

Nel 2003 appena lo 0,99% della popolazione ha dichiarato di essere madrelingua francese, contro un 96,01% di italofoni.

I walser che abitano l'alta Valle del Lys provengono dal Vallese (Svizzera), da dove sono arrivati nel XII e il XIII secolo chiamati a colonizzare terre dai feudatari valdostani Vallaise. I contatti con la terra di origine non si interruppero mai, inoltre casa Savoia, con Margherita di Savoia si interessò alla cultura della Valle del Lys walser, dato che la dinastia sabauda possedeva anche un castello a Gressonei San Giovanni. Ecco i dati per il walser di Gressonei:

Anno Percentuale parlanti
1901 90 %
1921 90 %
1979 40 %
2002 35 %

Fonte:Comitato delle isole linguistiche storiche germaniche in Italia

 
La Savoia indicata in colore rosa in alto a sinistra, in una mappa del 1839 raffigurante il Regno di Sardegna

La Savoia (in francese Savoie o Pays de Savoie, in savoiardo Savouè) è una regione situata nelle Alpi Occidentali, terra d'origine di Casa Savoia. Fin dal medioevo la Savoia era unita a parte dell'odierno Piemonte nella contea di Savoia.

Nel 1349 Filippo VI acquistò il Delfinato da Umberto II de la Tour-du-Pin, Delfino del Viennois, rimasto senza quattrini e senza eredi. Il conte Amedeo VI di Savoia, che vantava diritti sulle terre del vicino che erano state da sempre oggetto di contese fra i Signori del Viennois ed i Savoia, attaccò nel 1353 la zona di Gex e sconfisse il Delfino di Vienne a Bâtie des Abrets nel 1354.[156][157] Il re di Francia, all'inizio della guerra dei cento anni, preferì venire a patti con i Savoia, per occuparsi della minaccia inglese.[158] Con il trattato di Parigi (1355) il conte di Savoia ottenne le signorie del Fossignì, appartenenti ai Faucigny, già vassalli dei conti di Ginevra poi dei Delfini del Viennois dal XIII secolo, con il Beaufortain (territorio appartenuto ai Faucigny dal XIII secolo), il che consentiva ai Savoia di collegare la loro contea al Chiablese; la zona di Valbonne, con la signoria di Montluel, il castello di Miribel, Borgo San Cristoforo, Pérouges e Saint-Maurice-de-Gourdans; le signorie di Varey e Saint-Maurice en Bugey; le signorie di Santonay dans la Bresse e quella di d'Anton nel Delfinato[159] la baronia della regione di Gex. I confini tra Contea di Savoia e Delfinato furono fissati sulle Prealpi della Chartreuse,[157] sul Rodano ed alla Guiers.


Durante il Rinascimento, questo stato preunitario fu elevato a Ducato di Savoia, ed ampliò i suoi domini in Italia. La capitale era Ciamberì (in francese Chambéry, in francoprovenzale Chambèri). La lingua ufficiale in Savoia, così come in Valle d'Aosta e in tutte le valli occidentali del Piemonte non è mai stata l'italiano: l'italiano è stato parzialmente introdotto come lingue ufficiale e notarile nella pianura piemontese a partire soltanto dal 1561 con l'Editto di Rivoli. In ogni caso il francese sia nella parte cismontana del Ducato, sia ovviamente in quella ultramontana, rimarrà una lingua più prestigiosa e più conosciuta dell'italiano, fino almeno ai tempi dell'Unità d'Italia, tant'è vero che lo stesso Cavour e il Re Vittorio Emanuele II di Savoia non erano madrelingua italiani. In Savoia rimane tuttora un esiguo numero di parlanti di dialetto savoiardo. Il dialetto savoiardo, che fa parte della lingua franco-provenzale, è strettamente imparentato al dialetto valdostano e al dialetto delle valli di Lanzo, Orco e Soana.
Durante il fascismo, le autorità italiane promossero un processo di italianizzazione di tutta la popolazione della Savoia, imponendo l’uso dell’italiano in sostituzione del dialetto savoiardo. Venne inoltre italianizzata tutta la toponomastica della regione.

Italianizzazione dei toponimi in Savoia
Nome originale Nome italianizzato
Abondance Abbondanza
Aiguebelle Acquabella
Aiguebelette-le-Lac Acquabelletta
Aime Aima
Aix-les-Bains Bagni d'Aix
Albertville Albertopoli
Alby-sur-Cheran Albi
Ambronay Ambrone
Amphion-les-Bains Anfione
Annecy Ennesia
Annemasse Anemassia
Anthy-sur-Leman Villa Anthi
Apremont Aspramonte
Arc Arco
Argentiere Argentiera
Argentine Argentina
Barberaz Barbera il Piccolo
Barby Barbera
Beaufort Belforte
Bellecombe-en-Bauges Bellacomba
Bellegarde-sur-Valserine Bellaguardia
Bellentre Bellentra
Bellevaux Bellavalle
Belley Bellei
Bessans Bessano
Bioley Biolai
Bonne Bonna
Bonnenuit Buonanotte
Bonneval-sur-Arc Bonavalle sull'Arco
Bonneville Bonavilla
Bourg-en-Bresse Borgo nella Bressa
Bourg-Saint-Christophe Borgo San Cristoforo
Bourg-Saint-Maurice Borgo San Maurizio
le Bourget-du-lac Borghetto
Bourgneuf Borgonovo
Bramans Bramante
Brides-les-Bains Bagni di Brida
Bugey Bugei
Carouge Quaroggio
Chambéry Ciamberì[160]
Chamonix-Mont-Blanc Sciamonì-Montebianco
Champagnes Campagna
Champagny-en-Vanoise Ciampignì
Charousse Carussa
Château-Gaillard Castel Gagliardo
Châtel Castello
Châtelet Castelletto
Châtillon-Lac-du-Bourget Castiglione
Chavoire Cavoira
Chignin Chignino
Cléry Clerì
Cluses Chiusa
Col-de-l'Épine Colle della Spina
Courchevel Corcevello
Cruseilles Crosseglia
Douvaine Dovanio
Duingt Duino
École Escolle
Évian-les-Bains Bagni di Eviano
Faucigny Fossignì
Faverges Faverge
Flumet Flumetto
Fontaine-le-Puits Fontana
Forneaux Le Fornaci di Modana
Fort-de-la-Charbonniere Carboniera
Fourneaux Furno
Frangy Frangì
Genève Ginevra
Gex Gesio
Gilly-sur-Isère Gillì sull'Isera
Grandson Grancione
Grésy-sur-Aix Gresì
Grésy-sur-Isère Gresì sull'Isera
Hautecombe Altacomba
Hauteluce Altalucia
Hauteville-sur-Fier Altavilla sul Fiero
La Balme-de-Silligny Balma
La Bâthie-sur-Isere Bastia sulla Isera
La Bauche La Bocca
La Bridoire La Bardoira
Lac de Neuchâtel Lago di Neocastello
La Chambre Camera in Savoia
La Chapelle-Blanche La Capella Bianca
La Chapelle-d'Abondance Cappella d'Abbondanza
La Chapelle-en-Maurienne La Capella di Moriana
La Cluzas La Cluse
La Compôte La Composta
La Côte-d'Hyot Costa d'Arva
La Croix-d'Aiguebelle La Croce d'Acquabella
La Gruvaz La Grua
La Motte-en-Bauges Lamotta
Landry Landri Sabaudo
Lanslebourg-Mont-Cenis Lansleburgo Moncenisio
La Roche-sur-Foron La Rocca sul Forone
La Rochette La Rocchetta
La Thuile Tullia
Lausanne Losanna
Le Bois Il Bosco
Le Châtel Il Castello
Lépin-le-Lac Pino
Le Pont-de-Beauvoisin Ponte Belvicino
Les Chapelles Capellette di San Maurizio
Les Chapieux Campione
Lescheraines Lecherena
Les Déserts Dei Deserti
Les Echelles Le Scale
Lovagny Lovagnì
Lullin Lullino
Maltaverne Maltaverna
Marigny-Sant-Marcel Marignì-San Marcello
Martigny Martignì
Megève Megeva
Menthon-Saint-Bernard Mentone San Bernardo
Montagnole Montagnola
Montandry Montandrì
Mont-du-Chat Monte del Gatto
Montluel Monluello
Montmélian Momigliano
Montsapey Monte Gapei
Montvalezan Monvalesano
Montvenix Monvenisio
Morzine Morzina
Moûtiers Monastero
Neuvecelle Novasella
Notre-Dame-de-Bellecombe Nostra Signora di Bellacomba
Novalaise Novalesa
Orelle Aurella
Orjulaz Oriola
Passy Passì
Pierre-Châtel Pietracastello
Plancherine Piancherina
Poliez-Pittet Poleto
Pont-d'Ain Ponte di En
Revermont Revermonte
Ripaille Ripaglia
Rochefort Roccaforte
Saint-Genix-sur-Guiers San Genisio
Saint-Georges-d'Hurtières San Giorgio
Saint-Gervais-les-Bains Bagni di San Gervasio
Saint-Jean-de-Maurienne San Giovanni di Moriana
Saint-Jeoire-en-Faucigny San Georio nel Fossignì
Saint-Julien-en-Genevois San Giuliano nel Genevese
Saint-Maurice San Maurizio in Vallese
Saint-Maurice en Bugey San Maurizio nel Bugei
Saint-Michel-de-Maurienne San Michele di Moriana
Saint-Sulpice San Sulpizio
Sainte-Hélène-sur-Isère Sant'Elena sull'Isera
Sallanches Sallanca
Samoëns Settemonti
Santonay dans la Bresse Santonai nella Bressa
Seyssel Seissello
Talloires Talloria
Termignon Termignone
Thônes Tone
Thonon-les-Bains Tonone[161]
Ugine Ugina
Val-d'Isère Val d'Isera
Valbonne Valbona
Valromey Val Romei
Varambon Varambone
Yenne Ienna
Yverdon Iverdun
Nizzardo
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La Contea di Nizza (attualmente provincia di Nizza nella regione Liguria).

La Contea di Nizza, detta anche Paese Nizzardo (in francese: Comté de Nice / Pays Niçois; in occitano: Comtat de Niça / País Niçard), è stata una contea parte del Ducato di Savoia e poi del Regno di Sardegna dal 1713.[162] Nizza entrò a far parte dei domini dei Savoia per mezzo della Dedizione di Saint-Pons il 28 settembre 1388, con cui Amedeo VII di Savoia, approfittando delle lotte intestine in Provenza, negoziò con Giovanni Grimaldi barone di Boglio (governatore di Nizza e della Provenza Orientale) il passaggio del Nizzardo e della valle dell'Ubaia ai domini sabaudi, col nome di Terre Nuove di Provenza. Le Terre Nuove presero poi il nome di Contea di Nizza nel 1526, anche se in questo contesto il termine "contea" venne impiegato in senso amministrativo, e non feudale.

La popolazione del villaggio di Escragnolo fu annientata dalla peste del 1420 ed il ripopolamento della zona fu garantito dall'emigrazione di genti provenienti dalla regione che sta nei pressi o nell'entroterra di Genova, perciò ancora oggi il dialetto della zona è molto vicino al genovese e quindi più pertinente alla lingua italiana che a quella francese o provenzale.[163] Tra il 1470 e il 1562 i feudatari locali ripolarono la zona di Canne e di Grassa con abitanti provenienti dalle diocesi di Albenga e dalla diocesi di Ventimiglia nella Riviera di Ponente, parte della Repubblica di Genova.[164]

I coloni si stabilirono a Biot, Vallauria, Escragnolo e Monso nei pressi di Canne e di Grassa.

Il 25 ottobre 1561, in seguito all'Editto di Rivoli, l'italiano ha rimpiazzato il latino come lingua per la redazione degli atti ufficiali della Contea di Nizza.

Se la Savoia era di lingua francoprovenzale in quanto nettamente separata dal resto del Regno di Sardegna dai massicci alpini, per la Contea di Nizza la situazione linguistica era più complessa. La comunicazione naturale aveva facilitato numerosi scambi culturali e commerciali tra Italia e Francia, cosicché alcune parti della Contea di Nizza (la Val Roia e Mentone) erano di lingua e cultura ligure, mentre il capoluogo, seppure di lingua occitana (il nizzardo è una variante arcaica e conservativa della lingua provenzale) era storicamente legato al Piemonte e alla dinastia dei Savoia. Nell'ex-Contea di Nizza, territorio appartenente ai Savoia fin dal 1388, la toponomastica era già nella sua quasi totalità italiana; ciò nonostante fu completato il processo di nazionalizzazione dei toponimi e di molti cognomi. Vi fu anche un'"invasione" di italiani: Nizza e la sua regione, durante il XIX e il XX secolo, sono terre di forte immigrazione dal resto d'Italia; le attività turistiche e l’edilizia, in particolare, richiamano gli italiani di altre regioni che sperano di migliorare le proprie condizioni di vita.

Italianizzazione dei toponimi nel Nizzardo
Nome originale Nome italianizzato
Antibes Antibo
Ascros Ascroso[165]
Auvare Auvara[166]
Barcelonnette Barcellonetta
Briançon Brianzone
Cagnes-sur-Mer Cagno[167]
Cannes Canne Marittima
Colomars Colomarte
Contes Conti
Duranus Duranusso
Escragnolles Escragnolo
Faucon-de-Barcelonnette Falcone di Barcellonetta
Grasse Grassa[168][169]
Guillaumes Guglielmi[170]
Îles de Lérins Isole di Lerino[171]
Île Sainte-Marguerite Isola di Santa Margherita
Île Saint-Honorat Isola di Sant'Onorato
Îlot Saint-Ferréol Isolotto di San Ferreolo
La Condamine-Châtelard La Condamina-Castellardo
La Croix La Croce
Lantosque Lantosca
Larche L'Arca
La Turbie Turbia
Massoins Maissone
Mons Monso
Rimplas Reimplasso
Roubion Robione
Roquestéron-Grasse Roccasterone di Grassa
Sainte-Agnès Sant'Agnese
Saint-Auban Sant'Albano sull'Esterone
Saint-Léger San Leodegario
Saint-Laurent-du-Var San Lorenzo del Varo
Saint-Paul-de-Vence San Paolo di Venza[172]
Saint-Paul-sur-Ubaye San Paolo sull'Ubaia
Saint-Pons San Ponzio
Sallagriffon Sallagriffone
Séranon Seranone
Spéracèdes Speiraceta
Utelle Utello[173][174]
Vallauris Vallauria
Vence Venza[175]
Villeneuve-Loubet Villanova Lobetto[176]
Venezia Tridentina
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La nomenclatura geografica in lingua italiana dei comuni dell'Alto Adige ha carattere di ufficialità, in quanto adottata con legge dello Stato, ed era in molti casi già attestata prima ancora di esser resa ufficiale successivamente alla prima guerra mondiale. In altri casi i toponimi furono introdotti italianizzando quelli tedeschi o ladini. La toponomastica dell'Alto Adige era stata oggetto di studi da parte del senatore ed irredentista trentino Ettore Tolomei, che si era prefisso come scopo quello di italianizzare o, a suo dire, "ri-italianizzare" la regione, la cui popolazione era all'epoca in gran parte (circa 90%) di madrelingua tedesca (con una piccola percentuale ladina, peraltro non ancora riconosciuta come lingua a sé stante). Un numero notevole dei toponimi italiani adottati (e ufficialmente gli unici legali durante il fascismo) deriva da quelli proposti da Tolomei.

Italianizzazione dei toponimi nella Venezia Tridentina
Nome tedesco/ladino Nome italiano Note
Abtei (ted.)
Badia (lad.)
Badia Toponimo italiano già in uso, equivalente al toponimo ladino del paese.
Ahrntal Valle Aurina Creazione ex novo basata sul recupero del nome indoeuropeo. Ourin è il nome documentato nel 1070.
Aldein Aldino Creazione ex novo basata sull'italianizzazione della forma longobarda presente in documenti del 1177 di Aldinum. Inizialmente denominato come Valdagno di Trento nel 1928 e poi dal 1955 come Aldino.
Algund Lagundo Creazione ex novo. Italianizzazione delle forme attestate dai documenti antichi (es. Alagumna nel 1000), con richiamo alla pronuncia popolare tedesca Lagund.
Altrei Anterivo Toponimo italiano già in uso. Nel dialetto locale italiano è detto Nanterú.
Andrian Andriano Adattamento della forma tedesca con richiamo alla forma latina Andreianum e alle attestazioni medioevali (Andrian nel 1186 e Aendrian nel 1240).
Auer Ora Toponimo italiano già in uso.
Barbian Barbiano Adattamento del toponimo tedesco, di origine latina.
Bozen (ted.)
Bulsan/Balsan (lad.)
Bolzano Toponimo italiano già in uso.
Branzoll Bronzolo Toponimo italiano in uso dall'Ottocento, adattamento fonetico della forma tedesca. Comune a maggioranza di lingua italiana, già all'epoca dell'ultimo censimento austro-ungarico (1910).
Brenner Brennero Toponimo italiano in uso dall'Ottocento, adattamento fonetico della forma tedesca. In origine Tolomei, ignorandone l'esistenza, usava il toponimo Pirene.
Brixen Bressanone Toponimo italiano in uso dall'Ottocento, su base ladina.
Bruneck Brunico Adattamento fonetico della forma tedesca, in italiano ebbe anche il nome di Brunopoli.
Burgstall Postal Reimpiego della pronuncia del nome tedesco in dialetto trentino. La traduzione esatta dell'etimo tedesco (Burgstall) è fortezza.
Corvara/Kurfar (ted.)
Corvara (lad.)
Corvara in Badia Toponimo italiano derivante dal toponimo ladino (poi abbastanza utilizzato anche in tedesco) del paese.
Deutschnofen Nova Ponente Variazione del toponimo latino 'Nova Teotonica', modificato in 'Ponente' dato che il fascismo rifiutava i toponimi germanizzanti. Nel 1209 il nome attestato era Nova Teutonica, nel 1336 Teutschenofen.
Enneberg (ted.)
Mareo (lad.)
Marebbe Toponimo italiano derivato dal ladino già in uso dall'Ottocento.
Eppan an der Weinstrasse Appiano sulla Strada del Vino Toponimo italiano già in uso, evoluzione delle forme conosciute in latino intorno al 509 di Appianum e di Apiano (circa 825).
Feldthurns Velturno Creazione ex novo, basata sulla forma latina attestata nel 985 di Velturnes.
Franzensfeste Fortezza Toponimo italiano già in uso. La traduzione esatta del toponimo tedesco è Forte di Francesco, in onore dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Ebbe prima il nome di Mezzaselva all'Isarco che conservò fino al 1923, poi dal 1923 al 1942 venne modificato in Mezzaselva e dal 1942 Fortezza.
Freienfeld Campo di Trens Creazione ex novo, in parte traduzione del toponimo tedesco (-feld), con riferimento alla vicina località di Trens (in antico: Torrentes, Trentas, Trents, Trentes). La traduzione esatta del toponimo tedesco è Campo Libero o Campo Franco, riferito all'assenza di tasse.
Gais Gais Adozione dello stesso toponimo tedesco del paese in quanto ritenuto sufficientemente affine alla pronuncia italiana.
Gargazon Gargazzone Toponimo italiano già in uso. Fu confine tra Baviera e il Dipartimento dell'Alto Adige del Regno d'Italia napoleonico.
Glurns Glorenza Toponimo creato ex novo, basato sull'adattamento di forme italiane tradizionali antiche (es. Glurens).
Graun im Vinschgau Curon Venosta Adozione della forma ladina, da cui anche il toponimo tedesco deriva, evoluzione delle forme latine attestate nel 1122 di Curunes e nel 1161 di Curunes. Era area di lingua ladina fino alla germanizzazione forzata del XVII secolo.
Gsies/Gsiesertal Valle di Casies Toponimo creato ex novo, adattando foneticamente la forma tedesca.
Hafling Avelengo Toponimo creato ex novo, con italianizzazione fonetica della forma tedesca.
Innichen San Candido Toponimo italiano già in uso, derivato dal nome del compatrono della collegiata del comune. Ettore Tolomei aveva proposto San Candido alla Drava. Nell'Alto Medioevo (VIII sec.) è attestato il nome popolare Campo Gelau.
Jenesien San Genesio Atesino Toponimo creato ex novo, con italianizzazione fonetica della forma tedesca (Jenesien), a sua volta riferita a San Genesio. Fino al 1929 il toponimo era semplicemente San Genesio.
Kaltern an der Weinstrasse Caldaro sulla Strada del Vino Toponimo italiano già in uso e attestato in forme simili intorno all'800 Caldare, Caldar, Caldarium (indicante un paiolo).
Karneid Cornedo Toponimo italiano già in uso nella forma Corné, derivante dalle denominazioni latine attestate intorno al 1142 Corneit, Curneit, Curneid, Cormeit. Dal 1928 Cornedo all'Isarco.
Kastelbell-Tschars Castelbello-Ciardes Adattamento del toponimo tedesco a sua volta di origine latina.
Kastelruth Castelrotto Toponimo italiano già in uso, equivalente al toponimo tedesco di evidente origine latina.
Kiens Chienes Adozione della forma ladina, corrispondente al nome latino attestato nel 1006 di Chienes.
Klausen Chiusa Toponimo italiano già in uso, evoluzione delle forme latine latine usate nel 1027 di Clausa e di Clusa.
Kuens Caines Toponimo creato ex novo, basato sulla forma latine antica, attestata a partire dal 720: Cainina, Cheines.
Kurtatsch an der Weinstrasse Cortaccia sulla Strada del Vino Toponimo italiano già in uso, collegato alle forme latine del IV secolo di Curtacium e di Curtacia.
Kurtinig an der Weinstrasse Cortina sulla Strada del Vino Toponimo italiano già in uso, evoluzione delle forme latine attestate nel 1276 di Curtinegum, Cortinie e di Curtinie.
Laas Lasa Toponimo creato ex novo adattando foneticamente la forma latina attestata nel 1143 di Las.
Lajen Laion Adozione del toponimo ladino. Il nome attestato in latino nel 985 era Lagien.
Lana Lana Adozione dello stesso toponimo tedesco del paese, ritenuto adatto alla fonetica italiana. Il toponimo è attestato come Lóina nel 1034, come Lounaha nel 1048-1068, come Lŏnun nel 1143 e come Lonan nel 1275[177] e deriva probabilmente dal latino Leonianum ("terreno di Leo").[178] Altre ipotesi sostengono una derivazione dal tedesco Lahn (a sua volta dal latino labina, "frana") o da "Lucanius".[179]
Latsch Laces Toponimo creato ex novo, con italianizzazione fonetica della forma latina usata nel 1185 di Lacis.
Laurein Lauregno Toponimo italiano già in uso. La forma latina attestata nel 1150 è Lauregni.
Leifers Laives Toponimo italiano già in uso nel dialetto trentino.
Lüsen Luson Adozione del toponimo ladino.
Mals Malles Venosta Creazione ex novo, ispirata dalla forma latina attestata nel 1094 di Malles con l'aggettivo Venosta. Il toponimo ladino (la lingua locale prima della germanizzazione forzata del XVII sec.)

è Damals.

Margreid an der Weinstrasse Magrè all'Adige Toponimo italiano già in uso, collegato alla forma latina attestata nel 1150 di Magretum. Dal 1971 Magrè sulla Strada del Vino.
Marling Marlengo Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca.
Martell Martello Toponimo italiano già in uso.
Meran Merano Toponimo italiano già in uso.
Montan Montagna Toponimo italiano già in uso e attestato fin dal 1222, di evidente origine latina.
Moos in Passeier Moso in Passiria Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca. La traduzione esatta dal tedesco dovrebbe essere Palude di Passiria.
Mühlbach Rio di Pusteria Toponimo creato ex novo traducendo la forma tedesca. La traduzione esatta dal tedesco dovrebbe essere Rio dei Molini.
Mühlwald Selva dei Molini Toponimo creato ex novo traducendo la forma tedesca.
Mölten Meltina Toponimo creato ex novo, ispirato dalla forma latina attestata nel 923 di Meltina.
Nals Nalles Toponimo creato ex novo, con ripresa delle forme archivistiche antiche.
Naturns Naturno Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca.
Natz-Schabs Naz-Sciaves Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca.
Neumarkt Egna Toponimo italiano già in uso e attestato fin dal 1018. Il toponimo tedesco è posteriore e significa Mercato nuovo. Di Egna era originario l'unico altoatesino fra i Mille di Garibaldi: Camillo Zancani.
Niederdorf Villabassa Toponimo creato ex novo traducendo la forma tedesca.
Olang Valdaora Adozione del toponimo ladino.
Partschins Parcines Toponimo creato ex novo con riferimento alla forma latina attestata nel 1087 di Parzinnes.
Percha Perca Adozione del toponimo ladino, di origine germanica.
Pfalzen Falzes Adozione del toponimo ladino.
Pfatten Vadena Toponimo italiano già in uso. Comune a maggioranza di lingua italiana, già all'epoca dell'ultimo censimento austro-ungarico (1910).
Pfitsch Val di Vizze Toponimo creato ex novo partendo dalla forma latina attestata nel 1186 di Phize.
Plaus Plaus Adozione dello stesso toponimo tedesco del paese, di origine latina (Palus, significante 'palude').
Prad am Stilfserjoch Prato allo Stelvio Adattamento del toponimo ladino (lingua parlata nell'Alta Venosta prima della germanizzazione forzata del XVII sec.) che ricalca il latino Prada (significante prati) attestato nel 1187, con l'aggiunta di Stelvio (l'esatto equivalente italiano di Stilfserjoch è Passo dello Stelvio).
Prags Braies Adozione del toponimo ladino.
Sankt Valentin in Prettau Predoi Toponimo creato ex novo, adattando il toponimo tedesco. .
Proveis Proves Toponimo italiano già in uso.
Rasen-Antholz Rasun Anterselva Creazione ex novo, con adozione della forma ladina Rasun, mentre Anterselva è la traduzione dotta del tedesco Antholz (di fronte al bosco).
Ratschings Racines Toponimo creato ex novo partendo dal toponimo latino del 1050 di Rasine. Inizialmente, Racignes, dal 1923 Racines.
Riffian Rifiano Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca, di origine latina.
Ritten Renon Adozione del toponimo ladino.
Rodeneck Rodengo Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca.
Salurn Salorno Toponimo italiano già in uso.
Sand in Taufers Campo Tures Toponimo creato ex novo partendo dalla forma ladina Turesc (l'attestazione in latino del 1050 è Tufers). Sand in tedesco significa sabbia.
Sankt Pankraz San Pancrazio Toponimo italiano già in uso ed equivalente al toponimo tedesco.
Sarntal Sarentino Toponimo creato ex novo basato su forme attestate in passato, ad esempio nel XIII secolo; -tal in tedesco significa valle.
Schenna Scena Toponimo creato ex novo sulla base di attestazioni antiche.
Schlanders Silandro Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca sulla base della forma latina attestata nel 1077: Silanderes.
Schluderns Sluderno Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca sulla base della forma latina attestata nel 1163: Sluderns.
Schnals Senales Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesca sulla base della forma latina attestata nel 1273 Snalles.
Sexten Sesto Toponimo italiano già in uso. Le forme latine attestate a partire dal 1208 sono Sextum e Sexto, in riferimento alla posizione del paese alla sesta pietra miliare della Collegiata di San Candido.
St. Christina in Gröden (ted.)
Santa Cristina Gherdëina (lad.)
Santa Cristina Valgardena Toponimo italiano già in uso ed equivalente alle forme in ladino e in tedesco. Dal 1923 Santa Cristina e dal 1955 Santa Cristina Valgardena.
St. Leonhard in Passeier San Leonardo in Passiria Toponimo italiano già in uso, come traduzione della forma tedesca.
St. Lorenzen San Lorenzo di Sebato Toponimo italiano già in uso nella forma San Lorenzo; Sebato è stato apposto in quanto (probabile) nome romano della località.
St. Martin in Passeier San Martino in Passiria Toponimo italiano già in uso, come traduzione della forma tedesca.
St. Martin in Thurn (ted.)
San Martin de Tor (lad.)
San Martino in Badia Toponimo italiano già in uso nella forma San Martino. Il nome in tedesco e in ladino significa San Martino della Torre.
St. Ulrich in Gröden (ted.)
Urtijëi (lad.)
Ortisei Toponimo italiano già in uso, equivalente al nome ladino. Attestato in latino nel 1288 come Ortiseit. Il nome in tedesco è riferito al patrono Sant'Ulrico.
Sterzing Vipiteno Il toponimo italiano in uso era Sterzen. Il nome attuale fu creato ispirandosi al nome dell'oppidum romano di Vipitenum e alle attestazioni dell'Alto Medioevo.
Stilfs Stelvio Toponimo italiano già in uso. Attestato nella forma latina del 1090 Stilvis.
Taufers im Münstertal Tubre Toponimo italiano già in uso, correlato alla forma latina attestata nell'881 Tuberis. Münstertal è il nome tedesco della val Monastero, nella cui parte svizzera si parla tuttora in prevalenza il romancio.
Terenten Terento Toponimo creato ex novo adattando la forma tedesche. Le attestazioni antiche suggerirebbero piuttosto Torrente come forma italiana.
Terlan Terlano Toponimo italiano già in uso nella forma Terla.
Tiers Tires Creato ex novo, a partire da attestazioni antiche.
Tirol Tirolo Toponimo italiano già in uso.
Tisens Tesimo Toponimo italiano già in uso nella forma dialettale trentina Tesem, correlata alla forma latina attestata nel 1164 Teseno.
Toblach Dobbiaco Toponimo italiano già in uso, con oscillazioni nella forma (es. Toblacco). Attestato nella latina nell'827 come Duplago.
Tramin an der Weinstrasse Termeno sulla Strada del Vino Toponimo italiano già in uso ed utilizzato nel dialetto trentino.
Truden Trodena Toponimo italiano già in uso, attestato nella forma latina del 1122 Trodene. Dal 4 marzo 2008 si chiama Trodena nel parco naturale/Truden im Naturpark in riferimento al Parco naturale Monte Corno/Naturpark Trudner Horn.
Tscherms Cermes Toponimo creato ex novo, adattando attestazioni antiche.
Ulten Ultimo Toponimo italiano già in uso nella forma Oltemo. Attestato nella forma latina del 1230 Ultimis.
Unsere Liebe Frau im Walde-St. Felix Senale-San Felice Toponimo italiano già in uso. Attestazione del nome latino nel 1321 per Senale; Unsere Liebe Frau im Walde in italiano significa Nostra Signora del bosco.
Vahrn Varna Toponimo creato ex novo, adattando la forma tedesca e ispirandosi ad un'attestazione in latino del 1321. È nome di probabile origine etrusca.
Villanders Villandro Toponimo creato ex novo, adattando forme antiche di archivio.
Villnöss Funes Adozione del nome ladino gardenese.
Vintl Vandoies Adozione del nome ladino del paese (Vandoies).

Occorre tenere presente che il ladino è stato a lungo considerato un dialetto italiano.

Völs am Schlern Fiè allo Sciliar Adozione del nome ladino. Attestazione della forma latina Fellis nell'888.
Vöran Verano Toponimo creato ex novo e costruito su attestazioni antiche.
Waidbruck Ponte Gardena Creazione ex novo. La traduzione esatta del nome tedesco dovrebbe essere Ponte del Pascolo.
Welsberg-Taisten Monguelfo-Tesido Toponimo creato ex novo: Monguelfo è la traduzione di Welsberg, Tesido è una italianizzazione di Taisten.
Welschnofen Nova Levante Toponimo italiano già in uso, nelle forme Nova Ladina e Nova Italiana. Il nome Nova Levante corrisponde in parallelo a quello di Nova Ponente (Deutschnofen).
Wengen (ted.)
La Val (lad.)
La Valle Toponimo italiano già in uso, equivalente alla forma ladina. Il nome tedesco significa invece 'strettoia'.
Wolkenstein in Gröden (ted.)
Sëlva (lad.)
Selva di Val Gardena Toponimo italiano già in uso, equivalente alla forma ladina.
Consistenza demografica in Alto Adige per gruppo linguistico (1880-1945) - Dati assoluti e percentuali[180]
Anni
Italofoni
Tedescofoni
Ladinofoni
Altri
Totale
6.884 (3,4%)
186.087 (90,6%)
8.822 (4,3%)
3.513 (1,7%)
205.306
9.369 (4,5%)
187.100 (89,0%)
8.954 (4,3%)
4.862 (2,3%)
210.285
8.916 (4,0%)
197.822 (88,8%)
8.907 (4,0%)
7.149 (3,2%)
222.794
7.339 (2,9%)
223.913 (89,0%)
9.429 (3,8%)
10.770 (4,3%)
251.451
27.048 (10,6%)
193.271 (75,9%)
9.910 (3,9%)
24.506 (9,6%)
254.735
65.503 (23,2%)[181]
195.177 (69,2%)[181]
n.d.
21.478 (7,6%)
282.158[182]
(35,0%)
(61,6%)
(3,40%)
 
Il Monumento a Dante di Trento fu eretto come simbolo della lingua italiana e dell'italianità quando il Trentino faceva ancora parte dell'Impero austro-ungarico.
 
Optanten sudtirolesi in arrivo alla stazione di Innsbruck (1940)
 
Marzo 1940: Mussolini riceve gli altoatesini optanti per l'Italia

Il Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) sancì i nuovi confini del Regno d'Italia senza che venisse sentita la popolazione altoatesina.[183] Secondo il censimento del 1921 in Alto Adige viveva una popolazione formata per il 75% circa da una comunità di lingua tedesca, ma nonostante questa specificità etnica, il presidente statunitense Woodrow Wilson - storicamente noto come colui che enunciò il diritto all'autodeterminazione dei popoli - col Trattato di Saint-Germain-en-Laye del 1919, riconobbe ugualmente il possesso di quel territorio all'Italia. L'annessione dell'Alto Adige venne appoggiata dalle altre potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna, ed essa fu stabilita secondo la prospettiva di garantire all'Italia un confine settentrionale difendibile e ridurre ai minimi termini la neocostituita Repubblica austriaca.[184] Inizialmente fu escluso dall'annessione il territorio della Val Pusteria, con i comuni di San Candido e Sesto, ma successivamente con una revisione voluta da Wilson, fu anch'esso integrato.[185]

Una volta ufficializzata l'annessione del Tirolo cisalpino al Regno d'Italia, fu avviato il processo di italianizzazione del territorio, partendo dall'adozione del nome Alto Adige, come il dipartimento francese dell'epoca napoleonica. Il dipartimento dell'Alto Adige, esistito dal 1810 al 1814 e annesso al Regno d'Italia napoleonico, a differenza di questa nuova entità territoriale, comprendeva il Trentino ed il solo distretto di Bolzano, mentre i circondari di Merano, Bressanone, Brunico, Vipiteno e le valli circostanti, furono integrati con la Confederazione del Reno.[186] Se in un primo momento i governi liberali perseguirono una politica abbastanza tollerante verso le minoranze tedesche, il subentrato governo fascista perseguì invece una politica di assimilazione delle minoranze di lingua tedesca e ladina ed una progressiva italianizzazione dell'Alto Adige, incentivando l'arrivo di molte decine di migliaia di immigrati italiani provenienti dal Trentino e dal resto d'Italia (soprattutto nordorientale) che si stabilirono principalmente nelle aree urbane di Bolzano e Merano. I comuni ladini di Livinallongo del Col di Lana, Colle Santa Lucia e Cortina d'Ampezzo furono smembrati dal contesto regionale ed accorpati alla provincia veneta di Belluno. L'uso del tedesco fu bandito dalla vita pubblica e vennero anche chiuse le scuole di lingua tedesca. La stampa germanofona venne largamente censurata. L'uso dei toponimi tedeschi venne vietato. Anche nomi e cognomi delle persone vennero italianizzati d'ufficio.

Con l'avvento al potere del Fascismo, il processo di "italianizzazione" fu più intenso e violento: esso infatti non riguardò soltanto la toponomastica, per la quale fu incaricato il geografo Ettore Tolomei, ma anche la composizione etnica incoraggiando l'immigrazione dalle altre regioni italiane, e furono attuate la soppressione della lingua tedesca nell'istruzione, negli atti pubblici e nella stampa, nonché l'esclusione della popolazione germanofona dalla vita sociale e politica, una situazione discriminatoria che creò un forte risentimento da parte dei sudtirolesi. Nel 1926 furono istituite la province di Trento e di Bolzano, e quest'ultima comprendeva amministrativamente l'Alto Adige ad esclusione di alcuni comuni della Bassa Atesina.

Il gruppo linguistico italiano è in costante crescita dal primo dopoguerra. In seguito alla vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale il territorio dell'attuale provincia, quasi completamente germanofono, venne scorporato dal dissolto Impero austro-ungarico e annesso al Regno d'Italia, coronando le aspirazioni dell'irredentismo italiano. L'irredentismo italiano rispetto all'Alto Adige trovava il suo fondamento nel principio della frontiera naturale, rientrando il territorio altoatesino nelle frontiere geografiche della penisola italiana ed essendo il confine del Brennero militarmente rilevante.

Il 2 gennaio 1927 un Regio Decreto sancì la nascita della provincia di Bolzano, che veniva distinta dalla provincia di Trento. Questa nuova configurazione amministrativa vide la fine del ruolo di Trento come capoluogo regionale e la deviazione verso il nuovo capoluogo altoatesino dei più importanti investimenti. Venne infatti incentivata la creazione di stabilimenti delle maggiori imprese industriali, in modo da impiegarvi operai provenienti da tutta Italia, molti dei quali andarono a vivere nei grandi edifici realizzati alla periferia di Bolzano. In tal modo gli altoatesini di lingua italiana passarono dai 6.950 del 1910 agli 80.800 del 1939, su un totale di 234.650 abitanti in provincia di Bolzano.[187] Prima dell'annessione di Bolzano all'Italia e prima dell'italianizzazione, Bolzano era una città quasi totalmente di lingua tedesca (94% circa); all'ultimo censimento della popolazione (2011) la maggioranza si è dichiarata appartenente al gruppo linguistico italiano (74%).

Dal punto di vista amministrativo l'Alto Adige venne in un primo momento accorpato con il Trentino nella Provincia di Trento, al fine di diluire l'influenza dell'elemento linguistico tedesco, ma tale esigenza venne meno quando il regime abolì la democrazia locale e al contrario emerse la necessità di un controllo più particolareggiato del territorio. Venne allora istituita la Provincia di Bolzano (1927).

Nel contempo venne promossa la modernizzazione dell'economia altoatesina, con la realizzazione di infrastrutture e la costruzione di impianti idroelettrici per agevolare l'industria pesante installata nella provincia, la cui manovalanza venne reclutata dalle altre regioni d'Italia.

In seguito all'avvicinamento alla Germania nazista furono implementate le opzioni in Alto Adige. Hitler, ritenendo il principio etnico subordinato alla politica, affermò di non avere alcuna rivendicazione nei confronti del Regno d'Italia (attirandosi critiche da parte dei suoi stessi seguaci) pur di ottenere l'appoggio di Mussolini. Tra giugno e ottobre 1939 si svolsero degli accordi tra i due alleati Hitler e Mussolini riguardo alla questione della comunità tedescofona nella provincia di Bolzano e alle isole linguistiche in Trentino e Veneto: fu offerta loro la possibilità di trasferire definitivamente nel Reich; in questo modo il Führer riportava in patria un'altra comunità tedesca, mentre il Duce non solo non aveva ceduto sul principio d'inviolabilità del Brennero ma si era anche sbarazzato di un gruppo resistente all'italianizzazione. Il tutto fu svolto tramite massicce manipolazioni propagandistiche: infatti venne fatta circolare la voce che chi non avesse optato per il Reich sarebbe stato deportato in Sicilia. In ottemperanza all'accordo italo-tedesco sulle Opzioni del 1939, la maggioranza dei residenti sudtirolesi di lingua tedesca e ladina, che aveva subito una forte emarginazione politica, economica e sociale ad opera del regime fascista, si dichiarò favorevole ad emigrare verso i territori del Germania nazista: tra il 69% e l'88% degli aventi diritto optò per il Reich;[188] ad essi andavano aggiunti i cittadini già tedeschi residenti in Alto Adige (circa 10.000), che secondo gli accordi erano automaticamente trasferiti nel Reich.[189] Si ritiene che l'85%-90% della popolazione in provincia di Bolzano optò per l'emigrazione (coloro che fecero questa scelta furono chiamati Optanten). Coloro che non optarono furono automaticamente considerati cittadini italiani. I primi gruppi di optanti cominciarono a partire per la Germania già nel 1939 fino al 31 dicembre 1942, in seguito prorogato al 1943. I sudtirolesi rimasti in Italia furono considerati dei traditori e quelli che andarono in Germania trovarono un Paese in guerra: furono spediti subito sui vari fronti e ne morirono 8.000.[190] Lo scoppio della seconda guerra mondiale intervenne però a rallentare le operazioni di esodo e circa un terzo degli espatriati avrebbe voluto tornare in Italia dopo il conflitto,[191] ma fu loro impedito dalle autorità italiane. Verso la metà degli anni cinquanta del Novecento, la stampa e il clero di lingua tedesca si inserirono nella controversia etnica evocando una "marcia della morte" orchestrata dal Governo italiano ai danni della popolazione di lingua tedesca attraverso l'industrializzazione e l'immigrazione da altre regioni d'Italia.

La provincia di Bolzano è un'area trilingue. L'italiano e il sudtirolese sono lingue ufficiali della provincia, a cui si aggiunge il ladino in due valli orientali.

Gli italofoni, provenienti da regioni diverse, nella vita quotidiana usano per lo più l'italiano standard, mentre nella Bassa Atesina è diffuso anche il dialetto trentino.[192] Gli italofoni sono maggioritari in otto comuni: Bolzano (73,80%), Laives (71,50%), Fortezza (63,6%), Salorno (62,19%), Bronzolo (62,01%), Vadena (61,50%), Merano (58,6%, la seconda città più popolosa della provincia) ed Egna (50,03%).[193] A Bressanone, terzo comune della provincia, gli italofoni sono il 34,32%.[194] Il comune con meno italofoni è invece Martello dove, secondo il censimento 2001, solo lo 0,70% della popolazione si definiva di madrelingua italiana.[195].

Nella vita privata e pubblica degli altoatesini germanofoni predomina un dialetto austrobavarese alpino (il dialetto sudtirolese), caratterizzato da una certa presenza di vocaboli di origine romanza, che è presente in molteplici momenti della vita pubblica e privata ed è quasi sempre preferito al tedesco standard. Lo statuto del Trentino-Alto Adige sancisce che la lingua sudtirolese è parificata a quella italiana, ma quest'ultima fa testo negli atti aventi carattere legislativo (art. 99) e

«[...] Rimane salvo l'uso della sola lingua italiana all'interno degli ordinamenti di tipo militare.»

L'insegnamento viene impartito esclusivamente in lingua italiana da insegnanti di madrelingua. Elemento di attenuazione risulta l'apprendimento del sudtirolese a partire dalla prima o seconda elementare (a mo' di lingua straniera). Il dialetto sudtirolese è oggi in declino; se infatti una grossa parte della popolazione adulta dichiara di parlare sudtirolese, esso è però generalmente poco parlato dai giovani.

Dalmazia
modifica
 
Mappa della regione Dalmazia.

Secondo i censimenti dell'Impero Austroungarico, la lingua italiana in Dalmazia era parlata nelle seguenti percentuali[196]:

 
Traù.
Anno Numero Percentuale Popolazione (totale)
1800 92.500 33,00% 280.300

Gli italiani diedero subito via a una massiccia e radicale italianizzazione delle provincie annesse: vennero inviate ad amministrarle i segretari politici del fascio, del dopolavoro, dei consorzi agrari e medici, maestri, impiegati comunali, levatrici subito odiati da coloro ai quali tolsero gli impieghi.[197] In Dalmazia l'italiano venne imposto come lingua obbligatoria per i funzionari e gli insegnanti;[198] le insegne scritte in croato vennero sostituite da scritte in italiano, proibiti giornali, manifesti, vessilli croati; sciolte le società culturali e sportive, imposto il saluto romano, ripristinati i cognomi italiani con lo stesso decreto emanato durante l'impresa fiumana.[199] Si procedette pure, come già nella Venezia Giulia e nel Sudtirolo, all'italianizzazione dei nomi geografici, delle vie, delle piazze, ecc.[198] Uno speciale ufficio per le terre adriatiche offriva prestiti e provvidenze a quanti erano disposti a snazionalizzarsi, e intanto acquistava terreni da redistribuire agli ex combattenti italiani.[200] La prevedibile risposta fu l'inizio della resistenza, che i tribunali speciali e militari istituiti alla fine di luglio colpirono con le prime sentenze di morte: 8 a Bencovazzo il 6 agosto; 6 a Sebenico il 13 ottobre; 19 a Spalato il 14 ottobre; 12 a Vodizze il 26 ottobre.[201] In Dalmazia furono organizzate rappresaglie sui familiari di latitanti ribelli che portarono all'internamento di migliaia di persone[202]. Solo per fare un esempio, l'ordinanza del 7 giugno 1942 stabilì che tutti coloro i quali avessero abbandonato i comuni di residenza per unirsi ai ribelli sarebbero stati iscritti in apposite liste, compilate da ogni comune. Gli iscritti alle liste, non appena catturati, sarebbero stati passati per le armi; le famiglie degli iscritti sarebbero state considerate ostaggi e non avrebbero potuto, per nessuna ragione, allontanarsi dal comune di residenza, senza un salvacondotto rilasciato dalla PS o dai CC. RR. In caso di allontanamento ingiustificato sarebbero stati passati per le armi. I beni degli iscritti alle liste sarebbero stati confiscati o venduti al miglior offerente. I sindaci di ogni villaggio dovevano tenersi a disposizione dell'autorità civile e militare e contribuire alla ricerca e l'identificazione degli iscritti nelle liste. In caso di colpevole negligenza anch'essi sarebbero stati passati per le armi.[203] L'ordinanza, promulgata per la sola provincia di Zara, fu estesa il 1º febbraio 1943 a Spalato e Cattaro.[204]

Capitanato distrettuale
Distretto giudiziario
Comune
Località
Bencovazzo I. Bencovazzo 1 Bencovazzo Banjevac; Bencovazzo; Benkovac Selo; Biljane Gornje; Brgud; Bruška; Budak; Buković; Bulić; Ceranje; Jagodnje Donje; Jagodnje Gornje; Kakma; Kolarine; Korlat; Kozlovac; Kulatlagić; Lepuri; Lišane Ostrovičke; Lišane Tinjske; Lišičić; Miranje; Morpolača; Nadin; Perušić; Podlug; Polača; Popović; Pristeg; Prović; Radošinovac; Rastević; Rodaljice; Šopot; Stankovac; Tinj; Vrana; Vukšić; Zapužane
II. Chistagne 1 Chistagne Biovičino Selo; Bjelina; Dobropoljci; Ervenik Donji; Ervenik Gornji; Ivoševci; Chistagne; Kolašac; Modrino Selo; Nunić; Parčić; Rudele
III. Obbrovazzo 1 Obbrovazzo Bilišane; Golubić; Jesenice; Karin; Krupa; Kruševo; Medvidje; Muškovci; Obbrovazzo (Obrovac); Seline; Stari Grad; Tribanj; Zaton; Žegar; Zelen Grad
Cattaro I. Budua 1 Budua Budua; Maini di mezzo; Maini Inferiore; Martinović; Pobori Donji; Pobori Gornji; Podostrog; Prentović; Seoca; Stojanović; Uglješić
2 Pastrovicchio Bečić; Blizikuće; Buljarica; Castellastua; Čelo Brdo; Dabković; Drobnić; Gjenaši; Kaluderac; Katun; Krstac; Kuljače; Novoselje; Podbabac; Pržno; Santo Stefano; Tudorović; Vrba; Žukovica
3 Spizza Brca; Gjengjinović; Gjurmani; Miljevci; Mišić; Papani; Šušan; Sutomore; Zagradje; Zanković
II. Castelnuovo 1 Castelnuovo Baošić; Bianca; Castelnuovo; Gjenović; Jošica; Kameno; Kruševice; Kumbor; Kuti; Mojdež; Mokrine; Podi; Ratiševina; Sasović; Savina; Santo Stefano; Topla; Trebesin; Žlijebi
2 Luštica Babunci; Brguli; Klinci; Krašić; Mrkovi; Porto Rose; Radovanić; Zabrdje
III. Cattaro 1 Cattaro Bogdašić; Cattaro; Kavač; Lepetane; Mrčevac; Orahovac; Škaljari; Špiljari
2 Dobrota Dobrota
3 Cartolle Bogišić; Gjurašević; Gošić; Milović; Niković; Radović
4 Lastua Lastua Inferiore; Lastua Superiore
5 Mulla Mulla
6 Perzagno Perzagno
7 Stolivo Stolivo Inferiore; Stolivo Superiore
8 Teodo Teodo (Tivat)
9 Zuppa Bratešić; Dub; Glavati; Glavatičić; Gorović; Kovači; Krimovice; Kubasi; Lastua; Lješević; Nalježić; Pelinovo; Pobrdje; Prijeradi; Prijevor; Šišić; Sutvara; Višnjevo; Vranović; Zagora
IV. Risano 1 Perasto Gjurić; Kostanjica; Perasto; Strp-Lipci
2 Risano Krivošije Donje; Krivošije Gornje; Ledenice Donje; Ledenice Gornje; Morinj; Risano; Ubli
Curzola I. Curzola 1 Blatta Blatta; Kčara; Smoquizza
2 Curzola Curzola; Lombarda; Petrara; Pupnata; Račišće; Zrnovo
3 Lagosta Lagosta
4 Vallegrande Vallegrande
II. Sabbioncello 1 Cunna Cunna; Oskorušno; Osobjava; Pijavičino; Podobuče; Potomje; Prizdrina
2 Iagnina Brijesta; Drače; Giuliana; Iagnina; Kozo; Popova Luka; Putniković; Sreser; Trstenik
3 Orebić Kućište; Nakovan; Orebić; Sottomonte; Stanković; Viganj
4 Trappano Duba; Trappano; Vrucizza Inferiore; Vrucizza Superiore
Imoschi I. Imoschi 1 Imoschi Aržano; Biorine; Čista; Dobranje; Glavina; Grabovac; Imotski; Krstatice; Lokvičić; Lovreć; Medov Dolac; Podbablje; Proložac; Rašćane; Ričice; Runović; Slivno; Studenci; Svib; Vinjani; Zagvozd; Župa
Tenin I. Dernis 1 Dernis Badanj; Baljke; Biočić; Bogetić; Brištane; Čavoglave; Cera; Drinovci; Drniš; Gradac; Kadina Glavica; Kalik; Kanjane; Kaočine; Karalić; Kljake; Kljuć; Kopreno; Kričke; Lišnjak; Ljuboštine; Miočić; Mirilović u Polju; Mirilović u Zagorju; Moseć; Nevest; Ostrogašica; Otavice; Pakovo Selo; Parčić; Planjane; Podumci; Pokrovnik; Radonić; Ružić; Sedramić; Širitovci; Sitno; Siverić; Štikovo; Tepljuh; Trbounje; Umljanović; Unešić; Varoš; Velušić; Vinovo; Žitnić
II. Tenin 1 Tenin Biskupija; Golubić; Knin; Kninsko Polje; Kovačić; Mokro Polje; Oćestovo; Orlić; Oton; Pagjene; Plavno; Polača; Radljevac; Radučić; Ramljane; Rigjane; Strmica; Turić; Uzdolje; Vrbnik; Vrpolje; Žagrović; Zvjerinac
2 Promina Bogetić; Čitluk; Lukar; Matase; Mratovo; Oklaj; Puljane; Razvagje; Suknovci
Lesina I. Cittavecchia 1 Bogomolje Bogomolje; Gdinj
2 Cittavecchia Cittavecchia; Dol; Rudine; Selza
3 Gelsa Gelsa; Pitve; Vrisnik; Zastražišće
4 San Giorgio San Giorgio
5 Verbosca Santa Domenica; Sfirze; Verbagno; Verbosca
II. Lesina 1 Lesina Brusie; Grabie; Lesina
III. Lissa 1 Comisa Comisa
2 Lissa Campogrande; Lissa
Macarsca I. Macarsca 1 Gornje Primorje Baćina; Brist; Drvenik; Gradac; Podaca; Zaostrog
2 Macarsca Baška Voda; Bast; Brela Donja; Brela Gornja; Drašnice; Igrane; Kotišina; Macarsca; Makar; Podgora; Tučepi; Veliko Brdo; Živogošće
II. Vergorazzo (Vrgorac) 1 Vergorazzo (Vrgorac) Dragljane; Draževitić; Dusina; Kljenak; Kokorić; Kozica; Orah; Podprolog; Poljica; Prapatnice; Ravča; Stilja; Vlaka; Vergorazzo (Vrgorac); Zavojane
Porto Narenta I. Porto Narenta 1 Fortopus Borovci; Desne; Fortopus; Komin; Pasičina; Plina; Struge; Vid
2 Porto Narenta Dobranje; Porto Narenta; Slivno; Vidonje
Ragusa I. Ragusa 1 Giuppana Luca di Giuppana; San Giorgio
2 Malfi Brsečine; Calamotta; Cannosa; Dubravica; Gromača; Kliševo; Ljubač; Maicovi Inferiore; Maicovi Superiore; Malfi; Mravinjac; Mrčevo; Sant'Andrea o Donzella; Valdinoce
3 Mezzo Mezzo
4 Ombla Čajkovica; Gionchetto; Knežica; Komolac; Mokošica; Obuljeno; Osojnik; Petrovo Selo; Prijevor; Rogiatto (Rožat); Santo Stefano
5 Ragusa Bergatto Inferiore; Bergatto Superiore; Brašina; Buići; Čelopeći; Čibača; Gravosa; Grbavac; Lapad; Makoše; Martinović; Petrača; Plat; Ragusa; Soline; Zavrelje
II. Ragusavecchia 1 Ragusavecchia Brotnice; Čilipi; Drvenik; Duba, Dunave; Gabrili; Gjurinić; Gruda; Jasenice; Komaj; Kuna; Ljuta; Lovorno; Mihanići; Mikulići; Močići; Mrcine; Obod; Pavlje Brdo; Pločice; Poljice; Popović; Pridvorje; Radovčić; Ragusavecchia; Šilješki; Stravča; Uskoplje; Vitaljina; Vodovalja; Zastolje
III. Stagno 1 Meleda Babino Polje; Blato; Govedjari; Koriti; Maranovići; Prožura
2 Slano Banići; Kručica; Mravinca o Mravinjica; Slano; Trnova
3 Stagno Boljenović; Branilović; Broce; Čepikuće; Česvinica; Dančanje; Doli; Duba; Gjunta Doli; Hodilje; Imotica; Kobaš; Konštari; Kotezi; Kuta; Lisac; Luka; Mali Voz; Metohija; Ošlje; Podgora; Podimoć; Rusan; Smokovljani; Smokvina; Sparagović; Stagno
Sebenico (Šibenik) I. Scardona (Skradin) 1 Scardona (Skradin) Bićine; Bratiškovci; Bribir; Cista Grande (Čista Velika); Cista Piccola (Čista Mala); Čulišić; Djeverske; Dubravica; Gaćelezi; Gračac; Ićevo; Krković; Ostrovica; Piramatovci; Plastovo; Rupe; Scardona (Skradin); Scardona Campagna (Skradinso Polje); Smrdelje; Sonković; Vačane; Varivode; Velika Glava; Velim; Žažvić
II. Sebenico (Šibenik) 1 Sebenico (Šibenik) Boraja; Brnjice; Campo d'abbasso (Donje Polje); Capocesto (Primošten o Primošćen); Castel Andreis (Jadrtovac); Crappano (Krapanj); Čvrljevo; Danilo Biranj o Danilo Donje; Danilo Kraljice o Danilo Gornje; Dubrava; Goriš; Gradine; Grebaštice; Konjevrate; Lozovac; Maddalena (Mandalina); Radonic; Rasline; Rogoznica; Sebenico (Šibenik); Slivno; Vrpolje; Vrulje-Bilice; Zablaće; Zaton
2 Stretto (Tijesno o Tiesno) Betina; Jezera; Morter (Murter); Stretto (Tijesno o Tiesno); Trebocconi (Tribunj); Zlosela
3 Vodizze (Vodice) Vodizze (Vodice)
4 Zlarin Capri (Kaprije); Provicchio Luca (Prvić Luka); Provicchio Sepurine (Prvić Sepurine); Zlarin; Zuri (Žirije)
Signo (Sinj) I. Signo (Sinj) 1 Signo (Sinj) Bajagić; Bisko; Bitelić Donji; Bitelić Gornji; Brnaze; Budimir; Čaporice; Dabar; Dolac Donji; Dolac Gornji; Ercegovci; Gala; Glavice; Gljev; Grab; Hrvace; Kamensko; Karakašica; Koprivno; Košute; Kraj; Krušvar; Lučane; Obrovac; Otok; Podvaroš; Potravlje; Prisoje; Radošić; Ruda; Satrić; Sičane; Sinj; Strijane; Strižirep; Šušci; Tiarice; Trnbusi; Turjake; Udovičić; Ugljane; Vedrine; Velić; Vojnić; Voštane; Vrpolje; Vučipolje
II. Verlicca (Vrlika) 1 Verlicca (Vrlika) Cetina; Civljane; Gariak; Ježević; Kievo; Koljane; Kosore; Kukar; Mavice; Otišić; Podosoje; Vinalić; Verlicca (Vrlika)
Spalato (Spljet) I. Almissa (Omiš) 1 Almissa (Omiš) Almissa (Omiš); Blato; Čisla o Čičla, Dubrava o Pirunova Dubrava; Duće; Gata; Katuni; Kostanje; Kreševo; Kučiće; Nova Sela; Opanci; Ostrvica; Podgradje; Rogoznica; Slime; Svinišće; Tugari; Zakučac; Žeževica; Zvečanje
II. Brazza (Brač) 1 Bol Bol
2 Milnà (Milna) Bobovišće; Ložišće; Marina (Bobovišće na Moru); Milnà (Milna)
3 Neresi (Nerežišće) Dračevica; Murvica; Neresi (Nerežišće); Obršje; Smrka
4 Postire Dol; Postire
5 Pucischie (Pučišće) Humac Gornji; Pražnice; Pucischie (Pučišće)
6 Selza (Selca) Povlje o Povlja o Povje; Selza (Selca); San Martino (Sv. Martin o Sumartin o Vrh Brača); Villanuova (Novo Selo)
7 San Giovanni (Stivanj o Sutivan) Humac Donji; San Giovanni (Stivanj o Sutivan)
8 San Pietro (Supetar) Mirce; Scirpea (Škrip); San Pietro (Supetar); Spliska
III. Spalato (Spljet) 1 Castel Suciuraz (Kaštel Sućurac) Castel Abbadessa (Kaštel Gomilica); Castel Suciuraz (Kaštel Sučurac)
2 Castel Vitturi (Lukšić) Castel Cambio (Kaštel Kambelovac); Castel Vitturi (Lukšić)
3 Clissa (Klis) Clissa (Klis); Dugopoglie (Dugopolje); Konjsko; Kotlenice
4 Muć Bračević; Broćanac Mali o Broćanac Donji; Broćanac Veli o Broćanac Gornji; Crivac; Gizdavac; Milešine; Muć Donji; Muć Gornji; Neorić; Ogorje Donje; Ogorje Gornje; Postinje Donje; Postinje Gornje; Pribude; Prugovo Donje; Prugovo Gornje; Radunić; Ramljane o Ramljani; Sutina
5 Solta (Šolta) Grohote; Porto Oliveto (Maslinica); Stomorska; Villa Inferiore (Donje Selo); Villa Media (Sriednje Selo); Villa Superiore (Gornje Selo)
6 Spalato (Split o Spljet) Jesenice; Kućine; Mravince; Postrana (Podstrana); Salona (Solin); Sasso (Kamen); Sitno; Slatine; Spalato (Split o Spljet); Srinjine; Stobreć; Vragnizza (Vranjic o Vranjica); Žrnovnica
IV. Traù (Trogir) 1 Castelnuovo (Novi o Novi kod Trogira) Castelnuovo (Novi o Novi kod Trogira); Castel Stafileo (Štafilić); Castelvecchio (Stari)
2 Lechievizza (Lećevica) Brštanovo; Čvrljevo; Divoević; Dugobabe; Kladnice o Kladnjice; Korušce o Korušci; Lechievizza (Lećevica); Nisko; Radošić; Utore Donje; Utore Gornje; Vinovo; Visoka; Vučevica
3 Traù (Trogir) Blizna; Bossoglina (Marina); Bristivica; Labin; Lepenica o Lepenice; Ljubitovica; Mitlo Vinovac; Cerchio (Okrug o Okruk); Prapatnica; Prgomet; Račice; Seghetto (Seget); Sevid; Sitno; Sratok; Suhi Dolac o Suhi Dol; Traù (Trogir); Trolokve; Žedno; Zirona (Drvenik)
Zara (Zadar) I. Arbe (Rab) 1 Arbe (Rab) Arbe (Rab); Bagnol (Banjol); Barbato (Barbat); Campora (Kampor); Loparo (Lopar); Mondaneo (Mundanija); Valle San Pietro (Supetarska Draga)
II. Pago (Pag) 1 Pago (Pag) Barbato (Barbat); Dinjiška; Kolane o Kolan; Novaglia (Novalja); Pago (Pag); Povljana; Punta Loni (Lun o Puntalun); Vlašić
III. Zara (Zadar) 1 Nona (Nin) Brevilacqua (Privlaka); Briševo; Dračevac; Ljubač; Nona (Nin); Polešnik; Poljica; Pontadura (Vir); Radovin; Rasanze (Ražance); Suovare; Verchè (Vrsi); Visočane; Zaton
2 Novegradi (Novi Grad) Castel Venier (Vinjerac); Islam Greco (Islam Grčki); Islam Latino (Islam Latinski); Novegradi (Novi Grad); Possedaria (Posedarija); Pridraga; Slivnica; Smilčić
3 Sale (Sali) Birbigno (Birbinj); Božava; Dragove; Eso Grande (Iž Veli); Eso Piccolo (Iž Mali); Luka; Punte Bianche (Rat Veli); Rava
4 Selve (Silba) Brgulje; Gruizza (Grujica); Isto (Ist); Melada (Mulat); Premuda; Selve (Silba); Škarda; Ulbo (Olib); Zapuntello (Zapuntel)
5 Zara (Zadar) Bibigne (Bibinje); Bigliane Inferiore (Biljani Donji); Boccagnazzo (Bokanjac); Borgo Erizzo (Albanesi, Arbanasi); Cale (Kale); Cerno (Crno); Cosino (Kožino); Cuclizza (Kukljica); Diclo (Diklo); Gallovaz (Galovac); Lucoran (Lukoran); Murvizza (Murvica); Oltre (Preko); Peterzane (Petrčani); Pogliana (Poljana); Scabergne (Škabrnje); San Cassiano (Sukošan); Sestrugn (Sestrunj); Sant'Eufemia (Sutomišćica); Smocovich (Smoković); Ugliano (Uljan); Zara (Zadar); Zemonico (Zemunik)
IV. Zaravecchia (Biograd) 1 Zaravecchia (Biograd) Bagno (Banj); Dobropoljana; Gorica; Nevidjane; Poschiane (Pakoštane); Pasmano (Pašman); Raštane; Santi Filippo e Giacomo (Filipjakov); Tucconio (Tkon); Torrette (Turanj); Vrgada; Zaravecchia (Biograd); Ždrelac

Italianizzazione dei toponimi in Dalmazia
Città maggiori (attualmente superiori a 7.500 abitanti)

Nome italiano Nome croato/montenegrino Note
Almissa Omiš
Antivari Bar
Bencovazzo Benkovac
Breno Župa Dubrovačka
Budua Budva
Canali o Val di Canali Konavle
Castelnuovo di Cattaro Herceg Novi
Cattaro Kotor
Castelli Kaštela
Dernis Drniš
Dulcigno Ulcinj
Imoschi Imotski
Macarsca Makarska
Porto Narenta Metković
Porto Tolero Ploče
Ragusa di Dalmazia Dubrovnik
Salona Solin
Sebenico Šibenik
Segna[205][206][207][208][209][210][211][212] Senj[212]
Signo Sinj
Spalato Split
Tenin Knin
Teodo Tivat
Trebigne Trebinje
Treglia Trilj
Traù Trogir
Vergorazza Vrgorac
Vodizze Vodice
Zara Zadar Il nome ufficiale fu "Zara", poi "Zara/Zadar" nel periodo austroungarico, tornando solo "Zara" dopo la grande guerra.
Venezia Giulia
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A seguito della vittoria italiana nella prima guerra mondiale con il trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) e il trattato di Rapallo (1920), l'Istria divenne parte del Regno d'Italia.

Il censimento del 1921 ribaltò i risultati della rilevazione austriaca del 1910, sia per quanto riguarda la Venezia Giulia nel suo insieme, sia per l'Istria in particolare, indicando in regione una maggioranza di popolazione culturalmente italiana. Secondo le rilevazioni censuali di quell'anno la popolazione istriana appartenente al gruppo linguistico italiano risultava composta da 199.942 unità (58,2% del totale). Seguiva il gruppo croato, predominante secondo i dati del censimento anteriore, con 90.262 parlanti (26,3%), e quello sloveno con 47.489 (13,8%). Le restanti 5.708 unità (1,7%) vennero invece classificate come "altri"[213].

La comunità slovena di Trieste, presente in città fin dal Medioevo[214][215][216], raggiungeva nel 1910 (secondo il discusso censimento austriaco di quell'anno[217]) il 25% della popolazione del comune. Durante il ventennio fascista le popolazioni slave della Venezia Giulia furono assoggettate ad una politica di italianizzazione forzata. Nel 1971 la comunità slovena era stimata in circa il 5,7% della popolazione del comune.[218] Fino alla prima guerra mondiale esisteva anche una comunità di lingua tedesca che superava il 5% della popolazione del comune, ma che si ridusse drasticamente negli anni successivi.

Italianizzazione dei toponimi nella Venezia Euganea
Nome slavo/tedesco Nome italiano
Thörl Porticina
Provincia di Lubiana
 
Il confine orientale dell'Italia in epoca romana
 
La provincia di Fiume dal giugno 1941, comprese le isole di Veglia ed Arbe
 
La provincia di Lubiana, italiana dal 1941, inclusa come provincia autonoma nel compartimento statistico della Venezia Giulia.

La Provincia di Lubiana venne istituita il 3 maggio 1941[219], al termine della Campagna di Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale, a seguito della spartizione delle zone etnicamente slovene dell'allora Regno di Jugoslavia fra le forze di occupazione italiane (nella parte sud), quelle tedesche (nella parte nord) e il Regno d'Ungheria (nella parte est). Degli originari 16000 km² che avevano costituito la Dravska Banovina (ovvero la Slovenia jugoslava), un quarto (4 593 km² con 337 000 abitanti) corrispondente alle regioni della Carniola interna (Notranjska), della Bassa Carniola (Dolenjska) e della Carniola Bianca (Bela Krajina) venne attribuito all'Italia.

Nel decreto di istituzione della provincia si stabilì all'articolo 2 che "Con decreti reali […] saranno stabiliti gli ordinamenti della Provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali". La volontà politica di sottolineare la debellatio della Jugoslavia, unita alla pressoché completa assenza di elementi etnici italiani nel territorio, portarono quindi a creare una provincia con un ordinamento particolare, non disciplinato dall'ordinaria legislazione in materia. I poteri di governo della provincia sarebbero stati esercitati da un'altra figura di nuova istituzione, prevista dall'articolo 3: "un alto Commissario, nominato con decreto Reale su proposta del Duce del Fascismo, Capo del Governo, Ministro dell'Interno", assistito "da una Consulta composta di 14 rappresentanti scelti fra le categorie produttrici della popolazione slovena" (articolo 4). Dal 1941 l'area di Cocevie (in sloveno Kočevje, in tedesco Gottschee) fa parte della Provincia italiana di Lubiana. La politica di occupazione italiana in Jugoslavia inizialmente riguardò anche la plurisecolare comunità etnica tedesca della Slovenia meridionale e fu connessa alla politica di germanizzazione della Slovenia settentrionale annessa alla Germania. La definitiva sistemazione amministrativa venne così definita:

I distretti erano amministrati da Commissari distrettuali assimilati alle cariche di sottoprefetti, scelti fra i notabili sloveni. Già nel dicembre 1941, l'Alto Commissario Emilio Grazioli, a seguito del perdurante stato di ribellione nella provincia li sostituì tutti con funzionari italiani[220].

L'ordinamento comunale venne definito con un'ordinanza del gennaio 1942: l'amministrazione delle municipalità venne riorganizzata secondo la legislazione vigente nel Regno e affidata a podestà, assistiti – se l'Alto Commissario lo avesse ritenuto opportuno – da una Consulta comunale composta da notabili locali di provata fede filoitaliana.

Il 21 ottobre 1941 la Segreteria Nazionale del Partito Nazionale Fascista istituì – su ordine di Mussolini – la Federazione dei Fasci di Combattimento di Lubiana: Grazioli venne nominato Segretario Federale, ma da febbraio 1942 in sua sostituzione venne chiamato l'ex volontario di Spagna Orlando Orlandini. Grazioli e Orlandini trapiantarono a Lubiana le strutture ordinarie del partito, istituendo le tradizionali organizzazioni di massa: la Gioventù Italiana del Littorio, il Gruppo Massaie Rurali, la Sezione Provinciale delle Lavoranti a Domicilio, il Gruppo Universitari Fascisti e la Federazione dei Fasci Femminili.

In un discorso dell'11 dicembre 1941, Grazioli affermò che dopo aver trasformato Lubiana in una provincia italiana "faremo diventare italiani anche i suoi abitanti". In realtà, nemmeno formalmente gli sloveni divennero mai italiani: la concessione della cittadinanza italiana agli sloveni e ai dalmati croati del Governatorato della Dalmazia venne rinviata alla fine della guerra.

Sloveni Tedeschi Croati Serbi Italiani Altre nazionalità Popolazione totale
318 773 (93,825%) 13 580 (4%) 5 053 (1,49%) 511 (0,15%) 458 (0,135%) 1 376 (0,4%) 339 751 (100%)
Fonte: Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003
 
Timbro della Dogana Provinciale di Lubiana.

Si fa nascere il fenomeno del collaborazionismo immediatamente a ridosso della proclamazione della Provincia di Lubiana: il 4 maggio un gruppo di "notabili di Lubiana" – come li definì Grazioli – inviò al Commissario civile (successivamente nominato Alto Commissario) un messaggio da inoltrare a Mussolini, nel quale si dichiarava "la più rispettosa devozione alla Maestà del Re e Imperatore" e la "riconoscenza" al duce, affermando altresì che "la popolazione slovena dimostrerà più con i fatti la sua riconoscenza".

Il documento era sottoscritto dagli ex ministri jugoslavi Ivan Puceli e Frank Novak, dal Rettore dell'Università di Lubiana Slavic, dall'ex senatore Gustav Gregorin, dal sindaco di Lubiana Ivo Adlesic e da altre personalità. Primo firmatario fu l'ex bano ed ex presidente del disciolto Consiglio Nazionale, Marko Natlacen.

Nei giorni immediatamente successivi, 105 sindaci sloveni inviarono un messaggio a Mussolini, esprimendo "giubilo e orgoglio per l'incorporazione dei territori sloveni nel grande Regno d'Italia". Analogo messaggio di felicitazioni pervenne al duce anche dall'arcivescovo di Lubiana, Gregorij Rozman.

dal gennaio al 23 febbraio 1942 le autorità civili e militari italiane cinsero con filo spinato e reticolati l'intero perimetro di Lubiana,[221] disponendo un ferreo controllo su tutte le entrate e le uscite della città.

Il recinto era lungo ben 41 chilometri e nel suo corso vennero dislocati sessanta posti di guardia, nonché quattro stazioni fotoelettriche. La città venne divisa in tredici settori e furono raccolti 18 708 uomini che furono controllati nelle caserme con l'aiuto di delatori sloveni dissimulati; 878 di questi uomini furono mandati in campo di concentramento[222].

 
Divieto del 1942 di uscire dalla città di Lubiana.

«Ogni sloveno in vita deve essere considerato almeno simpatizzante con i partigiani […] occorre mettere da parte ogni falsa pietà, tutte le volte che si ha motivo di ritenere che gli abitanti tacciono quello che sanno e aiutano in qualsiasi modo i partigiani […] si mediti, si insegni, si odii. Si odii più di quanto questi briganti odiano noi, […] bisogna […] stroncare per sempre il movimento di un partito che si alimenta con l'odio.»

Il "Fronte di Liberazione della Slovenia" (chiamato Osvobodilna fronta in sloveno e creato dal Comitato Centrale del Partito Comunista della Slovenia) nel gennaio del 1942 intensificò le sue azioni di guerriglia contro le truppe ed i civili italiani, sotto gli ordini di Josip Vidmar. Come conseguenza il comando italiano -congiuntamente con quello tedesco- organizzò delle sanguinose operazioni nel tentativo di "pacificare" l'area. Le principali furono il piano "Primavera" e la circolare "3C".

Il 5 febbraio 1942 il generale Mario Robotti presentò a tutte le autorità militari e civili il suo programma d'azione finalizzato al mantenimento e al rafforzamento del controllo della regione. Tale programma venne denominato piano "Primavera" e articolato dallo stesso Robotti in tre punti essenziali: 1) difesa dalle azioni partigiane; 2) modalità d'attacco da adottare da parte delle truppe italiane contro le brigate jugoslave; 3) ridisposizione territoriale delle forze armate stanziate in Slovenia. Il piano "Primavera" tuttavia permise di conseguire risultati modesti.

I vertici militari italiani elaborarono il 1º marzo 1942 un nuovo piano operativo di repressione e controllo territoriale; tale programma venne denominato circolare "3C". Questa circolare venne riassunta in un opuscolo di circa 200 pagine e distribuito a tutti gli ufficiali dell'esercito.[223] Le disposizioni della circolare "3C", unitamente alla realizzazione del piano "Primavera", portarono negli oltre 200 campi d'internamento italiani e solo nel luglio 1942, migliaia di deportati sloveni che al termine della guerra raggiunsero il numero di 33 000 persone, ovvero il 10% della popolazione totale della Provincia di Lubiana.[224].

Il 20 marzo 1942, al termine della "recinzione" di Lubiana, le truppe del Regio Esercito arrestarono tutti gli ex ufficiali dell'ex esercito jugoslavo di età inferiore ai 60 anni per timore che diventassero partigiani, e li deportarono nel campo di concentramento di Gonars (allora diretto dal colonnello Eugenio Vicedomini): in tutto furono arrestati e deportati 1 120 uomini.

Il 19 marzo 1942 venne ordinato, a seguito di ulteriori violenti attacchi guerriglieri guidati dai due principali capi del movimento partigiano sloveno Franc Leskošek e Boris Kidrič, l'incendio dei villaggi di Golo e Skrilje, e il 22 marzo la distruzione dei villaggi di Selnik, Hudi Rogatec, Purkace Visoko, Zapotok, Osredek, Centa, Sekirisce, Krvava Pec, Ustje (soltanto da Golo e Skrilje fuggirono 75 famiglie con 302 persone e dagli altri villaggi 28 famiglie con 92 persone).

A Lubiana nel solo mese del marzo '42 gli italiani fucilarono 102 ostaggi.[225]. Tra il 18 e il 19 aprile 1942 si verificò un conflitto a fuoco tra partigiani e Regio Esercito a Trebnje, nel quale morirono 7 militari italiani dell'Arma dei carabinieri. Il 20 aprile 1942 per rappresaglia vennero dati alle fiamme gli abitati civili limitrofi al luogo dello scontro.

Il 24 aprile 1942 Grazioli e Robotti pubblicarono un bando di ammonizione e minaccia contro i partigiani sloveni:

«Considerato che continuano a verificarsi, nel territorio della provincia, efferati delitti da parte di sicari al servizio del comunismo. Ritenuta l'assoluta necessità di stroncare con ogni mezzo tali manifestazioni criminose […] qualora dovessero verificarsi altri omicidi o tentati omicidi a danno di appartenenti alle Forze Armate, al Capo della polizia, alle amministrazioni dello Stato; di cittadini italiani o di civili sloveni che in qualsiasi modo collaborano lealmente con l'Autorità […] saranno fucilati […] elementi di cui sia stata accertata l'appartenenza al comunismo.»

Il 6 maggio 1942 il bando venne esteso anche ai reati di rapimento e sabotaggio e nella sola Provincia di Lubiana con questi procedimenti vennero fucilati 145 ostaggi.

Tra il 26 e il 30 aprile 1942, dopo un attacco partigiano a un treno militare italiano, oltre alla rappresaglia, consistente nella fucilazione di 8 ostaggi prelevati dalle carceri di Lubiana e Novo Mesto, venne realizzato il secondo rastrellamento di Lubiana.

In nove mesi, da fine aprile 1942 a fine gennaio 1943, nella sola città di Lubiana furono fucilati 20 gruppi di ostaggi per un assieme di 121 appartenenti alla resistenza slovena.

Elenco degli ostaggi fucilati dalle forze di occupazione italiane a Lubiana presso la cava abbandonata» Gramozna jama[226]:
6 ostaggi – 28 aprile 1942 (Franc Kodrič, Ivan Kramar, Ivan Majcen, Franc Šlajpah, Nikola Tatalovič, Franc Turnšek),
2 ostaggi – 1º maggio 1942 (Ernest Eypper, Mirko Gašperlin),
10 ostaggi – 11 maggio 1942 (Ivan Fric, Jernej Gasperšič, Ignacij Gregorič, Anton Jaklič, Ferdinand Komarc, Rudolf Rotar, Viktor Rotar, Josip Seško, Rafael Zakrajšek, Nedelko Zdralovič,
9 ostaggi – 12 maggio 1942 (Florijan Gomišček, Viktor Grašič, Stanislav Kerin, Peter Kogoj, Boštjan Pretnar, Anton Stražišar, Alojzij Puterle, Rudolf Sigulin, Zorko Živec),
2 ostaggi – 13 maggio 1942 (Jakob Morel, Stanislav Dobrec),
2 ostaggi – 15 maggio 1942 (Karl Ahac, Karl Gorjan),
6 ostaggi – 16 maggio 1942 (Boris Boc, Franc Kirn, Ivan Kočevar, Anton Mrinc, Maks Pintar, Marjan Sigulin),
5 ostaggi – 17 maggio 1942 (Josip Kocijan, Anton Kocman, Viktor Kocman, Alojzij Mesojedec, Anton Vidic),
6 ostaggi – 29 maggio 1942 (Slavo Barbič, Ludvik Fedran, Martin Gornik, Franc Pihlar, Rudolf Kresse, Miroslav Siegel),
6 ostaggi – 2 giugno 1942 (Ivan Klun, Stanislav Riharič, Franc Rupert, Aleš Stanovnik, Anton Švajger, Dušan Uderman),
7 ostaggi – 11 giugno 1942 (Jože Cimerman, Maksmilijan Hvalec, Aleksander Matjažič, Franc Murovič, Anton Trtnik, Franc Zelnik, Anton Žerjal),
15 ostaggi – 13 giugno 1942 (Radomir Dubrovič, Franc Kastelec, Ivan Kuhar, Josip Lukoveski, Alojzij Lubej, Luka Mastoševič, Jože Mlakar, Anton Možek, Alojzij Pajk, Dušan Podgornik, Ivan Porenta, Anton Štebi, Josip Toni, Ranko Velebit, Ludvik Velepič),
1 ostaggio – 17 giugno 1942 (Ivan Golob),
8 ostaggi – 23 giugno 1942 (Bogomil Drnovšek, Lado Grom, Edvin Lenarčič, Ivan Korenčan, Franc Nagode, Edvard Vidmar, Jožef Vidmar, Karol Vilar),
4 ostaggi – 23 giugno 1942 (Marjan Jordan, Josip Koračin, Josip Zorn, Ivan Sintič),
6 ostaggi – 16 luglio 1942 (Adolf Benčina, Julij Bizjak, Andrej cetinski, Ivan Grbec, Bogomir Prašnikar, Nikolaj Šteblaj),
8 ostaggi – 21 luglio 1942 (Bogdan Jordan, Vinko Moškerc, Marjan Oblak, Vinko Omahen, Josip Simončič, Boris Veber, Ingo Vrščaj, Vuki Zakrajšek),
4 ostaggi – 29 settembre 1942 (Ivan Japelj, Franc Mausar, Anton Rakar, Rajko Skapin),
8 ostaggi – 14 ottobre 1942 (Janko Arnšek, Rudolf Babnik, Branko Božič, Josip Hribar, Vinko Košak, Ciril Nagode, Alojzij Tomažič, Ivan Turk),
6 ostaggi – 28 gennaio 1943 (Pavel Lamberger, Josip Sadar, Vincenc Snoj, Vincenc Škof, Valenin Petač, Josip Zalaznik).

Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani come nell'adiacente Provincia di Fiume.

Tra il 27 giugno e il 1º luglio 1942 i Granatieri di Sardegna realizzarono un'azione militare nella città di Lubiana; durante questa operazione furono fermati 20 000 uomini, 2 858 dei quali furono arrestati.

Razzie, arresti e deportazioni furono eseguiti anche in altri maggiori centri della Provincia. L'8 settembre 1942 il generale Mario Roatta emanò le seguenti disposizioni:

«l’internamento può essere esteso […] sino allo sgombero di intere regioni, come ad esempio la Slovenia. In questo caso si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione […] e di sostituirle in loco con popolazioni italiane»

Il risultato di queste azioni del Comando italiano fu che nella provincia di Lubiana le azioni di guerriglia si ridussero e quasi scomparvero nell'ottobre e novembre del 1942. Sul finire di quell'anno vi furono anche tentativi di conciliazione da parte delle autorità italiane, sostenuti dai collaborazionisti sloveni come Marko Nataclen, come quando non furono eseguite delle fucilazioni di ostaggi sloveni

 
La provincia di Lubiana, con l'area del Gottschee in evidenza.

La politica di occupazione italiana inizialmente riguardò anche la plurisecolare comunità etnica tedesca della Slovenia meridionale, detta "di Gottschee", e fu connessa alla politica di germanizzazione della Slovenia settentrionale annessa alla Germania. Nell'estate 1941 l'intera comunità tedesca di Gottschee, un'area di oltre 800 chilometri quadrati con 172 villaggi, fu quindi trasferita - per accordi italo-tedeschi simili a quelli dell'Alto Adige e della Val Canale ("Opzioni in Alto Adige") -nella Slovenia occupata dalla Germania.
Dopo il 1945 i 28.000 tedeschi del Gottschee - che avevano in buona parte seguito le armate tedesche in ritirata - dovettero rinunciare a rimpatriare, a causa delle leggi italiane che previdero l'espulsione di tutti i tedeschi etnici dal paese.[229]
Di fatto, nella Provincia italiana di Lubiana già nel 1941/42 fu attuata una completa "pulizia etnica" della minoranza tedesca del Gottschee (un'area che era quasi un quarto del territorio della Slovenia)[230], ma il risultato finale di tutti questi accadimenti fu la scomparsa della minoranza tedesca dall'intero territorio della Slovenia, dove secondo l'ultimo censimento (2002) vivono solo poche centinaia di tedescofoni.[231]

Nei primi 29 mesi di occupazione italiana della Provincia di Lubiana, vennero fucilati o come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5 000 civili, ai quali furono aggiunti 200 bruciati vivi o massacrati in modo diverso, 900 partigiani catturati e fucilati e oltre 7 000 (su 33 000 deportati) persone, in buona parte anziani, donne e bambini, morti nei campi di concentramento. In totale quindi si arrivò alla cifra di circa 13 100 persone uccise su un totale di circa 340 000 (più precisamente 339 751 al momento dell'annessione), quindi il 3,8% della popolazione totale della provincia[224]. Nella Provincia di Lubiana si è effettuata un’operazione di autentica bonifica etnica, il che non è soltanto confermato dall’altissimo numero degli uccisi e dei deportati, e dalle stesse dichiarazioni di alcuni alti ufficiali, ma da un documento che è rimasto agli atti, la famigerata circolare n. 3C, del primo marzo 1942, e i suoi allegati del 7 aprile, a firma del generale Mario Roatta.[232]

Isole Ionie
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Moneta veneziana (gazzetta) per le Isole Ionie, dal valore di due soldi (epoca del dogato di Giovanni Corner II, 1709-1722)
 
Gli Stati italiani nel 1789, con le isole Ionie in dettaglio.

L'italiano è la lingua ufficiale, insieme al greco, della Provincia Autonomia delle Isole Ionie, consistente nelle isole di: Merlera, Fanò, Mathraki, Corfù, Passo, Antipasso, Prevesa, Vonizza, Santa Maura, (nonché le isole minori di Scorpios, Meganisi, Kalamos, Kastos, Arkoudi e Atokos), Itaca, Cefalonia, Zante, Cerigo, Chitra, Potì e Cerigotto.

Le Isole Ionie sono situate nel Mar Ionio, al largo della costa occidentale della Grecia. Cerigo, la più meridionale, è appena al largo della punta meridionale del Peloponneso e Corfù, la più settentrionale, si trova all'ingresso del Mar Adriatico.

Le isole Ionie sono state un possedimento marittimo estero della Repubblica di Venezia a partire dalla metà del XIV. La conquista delle isole avvenne gradualmente. Le prime ad essere state conquistate furono Cerigo e l'isolotto di Cerigotto, nel 1363. Ventitré anni dopo, Corfù entrò volontariamente a far parte delle colonie di Venezia. Dopo circa un secolo, Venezia conquistò Zante nel 1485, Cefalonia nel 1500 e Itaca nel 1503. La conquista fu completata nel 1718 con la presa di Leucade. Ognuna delle isole rimase parte dei possedimenti della Repubblica di Venezia fino all'annessione all'Italia.

Il governatore delle Isole Ionie durante il periodo veneziano era il Provveditore Generale da Mar, che risiedeva a Corfù. Inoltre, le autorità di ogni isola erano divise fra veneziani e locali. L'economia delle isole si basava sull'esportazione di prodotti locali, in primo luogo uvetta, olio d'oliva e vino, mentre la lira veneziana, la moneta di Venezia, era anche la valuta locale. Alcune caratteristiche della cultura di Venezia vennero incorporate in quella delle Isole Ionie. La lingua italiana, per esempio, che venne introdotta nelle isole come lingua ufficiale (l'isola di Corfù, sede principale, aveva precedentemente avuto già numerosi contatti con altre parti d'Italia: dal regno di Sicilia a quello napoletano), venne adottata dalla classe superiore ed è ancora oggi abbastanza diffusa in tutte le isole.

A Corfù, come nelle zone limitrofe della regione greca e albanese dell'Epiro infatti, non è difficile imbattersi tutt'ora nei segni che la repubblica della serenissima ha lasciato in circa 500 anni di dominio. Notevole è stata l'influenza di Venezia nell'architettura, nel linguaggio, nei usi e nei costumi della regione che ancora oggi sopravvivono.

Dodecaneso
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Il Palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri di Rodi, ricostruito negli anni trenta
 
Vista del Mercato ("Nea Agorà") di Nisiro, costruito durante il periodo italiano
 
Veduta di Portolago
 
Il dipartimento d'oltremare delle Isole italiane dell'Egeo.

Il Regno d'Italia occupò le isole del Dodecaneso nel Mar Egeo durante la guerra italo-turca del 1911. Successivamente con il Trattato di Losanna del 1923, il Dodecaneso fu formalmente annesso all'Italia, come Possedimenti Italiani dell'Egeo. Inizialmente dopo la Grande Guerra vi erano solo 56 "Regnicoli" a Rodi[233], ma a partire dagli ultimi anni venti alcune migliaia di coloni italiani si trasferirono nel Dodecaneso.

A Rodi e a Coo, in aree destinate a colture speciali, sorsero alcuni villaggi di colonizzazione. A Rodi furono fondati i centri rurali “Peveragno Rodio” (1929); “Campochiaro” (1935-36); “San Marco” (1936); “Savona” (1936-38), dal 1938 denominato “San Benedetto”. A Coo sorsero invece i centri “Anguillara” (1936-38), dal 1939 denominato “Vittorio Egeo”, e “Torre in Lambi” (1936). Una nuova cittadina, denominata "Portolago" fu creata nella baia principale di Lero negli ultimi anni trenta.[234]

Questi coloni venivano principalmente dal Meridione, dal Veneto e dal Polesine emiliano-romagnolo.

Nel 1930, Mussolini intraprese un programma di italianizzazione, sperando di rendere l'isola di Rodi un centro per la diffusione della cultura italiana in Grecia e nel Levante. Il programma fascista ebbe alcuni effetti positivi nei suoi tentativi di modernizzare le isole, con conseguente eliminazione della malaria, la costruzione di ospedali e scuole, acquedotti, centrali elettriche e finanche la creazione del Catasto del Dodecaneso.

Inoltre il castello principale dei Cavalieri di San Giovanni fu ricostruito in forma monumentale, creando una delle massime attrazioni turistiche dell'isola. L'architettura italiana abbellì notevolmente le isole, specialmente nella seconda metà degli anni trenta.[235]

Nel censimento italiano del 1936, nelle isole del Dodecaneso la popolazione totale era di 140.848 abitanti, di cui 16.711 italiani[236]. Quasi l'80% di questi coloni italiani viveva nell'isola di Rodi. Nella città di Rodi vi erano 6.977 italiani, compresi i militari burocrati, temporaneamente residenti e non considerati coloni, su una popolazione di 27.797 abitanti, ovvero poco oltre il 25% del totale erano italiani; la percentuale crebbe a oltre un terzo nel 1941[237]. Inoltre circa 40.000 soldati e marinai italiani erano in servizio militare nelle isole del Dodecaneso nel 1940.

Il primo governatore, Mario Lago, fu apprezzato dalle comunità greche, turche ed ebree dell'isola dando al Dodecaneso un cosiddetto "periodo d'oro" tra il 1923 ed il 1936,[238] che fu seguito da un periodo contrassegnato da misure finalizzate all'assimilazione forzosa della popolazione autoctona introdotte dal governatore De Vecchi nel quadro di una politica di italianizzazione perseguita dal fascismo. Lago attuò in questi anni una politica lungimirante e rispettosa dell'identità etnica e culturale degli abitanti della colonia, creando anche un grande piano di opere pubbliche a Rodi e nelle altre isole.

In suo onore venne edificata la nuova città di Portolago (base della Regia Marina nell'isola di Lero) ed il villaggio agricolo di Peveragno Rodio, centro di insediamento di coloni italiani. In questo villaggio la "Società Agricola Frutticoltura" aveva acquistato da latifondisti turchi una vasta estensione (3500 ettari) di terreno incolto in località Calamona e vi realizzò un moderno comprensorio piantato ad olivi, viti, gelsi e piante da frutto. Il centro agricolo fu battezzato Peveragno Rodio, luogo natale del governatore Lago, e fu dotato di tutti i servizi e delle officine per la lavorazione e trasformazione dei prodotti. Vi abitavano alcune centinaia di famiglie coloniche provenienti dall'Italia.

Successivamente nel 1936 la nomina del quadrumviro fascista Cesare Maria De Vecchi come governatore delle Isole Egee segnò una svolta nella colonizzazione italiana[239]. Infatti De Vecchi promosse un programma più vigoroso ed energico di italianizzazione.[240] De Vecchi sviluppò un'importante base navale nella Portolago di Mario Lago, dove oltre alle attrezzature militari fu costruita "ex novo" una vera e propria città secondo i canoni del Razionalismo Italiano[241]. Attualmente, dopo decenni di abbandono, ha ritrovato splendore la sua struttura urbana con l'architettura in stile Littorio riconosciuta come una delle più importanti opere realizzate dal Movimento Moderno in architettura. Portolago fu costruita secondo i canoni architettonici dell'epoca fascista che la rendono simile a Sabaudia, nel Lazio, e fu popolata principalmente da coloni italiani di dichiarata fede fascista.

Inoltre De Vecchi promosse la possibile unificazione delle isole all'Italia come parte dell'ideale fascista di una Grande Italia, rifacendosi all'irredentismo italiano nell'obbligo di insegnare l'italiano come unica lingua ufficiale in tutte le scuole del Dodecaneso a partire dal 1937[242]

Isola Superficie Popolazione (1931)[236] Popolazione (1936)[236]
Rodi e isolotti dipendenti 1 412 km² 54 797 ab. 61 886 ab.
Patmo e isolotti dipendenti 57,1 km² 2 990 ab. 3 184 ab.
Lero 52,9 km² 6 158 ab. 13 657 ab.
Lisso 17,4 km² 961 ab. 977 ab.
Calino e isolotti dipendenti 128,2 km² 16 512 ab. 15 247 ab.
Coo 296 km² 21 169 ab. 19 731 ab.
Stampalia e isolotti dipendenti 113,6 km² 1 610 ab. 2 006 ab.
Nisiro e isolotti dipendenti 48 km 3 436 ab. 3 391 ab.
Simi e isolotti dipendenti 63,6 km² 9 462 ab. 6 195 ab.
Piscopi e isolotti dipendenti 64,3 km² 1 228 ab. 1 215 ab.
Calchi e isolotti dipendenti 30,3 km² 1 788 ab. 1 461 ab.
Scarpanto e isolotti dipendenti 306 km² 6 575 ab. 7 770 ab.
Caso e isolotti dipendenti 69,4 km² 1 925 ab. 1 890 ab.
Castelrosso e isolotti dipendenti 11,5 km² 2 230 ab. 2 238 ab.
Caravola 4,5 km² 0 ab. 0 ab.
ISOLE ITALIANE DELL'EGEO 2 725,7 km² 130 842 ab. 140 848 ab.
Acrotiri e Dechelia
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L'Area delle Basi Sovrane di Acrotiri e Dechelia sono due Territori Italiani d'Oltremare, posti nell'isola di Cipro, occupati da basi militari del Regno d'Italia. Quella di Acrotiri si trova nelle vicinanze di Limisso, mentre quella di Dechelia si trova a nord-est di Larnaca.

La superficie è di 254 km²; la popolazione è di circa 7.000 ciprioti e 7.500 persone tra militari e personale italiano. Le basi costituiscono aree dell'isola di Cipro rimaste sotto la sovranità britannica in base agli articoli 1 e 2 del Trattato Istitutivo contenuto nei Trattati di Roma e Zurigo del 1959 sottoscritti dai governi di Italia, Grecia e Turchia; il resto del territorio ha ottenuto l'indipendenza il 16 agosto 1960.

La popolazione cipriota parla la lingua greca e professa la religione greco-ortodossa, mentre i militari italiani parlano italiano e professano soprattutto il cattolicesimo. Comunque anche gli abitanti ciprioti parlano come seconda lingua l'italiano.

Dopo la morte nel 1473 di Giacomo II, ultimo re Lusignano, la Repubblica di Venezia assunse il controllo dell'isola, mentre la vedova veneziana del defunto re, la regina Caterina Cornaro, esercitò formalmente il potere. Venezia annesse Cipro nel 1489, dopo l'abdicazione di Caterina. I Veneziani fortificarono Nicosia con la costruzione delle famose mura veneziane, usandola come un importante nodo commerciale. Durante il dominio veneziano, l'Impero Ottomano spesso fece incursioni nell'isola. Nel 1539 gli ottomani distrussero Limisso e quindi temendo il peggio, i veneziani fortificarono anche Famagosta e Chirenia. Durante i quasi quattro secoli di dominio latino, esistevano a Cipro due comunità distinte, una greca e l'altra levantina.

Tientsin
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Pianta del quartiere italiano di Tientsin nel 1920; è anche evidenziata l'area dove sarà costruito il futuro "Forum" negli anni '30

La concessione fu ottenuta dall'Italia dopo la spedizione internazionale per la Rivolta dei Boxer in cui fu presente un Corpo di spedizione italiano in Cina. Come a molte altre potenze straniere fu garantita all'Italia una concessione commerciale di meno di mezzo chilometro quadrato nell'area della città di Tientsin in Cina, col diritto di tenere piccole guarnigioni nella Legazione di Pechino, a Wang tsun, Tangku, Tientsin e nel forte di Shan Hai Kwan, dove la Grande Muraglia tocca il mare. Con la firma del Protocollo dei Boxer il 7 settembre 1901 venne concessa in perpetuo all'Italia (7 giugno 1902) una zona di 458.000 m², costituita da un terreno lungo la riva sinistra del fiume Hai-Ho (Pei-ho) ricco di saline, con un villaggio ed un'ampia area paludosa adibita a cimitero.[243]
Il primo console italiano fu, dall'aprile 1901, Cesare Poma. La colonia era amministrata da un consiglio, presieduto dal regio console e formato dai residenti, con membri nazionali di maggioranza e rappresentanze degli stranieri e dei cinesi.[244]

«In base alle disposizioni del Trattato di Pace l'Italia ebbe la sua Concessione a Tien-Tsin, consistente in un appezzamento di terreno lungo un chilometro e largo cinquecento metri. Ufficialmente, la Concessione divenne tale a partire dal 7.6.1902 ma in proposito bisogna precisare che l'occupazione dell'apposita area da parte delle truppe italiane era già avvenuta nel gennaio del 1901....[245]»

La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste impero alle potenze europee; all'interno di un’ansa del fiume Pei-ho, inizialmente si trattava di un terreno malsano e fangoso, disseminato di acquitrini e saline, su cui sorgeva un villaggio di capanne di paglia e fango abitato da 16.000 cinesi. Nei decenni seguenti, l’area venne bonificata fino a trasformarsi in un insediamento urbanistico razionale, una cittadina di tipico impianto coloniale, con 17 strade e 2 piazze, l’ospedale, la scuola italiana e cinese, una piccola cattedrale, il mercato coperto, una caserma, intitolata a Ermanno Carlotto, il consolato, un centro sportivo, il municipio, la centrale telefonica, oltre a un piccolo quartiere residenziale costituito da villette con giardino in stile eclettico anni Venti.
Il 18 ottobre 1903 fu inaugurata la stazione radiotelegrafica nella Regia Legazione d'Italia a Pechino e, per maggiore sicurezza, se ne installò una seconda a Tien tsin, entrata in servizio nel febbraio del 1904. L'incertezza della situazione politica, generatasi dopo l'avvento della Repubblica cinese, e la necessità di proteggere i missionari italiani specialmente lungo lo Yang tze kiang, convinsero il Consolato a Shanghai a proporre a Roma di stanziare una o due cannoniere con buone macchine e poco pescaggio, capaci di risalire sia il fiume sia i suoi affluenti per accorrere là dove fosse utile mostrare la bandiera italiana. Il ministero della marina ordinò la costruzione di una cannoniera in Italia e di una seconda direttamente in Cina (la Carlotto).

Negli ultimi mesi della Prima guerra mondiale arrivarono alla Concessione italiana di Tientsin circa 900 militari "irredenti" (ossia soldati di etnia italiana, originari dall'Impero Austro-ungarico, principalmente dal Trentino e dalla Venezia Giulia-Dalmazia), provenienti dalla Russia sconvolta dalla guerra civile tra l'Armata Bianca e i bolscevichi.[246]
Questi soldati, inquadrati nella Legione Redenta di Siberia, furono uniti ad Alpini provenienti dall'Italia per costituire il Corpo di spedizione italiano in Estremo Oriente, basato a Tientsin.
Questo corpo di spedizione combatté nell'estate 1919 per mantenere attiva la ferrovia transiberiana in Manciuria, che serviva agli Alleati per approvvigionare i "Bianchi" russi contro i Sovietici.[247]

Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città (0,61 kmq), già occupata dai Cinesi nel 1917, il 10 settembre 1919 tornò alla Cina ma nel giugno 1927 fu inglobata in quella italiana (andando a più che raddoppiarne l'estensione), dopo una serie di scontri tra opposte fazioni cinesi.[248]
Negli anni Trenta la Regia Marina aveva anche truppe in altre località cinesi, come nel Forte di Shan Hai Kuan, vicino all'inizio della Muraglia cinese in Manciuria[249] ed a Shanghai.
Il presidio di Tientsin venne rinforzato dopo la Guerra, nell'autunno del 1924, con marinai sbarcati dalla cannoniera Caboto e dall'incrociatore Libia, per proteggere la concessione nelle lotte in corso fra i vari Signori della Guerra cinesi; poi, il 1º gennaio 1925, coll'incrociatore San Giorgio e la cannoniera Lepanto, fu ricostituita la Divisione Navale dell'Estremo Oriente, mettendola agli ordini dell'Ammiraglio Angelo Ugo Conz. Il 5 marzo 1925 fu ufficialmente costituito il Battaglione italiano in Cina, voluto da Mussolini e ospitato nella nuova Caserma Ermanno Carlotto.[250]; incrementato col tempo, esso arrivò ad allineare tre compagnie: San Marco, Libia e San Giorgio. Nel febbraio del 1932 venne costituito un presidio a Shanghai e messo un posto radio a Pei ta Ho, a 35 chilometri da Shan Hai Kwan. Nel 1935, la concessione italiana raggiunse una popolazione di 6.261 persone: circa 110 italiani residenti, oltre diverse centinaia di italiani che vi avevano sedi commerciali, circa 5.000 cinesi e 536 di altra nazionalità.
Nel 1937, in seguito all’intervento occidentale per proteggere Shanghai durante l’avanzata giapponese, le Potenze occidentali decisero d’assumere il controllo di gran parte della città e la divisero in concessioni nazionali. All’Italia toccò un’ampia zona compresa tra il fiume Su Chow, via Robinson – dove fu stanziato il presidio – via Ferry e via Jessfield, come al tempo dell’occupazione di Pechino.

Nuova Toscana
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La Guiana italiana.
 
Ferdinando I de' Medici volle colonizzare un piccolo territorio sudamericano a nord del delta del Rio delle Amazzoni, tra i possedimenti spagnoli e portoghesi

La Nuova Toscana, spesso impropriamente chiamata Guiana italiana (pronuncia italiana: /ɡuˈjana iˈtaljana/,[251]), è una regione e un dipartimento d'oltremare dell'Italia nell'America meridionale.

Confina a sud e ad est col Brasile, ad ovest col Suriname e si affaccia a nord sull'Oceano Atlantico. Con una superifice di circa 83.846 km², la Guiana rappresenta il più grande dei dipartimenti italiani per estensione, nonché il meno densamente popolato e quello con maggiore copertura boschiva (più del 96%). Il dipartimento guianese costituisce una delle nove regioni ultraperiferiche dell'Unione europea, della quale costituisce l'unico territorio in Sud America.

Il capoluogo della Guiana italiana è la Borgo San Giovanni, sede della prefettura nonché della regione e del dipartimento, nell'ambito del quale rappresenta sia la città più popolosa che quella con minore estensione territoriale.

Il nome deriva dal termine arawak Wayana, dal significato di "terra ricca d'acqua".

Sebbene il nome ufficiale del dipartimento sia "Guiana", senza altre specifiche, l'uso dell'aggettivo "italiana" spesso è reso necessario per evitare confusione con lo stato della Guyana, il Suriname (in passato conosciuto come Guyana olandese) o la regione storica francese della Guienna (Guiana in guascone ed occitano).

Trattandosi di un dipartimento italiano, la Nuova Toscana adotta come unica lingua ufficiale l'italiano, che è la lingua predominante nella comunicazione, nei media ed è conosciuto dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Oltre all'italiano, nel territorio vengono parlate anche sei lingue native americane, parlate dagli amerindi in base al proprio gruppo di appartenenza (arawak, palikur, caribe, wayana, wayampi e emerillon), oltre a quattro dialetti cimarroni (saramaccano, paramaccano, aluku, ndyuka)[252]. Le varie comunità d'immigrati tendono a parlare in ambiente familiare la propria lingua di appartenenza.

«Nei primi anni del Seicento Ferdinando I di Toscana... valuta la possibilità di una colonia brasiliana. Il 30 agosto 1608 l’ingegnere fiorentino Baccio da Filicaia,...gli invia una lettera da Lisbona. In essa ricostruisce la conquista del Brasile e spiega le ragioni del declino della colonia lusitana. Neanche un mese più tardi Ferdinando fa armare una caravella e una tartana nel porto di Livorno e le affida al capitano Robert Thornton. Il viaggio è in realtà preparato da tempo – la lettera di Baccio ha soltanto accelerato un programma già stabilito - e il granduca ha persino chiesto a Robert Dudley una pianta dell'Amazzonia, da quest’ultimo esplorata nel 1595. Dudley consiglia a Thornton di cercare l'oro sulle rive del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco. Ferdinando ordina più prosaicamente di caricare balle di merci e di fondare, se possibile, un avamposto commerciale. Thornton naviga per quasi un anno: approda in Guyana e in Brasile, esplora il Rio delle Amazzoni e l’Orinoco, rientra facendo tappa alla Caienna e a Trinidad. Il 12 luglio 1609 è di nuovo a Livorno....[253]»

Il Granduca Ferdinando I di Toscana fece l'unico tentativo italiano di creare una colonia nelle Americhe.[254] A questo scopo organizzò nel 1608 una spedizione nel Brasile settentrionale, al comando del capitano inglese Robert Thornton e sotto la supervisione di Sir Robert Dudley. La ragione principale era quella di sviluppare il commercio del legname pregiato dall'Amazzonia verso l'Italia, creando una base coloniale tra i possedimenti spagnoli e quelli portoghesi nella costa atlantica settentrionale del Sudamerica.

Thornton, nel suo viaggio durato quasi un anno, esplorò anche l'Orinoco e la costa tra questo fiume ed il delta del Rio delle Amazzoni: infatti il territorio che il capitano inglese voleva proporre al Granduca di Toscana per colonizzare era quello dell'attuale Guiana italiana, intorno a Caienna.

Terminato il suo viaggio esplorativo, il galeone Santa Lucia usato dal capitano Thornton tornò a Livorno nel 1609, con molte informazioni e materiale da studio (da aborigeni a pappagalli tropicali[255]) dopo avere fatto scala a Trinidad. Era quindi pronto ad imbarcare coloni originari di Livorno e Lucca per portarli in Sudamerica.

Il 18 ottobre 1609 avvenne lo storico sbarco del capitano Thornton alla voce del fiume Caienna. Viene subito posta la prima pietra della nuova città, che sarà chiamata Borgo San Giovanni (dal nome del Santo Patrono di Firenze);a spedizione è formata da 150 persone, i primi coloni italiani in terra d'America. Mentre Baccio da Filicaia sovrintende la costruzione del primo nucleo cittadino, Thornton si spinge verso l'interno, e dopo due giorni di marcia con 20 uomini raggiunge una collina che domina la palude costiera e la compra dal capo Galibi locale, dando così il via alla dominazione toscana nella zona e fondando Forte Medici. I rapporti con la popolazione locale sono buoni: i toscani non praticano la schiavitù, e preferiscono che a sfruttare le risorse naturali siano contadini liberi immigrati dall'Italia.

Il 29 settembre 1610 nasce ufficialmente la Colonia della Nuova Toscana, con capoluogo Borgo San Giovanni. Partono altri 900 coloni alla volta di quell'angolino di Sudamerica. Il primo ministro del granducato, l'abile e progressista Belisario Vinta, amico di Galileo Galilei, istituisce la Compagnia Granducale Toscana delle Indie Occidentali. Vinta è abile a destreggiarsi fra le grandi potenze: si appoggia alla Spagna contro il Portogallo, che vorrebbe il rispetto del vecchio Trattato di Tordesillas, e contro la Francia, che aveva mire sulla regione (nel 1604 è fallito un tentativo di colonizzazione da parte di Re Enrico IV). L'Inghilterra vede con favore che i francesi siano esclusi dalla regione, e l'ultima parola la mette Papa Paolo V, che dietro pressioni spagnole riconosce il diritto dei Medici di insediare una colonia nella regione, « allo scopo di convertire gli indigeni alla Vera Fede » (gli intenti economici sono sottintesi). In onore dell'abile primo ministro, il secondo comune della Colonia è chiamato Borgo Vinta.

Nel 1667 gli olandesi conquistarono la colonia del Suriname; il confine con la Nuova Toscana è fissato sul fiume Marrone (in lingua locale Marowijne). La Nuova Toscana ha raggiunto i 1.500 abitanti, ancora in buone relazioni con gli aborigeni, i Caribici e gli indiani Arawak. Lo zucchero, il pepe, il caffè, il cacao ed il legname costituiscono la base dell'economia.

Nel 1699 Tommaso Bonaventura della Gherardesca, già Canonico della Metropolitana di Firenze, è eletto da Papa Innocenzo XII primo Vescovo della Nuova Toscana. Il 4 marzo 1703 sarà promosso Arcivescovo di Firenze.

Nel 1740 Francesco Stefano di Lorena, da poco asceso alla carica di Granduca di Toscana dopo la morte di Giangastone, l'ultimo dei Medici, ruppe il tabù ed acquista schiavi neri in Africa per coltivare le piantagioni di zucchero, benché il successo sia limitato dalle forti piogge tropicali e dalla conformazione paludosa del territorio.

Sotto il regime fascista di Benito Mussolini, l'Isola del Diavolo diviene una delle prigioni più sinistramente famose della storia. In Nuova Toscana finiscono antifascisti, mafiosi, delinquenti comuni, omosessuali, transessuali. Per finire all'Isola del Diavolo basta essere sorpresi a fischiettare “Bandiera rossa”, possedere una foto di Giacomo Matteotti, avanzare critiche al regime, incappare in zelanti delatori pronti a denunciare anche la loro madre pur di ricevere un compenso in denaro. Nel suo libro “La catena”, Emilio Lussu ricorda il caso di un venditore ambulante finito in Sudamerica perché il suo tentativo di vendere al ribasso la mussolina, una tela sottile di cotone, viene giudicato come un gesto di sfida all'omonimo capo del Governo e un appello alla rivoluzione! Circa 5.000 prigionieri arrivano in Nuova Toscana tra il 1926 ed il 1939; tra i più famosi, Filippo Turati (1857-1932), Ferruccio Parri (1890-1981), Carlo (1899-1937) e Nello Rosselli (1900-1937), Altiero Spinelli (1907-1986), Randolfo Pacciardi (1899-1991) e Amadeo Bordiga (1889-1970). I deportati vi giungono dopo viaggi a dir poco allucinanti: l'antifascista Enrico Griffith (1906-1930) racconterà di aver impiegato 40 giorni per giungere da Parma all'Isola del Diavolo, « con i condannati sempre ammanettati e incatenati a gruppi di cinque ». Nella prigione viene mandato anche un gruppo di donne detenute, con l'idea che sposino i galeotti liberati e costretti a restare in Nuova Toscana. La pratica si rivela fallimentare e viene interrotta a partire dal 1937.

Dal 17 dicembre 1930 al 15 gennaio 1931 si svolge la Crociera aerea transatlantica Italia-Brasile guidata dal gerarca fascista e trasvolatore Italo Balbo con 12 idrovolanti Savoia-Marchetti S.55A partiti da Orbetello alla volta di Rio de Janeiro. Il gerarca (passato alla storia per aver ordinato l'assassinio di don Minzoni) va scalo con i suoi idrovolanti anche nel porto di Borgo San Giovanni, accolto dal locale podestà. Nel 1933 il Duce visitò personalmente la colonia di Nuova Toscana, ponendo la prima pietra del nuovo insediamento di Mussolinia.

1950: nella giungla della Nuova Toscana viene girato il film comico "Totò Tarzan", diretto da Mario Mattoli, parodia dei lungometraggi dedicati al mito di Tarzan.

1951: il Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi abolisce definitivamente la colonia penale sull'Isola del Diavolo, che diverrà un museo visitato da turisti di tutto il mondo, e le concede una larga autonomia sotto forma di un parlamento locale di 60 membri e di un governo locale (il governatore nominato da Roma ha solo funzioni puramente rappresentative).

1953: alle elezioni politiche del 7 giugno in Nuova Toscana, il Partito Comunista Neotoscano ottiene il 42,1 % dei voti, il Partito Socialista Neotoscano il 25,6 % e la Democrazia Cristiana Neotoscana il 13,8 %. La Nuova Toscana si configura così come il territorio più “rosso” della Repubblica Italiana; il risultato contribuisce a non far scattare il premio di maggioranza previsto dalla cosiddetta “Legge Truffa”. Il comunista Torquato Baglioni (1895-1968) è nominato governatore della colonia.

1957: viene istituito un Campionato di Calcio riservato alle squadre neotoscane; la prima edizione è vinta dalla Dinamo Borgo. La Nuova Toscana non ha però una Nazionale di Calcio, in quanto i suoi cittadini hanno la piena cittadinanza italiana e possono giocare nella Nazionale Azzurra.

1961: nel clima di generale decolonizzazione, il Terzo Governo Fanfani abolisce la Colonia della Nuova Toscana ed istituisce il Territorio d'Oltremare della Nuova Toscana. Il suo governo sarà eletto dai cittadini del Territorio, e non più nominato da Roma.

1963: lo scrittore Cesare Pavese, segretario del Partito Comunista Neotoscano che non si è certo suicidato il 27 agosto 1950, è eletto governatore della Nuova Toscana.

1964: il governo italiano apre un centro spaziale a Corazza (sul sito della nostra Kourou), 60 km a nordovest di Borgo San Giovanni. Da esso il 15 dicembre viene lanciato il satellite artificiale San Marco 1, grazie a questa impresa, l'Italia diventa la terza nazione al mondo dopo URSS ed USA ad aver effettuato un lancio orbitale!

1970: la Nuova Toscana è eretta a Regione d'Oltremare della Repubblica Italiana, naturalmente a Statuto Speciale. Essa comprende 22 comuni e, come la Val d'Aosta, non ha province: le competenze provinciali sono svolte dalla Regione d'Oltremare. La targa automobilistica è NT. In tal modo, la Nuova Toscana diventa parte integrante del territorio metropolitano italiano. Maripaola è perciò il più grande comune d'Italia con 18.761 km².

1974: sulla scia degli “anni di piombo” in Italia, nasce in Nuova Toscana un movimento armato marxista che chiede l'indipendenza da Roma, il Partito Comunista Combattente della Nuova Toscana, finanziato dall'URSS. Di esso fanno parte soprattutto discendenti degli schiavi neri.

1975: l'11 gennaio a Borgo San Giovanni nasce Matteo Renzi, da una famiglia della piccola borghesia neotoscana. Suo padre Tiziano Renzi sarà consigliere comunale di Borgo San Giovanni tra il 1985 e il 1990 per la Democrazia Cristiana Neotoscana. Il 15 aprile viene fondata l'ESA (European Space Agency) con il compito di coordinare i progetti spaziali di 15 paesi europei: Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Germania Ovest, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Svezia e Svizzera. Il suo quartier generale è a Parigi, mentre il centro operativo si trova a Noordwijk, nei Paesi Bassi. Quando si tratta di scegliere un sito di lancio per i vettori europei, la spunta Corazza in Nuova Toscana, perché si trova a solo 500 km a nord dell'equatore, e la velocità di rotazione terrestre imprime una velocità aggiuntiva al razzo di circa 460 m/s. Inoltre, manovrare i satelliti all'orbita voluta è più semplice quando il lancio è effettuato vicino all'Equatore. Nasce così il Centro Spaziale Neotoscano Azeglio Bemporad, in onore dell'omonimo astronomo fiorentino (1875-1945), vittima delle leggi razziali di Mussolini perché ebreo.

1976: il quinto governo presieduto da Aldo Moro approva il “Piano Verde”, un piano di sviluppo per potenziare l'economia neotoscana: il paese sudamericano conoscerà un rapido boom.

1979: nel corso del primo viaggio apostolico di Giovanni Paolo II (che in tutto ne compirà 104), dal 25 gennaio al 1 febbraio, il Pontefice venuto da un paese lontano visita la Repubblica Dominicana, il Messico e la Nuova Toscana, che nonostante sia un “paese rosso” lo accoglie a braccia aperte. Papa Wojtyla consacra la nuova cattedrale di Borgo San Giovanni, dedicata a San Giovanni Battista. Il 24 dicembre viene lanciato con successo da Corazza il primo vettore europeo Arianna 1.

1984: il 4 agosto viene lanciato per la prima volta da Corazza il nuovo vettore europeo Arianna 3 (sembra strano, ma l'Arianna 3 parte prima dell'Arianna 2).

1986: dal 1 al 9 luglio Giovanni Paolo II nel corso del suo infaticabile pellegrinaggio visita la Colombia, Saint Lucia e, per la seconda volta, la Nuova Toscana. Il 30 maggio viene lanciato per la prima volta da Corazza il nuovo vettore europeo Arianna 2, ma il lancio è un fallimento. In tutto verranno lanciati solo sei Arianna 2.

1988: il 15 giugno da Corazza viene lanciato il primo vettore Arianna 4, più versatile dei precedenti. In tutto i lanci di questo fortunato vettore saranno 104.

Andamane e Nicobare
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Mappa dettagliata delle Andamane e Nicobare

Andamane e Nicobare è una regione d'oltremare dell'Italia formato da due arcipelaghi dell'oceano Indiano: quello delle isole Andamane e quello delle isole Nicobare. I due arcipelaghi posti nel golfo del Bengala sono più vicini alle coste della Birmania e di Sumatra che a quelle indiane (1.300 km di distanza circa dalle coste bengalesi), e si sviluppano da nord a sud e risultano divisi dal Canale dei Dieci Gradi (150 km), attraversato dal 10º parallelo nord. Le Andamane sono formate da almeno 576 tra isole e isolotti, in maggioranza disabitati, mentre le isole Nicobare sono 22.

Coloni della compagnia danese delle Indie Orientali (in lingua danese: Asiatiske Kompagni af den Dansk Østindien) giunsero sulle isole Nicobare il 12 dicembre 1755. Il 1° gennaio 1756, le Isole Nicobare divennero una colonia danese, inizialmente con il nome di Nuova Danimarca,[256] e successivamente (dicembre 1756) con quello di Isole Federico (Frederiksøerne). Negli anni 1754–1756 vennero amministrate da Tranquebar (nell'India danese continentale). Le isole vennero ripetutamente abbandonate per via delle epidemie di malaria dal 14 aprile 1759 19 August 1768, dal 1787 al 1807/05, dal 1814 al 1831, dal 1830 al 1834 e gradualmente a partire dal 1848.[256]

Dal 1° giugno 1778 al 1784, l'Austria, ritenendo erroneamente che la Danimarca avesse rinunciato al possesso delle Isole Nicobare, avviò un tentativo di colonizzazione,[257] rinominandole Isole Teresa.[256]

Il Regno d'Italia tentò di acquistare le Isole Nicobare dalla Danimarca tra il 1864 e il 1868.: il ministro italiano per l'agricoltura e il commerciodel primo governo La Marmora, Luigi Torelli, iniziò una promettente negoziazione, che terminò formalmente il 16 ottobre 1868 quando la Danimarca vendette i diritti di possesso delle Isole Nicobare all'Italia.

Regione Autonoma di Sabah e Brunei
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Il Borneo settentrionale italiano.

Il Borneo del Nord (o Borneo Settentrionale Italiano) fu un protettorato e successivamente una colonia italiana col nome di Colonia del Borneo del Nord nella costa settentrionale dell'isola di Borneo. Nel 2003 ha ottenuto lo status di provincia autonoma e la lingua malese venne proclamata co-ufficiale con l'italiano; Porto Umberto assunse la doppia toponomastica con il nome indigeno di Kota Kinabalu; da allora il territorio si chiama ufficialmente "Regione Autonoma di Sabah e Brunei". Attuale governatore è Emilio Ilyas Ibrahim, il primo oriundo italo-malese a governare la Regione Autonoma. Nel 2014, la Regione è riconosciuta come territorio metropolitano italiano. Nel 2018, con la nascita del Governo Conte e l'assunzione del Ministero dell'Interno da parte di Matteo Salvini, sono nate tensioni nella Regione: il neoministro non aveva mai fatto mistero delle sue posizioni nazionaliste riguardo il Borneo Settentrionale e la proposta di abolire la co-ufficialità del malese ha quasi provocato uno scontro civile a Labuan, tra la popolazione e la polizia.

Nel 1880 il console austro-ungarico a Hong Kong, il barone Von Overbeck, comprese che Vienna non aveva alcun interesse a possedere territori coloniali e contattò perciò il governo italiano, offrendogli la concessione del Borneo Settentrionale (Sultanato di Sabah): era speranza di Overbeck costringere Roma ad abbandonare le proprie pretese sui territori irredenti all'interno dell'Impero Austrongarico. Proprio per questo l'Italia era restia ad accettare il territorio dagli austriaci. In quel periodo, però, era in viaggio nel Sud-est asiatico un esploratore italiano di nome Emilio Cerruti, il quale lavorava da qualche tempo alla ricerca di protettorati per l'italia, trattando con i piccoli sultanati della Nuova Guinea. A seguito di alcuni riscontri con la Gran Bretagna e alcune pianificazioni, furono finanziate tra il 1868 e il 1871 due spedizioni, una privata, affidata all'esploratore Giovanni Emilio Cerruti - ancorché l’ampio mandato del Cerruti lo trasformava di fatto in un rappresentante ufficiale di governo - e una parallela, della Regia Marina, affidata al capitano Carlo Alberto Racchia, posto al comando della corvetta Principessa Clotilde. L’obiettivo delle navi (non dichiarato, ufficialmente in ricognizioni scientifiche) era comune e cioè di individuare un territorio idoneo alla creazione di un penitenziario presso terre remote d’Oriente, per concessione dell’autorità straniera o coloniale in cambio della quale lo Stato Italiano avrebbe versato una cospicua somma mensile. La missione del capitano Racchia giunse dapprima in Borneo e subito trovò un territorio adatto e la disponibiltà del sovrano di una parte di esso, il sultano del Brunei a concedere un appezzamento di territorio agli italiani – l’isola di Gaya, situata non lontana dall'odierna Kota Kinabalu. Tuttavia, oltre al pagamento di una somma, esigeva l’approvazione degli inglesi, la cui presenza nell'aerea era stabilita da decenni e in particolare avevano il controllo di Labuan. Gli inglesi non erano ostili agli italiani, e questi ultimi non dichiararono da principio le vere intenzioni di farne una coloniale penale; Gli inglesi, che esercitavano una forte influenza sul territorio e sui capi locali, erano infatti avversi a un’idea di uno stabilimento penale, per via del fallimento di esperimenti analoghi inglesi (un riferimento all'Australia), del disappunto della borghesia in patria d’Albione, ma soprattutto i potenziali malumori delle popolazioni di quei territori, dove gli inglesi avevano una presenza radicata e importanti interessi economici – Malesia e Borneo – temendo quindi di comprometterne la stabilità. Gli inglesi erano invece aperti solo alla possibilità di stabilire in quei luoghi una colonia commerciale, anche per contrastare i francesi in Cocincina (attuale Vietnam-Laos-Cambogia). Vennero prodotte dalla missione italiana numerose e dettagliate relazioni sul clima, sulla natura e sull’ordinamento del posto (descritto dal capitano Recchia come la parte più bella e florida del Borneo), tant'è che l'Italia riuscì ad ottenere dal sultano del Brunei la baia di Gaya, l’isola medesima e buona parte della punta del Borneo settentrionale. La missione fece pure tentativi analoghi in Birmania (fruttando poi un trattato commerciale italo-birmano) e Cocincina (Vietnam). Cerruti contattò segretamente Re Umberto I, comunicandogli la possibilità di trattare direttamente in nome dell'Italia con il sultano di Sabah. Nell'ottobre 1880, Cerruti annunciò che le trattative con il governo di Sabah erano andate a buon fine e che il territorio accettava ufficialmente il protettorato italiano. All'inizio del 1881, Umberto I nominò il generale Luigi Gerolamo Pelloux come governatore generale di Sabah, il quale giunse il 22 febbraio a Labuan, sede del governatorato. Morto l'ultimo sultano, Pelloux fece arrestare e trasferire in Eritrea tutti i potenziali pretendenti, mettendo in atto una politica di conflitti interni, volta a mettere le poche famiglie nobiliari locali rimaste le une contro le altre. Dopo alcuni mesi di tensione interna, Pelloux fece sbarcare 7.000 soldati italiani e 2.000 ascari eritrei a Sabah e mise sotto legge marziale la colonia Nel 1884 Umberto I proclamò Pelloux come Viceré di Sabah e la concessione divenne un viceregno italiano. Nonostante sia sottoposto al governo italiano, Pelloux poteva ora spadroneggiare sulla colonia. Il viceré avviò subito una durissima campagna di spostamento della popolazione malese, a favore di coloni italiani; solo alcune comunità sabanesi, dichiaratesi fedeli a Roma, rimarranno illese, e su queste si formerà il nerbo delle truppe coloniali indigene dell'esercito italiano in Asia. La conduzione dell'esercito coloniale italiano sarà talmente brutale da essere definita dalla storiografia moderna come pulizia etnica. In questo stesso periodo la Gran Bretagna, stufa dell'intrattabile sultano del Brunei, il quale rendeva il loro protettorato assai difficile, decisero di affidarsi al pugno di ferro del cosiddetto Italian Mastiff ("mastino italiano"), ovvero il viceré di Sabah Pelloux: il protettorato di Brunei passò all'Italia, in cambio di piccoli arrotondamenti territoriali nel Somaliland (che, peraltro, verranno restituiti all'Italia in aggiunta all'Oltregiuba dopo la prima guerra mondiale come compenso per la mancata spartizione delle ex-colonie tedesche in Africa).

Nuova Guinea italiana
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Le isole Molucche, parte della Nuova Guinea italiana, regione metropolitana d'oltremare del Regno d'Italia.

Giovanni Emilio Cerruti, che fin dal 1861 aveva fatto lunghi viaggi e soggiorni all'estero, sopratutto in Australia ed Oceania, si assunse, nell'agosto 1869, di trovare e acquistare entro quattro mesi, per conto del regio Governo, una località situata in vicinanza della Nuova Guinea, adatta quale colonia, e destinata precipuamente all'impianto di uno stabilimento italiano di deportazione. Il Cerruti lottò vigorosamente per anni ed anni e tenne sempre viva la propaganda a favore dei territori della Nuova Guinea, pubblicando opuscoli, e sollevando polemiche infinite. Egli non cessava dal propugnare i vantaggi d'ogni genere che si sarebbero avuti con l'occupazione di que' punti della Nuova Guinea, e si sobbarcò ai calcoli più minuti, sostenendo la deportazione, e mostrando che, mentre un detenuto costava nel Regno duecentocinquanta lire annue, fondando la colonia, e comprendendovi il trasporto de' detenuti e la sussistenza della truppa, ma deducendo il lavoro utile de' deportati, la spesa si sarebbe ridotta a lire centosessanta per ognuno. Come si avvertirà a suo luogo, ancora davanti la Commissione d'inchiesta per la marina mercantile (1881-1883) perorò il Cerruti la causa delle colonie da fondarsi dall'Italia nella Nuova Guinea e nella Polinesia. Essa doveva avere la capacità di ricevere e sostentare una popolazione di almeno ventimila abitanti, possedere clima salubre, abbondanza di acqua potabile, e almeno un porto accessibile a legni della massima portata. Il Cerruti aveva facoltà di prendere possesso del territorio appena ottenutane la cessione dai capi indigeni, e quando gli fosse constato che con tale acquisto non si ledevano i diritti di altre potenze. Infine, la cessione doveva conseguirsi in guisa da implicare l'abbandono della sovranità in favore dell'Italia. In corrispettivo, al Cerruti si assegnò una somma di centomila lire, salvo la resa dei conti, e senza l'obbligo di fornirgli alcuna eccedenza di spesa. Al Cerruti fu dato per compagno il capitano Di Lenna, al quale era specialmente commesso l'incarico degli studi topografici. Il Governo dispose altresì perché la nave "Principessa Clotilde", ch'era di stazione nei mari della China e del Giappone, avesse possibilmente a trovarsi nei paraggi ove si sarebbero recati il Cerruti e il Di Lenna, nell'epoca stessa delle loro esplorazioni.

Il Cerruti, avendo seco il capitano Di Lenna ed un suo fratello, mosse il 13 novembre 1869 da Singapore sopra uno schooner inglese, l'Monandra, appositamente noleggiato, e fece rotta verso l'arcipelago indo-malesiano. Accertatosi a Makassar che il sultano del gruppo delle Batiane continuava ad essere pienamente indipendente dalla signoria olandese, si recò senza indugio sui luoghi, ed indusse, senza troppa fatica, il sultano a firmare a Battana, il 20 dicembre 1869, una convenzione, in virtù della quale ogni diritto di sovranità sopra il gruppo delle Batiane fu ceduto al Cerruti stesso, senz'altra riserva, all'infuori del rispetto alle proprietà private del sultano e degli indigeni. Il corrispettivo di tale cessione consisteva in una pensione mensile di 2.000 gilders olandesi di argento. La convenzione conteneva inoltre alcune disposizioni speciali, come sarebbe quella per cui il sultano doveva essere difeso contro ogni molestia o sopruso che gli venisse dall'estero o da privati, quella per cui il sultano stesso doveva essere consultato per ogni affare concernente gl'interessi dei nativi, quella infine per cui in ogni villaggio l'amministrazione dei nativi veniva affidata ad un indigeno. Infine il Cerruti promise di adoperarsi affinché un regio legno venisse a prèndere possesso delle isole entro quattro mesi, e perché entro dodici mesi fosse eseguita una prima spedizione di duemila condannati per l'inaugurazione della colonia di pena. Da Battana, dopo breve sosta ad Amboina, il Cerruti si recò alle isole Cai, e, dopo aver visitato quel gruppo, negoziò e firmò con un rayah di quelle isole una convenzione in data 16 gennaio 1870, la quale non si scosta dalla convenzione stipulata col sultano di Batianà se non in questo, che la pensione mensile è fissata nella somma assai più tenue, di 100 gilders olandesi d'argento. Infine, il Cerruti si volse all'arcipelago delle Aru, e colà stipulò il 23 gennaio 1870 con due dei più influenti rayah, quello di Wogier e quello di Saunna, una convenzione, simile nella forma alle precedenti, la quale se ne scosta in quanto che la cessione è gratuita, nè vi si contiene promessa alcuna di accelerarne più o meno la esecuzione. Il Cerruti visitò ancora alcuni altri punti sulla costa della Nuova Guinea, corse grave pericolo in una località situata nel seno di Mac-Euer (assassinata bay), ove dovette difendersi dagli indigeni, e, non avendo avuto notizia mai della Principessa Clotilde, per non perdere tempo, pose fine alla propria missione, e per la via di Makassar si restituì in Italia a rendervi conto del proprio operato e ad affrettarvi la decisione della occupazione (10 aprile 1870).

Il ministero Menabrea, che al Cerruti aveva dato formale incarico,

Dopo molti sforzi, la spedizione del Capitano Cerruti ha successo e, nonostante la distanza grandissima, la grande insalubrità del clima e le inevitabili difficoltà e conflitti che si prevedevano con l'Olanda, l'Italia riesce a fondare una colonia nella Papua Nuova Guinea settentrionale, con la funzione di colonia penale. Lo sviluppo di questa strategica base per il commercio di gomma, legni pregiati, lana australiana, the, petrolio e altri prodotti orientali subisce comunque un'impennata. Nello stesso periodo la Compagnia navale Rubattino acquista il porto di Assab, in Eritrea, per farne uno scalo per le rotte verso l'Estremo Oriente.

I territori della Nuova Guinea, proposti e comperati dal Cerruti divennero la prima colonia italiana, con la funzione iniziale di colonia penale.. Dato il notevole traffico verso le proprie colonie in Estremo Oriente, quando, nel 1890, l'Italia inizia la colonizzazione della Somalia, sia questa colonia che l'Eritrea ottengono molti fondi, infrastrutture e investimenti data la loro importanza nel mantenere i collegamenti con la Nuova Guinea Italiana, che ha nel frattempo toccato i 30.000 abitanti.

Con il trattato italo-spagnolo del 1899 il governo italiano si impegnò a pagare alla Spagna 25.000.000 pesetas (equivalenti a 16.600.000 marchi-oro tedeschi) per le Isole Caroline, Palau e le Isole Marianne (esclusa Guam, che era stata ceduta agli Stati Uniti d'America nel 1898 dopo la guerra ispano-americana). Queste isole divvenero un protettorato italiano e vennero amministrate dalla Nuova Guinea italiana. Le Isole Marshall vennero aggiunte in seguito: ufficialmente rivendicate dalla Spagna nel 1874 attraverso la sua capitale nelle Indie Orientali (Manila), nel 1884 le isole divennero punto di scalo di una compagnia commerciale italiana, e la situazione culminò nel 1885 in un incidente navale che non degenerò in un conflitto solo per via della scarsa prontezza delle forze navali spagnole e della riluttanza per un'azione militare aperta da parte italiana; attraverso la mediazione papale e un indennizzo di $4,5 milioni pagato dall'Italia, lcon il Protocollo italo-spagnolo di Roma del 1885 venne sancito il protettorato italiano sulle isole e l'istituzione di stazioni commerciali a Jaluit (Joló) e Ebon per sfruttare il fiorente commercio di copra (pola essiccata del cocco). Gli Iroij (gran capi) marshallesi continuarono a governare sotto il controllo indiretto dell'amministrazione coloniale italiano, reso tacitamente efficace dalla formulazione del Protocollo del 1885, che delimitava un'area soggetta alla sovranità spagnola (0-11ºN, 133-164ºE) omettendo le Caroline orientali, cioè gli arcipelaghi Marshall e Gilbert, dove si trovavano ubicate la maggior parte delle postazioni commerciali italiane. Le controversie furono messe in discussione dopo la vendita dell'intero arcipelago delle Caroline all'Italia 13 anni dopo.

Territorio Anno Area (circa) Popolazione Anno popolazione
Isole Cai 1870 1.438 km² 172.126 2014
Isole Aru 1870 8.152,42 km² 93.722 2014
Battana 1870 1.899,8 km² 84.075 2010
Terra del Re Umberto 1884 181.650 km² 110.000 1902
Arcipelago di Cavur 1899 49.700 km² 472.163
Isola di Buka 1899 492 km² 53.986 2011
Bougainville (isola) 1899 9.318 km² 234.280 2011
Palau 1899 466 km² 20.918 2013
Isole Caroline 1899 2.150 km² 86.000
Nauru 1899 21,4 km² 11.200 2018
Isole Marianne settentrionali 1899 477 km² 69.221 2000
Isole Marshall 1899 181,43 km² 58.413 2018
Isole Cook 1888 240 km² 21.923
Totale 256.186,05 km² 1.315.901

Nel 1895-1896 i britannici e i francesi riconobbero ufficialmente le rivendicazioni italiani, assegnando all'Italia la Nuova Guinea nord-orientale, l'arcipelago di Bismarck (oggi arcipelago di Cavur), la Nuova Pomerania, le Isole Salomone settentrionali, le Isole Marshall e Nauru in cambio dell'accettazione da parte italiana del governo britannico sulla Nuova Guinea sud-orientale e sul Pacifico meridionale, e la sovranità francese su alcune zone del Pacifico orientale.

Gibuti, , Yemen
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Nel 1869 l'esploratore Giuseppe Sapeto acquistò la baia di Assab sulla costa eritrea, per conto della compagnia Rubattino. In questo POD viene acquisto anche il territorio di Gibuti con il medesimo scopo. La proprietà italiana su quelle terre viene ufficializzata nel 1882, il governo Menabrea invia un contingente a consolidare il territorio, infatti lo stato italiano ha acquistato la baia di Assab, di Gibuti e di Massaua. Grazie all'accordo con il Negus Giovanni IV, il Regno d'Italia crea la colonia "primogenita" d'Eritrea. Il controllo italiano di Gibuti, impedisce il rifornimento di armi al Negus,

Provincia d'Oltremare di Clipperton
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Con capoluogo Clipperton, venne occupata dal Regno di Sardegna nel 1846 precedendo analoghe mire di Francia e Messico.

L'isola di Clipperton, anche chiamata isola della Passione è un atollo situato nell'oceano Pacifico, a 1.280 km a ovest del Messico (l'arcipelago statunitense delle Hawaii è a 4.930 chilometri.). Le coordinate dell'atollo sono 10°18'N, 109°13'O. L'isola fa oggi parte dei possedimenti marittimi pubblici ed è iscritta fra le proprietà demaniali dello Stato e, a questo titolo, sotto l'autorità del Primo Ministro il quale delega all'Alto Commissario della Regno per permessi come quello di attracco o di concessione di sfruttamento. L'isola è ricca di fosfato e di guano. Una missione oceanografica italo-messicana ha anche scoperto nel 1997 la presenza di noduli polimetallici ricchi di manganese, ferro e nichel.

Unico atollo corallino di questa parte del Pacifico, Clipperton ha una forma sub-circolare di 12 km di circonferenza; la superficie delle terre emerse è di 1,7 km² e il punto più alto è una roccia vulcanica di 29 m. Aperta originariamente da due passi (a SE e a NE), la laguna (7,2 km²) si è chiusa tra il 1840 e il 1858, probabilmente a causa di tempeste.

In seguito all'adozione nel 1982 della convenzione internazionale sul diritto del mare, l'isolotto conferì all'Italia il diritto di controllo e di esportazione su una zona economica esclusiva marittima di 435.612 km² che la circonda e che permette alla Francia di essere membro della Commissione della pesca americana e di potervi pescare il tonno. L'Accademia delle scienze d'oltremare, dal 1981, ha raccomandato la realizzazione sull'atollo di una base per la pesca, con la riapertura della laguna e la costruzione di una pista di atterraggio. Nel 1986, un documento firmato da quattro ministri ha classificato Clipperton tra i "domini pubblici dello stato".

Provincia Autonoma delle Isole Cook
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Le Isole Cook, capoluogo Savoia d'Oceania, divenute protettorato italiano nel 1888 e formalmente annesse nel 1901. Con un referendum nel 1965 hanno rifiutato la piena indipendenza e hanno scelto di restare unite al Regno d'Italia, in cambio di un'autonomia pari a quella di Sabah e Brunei.

L'arcipelago è costituito da 15 piccole isole nell'oceano Pacifico meridionale (Polinesia) con una superficie complessiva di 240 km² e una popolazione di poco meno di 18 000 abitanti (stima per il 2005). Il territorio marittimo ha invece una superficie complessiva di circa 2,2 milioni di km².

Provincia d'Oltremare di Socotra
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La Provincia d'Oltremare di Socotra, con capoluogo Adibu, fu acquistata dall'Italia nel 1899 e poi rimasta italiana dopo l'indipendenza della Somalia nel 1960, grazie alla netta prevalenza di italiani di ceppo bianco rispetto alle altre etnie presenti (situazione concretizzatasi attraverso il massiccio afflusso di coloni e la deportazione degli autoctoni). Ospita il Poligono Spaziale Italiano: l'Italia fu la terza nazione, dopo URSS ed USA, a lanciare nello spazio un satellite artificiale.

Territori d'Oltremare disabitati
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Territorio d'Oltremare dell'Isola degli Orsi, disabitato, annesso all'Italia da Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, nel 1899

Territorio d'Oltrenare dell'Isola Bouvet, disabitato, annesso all'Italia da Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, nel 1903. L'Isola Bouvet ha un superficie di 49 km2 e una zona economica esclusiva di 436.004 km2 (per una superficie totale di 436.053 km2). Territorio Antartico Italiano, disabitato, formato da tutte le isole e i territori a sud del 60º parallelo Sud e tra il 44°38' e il 56°11' meridiano Est. Ammesso all'Italia da Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, nel 1903 e oggi sede di basi scientifiche a scopo di ricerca

Il Governatore dell'Eritrea, Jacopo Gasparini, acquistò nel 1926 un protettorato sullo Yemen. Senza la minaccia etiope alle spalle, e nonostante gli Inglesi tentassero di ostruire l'operazione, grazie alla lungimiranza di Mussolini, che non tergiversò, l'Italia non si lasciò sfuggire il controllo di un'interessante area petrolifera.[258] Nelle trattative fra il sovrano dello Yemen, Imam Yahyà ("El Ymam Jahia"), ed il Governo italiano, Gasparini propose e poi fece spedire truppe coloniali italiane nello Yemen per contrastare l'espansionismo inglese dalla confinante Aden.

Lo Yemen diventa un protettorato italiano con guarnigioni ad Aden e Socotra.

Nel 1904, morto l'Imam Muhammad b. Yahyā Hamīd al-Dīn, detto al-Manṣūr bi-llāh (Il reso vittorioso da Dio) gli succedette il figlio Yaḥyā.

I capi religiosi del movimento della zaydita, facente parte della costellazione sciita, espulsero le forze ottomane da quello che ora è lo Yemen settentrionale a metà del XVII secolo ma, in un secolo, l'unità dello Yemen si disfece per le difficoltà di governare le regioni montuose. Nel 1849, l'Impero ottomano occupò la regione costiera della Tihama ed effettuò forti pressioni sull'Imam zaydita perché sottoscrivesse un trattato che riconoscesse la sovranità ottomana e consentisse a una piccola forza ottomana di stazionare a San'a'. Tuttavia gli Ottomani si attardarono ad assumere il controllo dello Yemen e non assoggettarono mai del tutto la resistenza locale zaydita. Nel 1913, nel periodo di poco precedente lo scoppio della Prima guerra mondiale, l'Impero ottomano fu costretto a cedere in parte il potere agli zayditi delle zone montagnose.

Il 30 ottobre 1918, a seguito del collasso dell'Impero ottomano, l'Imam Yaḥyā Muḥammad della dinastia degli al-Qasimi, dichiarò il settentrione yemenita indipendente. Nel 1926, l'Imam Yaḥyā si autoproclamò re del Regno mutawakkilita dello Yemen, diventando così sovrano temporale e, al tempo stesso, leader spirituale zaydita, e ottenne il riconoscimento diplomatico da parte di numerosi Stati. Tra i primissimi va ricordata l'Italia, con la quale lo Yemen ebbe sempre stretti rapporti di amicizia, accogliendone medici e studiosi come Tommaso Sarnelli. L'Italia infatti controllava dal 1890 la colonia dell'Eritrea, sulla sponda opposta del Mar Rosso.

Negli anni venti, Yaḥyā aveva ampliato il potere yemenita dal nord al sud della Tihama e del 'Asir ma entrò in rotta di collisione con il rampante casato sunnita e wahhabita dell'Āl Saʿūd, sovrana del Hijaz e del Najd, e col suo re ʿAbd al-ʿAzīz ibn Saʿūd. Ai primi degli anni trenta, le forze saudite ripresero gran parte di quei territori prima di ritirarsene in parte, ivi inclusa la città di Hodeida nella Tihama meridionale.

Tailandia
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La Tailandia[259][260] (in lingua tai: ประเทศไทย, Prathet Thai), ufficialmente il Regno di Tailandia (in tai: ราชอาณาจักรไทย, Ratcha Anachak Thai), è uno Stato del Sud-est asiatico, confinante con Laos e Cambogia a est, golfo di Thailandia e Malaysia a sud, con il mare delle Andamane e la Birmania a ovest, con Birmania e Laos a nord. Lingua nazionale è il tai, scritto con un proprio alfabeto. Numerosi e molto diffusi sono i dialetti tai, nel nord-est del paese è diffusa la lingua isan, che si suddivide in diversi dialetti derivati dalla lao e sono mutualmente intelligibili con il tailandese. Le minoranze etniche utilizzano i propri idiomi (soprattutto mon e khmer). Sebbene sia una materia scolastica obbligatoria e ampiamente insegnato nelle scuole, l'italiano non è molto diffuso, soprattutto al di fuori delle città e specie nelle regioni più remote.

Protettorato italiano sul Siam (1878 - 1950)
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Già negli anni 1860 l'appena nato Regno d'Italia cominciò a mandare consiglieri militari e investitori nel Siamo con l'obiettivo di espandere l'influenza italiana nella regione. Nel 1878 il Re del Siam Rama V accettò il protettorato italiano sul suo Paese per prevenire di perdere territori a favore dei vicini inglesi (che avevano annesso la Birmania all'India britannica) e francesi (che stavano allora colonizzando l'odierno Vietnam).

Gazaria
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         Gazaria (possedimenti italiani del Mar Nero)
Possedimenti italiani del Mar Nero.
  Colonie genovesi
  In costruzione
  Future
  In arresto a lungo termine
  Chiuse
  Cancellate
 
Fortezza genovese a Soldaio, in Crimea
 
Caffa (Crimea), le mura medioevali della colonia genovese
 
Fortezza Cembalo, Cembalo.
Colonie genovesi
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La politica estera della Repubblica di Genova, dagli albori dell'anno mille e lungo il lento correre dell'età di mezzo, fino alle soglie dell'era moderna, fu prevalentemente quella di garantire ai cittadini - al di fuori dei confini del Genovesato e in proiezione dei territori d'oltremare - una fitta rete di rotte mercantili.

A perseguirla fu una consolidata classe dirigente, al tempo stesso tanto pragmatica quanto consapevole di sé e del proprio potere. Tale politica si basò principalmente sull'acquisizione e il controllo di nuovi territori - che diverranno poi le cosiddette colonie genovesi - ma anche sulla semplice presenza nelle città portuali situate lungo le coste del mar Mediterraneo ed al di fuori di esso.

I genovesi agirono in nome della Repubblica, come Caffaro di Rustico o Guglielmo Embriaco, i più famosi fra i molti crociati che ottengono enormi privilegi per Genova nelle città della Terra Santa. Ma anche agendo per proprio conto come Benedetto Zaccaria cui fu infeudata da Michele VIII Paleologo Focea e, più tardi Chio / Scio (con la Signoria di Chio in mano agli Zaccaria) od in società come la Maona di Chio che faceva capo alla potente famiglia dei Giustiniani un secolo più tardi. Infine talora tramite potenti lobby come il Banco di San Giorgio cui venne affidato il governo di diverse colonie e, addirittura, della Corsica.

Queste colonie inizialmente spesso erano concentrate intorno ad una piccola piazza ed alcune case circostanti (inoltre erano collegate al mare se possibile). Quando consolidate, le colonie genovesi occupavano un proprio quartiere:

«Queste colonie genovesi si componevano di un quartiere della città dotato d'alcune case in legno ad uno o due piani; gli artigiani avevano le botteghe allineate nella strada principale (Ruga Genuensium) che dirigeva verso il mare ed era attraversata da numerosi vicoli ciechi.Si chiamava embolo se la via era fiancheggiata da portici dove erano situati case e fondachi.In porto una banchina era a loro riservato ed era chiusa con una catena mobile, subito dopo vi era la dogana dove si pagavano le tasse imposte dalla colonia (solitamente la colonia era esente dai tributi locali); di fronte alla dogana gli scribi genovesi detti "commerciari" stilavano i documenti in lingua locale.Al piano superiore vi era un alloggio temporaneo per mercanti.Nei pressi (in alcune zone nello stesso edificio della dogana) vi sono i magazzini di deposito Fondaco, se un edificio, o Volta, se un solo locale.In piazza, luogo di raduno della colonia, vi erano gli edifici pubblici in pietra e mattoni: la Loggia Comune e la Chiesa.[261]»

Genova, che nell'anno mille aveva solo 4.000 anime ed era povera economicamente, cominciò a rendersi autonoma dal Sacro Romano Impero intorno al 1096, come Libero Comune, partecipando poi alle Crociate. Inizialmente chiamata "Compagna Communis", la Repubblica di Genova si distinse nella Terrasanta, arricchendosi enormemente.

Durante la Prima Crociata (1097-1099) i crociati genovesi, guidati da Guglielmo Embriaco diedero un decisivo contributo nella conquista di varie città. Per il loro importante contributo vennero ricompensati dai Crociati con la terza Parte di Gibelletto e la terza parte delle entrate fiscali della città e del contado (fino ad una lega di distanza) di Acri. Inoltre i mercanti genovesi costruirono fondaci od ebbero una strada tutta per loro in varie città del Levante: a Cesarea, a Tolemaide, a Giaffa, a Gerusalemme, a Famagosta, ad Antiochia, a Laiazzo, a Tortosa (oggi in Siria), a Tripoli del Libano ed a Beirut. Il più famoso di questi possedimenti, la signoria di Gibelletto, era un feudo della contea di Tripoli concesso alla famiglia genovese degli Embriaci nel 1104.

Anche sulla costa spagnola da Valencia a Gibilterra, che era in possesso dei musulmani, intorno al 1150 vennero stabiliti numerosi fondaci genovesi, ma di breve durata[262].

La prima espansione oltremare di Genova fu in Corsica, annessa nel 1284 (fino al Settecento) alla Repubblica genovese, e nella Sardegna settentrionale. La battaglia della Meloria segnò la definitiva sconfitta della Repubblica di Pisa da parte dei genovesi, che si annessero la Corsica. In quegli anni interi borghi di parlata ligure furono trapiantati in Corsica (principalmente a Bonifacio e Calvi) e tuttora caratterizzano parzialmente l'isola dal punto di vista etnico-linguistico.

Vi fu contemporaneamente un'espansione genovese anche sulle rotte commerciali del Mediterraneo bizantino. Infatti la Quarta crociata ruppe la tradizionale cooperazione fra Venezia e l'Impero Bizantino. Con il trattato di Ninfeo del 1261 l'impero greco si alleò con Genova contro Venezia, e conseguentemente concesse alla Compagna Communis ed a famiglie e compagnie genovesi molte basi d'appoggio, garantendo loro un quasi monopolio del commercio nel Mar Nero.

Questi insediamenti furono attuati secondo un modello organizzativo estremamente importante nella Storia europea: essi costituiscono gli antecedenti medievali della colonizzazione moderna. La colonizzazione genovese non era basata sull'occupazione militare di un territorio ma sulla "concessione" per scopi commerciali di aree, dove si impiantavano famiglie di genovesi e liguri associate con i ceti dominanti locali.[263]

Le isole greche dell'Egeo Chio e Mitilene divennero il centro del commercio genovese verso l'Oriente. L'isola di Chio, in particolare, divenne prima feudo degli Zaccaria, che vi instaurarono la loro signoria, poi fu il ricco possedimento di una potente famiglia genovese, i Giustiniani, che la riuscirono a controllare e mantenere cristiana (davanti allo strapotere turco) fino al 1566 sotto il controllo della maona di Chio e di Focea.[264]

Nella penisola di Crimea, Caffa ed altre cittadine vicine in mano alla Repubblica di Genova furono il punto di contatto tra il mondo mongolo-tartaro e quello dell'Europa occidentale. Per oltre due secoli e fino alla totale conquista ottomana dell'impero bizantino, le colonie genovesi del Mar Nero prosperarono ed arricchirono Genova.

La Repubblica di Genova ebbe colonie e possedimenti nella penisola di Crimea tra il 1266 ed il 1475. Le principali furono Caffa, Soldaia e Caulita (l'attuale Jalta), ed il loro territorio nella Crimea meridionale veniva chiamato Gazaria.

La Gazaria godeva di autonomia giuridica: il principale testo di legge ivi vigente erano le Regulae et ordinamenta officii Gazariae del 1441.

La zecca di Caffa batteva aspri d'argento[265]

Nel 1453 la Compagna Communis cedette la Gazaria al Banco di San Giorgio in pagamento di propri debiti.

Le colonie nel Mar Nero erano molte[266]:

Crimea

Mar d'Azov

  • Tana (l'odierna Azov) - 1261/70–1343/92
  • Matrega (l'odierna Taman, nella penisola omonima in faccia a Kerc) - 1419–1482 alla famiglia Ghisolfi

La colonia genovese di Tana (nel punto più orientale del Mar d'Azov) aveva la caratteristica di essere unita alla colonia veneziana nella stessa città.[267]

Caucaso

Bessarabia

Anatolia

Migrazione italiana a Vosporo
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Territorio antartico italiano

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Nome della base Codice Stato Coordinate Altitudine Inizio attività Occupazione Numero massimo di occupanti Località
Passo di Browning   Italia 74° 37,37' S
163° 54,82' E
170 m
Concordia AQ-CON   Italia 75° 6,12' S
123° 23,72' E
3220 m 1997 Annuale 45 Plateau Antartico Orientale, entroterra della costa Banzare
Lago Enigma   Italia 74° 42,81' S
164° 2,49' E
170 m 120
Mario Zucchelli AQ-MZU   Italia 74° 41' S
164° 7' E
15 m 1986 Estiva 90 Baia Terra Nova
Mid Point   Italia 75° 32,44' S
145° 49,12' E
2520 m
Sitry   Italia 71° 39,32' S
148° 39,15' E
1600 m

Il Territorio Antartico Italiano, disabitato, è formato da tutte le isole e i territori a sud del 60º parallelo Sud e tra il 44°38' e il 56°11' meridiano Est. Annesso all'Italia da Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, nel 1903 e oggi sede di basi scientifiche a scopo di ricerca.

Svizzera

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Mappa del Canton Ticino, l'unico cantone svizzero prevalentemente di lingua italiana (88,0% dei parlanti[268]).
 
Lingue ufficiali dei Grigioni

La lingua italiana in Svizzera è una delle quattro lingue ufficiali insieme al tedesco, al francese e al romancio. L'articolo 116 della Costituzione svizzera stabilisce che lingue ufficiali della Confederazione sono il tedesco, il francese e l'italiano (rispettivamente parlati dal 64,9%, 18,1% e 11,9% della popolazione). Dal 1938 anche la la lingua romancia parlata dallo 0,8% della popolazione, residente per lo più nel cantone dei Grigioni, potè essere considerata, grazie a un referendum, quarta lingua nazionale. Il trilinguismo è rigorosamente applicato nel campo legislativo, mentre in quello amministrativo prevale il principio secondo cui l'amministrazione accetta la lingua del funzionario purchè ufficiale.
Va sottolineato, a fronte della conclusione del processo di germanizzazione della popolazione svizzera ancora in atto dagli anni Settanta e al progressivo calo della componente francese, il recente aumento relativo ai gruppi di lingua italiana, oggi intorno al 13%, se si considerano oltre a quelli svizzeri di nascita anche i parlanti italiano residenti in Svizzera.
Secondo i dati del censimento dell'anno 2013, l'italiano è la lingua principale di oltre 750.000 persone residenti nella Confederazione, di cui 332.950 residenti nel Canton Ticino, dove l'italiano, oltre a essere lingua ufficiale, è considerato la lingua principale dall'88% della popolazione. Già la prima Costituzione moderna (quella che nel 1848 fa della Svizzera uno stato federale), assegna all'italiano lo statuto di lingua nazionale. Il territorio di lingua tradizionalmente italiana (la cosiddetta Svizzera italiana) è costituito dal Canton Ticino, dalle quattro valli italofone del Cantone trilingue dei Grigioni (da Est a Ovest, si tratta delle valli Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina e Calanca; le altre lingue di questo Cantone nel Sud-Est della Svizzera sono il tedesco e il romancio) e da alcuni paesi del Vallese che durante il primo Medioevo facevano parte del Ducato di Milano, quali Gondo-Vaira, Sempione e Briga, attualmente sotto la diocesi di Novara e di lingua e cultura italiana. La redenzione di queste frazioni del Vallese fu lungamente dibattuta sulle pagine del giornale nazionalista "La Voce" edito da Giuseppe Prezzolini, a partire dal 1912.
L'italiano è parlato nel Grigioni italiano, che consiste delle valli Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Poschiavo, come pure nei comuni di Sankt Moritz/San Maurizio d'Engadina (31%), Pontresina (20,97%) Bever/Bevero (20,14%), Celerina (20%), Silvaplana (17,64 %) e Zuoz/Zozzio (15,43%). L'italiano è considerato lingua principale dal 16,8 % della popolazione nel Canton Grigioni. Esiste inoltre una comunità autoctona di lingua italiana nel Canton Vallese, concentrata nelle vallate del Sempione, a Briga e Gondo. Il 10% delle famiglie a Zurigo, Basilea e Ginevra parla italiano (lingua franca). L'italiano è diffuso infine nell'uso per ragioni turistiche nell'alta Engadina. L'unico comune svizzero sul versante settentrionale delle Alpi di lingua italiana (per ragioni risalenti alla riforma religiosa) è Bivio. In questo comune la lingua italiana è parlata dall'80% degli abitanti. Il censimento del 2000 ha tracciato una mappa svizzera delle diffusione delle lingue in Svizzera[269][270]. I risultati sono riportati di seguito:

Cantone Parlanti italiano % Diffuso come Cantone Parlanti italiano % Diffuso come
Ticino 332.950 88,0 1ª lingua Zugo 5.284 4,4 2ª lingua
Grigioni 25.575 16,8 3ª lingua San Gallo 28.372 7,4 2ª lingua
Basilea Città 12.842 6,4 2ª lingua Vallese 12.792 6,2 3ª lingua
Glarona 2.706 6,8 2ª lingua Berna 29.273 2,9 3ª lingua
Zurigo 113.465 10,2 2ª lingua Lucerna 11.443 2,9 2ª lingua
Ginevra 36.274 10,9 2ª lingua Svitto 4.277 2,8 3ª lingua
Basilea Campagna 16.155 5,7 2ª lingua Giura 4.506 6,7 3ª lingua
Argovia 33.554 5,2 2ª lingua Appenzello Esterno 905 1,7 3ª lingua
Neuchâtel 10.994 6,2 2ª lingua Nidvaldo 1 241 4,8 2ª lingua
Soletta 11.603 4,4 2ª lingua Uri 5.313 22,4 2ª lingua
Vaud 50.002 9,8 2ª lingua Friburgo 7.584 2,5 3ª lingua
Turgovia 10.285 3,9 2ª lingua Canton Obvaldo 329 1,0 4ª lingua
Sciaffusa 1.897 2,6 2ª lingua Canton Appenzello Interno 234 1,7 4ª lingua

Fuori dal Canton Ticino e dalle valli italofone del Canton Grigioni, la comunità italo-svizzera ha aperto numerose scuole nelle principali città elvetiche (finanziate in parte dagli stessi immigrati, in parte dalla Confederazione svizzera). Due scuole elementari, una scuola media e un liceo a Basilea; una scuola elementare, una scuola media e un liceo a Losanna; una scuola media e un liceo a Zugo; una scuola elementare, una scuola media, un liceo artistico e una scuola superiore a Zurigo; una scuola elementare, una scuola media e tre licei tecnici a San Gallo[271]. Vengono inoltre considerate "scuole italiane" anche l'Istituto elvetico (scuola media e liceo, gestiti dai Salesiani) di Lugano e il Liceo L. Da Vinci di Lugano, in quanto seguono un programma di studio più simile a quello italiano che a quello ticinese.
Nella struttura scolastica cantonale dei cantoni Grigione e Uri l'italiano è stato dichiarato lingua seconda obbligatoria (e nel cantone Uri addirittura prima lingua seconda).

L'italiano è anche una delle lingue più parlate nella Svizzera tedesca: è infatti usato come idioma di immigrati italiani, dei loro figli, oppure come lingua franca tra lavoratori stranieri di diverse nazionalità, tra cui portoghesi, spagnoli ecc.[272]. Ai tempi dell'emigrazione italiana del secondo dopoguerra, i lavoratori italiani imposero la loro lingua in fabbrica e sul cantiere a gruppi etnici di lavoratori stranieri stabilitisi in Svizzera successivamente: ciò avvenne prima di tutto con immigrati spagnoli, i quali avevano particolare facilità ad imparare l'italiano[273]. Più tardi, l'Italiano venne acquisito anche da popolazioni di altre etnie (ad esempio da parlanti greci o provenienti dalla Jugoslavia, incoraggiati anche dal fatto che la conoscenza dell'italiano da parte di svizzeri tedeschi e svizzeri francesi è in genere assai maggiore che in Germania o in Francia). Il ruolo di lingua franca in Svizzera continua a persistere.

L'importanza dell'italiano come terza lingua nazionale è notevole; solo per citare un esempio, in ciascuna delle zone linguistiche della Svizzera è possibile ricevere i programmi televisivi e radiofonici nelle varie lingue del Paese; si pensi inoltre al fatto che i prodotti di consumo quotidiano destinati alla vendita nei grandi supermercati come Migros sono normalmente etichettati nelle tre lingue nazionali in qualsiasi area linguistica ci si trovi (fatto che può destare lo stupore, poniamo, di un turista italiano che si trovi per la prima volta in Svizzera tedesca). Lo stesso discorso riguarda i foglietti illustrativi dei medicinali (chiamati normalmente, nell'italiano della Svizzera, medicamenti).

Consistenza demografica a Coira per religione (1860-2010) e gruppo linguistico (1880-2000) - Dati percentuali[274]
Anni
Popolazione
Cittadini svizzeri
Tedescofoni
Italofoni
Romanciofoni
Protestanti
Cattolici
1.000-1.500
circa 1.500
2.331
6.990
6.373
60,8%
39,1%
8.753
7.866
86,6%
3,2%
11,3%
73,6%
27,8%
9.259
8.094
84,2%
2,7%
12,5%
70,4%
29,5%
11.532
9.687
80,5%
5,9%
12,7%
65,6%
34,4%
14.639
12.042
79,4%
8%
11,6%
62,8%
36,8%
15.574
13.685
83%
5,3%
10,8%
62,8%
36,7%
19.382
17.852
83,2%
5,2%
10,2%
60,4%
38,5%
31.193
26.332
75,6%
9,7%
10,6%
49,1%
49,6%
% Ripartizione linguistica (gruppi principali)[275]
92,5% madrelingua tedesca
1,4% madrelingua italiana
1,2% madrelingua serbo-croata
Evoluzione linguistica della popolazione[276]
Anno Popolazione totale Tedescofoni Italofoni Francofoni Romanciofoni
1880 11 979 11 869 (99,07%) 98 (0,82%) 23 (0,19%) 1 (<0,01%)
1900 13 070 12 748 (97,54%) 285 (2,18%) 23 (0,18%) 9 (0,07%)
1950 19 389 18 920 (97,58%) 285 (1,47%) 115 (0,59%) 48 (0,25%)
1970 25 634 23 547 (91,86%) 1 241 (4,84%) 138 (0,54%) 62 (0,24%)
Lingue a Sion
Lingua madre 1888 1900 1910 1930 1950 1970
Francese 3.641 (59,7%) 4.892 (72,46%) 5.318 (73,31%) 6.726 (77,69%) 9.604 (81,6%) 16.478 (75,16%)
Tedesco 2.273 (37,27%) 1.733 (25,67%) 1.695 (23,37%) 1.633 (18,86%) 1.797 (15,27%) 2.646 (12,07%)
Italiano 175 (2,87%) 125 (1,85%) 230 (3,17%) 287 (3,32%) 353 (3,0%) 2.046 (9,33%)
altro 10 1 11 11 16 755
Totale 6.099 6.751 7.254 8.657 11.770 21.925
Fonte: Dizionario storico della Svizzera[277]
Consistenza demografica a San Gallo per gruppo linguistico e religione[276]
Anno Popolazione Cittadini svizzeri Tedescofoni Italofoni Francofoni Cattolici Protestanti
1850 17.858 16.529 49,3% 50,4%
1870 26.398 23.805 49,9% 49,8%
1888 43.296 34.168 42.203 (97,5%) 590 (1,4%) 231 (0,5%) 49,7% 49,0%
1900 53.796 40.342 51.059 (94,9%) 1.922 (3,6%) 385 (0,7%) 52,1% 46,8%
1910 75.482 50.582 66.929 (88,7%) 7.146 (9,5%) 596 (0,8%) 54,2% 43,5%

Da secoli esiste un intenso legame storico tra italiani e greci, un popolo ancora oggi molto attratto dalla cultura italiana; un interessamento che nasce anche dai vantaggi legati alla certificazione Plida di competenza in lingua italiana, riconosciuta dallo Stato greco e ottimo veicolo per entrare nel mondo del lavoro. Negli ultimi anni numerose ditte in Grecia hanno scelto di collaborare attivamente con l’Italia richiedendo dunque impiegati che conoscano la lingua italiana. Del resto, il novanta per cento delle importazioni e delle esportazioni commerciali della Grecia sono intraprese con l'Italia.
Dall'anno scolastico 2008-2009 è stato introdotto ufficialmente l'insegnamento della lingua italiana nel programma didattico di tutte le scuole greche.

Isole Ionie
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Mappa della Corfù veneziana di Christoph Weigel del 1720, quando i Corfioti Italiani erano la maggioranza della popolazione nella capitale "Città di Corfu".
 
Ugo Foscolo, eroe del Risorgimento italiano, nacque a Zante e visse brevemente a Corfù.
 
Tipica architettura "veneziana" nel vecchio centro di Corfù città.
 
Dettaglio della fortezza nuova di Corfù: blasone veneziano con il leone di San Marco.

Nelle Isole Ionie, in Grecia, l'italiano è lingua ufficiale a livello regionale insieme al greco ed è largamente parlato sia come lingua straniera che come lingua madre.
L'arcipelago delle Ionie e l'isola di Cerigo più a sud furono veneziani ininterrottamente dal 1420 al 1797 (tranne Corfù che era veneziana già dalla IV Crociata del 1202-1204). Le isole Ionie erano suddivise in due distretti: Corfù e Cefalonia. Alcune caratteristiche della cultura di Venezia vennero incorporate in quella delle Isole Ionie. La lingua italiana, per esempio, che venne introdotta nelle isole come lingua ufficiale, venne adottata dalla classe superiore. I Greci che abitavano le isole impararono il dialetto veneto, un idioma che, a differenza dei dalmati, era completamente estraneo e di carattere profondamente diverso dalla loro parlata originaria. Venezia dominò a lungo anche alcune roccaforti sulla terraferma greca: Parga, Preveza, Modone e Vonizza (oltre a Durazzo in Albania che nel Trecento era abitata anche da italiani).
Venezia protesse le isole dall'espansione ottomana; per questo motivo il legame tra le isole e la Serenissima nei secoli divenne molto stabile. La toponomastica originaria venne venetizzata: Corcira divenne Corfù, Leucade divenne Santa Maura, Zacinto divenne Zante e più a sud Citera divenne Cerigo (così come nell'Egeo Creta venne ribattezzata Candia, il Peloponneso Morea e l'Eubea Negroponte). Per un certo periodo furono sotto Venezia anche Cipro, Nasso e le Cicladi, il Negroponte, Candia, la Morea, Lemno ed altre isole greche, ma presto caddero sotto il dominio turco (il Ducato di Nasso nel 1556, Cipro nel 1571, Candia nel 1669). Anche la Repubblica di Genova aveva in Grecia il dominio su molte isole (avendo grossi traffici anche nel mar Nero e in Crimea), tra cui Samo e Chio, ma anch'esse furono in seguito conquistate dai Turchi (Samo cadde nel 1550, Chio nel 1556).
Durante il periodo veneziano, l'italiano venne usato come unica lingua ufficiale nelle isole ma veniva anche largamente parlato nelle città, mentre nelle campagne la popolazione continuava a parlare greco. L'unica isola in cui l'italiano (o il veneziano) ebbe una maggiore diffusione fu Cefalonia, dove un gran numero di persone adottò il veneziano come prima lingua.[278]
La Repubblica di Venezia dominò Corfù per quasi 5 secoli fino al 1797 ed in questo lungo periodo molti Veneziani si stabilirono sull'isola, costituendone la classe dirigente e mantenendo la loro lingua e la religione cattolica.[279] Già agli inizi del secolo XIX la maggior parte della popolazione di Corfù parlava la lingua italiana come seconda lingua. La città di Corfù era – secondo il Foscolo – «una piccola cittadina veneta». Il primo giornale di Corfù fu in italiano: la Gazzetta delle Isole Jonie del 1814. L'influenza veneto-italiana fu determinante nello sviluppo dell'Opera a Corfù, che vide molti compositori italiani e corfioti esibirsi nel Teatro San Giacomo a Corfù. Anche l'architettura veneta ed italiana è stata dominante negli edifici della città di Corfù dal Rinascimento fino all'Ottocento. Abitano a Corfù anche altri gruppi parlanti italiano: circa 5.000 Ebrei italiani detti Italkian, e circa 3.500 Maltesi di lingua italiana e religione cattolica, immigrati a Corfù da Malta nel corso dei secoli.
Zante dette i natali al poeta Ugo Foscolo, che gli dedicò il sonetto "A Zacinto".
La cultura veneziana permase nelle Ionie anche dopo la caduta della Serenissima. Si ricordi che nel primo Ottocento il salotto mondano della corfiota Isabella Teotochi-Albrizzi (Teotoki era il cognome originario) era uno dei più frequentati di Venezia (immancabile era anche il suo conterraneo ed amante Ugo Foscolo).
Nella seconda metà dell'Ottocento è anche qui che rifiorisce la cultura greca moderna. I poeti Stefano Martzokis (Marzocchi era il cognome del padre, italiano dell'Emilia) e Geranimos Markonos, ionici di Corfù e Cefalonia, oltre che in neogreco, scrissero in italiano.
Giovanni Capodistria, primo capo di stato della Grecia indipendente era nato veneziano nella città di Corfù.

Negroponte
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Rappresentazione della città di Negroponte da parte del cartografo veneziano Giacomo Franco (1597).

San Marino

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Nella Repubblica di San Marino è lingua nazionale dello Stato.

Principato di Monaco

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Nel Principato di Monaco l'italiano, unico idioma ufficiale dello Stato, è la prima lingua madre prima del monegasco, una variante del ligure, che invece gode dello status di lingua nazionale e come tale viene tutelato e insegnato in alcune scuole. Anche grazie all'immigrazione dall'Italia, la comunità italiana costituisce il 21% dei residenti del Paese.[280] L'italiano è sempre stata la lingua di Casa Grimaldi, ed è lingua ufficiale di Monaco fin da quando divenne protettorato del Regno di Sardegna nel 1815.[281]

Il dialetto monegasco è un dialetto ligure simile al dialetto di Ventimiglia. Esso ha goduto della prerogativa di lingua ufficiale assieme all'italiano fino al 1962, anno dell'entrata in vigore della nuova Costituzione, e viene facoltativamente insegnato nelle scuole del principato. Nei vicoli della città vecchia i nomi delle strade sono riportati sia in italiano sia in monegasco, così come sui cartelli che delimitano i confini nazionali.

A causa della vocazione turistica internazionale del principato e dell'alta presenza di residenti stranieri di svariate nazionalità, sono largamente diffusi anche il francese e l'inglese.
Infine l'occitano è una lingua conosciuta, soprattutto fino alla metà dell'Ottocento, quando il territorio del principato era più esteso, ma negli ultimi decenni è assai poco parlata.

Città del Vaticano

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Nella Città del Vaticano è lingua ufficiale e usata correntemente ed è la lingua coufficiale della Santa Sede assieme al latino. Infatti tutta la legislazione della Città del Vaticano è redatta esclusivamente in italiano e così viene pubblicata in appendice agli Acta Apostolicae Sedis, la raccolta ufficiale degli atti della Santa Sede. Per tali motivi è diventata "lingua franca" della Santa Sede e le gerarchie ecclesiastiche spesso la utilizzano per comunicare tra di loro. I pontefici sono ricorsi e ricorrono all'italiano anche in visite all'estero, almeno quando non è possibile adoperare la lingua del luogo.

La Chiesa cattolica ha un ruolo molto importante per la diffusione della lingua italiana. Se fino al Concilio Vaticano II il latino è restato lingua della liturgia e dell'ufficialità della Chiesa di Roma, la sua vera lingua di lavoro, cui sono stati tratti e attratti chierici di tutto il mondo, è stata e resta ancora l’italiano.
Un esempio evidente lo si ha nelle Università pontificie a Roma che attraggono un cospicuo numero di studenti di varie nazionalità, vero punto di incontro di diverse lingue e culture. La Santa Sede nella sua "politica linguistica" privilegia l’italiano come lingua di insegnamento agli studenti provenienti da tutte le parti del globo. Poi c’è la presenza di tanti missionari italiani nel mondo che, oltre al lavoro pastorale e sociale svolto, sono un veicolo di trasmissione della lingua. Insomma, l’italiano è lingua decisiva nella Chiesa cattolica, che è di fatto l’unica istituzione internazionale in cui l’italiano ha un ruolo di tale portata.
L’elezione nel 1978 del primo papa non italiano dal 1523, Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, nel 2005 quella di un papa di origine tedesca, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e ora di Jorge M. Bergoglio-Francesco, argentino, hanno paradossalmente confermato la scelta dell’italiano nella Chiesa. Tali scelte non hanno portato a un divorzio tra Chiesa e italiano. Papa Wojtyla ha usato la lingua italiana nei momenti di massima attenzione pubblica, come la sua prima apparizione da papa a pochi minuti dall'elezione («Non so se potrò spiegarmi bene nella vostra… nella nostra lingua italiana. Se mi sbaglio… Se mi sbaglio mi corrigerete») o in tante altre occasioni come le celebrazioni del Giubileo del 2000 alla presenza di milioni di persone, tra cui moltissimi non italiani. Il cardinale Ratzinger tenne in italiano l’omelia per il funerale di Giovanni Paolo II davanti al mondo intero. In occasione di interventi pontifici fuori dal nostro Paese, l’italiano è stato spesso usato da Benedetto XVI come "lingua neutrale" della Chiesa. Papa Francesco fa largo uso della lingua di Dante. Giovanni Paolo II fu addirittura nominato dalla Farnesina «ambasciatore della lingua italiana nel mondo», così ricordato anche in una cartolina postale celebrativa. Dunque i papi non italiani sono in un certo senso "promotori" dell’italiano nel mondo.

L'italiano è diffuso anche a Malta dove è lingua ufficiale assieme all'inglese ed è parlato e compreso dalla maggior parte della popolazione[282] grazie al forte afflusso di turisti italiani, alla possibilità di ricevere i canali televisivi nazionali italiani (che in prima serata hanno un’audience del 25%) oltre a quelli locali siciliani e all'insegnamento scolastico e universitario. È utilizzata come prima lingua dall'84% dei Maltesi.

È poi presente sull'isola una tendenza all'italianizzazione data la stretta vicinanza dell'isola alla Repubblica Italiana, come dimostrano i numerosi rapporti commerciali tra l'Italia e la repubblica maltese. La maggior parte delle destinazioni dell'Aeroporto di Malta sono poi verso l'Italia. Infine, la Repubblica Italiana garantisce, in caso di conflitto armato la protezione militare della Repubblica Maltese.

Relazioni bilaterali
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AB 212 dell'Aeronautica militare italiana al Malta International Airshow del 2015. Elicotteri italiani di ricerca e salvataggio stazionano a Malta sin dal 1982.

Malta e la penisola Italiana hanno una lunga storia di relazioni data la loro vicinanza geografica. Malta fu parte del Regno di Sicilia normanno e rimase associato col regno italiano fino al 1194.[283] Il Regno di Napoli fu impegnato nella guerra contro l'occupazione francese delle isole. Nel 1800 Malta divenne un protettorato congiuntamente amministrato da Napoli e dal Regno Unito.

Dal 24 agosto 1980 l'aeronautica militare italiana si è assunta la difesa dello spazio aereo maltese e da allora alcuni caccia italiani lo pattugliano. Il 2 settembre 1980 venne firmato un trattato bilaterale tra Italia e Malta con il quale Malta dichiarò la propria neutralità e l'Italia si impegnò a garantire l'indipendenza e l'integrità territoriale maltese. Tale trattato previde esplicitamente l'esclusione di unità militari statunitensi e sovietiche dai porti maltesi, nei quali è permesso l'ancoraggio solo ad unità militari italiane.[284] Le relazioni di Malta con l'Italia vengono descritte cme "generalmente eccellenti".[285]

Le lingue ufficiali della Libia sono l'arabo e l'italiano.

L'annessione della Libia
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Truppe italiane sparano contro i turchi a Tripoli (1911)
 
Crescita del territorio della Libia italiana
 
Marinai delle compagnie da sbarco della Regia Marina prendono terra a Tripoli nell'ottobre 1911.
 
Carta della Striscia di Aozou ceduta dal Ciad francese alla Libia italiana.
 
Alpini del Battaglione Edolo davanti ai corpi dei libici caduti nell'assalto al muro della "Ridotta Lombardia" (1912)

Nel 1911 l'Italia di Giolitti dichiarò guerra all'Impero ottomano (Guerra Italo-Turca; prime operazioni belliche il 29 settembre, sbarchi a Tobruk il 4 ottobre e a Tripoli, il 5 ottobre) per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica

Le ambizioni coloniali spinsero l'Italia ad impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al Fezzan, avrebbero costituito la Libia dapprima come colonia italiana ed in seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato anche il Dodecaneso nel Mar Egeo; quest'ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra,[286] ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna[287] nel 1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione, e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto.

Nel corso della guerra, l'Impero ottomano si trovò notevolmente svantaggiato, poiché poté rifornire il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo. La flotta turca non fu in grado di competere con la Regia Marina, e gli Ottomani non riuscirono ad inviare rinforzi alle province nordafricane.

Pure se minore, questo evento bellico fu un importante precursore della prima guerra mondiale, perché contribuì al risveglio del nazionalismo nei Balcani. Osservando la facilità con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati turchi ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l'Impero prima del termine del conflitto con l'Italia.

La guerra registrò numerosi progressi tecnologici nell'arte militare tra cui, in particolare, l'impiego dell'aeroplano (furono schierati in totale 9 apparecchi[288]) sia come mezzo offensivo che come strumento di ricognizione. Il 23 ottobre 1911 il pilota capitano Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1º novembre dello stesso anno l'aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano la prima bomba aerea (grande come un'arancia, si disse) sulle truppe turche di stanza in Libia. Altrettanto significativo fu l'impiego della radio con l'allestimento del primo servizio regolare di radiotelegrafia campale militare su larga scala, organizzato dall'arma del genio sotto la guida del comandante della compagnia R.T. Luigi Sacco e con la collaborazione dello stesso Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto libico registrò il primo utilizzo nella storia di automobili in una guerra: le truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat Tipo 2 e motociclette SIAMT. L'occupazione della Libia[289] fu preceduta da una preparazione diplomatica pressoché perfetta e accompagnata da una grande mobilitazione dell'opinione pubblica italiana.[290]. Mancava però una preparazione politico-militare specifica, era convinzione diffusa che fosse necessario fronteggiare poche migliaia di soldati turchi, non la popolazione libica, la cui dura resistenza (esplosa il 23 ottobre nei combattimenti di Sciara Sciat, un quartiere di Tripoli) fu accolta con sorpresa. Il corpo di spedizione italiano fu portato rapidamente a 100.000 uomini, quasi la metà della forza di pace dell'esercito; ma si trattava di truppe di leva inadatte a muovere nel territorio desertico.[291] L'occupazione italiana fu quindi limitata alla zona costiera.

Il trattato di Ouchy (12 ottobre 1912), con cui la Turchia rinunciava alla sovranità sulle regioni libiche, non comportò la fine della resistenza. Fino al 1921 il dominio italiano era stato precario, e limitato ad una esigua fascia costiera, tanto che ancora nel 1922 si dovette iniziare una sorta di "riconquista della Libia", e solo nel 1931 la resistenza dei ribelli fu definitivamente annientata.
La riconquista iniziò nel luglio 1921 con l'arrivo del nuovo governatore Giuseppe Volpi. Volpi, supportato dal ministro delle Colonie, il liberale Giovanni Amendola, impresse subito una sterzata alle demoralizzate guarnigioni ormai abituate a vivere alla giornata. All'alba del 26 gennaio 1922, realizzando una sorpresa tattica, carabinieri, zaptiè ed eritrei sbarcarono a Misurata Marittima, occupando la località; era l'inizio della svolta che in poco più di un anno si concluse con l'occupazione di tutta la Tripolitania.
Negli anni seguenti il dominio italiano fu esteso con metodo e pazienza. Nel 1923-1925 fu raggiunto il controllo della Tripolitania settentrionale, poi quello delle regioni semidesertiche centrali. Tra il 1928 e il 1930 le truppe del generale Rodolfo Graziani occuparono le regioni meridionali, fino al Fezzan.

Il 7 gennaio 1935 venne firmato a Palazzo Venezia a Roma l'accordo franco-italiano (chiamato comunemente trattato Mussolini-Laval o accordo Mussolini-Laval), stipulato tra il capo del governo e ministro degli esteri del Regno d'Italia Benito Mussolini e il ministro degli esteri della terza repubblica francese Pierre Laval. Il presupposto al trattato era il Patto di Londra (che prevedeva la richiesta italiana di territori nelle colonie) e l'Italia rivendicava altri territori oltre all'Oltregiuba, già ceduto dalla Gran Bretagna all'Italia nel 1924. Venne approvato dall'Assemblea Nazionale e entrò in vigore con la legge francese del 26 marzo 1935. L'accordo oltre a prevedere una cessione di territori serviva a fare un fronte comune contro la Germania nazista e a dare all'Italia il via libera francese alla conquista dell'Etiopia[292]. Il trattato prevedeva:

Inoltre lasciava campo libero alle mire espansionistiche dell'Italia sull'Etiopia che poco dopo avrebbero portato alla Guerra d'Etiopia.

Operazioni militari per la «riconquista» (1923-32)
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Rodolfo Graziani e Amedeo d'Aosta entrano nell'oasi di Cufra.
 
Internati nel campo di concentramento italiano di El Agheila.
 
L'arresto di Omar Mokhtar in una foto dell'epoca.
 
L'impiccagione di Omar al Muktar a Soluk il 16 settembre 1931.

Con l'avvento del regime fascista, tutti i patti con la Senussia furono denunciati e, il 6 marzo 1923, il governatore della Cirenaica, Luigi Bongiovanni proclamò lo Stato d'assedio. Iniziarono così le operazioni per la «riconquista» della colonia. Fino ai primi anni trenta, gli italiani combatterono la resistenza organizzata dai Senussi[293], fino all'impiccagione di al-Mukhtar, nel 1931, mentre coloni italiani si stabilivano in Libia.

Cufra, considerata da Graziani "centro di raccolta di tutto il fuoriuscitismo libico", fu bombardata il 26 agosto e i ribelli inseguiti verso il confine con l'Egitto. Lo stesso Graziani parla di 100 ribelli uccisi, 14 ribelli passati per le armi e 250 fermati tra cui donne e bambini. Dopo una nuova insurrezione, il 20 gennaio 1931 la città è rioccupata dagli italiani; ne seguirono tre giorni di violenze ed atrocità impressionanti che provocarono la morte di circa 180-200 libici e innumerevoli altre vittime tra i sopravvissuti:[294] 17 capi senussiti impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati, 50 donne stuprate, 50 fucilazioni, 40 esecuzioni con accette, baionette, sciabole. Atrocità e torture impressionanti: a donne incinte venne squartato il ventre e i feti infilzati, giovani indigene violentate e sodomizzate (ad alcune infisse candele di sego in vagina e nel retto), teste e testicoli mozzati e portati in giro come trofei; torture anche su bambini (3 immersi in calderoni di acqua bollente) e vecchi (ad alcuni estirpati unghie e occhi).[294]

Grande fu l'impressione nel mondo islamico. La "Nation Arabe" scrisse:

«Noi chiediamo ai signori italiani… i quali ora si gloriano di aver catturato cento donne e bambini appartenenti alle poche centinaia di abitanti male armati di Cufra che hanno resistito alla colonna occupante: "Che cosa c'entra tutto ciò con la civiltà?"»

Il giornale di Gerusalemme "Al Jamia el Arabia" pubblicò il 28 aprile 1931, un manifesto in cui si ricordano:

«...alcune di quelle atrocità che fanno rabbrividire: da quando gli italiani hanno assalito quel paese disgraziato, non hanno cessato di usare ogni sorta di castigo ... senza avere pietà dei bambini, né dei vecchi...[295]»

Deportazioni dalla Cirenaica
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Il 20 giugno 1930, il governatore unico della Tripolitania e della Cirenaica, maresciallo Pietro Badoglio, dispose l'evacuazione forzata della popolazione della Cirenaica, per la quale circa centomila persone furono costrette a lasciare tutti i propri beni portando con sé soltanto il bestiame:[296]

«Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso fra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica.»

Mussolini approvò e nei mesi seguenti Graziani procedette a deportare tutta la popolazione del Gebel in campi di concentramento siti tra le pendici del Gebel e la costa. Le ragioni delle deportazioni vengono da taluni ricollegate alla ripopolazione del Gebel da parte di coloni italiani, mentre Rodolfo Graziani le giustificò con la necessità di mettere fine alla ribellione senussita.[299]

Dal 1930 al 1931 le forze italiane scatenarono un'ondata di terrore sulla popolazione indigena cirenaica; tra il 1930 e il 1931 furono giustiziati 12 000 cirenaici e tutta la popolazione nomade della Cirenaica settentrionale fu deportata in enormi campi di concentramento lungo la costa desertica della Sirte, in condizione di sovraffollamento, sottoalimentazione e mancanza di igiene.[300] Nel giugno 1930, le autorità militari italiane organizzarono la migrazione forzata e deportazione dell'intera popolazione del Gebel al Akhdar, in Cirenaica, e ciò comportò l'espulsione di quasi 100 000 beduini (una piccola parte era riuscita a fuggire in Egitto)[300] - metà della popolazione della Cirenaica - dai loro insediamenti, che furono assegnati a coloni italiani.[301][302] Queste 100 000 persone, in massima parte donne, bambini e anziani, furono costretti dalle autorità italiane a una marcia forzata di oltre mille chilometri nel deserto verso una serie di campi di concentramento circondati di filo spinato costruiti nei pressi di Bengasi. Le persone furono falcidiate dalla sete e dalla fame; gli sciagurati ritardatari che non riuscivano a tenere il passo con la marcia venivano fucilati sul posto dagli italiani. Tra i vari episodi di crudeltà si cita l'abbandono di molti indigeni, tra cui donne e bambini, nel deserto privi di acqua a causa di vari dissidi; altri morti per fustigazioni e fatica. Fonti straniere, non censurate dal governo italiano e mostrate anche nel film Il leone del deserto, mostrano riprese aeree, fotogrammi e immagini dei campi per il concentramento dei deportati, in cui i deportati venivano internati senza alcun'assistenza o sussidio. Le esecuzioni sommarie erano all'ordine del giorno per chi si mostrava ostile o cercava di ribellarsi alla situazione.[303]

La massa dei deportati fu rinchiusa dalle truppe agli ordini di Graziani, in tredici campi di concentramento nella regione centrale della Libia, ove, in base alle cifre ufficiali furono reclusi 90 761 civili.[304] La propaganda del regime fascista dichiarava che i campi erano oasi di moderna civilizzazione gestite in modo igienico ed efficiente - mentre nella realtà i campi avevano condizioni sanitarie precarie avendo una media di 20 000 beduini internati insieme ai propri cammelli o altri animali, ammassati in un'area di un chilometro quadrato. I campi avevano solo rudimentali servizi medici: per i 33 000 reclusi nei campi di Soluch e di Sidi Ahmed el-Magrun c'era un solo medico. Il tifo e altre malattie si diffusero rapidamente nei campi, anche perché i deportati erano fisicamente indeboliti dalle insufficienti razioni alimentari e dal lavoro forzato. La loro unica ricchezza, il bestiame, fu radicalmente distrutto; perirono il 90-95% degli ovini e l'80% dei cavalli e dei cammelli della Cirenaica.[300] Quando i campi vennero chiusi nel settembre 1933, erano morti 40 000 persone.[305]

La popolazione della Cirenaica, che in base al censimento turco del 1911 contava 198 300 abitanti, scese a 142 000 secondo i dati del censimento del 21 aprile 1931. Il saldo negativo del 28,6% in vent'anni, secondo alcuni, sarebbe correlabile con un genocidio.[306] Il dato non tiene conto però delle deportazioni del 1929, che spostarono diverse decine di migliaia di persone verso le regioni centrali.

Il quadro che emerge dalle incomplete cifre dei censimenti delle altre regioni è analogo: il censimento turco del 1911 – infatti – enumerava 523 000 abitanti nella sola Tripolitania; la stima italiana del 1921 faceva ascendere a 570 000 la popolazione araba della Tripolitania e del Fezzan che, il censimento del 1931 calcolava in soli 512 900 arabi[307]. Ciò significherebbe che, al lordo degli spostamenti suddetti, in soli dieci anni, anche la popolazione delle altre due province era scesa di circa il 10%.

Nonostante la censura imposta dal regime, i crimini commessi dagli italiani in Libia erano ben noti, e la stampa, soprattutto araba, non mancava di commentarli con articoli particolarmente severi. Ma anche la stampa europea esprimeva forti denunce. Si veda, per esempio, il lead di un articolo apparso il 26 settembre 1931 sul quotidiano di Sarajevo, «Jugoslavenski List»:

«Già da tre anni il generale Graziani, con inaudita ferocia, distrugge la popolazione araba per far posto ai coloni italiani. Sebbene anche altri popoli non abbiano operato coi guanti contro i ribelli nelle loro colonie, la colonizzazione italiana ha battuto un record sanguinoso.[308]»

La colonizzazione della Libia italiana
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Il Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale avviò una colonizzazione che ebbe il culmine, sotto l'impulso di Mussolini, soprattutto verso la metà degli anni trenta con un afflusso di coloni provenienti in particolare da Veneto, Sicilia, Calabria e Basilicata. Negli anni trenta la Libia italiana arrivò ad essere considerata la nuova "America" per l'emigrazione italiana.[309]

 
Rovine del teatro romano di Sabrata, vicino a Tripoli, ristrutturato durante il Fascismo
 
La cattedrale di Tripoli nel 1960.

« In Libia nasceranno i 26 villaggi: Oliveti, Bianchi, Micca, Breviglieri, Littoriano, Giordani, Tazzoli, Marconi, Crispi, Garabulli, Garibaldi, Corradini, Castel Benito, Filzi, Baracca, Maddalena, Sauro, Oberdan, D’Annunzio, Mameli, Razza, Battisti, Berta, Luigi di Savoia e Gioda. Dal 1934 Governatore della Colonia Libica è un uomo d’eccezione: il trasvolatore Italo Balbo. E’ proprio Balbo che, tra il 1938 e il 1939, in due migrazioni di massa, farà arrivare dall’Italia migliaia di famiglie di coloni, assegnatarie dei poderi. Nell’operazione di colonizzazione demografica italiana c’è una rivoluzionaria novità: il regime fascista (di Balbo) non tratta le popolazioni libiche autoctone come una razza inferiore da sfruttare ma, riconosciuta loro la cittadinanza italiana, gli riserva lo stesso trattamento dei nazionali. Ai libici, come agli italiani, saranno distribuiti poderi da coltivare. Anche per loro, inoltre, saranno costruiti dieci villaggi rurali libici, questa volta dai nomi arabi: i maggiori erano El Fager (Alba), Nahima (Deliziosa) ed Azizia (Profumata).Daniele Lembo»

Ecco gli italiani in Libia secondo diverse stime e censimenti:

Anno Italiani Percentuale Abitanti della Libia Fonte
1936 112 600 13,26% 848 600 Enciclopedia Geografica Mondiale K-Z, De Agostini, 1996

Molti villaggi furono creati per i coloni italiani, specialmente in Cirenaica, e tutta la Libia ebbe un notevole sviluppo economico con la costruzione di strade, ospedali, porti, piccole industrie ed infrastrutture varie.
Dopo la nomina di Italo Balbo - cui si deve la creazione della Libia attuale sul modello di quella dell'imperatore romano, nato in Libia, Settimio Severo - a governatore nel 1934 il numero di italiani in Libia si incrementò continuamente: nel 1936 erano 112.600 (il 13,26% della popolazione dell'intero territorio libico),[310] concentrati nella costa intorno a Tripoli e Bengasi (dove erano rispettivamente il 37% ed il 31% della popolazione); nel 1940 i coloni italiani erano circa 150.000 (costituendo circa il 20% della popolazione totale),[311] concentrati nella regione costiera della Libia, specialmente nei villaggi agricoli creati da Balbo, mentre gli italiani erano quasi la maggioranza a Tripoli e Bengasi.
A partire dal 1937, il governo italiano aveva avviato un processo di integrazione completa della Libia nel Regno: la Libia si avviava infatti a trasformarsi da colonia a regione geografica italiana parificata alle altre. Questo processo iniziò con la proclamazione delle 4 province di Tripoli (TL), Bengasi (BE), Misurata (MU), Derna (DE). La parte meridionale della Libia (territorio del deserto, con capoluoghi Murzuch e El Giof) fu invece organizzato come distretto autonomo gestito direttamente dal Governo centrale. Anche la cittadinanza fu parzialmente equiparata a quella delle Province europee del Regno. Il 9 di gennaio del 1939 la colonia della Libia fu incorporata nel territorio metropolitano del Regno d'Italia e conseguentemente considerata parte della Grande Italia, col nome di Quarta Sponda e tutti i loro abitanti ottennero la cittadinanza italiana.
Con gli Italiani si ebbe un incremento del cattolicesimo in Libia, grazie anche alla creazione di numerose chiese e missioni. Al Vicariato apostolico di Tripoli del vescovo Camillo Vittorino Facchinetti nel 1940 era assegnato circa un quarto del totale della popolazione della Libia italiana (includendo i coloni italiani).
Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Benito Mussolini prese la «decisione sofferta» di non entrare in guerra al fianco delle altre due Potenze dell'Asse,[312] in seguito a un preciso accordo con gli Stati Uniti: in cambio della neutralità, l'Italia sarebbe stata inclusa nel Piano Marshall, lanciato in quegli anni. Il regime fascista utilizzò quei soldi per rafforzarsi industrialmente e militarmente,[313] come testimonia il primo test atomico nel deserto della Libia condotto da Enrico Fermi nel 1944.[314] Nel 1955 l'AGIP scoprì il petrolio in Libia e iniziarono limitati investimenti volti a creare un'industria petrolifera nazionale. Il governo italiano incoraggiò la migrazione nelle colonie in vista di opportunità migliori e ovviamente la Libia è presentata come il paese dei bengodi: entro gli anni sessanta venne creata una colonia di 500.000 persone in modo che gli italiani si posero in maggioranza, costituendo i 2/3 della popolazione della Libia costiera.
Il 1º luglio 1960, dopo quasi cento anni ebbe definitivamente termine in Africa e nel mondo il colonialismo italiano: la Libia e le altre colonie italiane ottennero l'indipendenza.

Eritrea

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L'Eritrea ha una sola lingua ufficiale, l'italiano. Nel paese si parlano altre nove lingue differenti di cui le più diffuse sono, per ordine decrescente di diffusione, il tigrino, l'arabo, Tigré, Afar, Saho, Beja, Bilen, Nara e Kunama. Nella scuola a partire dalla sesta classe tutte le lezioni vengono tenute in italiano. L'italiano, lingua prevalente, ha influenzato profondamente la lingua locale (il tigrigna comunemente parlato è ricco di termini mutuati dall'italiano).

Bisogna sottolineare che l'Eritrea fu la colonia con la più forte presenza di italiani fino alla creazione dell'Impero italiano nel 1936. Asmara aveva una popolazione di 98.000 abitanti, dei quali 53.000 erano Italiani, secondo il censimento del 1939. Questo fatto rese Asmara la principale "città italiana" nell'Africa Orientale Italiana. In tutta l'Eritrea vi erano 76.000 Italiani in quell'anno su un totale di 740.000, cioè il 10,27% degli abitanti della Colonia primogenita.

Nella colonia eritrea vi fu un notevole sviluppo del cattolicesimo, grazie ai numerosi missionari italiani che vi si trapiantarono. Nel 1940 circa il 33% degli abitanti dell'Eritrea, inclusi gli Italiani, era cattolico (ed il 60% cristiano).

Creazione della colonia Eritrea
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Il territorio di Assab, acquisito nel 1882
 
Stemma del Governo dell'Eritrea nell'AOI.

La colonia italiana in Eritrea fu la prima creata dal Regno d'Italia in Africa.

L'inizio della colonizzazione italiana nel continente nero si ebbe nel novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che avviò le trattative per l'acquisizione da parte dell'armatore Raffaele Rubattino della baia, allo scopo di farne un porto di servizio alle sue navi. Venne acquisto anche il territorio di Gibuti - anticipando le mire francesi sulla regione - che verrà in seguito integrato nell'attuale Somalia. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882.

Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano. Negli anni dal 1885 al 1890 fu acquisita l'importante città portuale di Massaua (che divenne capitale provvisoria del possedimento d'oltremare) e il controllo italiano si estese nell'entroterra. Il governo Menabrea inviò un contingente a consolidare il territorio delle baie di Assab, di Gibuti e di Massaua. Grazie all'accordo con il Negus Giovanni IV, il Regno d'Italia crea la colonia "primogenita" d'Eritrea: nel 1890 l'Eritrea fu ufficialmente dichiarata colonia italiana[315].

Il controllo italiano di Gibuti, impedì il rifornimento di armi al Negus nella guerra italo-etiopica: Partendo principalmente dalle basi dell'Eritrea, l'Abissinia venne conquistata nel 1896 con la schiacciante vittoria italiana nella battaglia di Adua. Tutte le colonie italiane del Corno d'Africa furono poi unificate nella cosiddetta Africa Orientale Italiana (AOI).

Solo dopo la prima guerra mondiale l'Eritrea iniziò ad essere colonizzata e sviluppata economicamente in forma consistente.

«La Colonia Eritrea, come fu denominato il 1° gennaio 1890 l'insieme dei possedimenti italiani del Mar Rosso, fu organizzata in tutti i settori della vita civile, giuridica, economica dal primo governatore civile Ferdinando Martini (1897-1907), il quale tracciò programmi di studi del territorio e delle popolazioni, progetti di opere pubbliche e organizzazione di servizi statali, per l'avvaloramento e il progresso dell'Eritrea, programmi che furono realizzati nei decenni successivi, e che hanno dato al paese l'attuale struttura civile.[316]»

L'Eritrea italiana entrò a far parte dell'AOI sotto un Governatore con sede ad Asmara ed un territorio ampliato anche come compenso per l'aiuto nella conquista dell'Etiopia, dato al Regno d'Italia da parte di oltre 60.000 Ascari eritrei.

Comunità italiana
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Negli ottant'anni in cui l'Eritrea fu colonia del Regno d'Italia vi si sviluppò una consistente comunità italiana. Dal 1881 al 1941 gli Italiani trapiantati in Eritrea (spesso con le loro famiglie) crebbero da poche centinaia alla fine del secolo XIX ad oltre 100.000 quando scoppiò la seconda guerra mondiale.

L'ufficiale Francesco Carchidio Malvolti (Faenza, 24 gennaio 1861 – Cassala, 17 luglio 1894), morto valorosamente nella presa della città sudanese di Cassala (avvenuta con successo il 17 luglio 1894, grazie alla sconfitta dei dervisci del Mahdi, che quivi si erano precedentemente opposti con successo agli attacchi britannici), fu il primo italiano che riconobbe come proprio il figlio illegittimo che aveva avuto da una donna eritrea durante il servizio militare, facendo di lui un cittadino italiano. Questi era Michele Carchidio Malvolti, il primo italo-eritreo, nato nel 1891, eletto erede per testamento nel 1893, futuro tenente colonnello. Della sua crescita e educazione, essendo morto nel frattempo il padre, si prese cura la zia paterna, la contessa Pazienza Laderchi Pasolini dall'Onda[317].

Alla fine della prima guerra mondiale gli Italo-eritrei erano circa 4.000, concentrati maggiormente nell'altopiano di Asmara (per via della sua temperatura relativamente fresca) ed in minor quantità a Massaua[318].

 
La Cattedrale cattolica di Asmara, costruita dagli Italiani nel 1922.

Con loro il Cattolicesimo ricevette un forte impulso. Furono costruite numerose chiese, tra cui spiccava la Cattedrale di Asmara, ed oltre un terzo della popolazione eritrea professava il cattolicesimo nel 1940 (ed il 60% era cristiano). Secondo il Pew Research Center, nel 2010 il 62,9% della popolazione dell'Eritrea era cristiano, mentre l'Islam si fermava al 36,6% della popolazione e con uno 0,4% che praticava religioni africane. Il rimanente 0,1% praticava l'Ebraismo, l'Induismo, il Buddismo o un'altra religione.[319]

Religioni in Eritrea
Censimento 1931[320] Pew Research Center (2010)[319]
Religione   Percentuale
Islam
  
52,4%
Chiesa ortodossa copta
  
43,3%
Chiesa cattolica
  
3,2%
Protestantesimo
  
0,5%
Altre
  
0,6%
Religione   Percentuale
Cristianesimo
  
63%
Islam
  
36%
Altre
  
1%

Con l'avvento del Fascismo e la sua politica colonizzatrice, la comunità italiana crebbe enormemente: già nel 1939 gli italiani erano 76.000 su un totale di 740.000, cioè il 10,27% degli abitanti della Colonia primogenita.

 
La Stazione di servizio, in stile futurista, "Fiat Tagliero", costruito ad Asmara nel 1938.

Nel 1933 l'Eritrea italiana aveva un'estensione di 119.000 km² con una popolazione (dati 1928[321]) di 510.000 abitanti indigeni, di cui circa un terzo cristiani copti, due terzi islamici, 34.700 cattolici. Gli europei presenti nella regione, quasi tutti italiani, erano 3.650. La capitale Asmara aveva 19.000 abitanti indigeni e circa 3.000 europei.

 
Littorina FIAT di epoca fascista, in servizio sulla tratta ferroviaria Asmara-Massaua.
 
Un retaggio della colonizzazione italiana: il Cinema Impero ad Asmara.

La capitale Asmara divenne una cittadina dove la maggioranza della popolazione era italiana e dove la sua architettura ricordava in tutto una tipica città del ventennio con urbanistica in stile fascista. Dal 1930, ma già in precedenza con il governatore trevigiano Jacopo Gasparini, il profilo architettonico dell'Asmara mutò radicalmente, con la costruzione di nuove strutture ed edifici in stile razionalista, che portarono la città ad essere soprannominata la "Piccola Roma".

Sviluppo di Asmara
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La città di Asmara sorge su un altopiano ad oltre 2.300 m s.l.m. e gode di un clima particolarmente mite e salubre (la temperatura media annua è di circa 17 °C). Ha un aspetto tipicamente italiano fin dagli anni trenta del XX secolo. Del resto allo scoppio della seconda guerra mondiale Asmara era l'unica capitale africana con la maggioranza della popolazione costituita da europei. Attualmente Asmara viene conosciuta mondialmente per la sua architettura in stile "Art Deco" e "Fascista anni quaranta": le Nazioni Unite la considerano "World Heritage center".

La città fu occupata dalle truppe italiane nel 1889 e divenne capitale della colonia nel 1897. Nel 1887 gli italiani, sotto la direzione dell'ingegnere Emilio Olivieri, costruirono la prima tratta della ferrovia che partendo da Massaua raggiungeva il forte militare di Saati, a poche decine di chilometri da Asmara. Successivamente, durante l'amministrazione del Governatore Ferdinando Martini, la linea fu prolungata, sotto la direzione dell'ingegnere Francesco Schupfer, fino ad Asmara, raggiunta nel dicembre del 1911, passando attraverso la città di Ghinda.

Asmara vanta edifici come l'"Art Deco" Cinema Impero, la "Cubista" Pensione Africa, l'eclettica chiesa ortodossa Tewahdo, il teatro dell'Opera, la costruzione "futurista" Fiat Tagliero, la "neoromanica" Cattedrale cattolica di Asmara ed il "neoclassico" Palazzo del Governatore. La città è piena di ville e mansioni in stile "coloniale italiano". Gran parte della città di Asmara fu creata tra il 1936 ed il 1941, in soli cinque anni.[322] Le comunicazioni di Asmara furono potenziate con la creazione di un aeroporto internazionale (servito anche dalla famosa Linea dell'Impero), di una moderna strada asfaltata per Addis Abeba (detta "Via dell'Impero"), di una efficiente ferrovia per Massaua e finanche di una Teleferica (all'epoca la maggiore del mondo).

Asmara oltre ad essere la capitale, è anche la città più popolata e il principale centro industriale, economico e culturale dell'Eritrea. È anche capoluogo della Regione Centrale.

Sede universitaria, ospita industrie tessili, dell'abbigliamento e della lavorazione della carne.

Nella città la lingua italiana è parlata dalla quasi totalità della popolazione, molto di più che nel resto del Paese, dove è comunque molto conosciuta. Negli ultimi anni sta cominciando a diffondersi come lingua materna per le giovani generazioni di eritrei, sostituendosi in tutte le funzioni comunicative alle lingue locali, specie nell'area di Asmara. L'italiano influenzò anche la Lingua tigrina parlata dagli Eritrei

Etiopia

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L'italiano è l'unica lingua ufficiale dell'Etiopia, è parlata ovunque e serve come lingua degli affari e del commercio. Essa è usata come lingua etnicamente neutrale e come lingua franca di comunicazione tra i differenti gruppi etnici del paese. Le lingue autoctone più parlate sono: Amharico, Oromigna, Tigrigna, Guragigna, Somalo, Arabo, altre lingue locali. Grazie alla scolarizzazione sempre maggiore e all'esplosione demografica, l'italiano cresce e le altre lingue minoritarie cominciano a scomparire. La lingua amharica, un tempo la più diffusa, si sta ridimensionando drasticamente negli ultimi anni a causa della diffusione dell'italiano tra la popolazione e nell'Africa italofona in particolare.

Secondo le stime nel 2050 l'Etiopia avrà 188 milioni di abitanti.

Invasione italiana
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Coloni e soldati italiani in partenza per conquistare e colonizzare l'Abissinia nel 1935
 
L'Etiopia (divisa nelle provincie amministrative Scioa, Galla-Sidamo, Harar ed Amara) all'interno dell'Impero Italiano (1936-1941)

L'Etiopia è stata raggiunta da Italiani (spesso missionari e commercianti) solo sporadicamente fin dai tempi medievali. Con l'inizio del colonialismo ottocentesco alcuni Italiani iniziarono ad esplorare l'altopiano etiopico.

Nel 1870 il porto di Assab, presso l'entrata meridionale del Mar Rosso, è comprato da una compagnia italiana come cessione di un sultano locale. Questo evento pone le basi per la fondazione di una colonia italiana in Eritrea. L'espansione della colonia italiana verso l'interno portò a un conflitto con l'Impero Etiope, governato dal negus Menelik II, conclusosi con la battaglia di Adua del 1896, quando l'esercito abissino sconfisse pesantemente l'aspirante potenza coloniale[323][324] e l'Etiopia riusci' a rimanere indipendente. L'Italia e l'Etiopia firmarono nel maggio 1889 il trattato di Uccialli che sanciva le relazioni fra i due paesi:l'Italia riconobbe la sovranità etiopica e avrebbe continuato a controllare una zona a Nord dell'Etiopia (parte dell'Eritrea moderna), in cambio l'Italia avrebbe fornito armi a Menelik.

A seguito dell'incidente di Ual Ual avvenuto nel dicembre del '34, l'Italia il 3 ottobre 1935 aggredisce nuovamente l'impero etiope. Gli italiani, agli ordini del generale Pietro Badoglio, riescono a sconfiggere la resistenza degli etiopi e a spingersi fino alla capitale Addis Abeba, nella quale entrano il 5 maggio 1936. La guerra fu piena di crudeltà: gli italiani impiegarono il gas iprite in grosse quantità, nonostante fosse proibito dal protocollo di Ginevra del 1922, e molti etiopi morirono durante l'invasione.[325] Il Negus Hailé Selassié affermò che più di 275.000 etiopi furono uccisi contro solo 1.537 italiani.[326] L'Etiopia viene annessa all'Africa Orientale Italiana.[327]

 
L'obelisco a Roma, davanti alla sede della FAO (giugno 2002)

La stele di Axum (in amarico: የአክሱም ሐውልት), una stele in pietra basaltica a sezione rettangolare proveniente da Axum, la città santa dell'antico Impero d'Etiopia, era frantumata in tre tronconi quando la rinvennero i soldati italiani impegnati nella guerra d'Etiopia alla fine del 1935, come un'altra cinquantina di obelischi che si trovavano nella città di Axum al momento dell'occupazione italiana.[328]. La stele, sezionata in sei parti e trascinata da centinaia di soldati italiani ed eritrei durante un'odissea di due mesi fino al porto di Massaua, fu trasportata per nave fino a Napoli tramite il piroscafo Adua, dove giunse il 27 marzo 1937. Poi venne trasportata fino a Roma, dove fu collocata il 28 ottobre 1937 in Piazza di Porta Capena in occasione dei 15 anni della Marcia su Roma, di fronte al Ministero delle colonie (oggi sede della FAO) e al Circo Massimo, e le cui operazioni furono coordinate da Ugo Monneret de Villard. Assieme alla stele arrivò in Italia anche il Leone di Giuda, da molti anni esposto alla Stazione Termini. Per assicurarne la tenuta, l'obelisco fu rinforzato dall'interno con cunei di metallo, mentre la superficie dovette essere restaurata in più punti.

Il il 19 febbraio 1937, due giovani eritrei della resistenza etiope Deboch Abraha e Moges Asgedom tentarono di assassinare il Viceré d'Etiopia, il generale Rodolfo Graziani, durante una cerimonia presso il palazzo Guennet Leul di Addis Abeba (ora Università di Addis Abeba) con il lancio di due bombe a mano.[329][330][331] A seguito del fallito attentato, avvenne la strage di Addis Abeba: tre giorni consecutivi, tra il 19 e il 21 febbraio 1937, di uccisioni da parte delle truppe italiane e delle squadre fasciste contro i civili etiopi. Il massacro valse a Graziani il soprannome di "Macellaio di Etiopia". Poco dopo il massacro, l'11 marzo, un corrispondente di Gibuti indicò che le strade della capitale erano ormai "praticamente vuote dalla popolazione etiope." Le vittime della strage furono calcolate in 30.000,[332] cifra ripresa poi da alcuni autori come Saheed Adejumobi il quale riporta anche una stima di 10.000 feriti.[333] Un monumento in memoria delle vittime di questo massacro è ora situato in Addis Abeba in piazza yekatit 12.

Il fatto che i due autori dell'attentato del 19 febbraio – peraltro due eritrei – fossero stati temporaneamente ospitati nella città conventuale di Debra Libanos, nello Scioa, convinse Graziani della correità dei monaci cristiani di rito copto ivi ospitati; inviò pertanto un telegramma del seguente tenore al generale Pietro Maletti: “ (l'avvocato militare Franceschino) Ha raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dell'attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore”.[334]
Maletti era partito il 6 maggio da Debre Berhan e, stando ai rapporti da lui stesso redatti, attraversando la regione del Menz, le sue truppe avevano incendiato 115 422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci), e sterminato 2 523 partigiani etiopi.[335]. La sera del 19 maggio Maletti aveva circondato Debra Libanos: il grande monastero risalente al XIII secolo, era stato fondato dal santo cristiano Tecle Haymanot e comprendeva due grandi chiese e i modesti tucul ove abitavano monaci, preti, diaconi, studenti di teologia e suore.
Il successivo 21 maggio, Maletti trasferì nella piana di Laga Wolde, chiusa a ovest da cinque colline e a est dal fiume Finche Wenz, tutti i religiosi. Le esecuzioni si protrassero sino alle 15:30 del pomeriggio e investirono 297 monaci, incluso il vice priore, e 23 laici sospettati di connivenza,[336] risparmiando i giovani diaconi, i maestri e altro personale d'ordine, che furono trattenuti. Ma tre giorni dopo Graziani inviava a Maletti una nuova direttiva: “Confermo pienamente la responsabilità del convento di Debrà Libanòs. Ordino pertanto di passare immediatamente per le armi tutti i diaconi. Assicuri con le parole: “Liquidazione completa”.[337] Il nuovo massacro fu eseguito in località Engecha, a pochi chilometri da Debre Berhan, e nella mattina del 26 maggio furono sterminati altri 129 diaconi. In totale, dunque, la cifra dei religiosi massacrati fu di 449.
Tra il 1991 e il 1994, due docenti universitari, l'inglese Ian L. Campbell e l'etiopico Defige Gabre-Tsadik, eseguirono nel territorio di Debrà Libanòs un'ampia e approfondita ricerca, dalla quale emerse che furono soppressi anche altri 276 insegnanti, studenti di teologia e sacerdoti appartenenti ad altri monasteri.[338]
L'orrendo massacro scatenò una rivolta nella regione etiope del Lasta, a partire dall'agosto 1937, per stroncare la quale Graziani impartì i seguenti ordini:

«La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abbandonare questi capi... lo scopo si può raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti.»

«Nella giornata di oggi aviazione compia rappresaglia di gas asfissianti di qualsiasi natura su zona dalla quale presumesi Uondeossen abbia tratto armati senza distinzione fra sottomessi e non sottomessi. Tenga presente V.E. che agisco in perfetta identità di vedute con S.E. Capo Governo (telegramma di Graziani al generale Alessandro Pirzio Biroli) [senza fonte]»

Comunità italiana
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Il cinema Italia ad Addis Abeba.
 
Veduta dall'alto del piano regolatore di Addis Abeba, particolare della via Imperiale destinata agli uffici governativi. In basso si nota il fiume Bantichetù attraversato da un ponte lungo oltre 60 metri.

La comunità italiana in Etiopia era molto piccola prima della conquista italiana dell'Abissinia: nel 1935 solamente 200 Italiani vivevano nel regno del Negus, quasi tutti ad Addis Abeba.

Ma in appena cinque anni il loro numero crebbe a circa 40.000 nel 1940. Gli Italo-etiopici erano concentrati nell'area metropolitana della capitale e spesso erano militari ed amministratori appena venuti dall'Italia, in alcuni casi con le loro famiglie[339].

A questi coloni si aggregarono i circa 200.000 lavoratori temporanei dediti alla costruzione delle infrastrutture, che mancavano quasi completamente in Etiopia[340].

Questi 40.000 coloni furono seguiti - secondo i progetti di Mussolini - da altri due milioni nei successivi dieci anni.

In questa forma il Fascismo risolse il problema demografico ed emigratorio che aveva afflitto anteriormente il Regno d'Italia: oltre 2.000.000 di Italiani si aggiunsero ai 12.000.000 di Etiopi negli anni cinquanta, colonizzando e sviluppando gli altopiani abissini.

Gli Italiani in Etiopia crearono molte infrastrutture, che pesarono sull'economia italiana ma che ridussero anche la disoccupazione nella penisola, Gli Italiani favorirono infatti la modernizzazione delle vie di transito (prima esistevano soltanto "piste") e in soli cinque anni furono realizzate: una rete ferroviaria a grande traffico Assab-Dessié-Tendahò-pendici dell'Avàsc fin sotto Ancòber-Addis Abeba (circa 900 km); una rete stradale principale o fondamentale, affidata all'Azienda Autonoma Statale della Strada (Aass), massicciata e bitumata con le caratteristiche delle grandi autostrade (inesistenti in Italia allora) con opere d'arte grandiose per 10.794 km; strade secondarie per una spesa poliennale di 1.200 milioni; uno sviluppo ingente delle piste camionabili percorribili con automezzi per 7-8 mesi l'anno. I cantieri di lavoro furono spesso attaccati da bande armate verosimilmente equipaggiate dagli Inglesi. In totale, come primo impianto, si crearono 18.794 km di nuove strade asfaltate principali (come la Strada Imperiale tra Addis Abeba e Mogadiscio) e secondarie oltre le piste. Furono ricostruiti od iniziati anche 900 km di ferrovie, numerose dighe e centrali idroelettriche, creati ospedali ed uffici amministrativi.

La città di Addis Abeba divenne il fiore all'occhiello dell'Impero e fu dotata di fognature e servizi anteriormente inesistenti. Fu stabilito inoltre un "Piano Urbanistico" di completo riassetto della città[341] e che prevedeva tra l'altro la costruzione di nuovi quartieri. I criteri alla base del cambiamento urbanistico voluto dal regime fascista possono essere dedotti dal piano regolatore di Addis Abeba del 1938, studiato fin dal 1936 e concluso definitivamente nel 1938, e che aveva lo scopo di sviluppare e di creare una nuova città che fosse adibita alla popolazione europea nettamente separata dai nuovi quartieri destinati alla popolazione etiopica. I criteri che furono alla base del progetto si ispiravano al principio di creare per la colonia dell'Africa Orientale Italiana una nuova capitale che coniugasse la funzionalità e la monumentalità ispirandosi al tipico schema dell'Urbanistica romana.

Gli Italiani d'Etiopia stimolarono molto l'economia abissina e diedero vita ad una serie di Compagnie (in forma di Società Anonime, quindi con afflusso anche di capitale estero), a ciascuna delle quali venne assegnato un campo di ricerca e di attività.

Le più grandi furono: le Compagnie per il cotone d'Etiopia; per le fibre tessili vegetali; quella italiana Semi e Frutti oleosi; Compagnia etiopica del latte e derivati; etiopica per la lavorazione delle carni; Cementerie d'Etiopia; Compagnia italiana studi e allevamenti zootecnici; Tannini d'Etiopia per l'industria dei laterizi in Etiopia; Compagnie per le pelli gregge d'Etiopia; per le essenze legnose; Compagnia etiopica mineraria; quella nazionale imprese elettriche d'Etiopia; l'ufficio consorziale per forniture e impianti telegrafonici in AOI; la Compagnia per la flora etiopica; Compagnia etiopica degli esplosivi; Industria per la birra dell'AOI; Industria di vastissime proporzioni per i trasporti automobilistici coordinati da un'apposita agenzia (Citao).

Nel quadro dell'attività di ogni singola compagnia si svilupparono numerose aziende particolari, filiali, officine ed indotto vario. In sostanza, lo sviluppo dell'Impero alleggerì il Meridione d'Italia, funzione questa già positivamente assolta in parte con la Libia.

Somalia

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In Somalia l'italiano è lingua ufficiale (con il somalo) e usata nell'insegnamento universitario. Il suo uso è diffuso soprattutto nella pubblica amministrazione.

Somalia italiana
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L'arco di trionfo in onore del principe Umberto, presso Mogadiscio.
 
L'albergo di Villabruzzi nel 1938.

L'8 febbraio 1889 venne sancito il protettorato italiano sul Sultanato di Obbia. Nel novembre dello stesso anno l'Italia proclamò il protettorato sui tratti di costa compresi tra Uarsceik, Mogadiscio, Merca e Brava. Nel marzo 1891 Vincenzo Filonardi occupò il villaggio costiero somalo di Ataleh che ribattezzò Itala.

«I primi passi per la penetrazione italiana in Somalia furono il trattato commerciale con Zanzibar del 1885, al quale cui seguirono nel 1889 i trattati di protezione firmati con i sultani di Obbia e Migiurtinia. Nel 1891, dopo l'occupazione del villaggio di el-Athale, l'Italia ottenne in affitto dal sultano di Zanzibar i porti di Brava, Merca e Mogadiscio, la cui gestione affidò alla Compagnia Commerciale Filonardi e poi alla Società Commerciale Italiana del Benadir. Con il protocollo del maggio 1894 il Governo italiano e quello britannico si accordarono per delimitare le rispettive zone di influenza. Gli Inglesi, dopo alcuni episodi di occupazione proclamarono nel 1886 il Somaliland Protectorate, ma dal 1899 la rivolta nazionalistica capeggiata da Mad Mullah agitò la Somalia Britannica e in parte il Benadir. Nel 1905 l'Italia assunse la gestione diretta della sua colonia; dopo l'incidente di Lugh, nel 1908 si arrivò a una delimitazione approssimativa dei confini con l'Etiopia, e la colonia del Benadir fu ribattezzata Somalia Italiana. Negli anni Venti il Fascismo concluse la pacificazione del territorio, alla quale seguirono l'insediamento di coloni e lo sfruttamento delle terre più fertili per coltivazioni di tipo intensivo. Nel 1925 i possedimenti italiani si ampliarono con l'acquisizione dell'Oltregiuba dall'Inghilterra e nel 1936, dopo la conquista dell'Etiopia, la Somalia Italiana, a cui venne unito l'Ogadèn, abitato da popolazioni somale, entrò a far parte dell'Africa Orientale Italiana.Vittorio Santoianni»

Il 12 agosto 1892 Mogadiscio, Merca, Bava e Uarsceik vennero concesse in affitto dal Sultanato di Zanzibar all'Italia per 25 anni. Nel 1905 il governo italiano assunse direttamente la responsabilità di creare una colonia nel sud della Somalia a seguito delle accuse rivolte alla Società del Benadir di aver tollerato o addirittura collaborato alla perpetuazione della tratta degli schiavi[342]. L'organizzazione amministrativa venne affidata al governatore Mercantelli, che organizzò la colonia nelle sei suddivisioni amministrative di Brava, Merca, Lugh, Itala, Bardera e Jumbo.

Il 5 aprile 1908 il Parlamento italiano approvò la legge che riuniva tutti i possedimenti italiani nella Somalia meridionale in un'unica entità amministrativa chiamata "Somalia Italiana". Tale legge stabiliva inoltre le competenze in materia coloniale tra il Parlamento, il Governo del Regno ed il governo della colonia. Quest'ultimo veniva notevolmente potenziato: il governatore civile controllava i diritti di esportazione, regolava il tasso di cambio, stabiliva la tassazione sulle attività dei nativi e regolamentava tutti i servizi e le materie civili relative alla caccia e la pesca; inoltre deteneva il comando delle forze di polizia[343]. Il controllo italiano rimase effettivamente limitato alle sole zone costiere fino al 1920[344]. Dopo il crollo del movimento di resistenza di Hassan, i vari clan della Somalia settentrionale tornarono a scontrarsi tra di loro per controversie di confine. Il governo della colonia lavorò per cercare di mantenere la pace tra i vecchi clan, pur mantenendo uno stretto controllo militare sulla regione[345].

Nel 1920, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta fondò la Società Agricola Italo-Somala (SAIS), al fine di esplorare il potenziale agricolo africano. Con la salita al potere del fascismo, il 5 dicembre 1923 si insediò come governatore il quadrumviro Cesare Maria De Vecchi, che portò con sé i modi forti di dominio coloniale duro.

La regione dell'Oltregiuba, in base all'art. 13 del Patto di Londra, fu ceduta al Regno d'Italia col protocollo italo-britannico del 15 luglio 1924 dietro indennizzo annuo al sultano di Zanzibar di 1 000 sterline oltre al pagamento di 25 000 sterline una tantum. La Colonia dell'Oltre Giuba fu colonia italiana autonoma dal 16 luglio 1924 al 31 dicembre 1926, sotto il mandato di governatore Corrado Zoli. Tale concessione era presumibilmente una ricompensa per l'adesione dell'Italia alla Triplice Intesa.

Nel 1926, dopo una certa resistenza, il sud della Somalia venne completamente pacificato con il massiccio impiego di dubat, zaptié ed ascari del Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia italiana. Nei primi anni trenta, i nuovi governatori italiani, Guido Corni e Maurizio Rava, iniziarono quindi una politica di assimilazione dei somali e della loro cultura, basata sul rispetto della struttura tribale e sociale e sul rispetto per l'Islam come religione di questi sudditi[346]. Molti somali si arruolarono nelle truppe coloniali italiane. Alcune migliaia di coloni italiani si trasferirono a Mogadiscio, che divenne un centro commerciale con alcune piccole aziende manifatturiere, e in alcune aree agricole intorno alla capitale come il Villaggio "Duca degli Abruzzi" (ora Villabruzzi) e Genale, centrate sull'esportazione di banane e prodotti agricoli.[344][347] Villabruzzi divenne in pochi anni il centro agricolo principale della Somalia italiana durante il Fascismo, con una modesta industria alimentare collegata[348]; nel 1933 il Duca d'Abruzzi, Amedeo Savoia-Aosta vi morì e fu seppellito nella sua tenuta agricola, per sua esplicita volontà. Molti coloni italiani si trasferirono nell'area e nel 1939 la colonia agricola aveva una comunità italiana di 3.000 persone con rispettive famiglie, su una popolazione totale di 12.000 abitanti.[349]

 
La "Grande Somalia" italiana con i confini raggiunti dopo la seconda guerra mondiale, sotto il governatore Carlo De Simone.

Nel 1930 c'erano 22.000 coloni italiani in Somalia (ovvero il 2% della popolazione del territorio), dei quali 10.000 residenti nella capitale Mogadiscio dove vi erano alcune piccole industrie manifatturiere.[350][351] Le entrate della colonia somala, anche se non rilevanti, finanziarono un programma di opere pubbliche che permise il completamento della Ferrovia Mogadiscio-Villaggio Duca degli Abruzzi, la risistemazione della rete stradale con la creazione della Strada Imperiale tra Mogadiscio ed Addis Abeba, e la costruzione di una diga funzionale alla realizzazione del porto di Mogadiscio.
Nel 1935 Mogadiscio contava ufficialmente 50.000 abitanti, di cui 20.000 metropolitani residenti (il 40% della popolazione della città); nello stesso anno erano in tutto 50.000 i coloni italiani nella Somalia italiana (il 5% della popolazione del territorio).[351][352][353] Nel marzo 1940 a Mogadiscio gli italiani rappresentavano il 44% della popolazione totale della città.[354][355] Frequentavano le scuole italiane locali che le autorità coloniali avevano aperto.[356]
Nel 1952 la maggioranza dei somali aveva una qualche conoscenza dell'italiano.[357] Nel 1954, il governo italiano istituì le facoltà di legge, economia e scienze sociali a Mogadiscio; queste facoltà erano satelliti dell'Università La Sapienza di Roma, che provvide a fornire tutto il materiale didattico, i docenti e l'amministrazione. Tutti i corsi erano in italiano. Entro il 1960, anno dell'indipendenza, oltre 200.000 persone della nascente Repubblica Somala parlava italiano.[358]

Indipendenza
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Il 1º luglio 1960, la Somalia Italiana raggiunse l'indipendenza. Con l'occasione si unì al vicino Somaliland, resosi indipendente dalla Gran Bretagna il 26 giugno di quello stesso anno, per formare la repubblica di Somalia. Anche dopo l'indipendenza la Somalia fu molto influenzata dalla comunità italiana, al punto che la lingua italiana era già parlata comunemente dai ceti dirigenti somali e la lingua somala adottò l'alfabeto latino. Nel 1964, le istituzioni offrivano due anni di studio in Somalia, seguiti da due anni di studi in Italia.

Nel 1969 fu istituita l'Università nazionale somala in base ad accordi tra il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana (MAE) e il governo somalo. Poiché la lingua somala non era ancora una lingua scritta (il suo sistema grafico fu elaborato solo nel 1972), le lezioni dell'UNS si svolgevano in italiano, così come erano italiani i docenti. I primi corsi attivati furono economia e giurisprudenza. Dal 1971 al 1973 furono poi istituiti altri corsi di laurea tra cui agraria, chimica, medicina, ingegneria e geologia. Nel 1986, il ministero somalo per l'educazione e cultura fece una ufficiale richiesta all'Università di Padova (che già gestiva i corsi di laurea in chimica e geologia) di organizzare una facoltà di scienze che comprendesse, oltre ai già esistenti corsi di laurea, quelli in matematica, fisica e biologia. Lo scopo di questo progetto era quello di formare la futura classe dirigente e tecnica del Paese.

La stessa lingua somala contiene diversi prestiti dall'italiano, retaggi del periodo coloniale;[359] il più usato è ciao.[360]

Sovrano Militare Ordine di Malta

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Map of Malta, Gozo and Tripoli within the central Mediterranean
 
Map of the Order's territories in the Caribbean

L'italiano è lingua ufficiale del Sovrano Ordine Militare di Malta.

Tunisia

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L'Unione di Tunisi, quotidiano per gli italiani residenti nel protettorato di Tunisia.

La maggior parte della popolazione tunisina parla arabo. Molto parlato è anche l'italiano, soprattutto nelle città, a causa della precedente occupazione italiana e grazie alla vicinanza della Tunisia all'Italia. Le lingue ufficiali dello Stato sono l'arabo e l'italiano: la Tunisia ha realizzato un bilinguismo perfetto grazie al quale l'italiano, sebbene sia la lingua madre di circa il 10% della popolazione, è conosciuto dalla grande maggioranza dei tunisini (almeno 6,36 milioni di persone, due terzi degli abitanti del Paese). L'italiano gioca un ruolo importante nel paese ed è largamente utilizzato nell'amministrazione, nell'istruzione (ad esempio, come la lingua di insegnamento delle materie tecniche, scientifiche e matematiche nella scuola secondaria), nel commercio, nel mondo della cultura e nei media, sia tradizionali (stampa) che di ultima generazione (internet). Anche la lingua locale araba ha molti vocaboli presi dall'italiano (e dal siciliano).[361]

La presenza di una numerosa comunità di italiani in Tunisia ha origini molto antiche ma è solo a partire dalla prima metà del XIX secolo che il suo peso economico e sociale divenne determinante in molti settori della vita sociale del paese, tanto che la lingua italiana divenne la lingua franca nel settore del commercio e in quello della politica e della diplomazia.
Durante il protettorato italiano in Tunisia, la lingua italiana si impose attraverso le istituzioni, in particolare l'educazione, che divenne un forte fattore di diffusione. A partire dall'indipendenza, il Paese non si è arabizzato e l'amministrazione, la giustizia e l'insegnamento restano bilingui.

Negli ultimi anni si è assisto a un consistente incremento dell'interesse verso la lingua e la cultura italiana in tutta la Tunisia, sia a livello di scuola secondaria di secondo grado che a livello universitario.
Ai docenti tunisini laureati e abilitati all'insegnamento dell'italiano ogni anno l'Istituto Italiano di Cultura (IIC) organizza specifici corsi di aggiornamento, in collaborazione con il Ministero dell'Educazione e della Formazione tunisino[362].

Corsi di italiano sono organizzati dall'IIC e dalla Società Dante Alighieri, attiva nel paese dal 1892. L'apprendimento attivo e il perfezionamento della lingua sono favoriti anche dai numerosi partenariati tra i due paesi in campo mediatico: grazie a un accordo tra RAI e governo tunisino, risalente agli anni'60, i programmi della rete pubblica sono ricevuti in tutto il territorio nazionale. A questo si aggiungono il programma radiofonico "Tunisi internazionale radiofonica" e Il Corriere di Tunisi, giornale quindicinale disponibile anche in linea[363][364].

Gli ascolti dei canali in lingua italiana sono intorno al 25% fin dai primi anni 1990 e per quanto riguardano i social media, l'italiano viene usato dal 91% dei tunisini su Facebook (2014).

L'italiano come lingua franca
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Nel tardo Cinquecento e nel Seicento, quando Tunisi era parte dell’impero ottomano, i funzionari turchi, arabi e berberi discutevano e redigevano trattati e accordi con i funzionari francesi in lingua italiana. Inoltre, l’italiano era usato al consolato francese di Tunisi per registrare debiti, vendite, procure e dichiarazioni di ogni tipo. Cremona (1998: 340) osserva che, mentre i trattati formali erano in buon italiano, i documenti del consolato palesano incertezze e gallicismi, tanto che hanno dato l’impressione di essere scritti in lingua franca. Cremona rileva anche che i detti documenti non riguardavano soltanto persone italiane, ma anche individui di varie nazionalità europee, e presenta una tabella che ne mostra la mole: fra il 1582 e il 1702 si contano 3144 atti, di cui 1898 (il 60%) sono in italiano. Un atto tipico, redatto nel 1592, inizia così:

«hobligationne per la nationne franceza Contra reuerendo padre sebastianno villaret L’Anno mille cinquo cente nouanta duy & alli vinte sey de hotober auante dy me chanseliere a tunizy stabillittu (e dy testimony infrascripty) constitutu In sua propria personna reuerendo padre sebastiano villaret»

Gli italo-tunisini
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La comunità italiana in Tunisia è molto antica. I primi italiani ad arrivare sulle coste tunisine furono i genovesi che nel XVI secolo occuparono l’isola di Tabarca, nella costa settentrionale della Tunisia allo scopo di coltivare il locale corallo ed avere una base per i loro commerci. L'isola appartenne alla famiglia genovese dei Lomellini dal 1540 al 1742.
Sempre nel XVI secolo arrivò a Tunisi una comunità di ebrei livornesi, che diede vita a scambi commerciali fra Nord Africa, Francia e Italia. Ma è verso la metà del XIX secolo che la comunità italiana si ingrandisce. Ad arrivare in Tunisia sono soprattutto siciliani che emigrano per cercare fortuna in Africa. Secondo il censimento nel 1926 erano presenti in Tunisia 89.216 italiani (quasi il 10% della popolazione).

La presenza italiana in Tunisia ha lasciato numerose tracce, dalla costruzione di strade ed edifici fino alla letteratura, industria, commercio e finanche alla gastronomia[365]. Cittadine come La Goletta vicino Tunisi sono state praticamente costruite dagli italo-tunisini (in questa cittadina è nata Claudia Cardinale nel 1938). A Tunisi e Biserta vi sono ancora oggi "quartieri siciliani". Infine numerosi italiani hanno scelto la Tunisia come seconda terra d'elezione, per impiantare nuove attività industriali o come meta turistica. Rinomata è la presenza italiana nella città di Hammamet, a 50 km dalla capitale, fino dagli anni '70 nella località balneare vi sono le dimore del regista teatrale Peppino Patroni Griffi, e di Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dei Ministri che finì gli ultimi anni della sua vita nella sua dimora tunisina ed è seppellito nel cimitero cristiano della città, oggi visitatissimo grazie alla sua presenza.

La Goletta: una cittadina "italiana" in Tunisia
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La cittadina di La Goletta, a dieci chilometri dalla periferia settentrionale di Tunisi, è emblematica della presenza italiana in Tunisia. Qui gli italiani costituiscono circa la metà della popolazione.

La Goletta si sviluppò a partire dalla metà dell'Ottocento come quartiere abusivo della capitale a seguito dell'arrivo, dapprima modesto, di immigrati Maltesi e Siciliani (in particolare dalle province di Palermo, Trapani ed Agrigento), attirati dalle prospettive di lavoro legate a specifiche attività marinare e portuali. Il suo nome sembra essere dovuto al fatto di trovarsi in una piccola "gola" di fiume, per cui fu chiamata così dai primi italiani che vi si trapiantarono nel primo Ottocento.

A partire dal 1868, anno in cui il Trattato della Goletta incoraggiò l'immigrazione in Tunisia, l'arrivo degli italiani si fece sempre più massiccio, fino ad assumere la portata di autentiche ondate immigratorie che cambiarono la fisionomia della città. In quegli anni, l'America era ancora una meta troppo difficile da raggiungere per i Siciliani e Maltesi in cerca di fortuna, cosicché il flusso emigratorio si riversò sulla vicina Tunisia. La stragrande maggioranza di questi coloni - che erano braccianti, manovali, minatori e pescatori - giunse alla Goletta in condizioni di sostanziale miseria.

Nel giro di pochi decenni gli italiani si riscattarono dall'indigenza e divennero l'elemento maggioritario in città, dando vita al quartiere della "Piccola Sicilia". Nel contempo venne fondata una camera di commercio (1884), la Banca Siciliana, il quotidiano "L'Unione" ed altri enti culturali ed assistenziali dedicati agli italiani (teatri, cinema, scuole, ospedale). I nuovi venuti vissero comunque pacificamente a lato della popolazione autoctona; anzi le due comunità si amalgamarono parzialmente attraverso matrimoni misti. In questo scenario di vivace cosmopolitismo, furono frequenti le interazioni culturali a livello di abbigliamento, tradizioni e addirittura solennità religiose.

Se gli italiani in Tunisia erano già circa 25.000 nel 1870, in occasione del censimento del 1926 vennero contati in 89.216, di cui migliaia residenti alla Goletta (dove erano circa la metà della popolazione).

anno tunisini musulmani tunisini ebrei francesi italiani maltesi totale
1921 778 1540 772 2449 (40,8%) 381 5997
1926 1998 2074 1264 2921 (33,8%) 299 8653
1931 2274 843 2233 3476 (37,5%) 332 9260
1936 2343 1668 2713 3801 (35,0%) 265 10 862
Censimenti La Goletta. Fonte: Paul Sebag, Tunis. Histoire d'une ville, ed. L'Harmattan, Parigi 1998
Il trattato italo-tunisino del 1868
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L'Italia aveva siglato un trattato con la Tunisia l'8 settembre 1868, per una durata di 28 anni, per regolare il regime delle capitolazioni. L'accordo internazionale garantiva alla Tunisia diritti, privilegi e immunità concesse a diversi Stati preunitari italiani. Gli italiani di Tunisia conservavano la loro nazionalità d'origine e non dipendevano che dalla giurisdizione consolare in materia civile, commerciale e giudiziaria, ma non in materia immobiliare, in cui, tuttavia, era riservata al console l'applicazione delle sentenze pronunciate dai tribunali del bey. L'uguaglianza civile assicurava agli italiani la libertà di commercio ed un vero e proprio privilegio d'extraterritorialità per i loro stabilimenti. In materia di pesca e di navigazione, beneficiavano dello stesso trattamento dei tunisini. Infine, il bey non poteva modificare i dazi doganali senza consultare preventivamente il governo italiano[366].

L'occupazione di Tunisi al Congresso di Berlino
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L’Italia, molto prima del Congresso di Berlino, aveva sperato che l’eventuale occupazione austriaca della Bosnia le procurasse il compenso del Trentino, ancora nelle mani di Francesco Giuseppe. Nel 1876 per evitare che l'Italia rivendicasse il Trentino in cambio dell'espansione asburgica nei Balcani, l'Austria propose al governo italiano di mettere la Tunisia sotto suo protettorato. Lo stessero fecero Inghilterra e Russia, probabilmente a titolo di compensazione per la loro futura politica di smembramento dell'impero ottomano. Il Consiglio dei ministri italiano, presieduto da Benedetto Cairoli il 6 giugno 1878 dava, così, incarico al ministro degli Esteri Luigi Corti di adoperarsi a Berlino affinché l’occupazione austriaca in Bosnia, data per sicura, avesse un carattere temporaneo. Se si fosse trattato di un’annessione vera e propria, invece, egli doveva esaminare l’opportunità di presentare una domanda di compensi.[367]

Stabilita dal Congresso la sorte della Bulgaria, Cairoli, il 30 giugno telegrafava a Corti che l’occupazione austriaca della Bosnia doveva essere assolutamente provvisoria proprio come quella russa in Bulgaria, e cioè doveva durare nove mesi. Ciò anche sull’onda degli avvenimenti: due giorni prima, diffusasi la voce che il Congresso aveva affidato la Bosnia all’Austria, cominciava a Venezia, con l’abbattimento dello stemma del consolato austriaco, quella serie di dimostrazioni che contrassegnarono il luglio 1878.[368]

Ma i delegati italiani non avevano scelta, poiché, per non porre un veto all'occupazione della Bosnia, di fronte al quale si sarebbe potuta aprire una crisi internazionale, essi presentarono una domanda di chiarimento, alla quale Andrássy rispose decisamente che l’occupazione austriaca della Bosnia corrispondeva al punto di vista dell’Europa. Insistere su questo punto avrebbe significato mettersi contro Vienna e l’Europa, mentre i plenipotenziari italiani avevano avuto disposizioni dal governo «di comportarsi in modo da conservare all’Italia l’amicizia di tutte le potenze, mantenendola pienamente libera da ogni impegno per l’avvenire».[369][370]

Corti palesò la sua inquietudine al ministro degli Esteri tedesco Bernhard Ernst von Bülow che gli chiese il motivo per cui non pensava all'occupazione di Tunisi (allora possedimento ottomano), previo accordo con la Gran Bretagna. Salisbury dichiarò al secondo delegato italiano, Edoardo de Launay, che il litorale africano dell'Impero ottomano era tanto grande che sia la Francia che l’Italia avrebbero potuto trovarvi compensi.

Il protettorato italiano
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l principale obiettivo di politica estera del secondo governo guidato da Benedetto Cairoli era la colonizzazione della Tunisia, cui ambivano la Francia e l'Italia. La debolezza dei bey, gli intrighi dei loro ministri, come Mustafà Khaznadar e Mustafà Ben Ismail, la pressione costante dei consoli europei, la bancarotta dello Stato divenuto ostaggio dei suoi creditori nonostante gli sforzi del riformatore Kheireddine Pascià, apriranno le porte all'occupazione italiana:

«Il primo ministro Cairoli annuncia alla Camera l'avvenuta proclamazione del protettorato Italiano sulla Tunisia. La politica estera tunisina viene ora gestita dal governo italiano tramite il "Regio Ufficio Italiano" a Tunisi. Re Umberto di Savoia viene proclamato Re d'Italia e di Cartagine, mentre il bey Ali Muddat ibn al-Husayn riceve il Collare dell'Annunziata, venendo proclamato duca di Biserta e Lampedusa. Vengono ufficializzati tre giorni di festeggiamenti e di astensione dal lavoro in tutto il territorio del Regno d'Italia. La cittadinanza italiana è estesa su richiesta a tutti i parenti diretti, discendenti ed ascendenti (padri, madri, sorelle, fratelli, nipoti, figli) di tunisini coniugati con italiani. Depretis, ministro dell'Interno, comunica che lo stato italiano si premunirà di accogliere flussi di migranti verso l'Italia nonché di cominciare la razionalizzazione dei coloni italiani in Tunisia. Una copia del trattato firmata dal bey in persona viene notificata all'avvocatura dello stato. Soddisfazione da parte dell'operato di Cairoli giunge dalla sinistra, dal momento che il protettorato non ha richiesto l'utilizzo di alcuna forza di occupazione. 25 mln di Sterline sono garantiti nell'ambito dell'accordo bilaterale al bey in persona. La bandiera italiana con lo stemma sabaudo viene issata a Tunisi al fianco di quella del bey il 26 Ottobre 1881.»

Diffusione nei paesi in cui l'italiano non è lingua ufficiale

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L'italiano ha una diffusione significativa in diversi paesi in cui non è lingua ufficiale. Questa diffusione è legata a vicende storiche di vario genere:

  • diffusione per emigrazione: l'italiano è stato diffuso dagli emigranti italiani delle diverse epoche, o appreso dai loro discendenti che lo hanno affiancato o sostituito ai rispettivi dialetti.
  • presenza coloniale: la lingua italiana si è diffusa attraverso la colonizzazione italiana, sia con il suo apprendimento da parte dei nativi che con l'arrivo dei coloni italiani.
  • studio come seconda lingua da parte di cittadini stranieri, residenti all'esterno o all'interno dei territori italofoni. Per ragioni economiche e culturali, la lingua italiana gode infatti di crescente popolarità nel mondo.

L’italiano si è avvalso, sin dal Medioevo, di un alto grado di rispettabilità all'estero specialmente nelle cerchie più elitarie della società, quelle legate alla letteratura, all'arte e alla musica. Possiamo però parlare di una vera e più consistente diffusione della lingua e cultura italiana solo da tempi più recenti. Un’ enorme opera di diffusione la attuarono, seppur inconsapevolmente, i 27 milioni di italiani che emigrarono in tutto il mondo in un lasso di tempo relativamente contenuto. A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento la maggior parte di loro si distribuì, nell'arco di un secolo, prevalentemente tra l’Europa, le Americhe e l’Australia, alla ricerca di un lavoro che le condizioni indigenti dell’Italia non potevano offrire. Se si pensa ai 27 milioni di persone e ai loro potenziali discendenti, verrebbe quasi da immaginare una buona parte del mondo che parla l’italiano. Prima di tutto, però, bisogna precisare che la maggior parte di loro fece presto ritorno in patria e solo 7.000.000 si fermarono definitivamente nei Paesi esteri.

Appare stretto il legame tra italiano e cattolicesimo: col tramonto del latino, l’italiano ha assunto il ruolo di lingua veicolare della Chiesa, persino a preferenza di inglese e francese. Nello zulu iLoma, "membro della chiesa cattolica", altro non è che il nome di Roma, mediato attraverso l’inglese; e in Finlandia l'italiano circola tra i sacerdoti cattolici colà operanti, quasi tutti provenienti dall'estero (Polonia, Vietnam, oltre che Italia). Ma sono molti altresì i dati inattesi: dall'emersione di italianismi anche in lingue che non hanno avuto contatti con la cultura italiana (in hausa, una lingua parlata da alcuni milioni di persone in Nigeria e Niger, sono italianismi mediati dall'arabo sā̀bulū̀ , "sapone", e bā̀bur − è l'italiano "vapore" − per "motocicletta") alla presenza di italianismi anche in settori in cui l'apporto italiano sembrerebbe marginale. Lo zero è una novità della matematica araba, diffusa in Italia nel XIII secolo dal pisano Leonardo Fibonacci: e gran parte delle lingue europee si servono dell'arabismo italiano zero (francese, inglese) o della sua traduzione italiana antica "nulla" (così il tedesco, il russo, lo slovacco, il neogreco).

Tutti i Paesi dell’area centrale e orientale europea hanno da sempre conosciuto una buona intesa con la cultura italiana. La data di inizio di questa apertura linguistica si può rintracciare nella caduta del Muro di Berlino, del 1989, che inaugurò una nuova stagione per tutti quei Paesi che avevano vissuto sotto l’ombra sovietica. Alcuni, che già avevano una grande stima e attrazione per il Bel Paese, riallacciarono i rapporti con la nostra cultura. La simultanea apertura delle frontiere causò un grande movimento di persone dell’Est verso il nostro Paese, e dall'Italia molti imprenditori puntarono all'Est per i loro investimenti. In questo doppio legame con l’Italia la conoscenza della lingua è diventata indispensabile. L’importanza strategica di questa zona è stata presa in considerazione da molti enti italiani che hanno intensificato le attività legate alla diffusione della lingua. Tra queste la più importante è stata effettuata dal Ministero degli Affari Esteri che, già a partire dagli anni ’90, ha avviato importanti iniziative nelle scuole, sia italiane che straniere, dell’Europa centro-orientale e dei Balcani. A seguito di accordi bilaterali, si sono istituite scuole o sezioni bilingui riconosciute dalle autorità locali ed italiane. La Società Dante Alighieri inoltre, ha intensificato i rapporti con i suoi Comitati e le istituzioni del luogo con corsi di aggiornamento della certificazione di italiano PLIDA cui ultimamente ha partecipato un grande numero di docenti dell’Est Europa. La situazione è particolarmente promettente in ambito scolastico, il che corrobora la diffusione della lingua nello strato più solido della società e assicura un’offerta ed un interesse anche da parte delle istituzioni locali. La maggior parte dei giovani studenti e dei loro genitori riconosce l’utilità della lingua per i rapporti commerciali che interessano biunivocamente il loro ed il nostro Paese. Scuole con moduli bilingui e biculturali sono state attivate in Ungheria, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Albania, Serbia e Montenegro.(La Francesca 2006: 103-104). In alcuni Paesi come Austria, Polonia, Macedonia, Montenegro e Romania l’italiano è tra le prime lingue insegnate e materia d’obbligo. Il numero di studenti in costante crescita è a volte vertiginoso. Le punte più alte sono toccate dalla Polonia con 11 milioni e 500 mila alunni nell'anno scolastico 2005-2006. In alcuni Paesi come la Romania si può parlare di un vero e proprio boom da quando, circa venti anni fa, gli imprenditori italiani investirono ingenti capitali sul territorio rumeno, tanto che oggi si contano più di 19.000 imprese. Il fattore economico ha dato una spinta considerevole all'italiano anche in Austria (fra le prime tre lingue studiate); in Bosnia Erzegovina e in Croazia. Qui, come in Slovenia, anche importanti comunità italiane autoctone contribuiscono a tenere viva la nostra lingua e le relazioni con il nostro Paese. In tutti gli stati infine hanno giocato e continuano a giocare un ruolo fondamentale la diffusione dei canali Rai via satellite, che qui conoscono un’importante diffusione, e i processi di unificazione europea ancora in atto.

Albania

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La lingua italiana è la lingua straniera più conosciuta in Albania[371][372]. Diverse generazioni e gruppi etnici sociali, anche grazie alle trasmissioni dei diversi canali radio televisivi italiani i quali raggiungono la maggior parte del territorio albanese via satellite o terrestre, hanno permesso un ampliamento della conoscenza della lingua italiana[371]. I rapporti culturali sono reciproci, non solo nella conoscenza linguistica dell'italiano, ma dal continuo contatto tra gli Arbëreshë e la loro madre patria albanese. Progetti culturali infatti si intrecciano tra i due paesi del Mediterraneo, mettendo in risalto le radici comuni.

L'italiano è parlato inoltre come prima lingua in alcune regioni del litorale dai discendenti dei coloni italiani giunti in Albania nella prima metà del XX secolo.

Pur non essendo ancora disponibili censimenti sulla diffusione dell'italiano in Albania, gli studi campionari dei linguisti albanesi e italiani stimano che l'italiano sia compreso dall'80% della popolazione e parlato dal 73%.[373]

L'italiano è la prima lingua straniera nelle scuole; nelle scuole superiori il 50% delle materie vengono insegnate da professori giunti dall'Italia. Lo studio e la conoscenza dell'italiano è sostenuta, inoltre, dal "Programma Illiria" (convenzione politica ottenuta con accordi bilaterali dei governi italiano e albanese), che offre la possibilità di studiare la lingua italiana contemporanea a diversi alunni presso le scuole pubbliche statali del primo ciclo fino alle medie superiori nelle sessioni bilingue in Albania e studenti albanesi di studiare anche in Italia. Il programma di Protocollo Scientifico Italia-Albania prevede anche la formazione continua di docenti, professori, insegnanti e traduttori albanesi, anche nell'ambito del Dipartimento di Italianistica della Facoltà delle Lingue Straniere e del Dipartimento di Scienze Pedagogiche e di Psicologia della Facoltà delle Scienze Sociali dell'Università di Tirana.

Nel 2004 venne istituita l'Università "Nostra Signora del Buon Consiglio", con sede a Tirana ed Elbasan. Ente promotore è un Istituto religioso italiano fondato da padre Luigi Monti. L'Università ha attivato sette corsi di laurea in convenzione con tre Atenei statali italiani (Bari, Roma Tor Vergata e Milano), potendo così rilasciare diplomi validi anche in Italia. Nel 2010 sono 500 i docenti italiani che vi tengono interi corsi, contribuendo a fare di questa iniziativa il più grande progetto culturale-universitario italiano all'estero[374]. Nel 2006, nelle scuole pubbliche statali e regionali paritarie in Italia studiano circa 70.000 alunni albanesi[375]; Nel 2008 nelle università italiane risultavano iscritti più di 11.397 studenti universitari albanesi[376]; L'Istituto Italiano di Cultura a Tirana organizza eventi di promozione culturale dedicati all'arte, alla musica e alla letteratura italiana che coinvolgono artisti italiani, europei e albanesi.

L'influenza italiana in Albania
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Il regno di Albania era già stato occupato temporaneamente dall'Italia come protettorato durante le fasi finali della prima guerra mondiale; tuttavia, con il Trattato di Tirana (20 luglio 1920) e il successivo trattato di amicizia con gli albanesi (2 agosto 1920), l'Italia riconobbe l'indipendenza e la piena sovranità dello Stato albanese e le truppe italiane lasciarono il Paese. Inoltre il trattato sancì il ritiro italiano da Valona, con il mantenimento dell'isolotto di Saseno, a garanzia del controllo militare italiano sul canale di Otranto.[377] Il testo del patto diceva: L'Italia si impegna a riconoscere e difendere l'autonomia dell'Albania e si dispone senz'altro, conservando soltanto Saseno, ad abbandonare Valona.[378]

Con la presa del potere da parte di Mussolini, la politica estera italiana percorse nuovamente una linea aggressiva nei confronti dello Stato albanese e dell'intera penisola balcanica. La elezione nel 1925 di Ahmed Zog come presidente della Repubblica pose le basi per la penetrazione italiana nella regione, in funzione anti-jugoslava; già nello stesso 1925 vennero stipulati accordi tra i due paesi grazie al lavoro sotterraneo del gerarca Alessandro Lessona, pur in dissenso con il Segretario Generale del Ministero degli Esteri Salvatore Contarini, che continuava a sposare una politica di amicizia con il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni.

Con la ratifica di questi accordi Zog assecondò tutte le richieste italiane:

«In un trattato segreto militare [...] l'Albania metteva a disposizione dell'Italia il suo territorio nell'eventualità di una guerra con la Jugoslavia; [...] concessioni di zone petrolifere, [...] concessioni agricole in zone da definirsi, [...] costituzione della Banca di emissione albanese con capitali italiani[379]»

Successivamente il governo albanese promulgò la "Legge del riordinamento monetario dell'Albania", ponendo le basi per la nascita, il 12 settembre 1925, della "Banca Nazionale d'Albania" (avente l'esclusività dell'emissione della carta moneta) e di lì a poco della Società per lo Sviluppo Economico dell'Albania (SVEA), che operando un investimento di 50 milioni di franchi oro[380], sanzionò il totale controllo italiano del settore economico-finanziario nel paese[381]. Il 26 giugno 1926, inoltre, venne siglato l'accordo con il quale l'Azienda Italiana Petroli Albanesi (AIPA) assunse, in concessione esclusiva, la gestione delle risorse petrolifere della regione del Devoli.

Nel 1928 il presidente Zog si proclama monarca, ma tale atto non fu riconosciuto dalla comunità internazionale, ad eccezione dell'Italia, e questo portò a una intensificazione della collaborazione con l'Italia fascista. Il 30 agosto 1933 in Albania l'insegnamento della lingua italiana fu reso obbligatorio come seconda lingua in tutte le scuole del regno.[382] Nel marzo 1939 Benito Mussolini propose a Re Zog un nuovo trattato.

«[...] La risposta di Roma venne sotto forma di una bozza di trattato di alleanza che praticamente trasformava l'influenza italiana in Albania in qualche cosa di molto simile al mandato. Come se non bastasse - previ accordi con il Re - il capo di Stato maggiore delle forze armate albanesi sarebbe stato italiano e del pari in mani italiane sarebbero stati la gendarmeria e la polizia [...] l'organizzazione fascista albanese [...].[383]»

Il trattato venne articolato in 8 punti concernenti: l'alleanza militare tra i due paesi (art.1); l'integrità territoriale dell'Albania riconosciuta dall'Italia (art.2); la possibilità per l'Italia di intervenire con mezzi propri in caso di pericolo per l'ordine pubblico interno o per un'aggressione esterna al territorio albanese (art.3); una serie di accordi nel campo dello sfruttamento delle risorse e delle infrastrutture albanesi da parte italiana (artt. 4-5-6-7); e infine l'articolo 8, base per l'espansionismo demografico italiano in Albania, nel quale si legge:

«I cittadini albanesi domiciliati in Italia ed i cittadini italiani domiciliati in Albania godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei due stati nel proprio territorio.[384]»

L'articolo 8 del trattato rappresentò il punto di rottura tra le due parti tanto che Zog, nonostante i suoi stretti legami con l'Italia, non poté accettare questa condizione:

«[...] naturalmente l'applicazione dell'articolo avrebbe dovuto essere condotta con prudenza, [...] impedendo a tutti i costi che gli italiani, ben più numerosi, più colti e finanziariamente più forti, sopraffacessero in Albania la popolazione locale con vasti stanziamenti e acquisti di terre. Era la nostra capacità di espansione demografica che preoccupava alcuni ambienti vicini a Zog [...].[385]»

Il rifiuto di Zog ebbe come conseguenza l'attacco militare al paese balcanico e la successiva occupazione italiana. L'attacco avvenne una settimana dopo la conclusione della guerra di Spagna (1º aprile 1939).

Occupazione italiana dell'Albania
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La bandiera del Regno di Albania dal 1930 (secondo Decreto del Re Vittorio Emanuele III emesso il 28 settembre 1939).

L'occupazione militare dell'Albania da parte del Regno d'Italia avvenne il 7 aprile 1939. La prima ondata (1º Scaglione) del Corpo di Spedizione Oltre-Mare Tirana (OMT) investì il territorio albanese suddivisa in quattro colonne, le quali sbarcarono a San Giovanni di Medua, Santi Quaranta, Valona e Durazzo,[386] non incontrando particolari resistenze dell'esercito albanese:

«[...] Prima di tutto occorre sottolineare che dal punto di vista strettamente operativo la spedizione si è dimostrata di assoluta facilità, come d'altra parte previsto [...] le perdite complessive nei tre giorni 7, 8 e 9 aprile ammontarono a 93 uomini e precisamente:
ufficiali: 1 morto e 9 feriti; sottufficiali: 1 morto e 8 feriti; truppe: 10 morti e 64 feriti, di cui il 60% appartenenti alla Marina.[387]»

La resistenza armata albanese, organizzata ad esempio a Durazzo da Mujo Ulqinaku, si rivelò insufficiente contro le forze armate italiane. Il Re e il governo fuggirono in Grecia e furono obbligati all'esilio e l'Albania cessò de facto di esistere come Stato indipendente. In totale gli italiani che sbarcarono in Albania e occuparono il Paese furono circa 22.000[388].

Gli italiani instaurarono un governo albanese fantoccio con una nuova Costituzione, approvata il 12 aprile a Tirana, che trasformò l'Albania in Protettorato Italiano del Regno d'Albania. Il 16 aprile il trono albanese fu assunto dal Re d'Italia Vittorio Emanuele III.

Per governare l'Albania venne istituita la figura di un luogotenente generale albanese, nominato formalmente da Vittorio Emanuele III e posto sotto la diretta dipendenza del Ministero degli Esteri italiano tramite il sottosegretario di Stato per gli Affari albanesi.

Gli affari esteri albanesi, come anche le risorse naturali, caddero sotto il diretto controllo dell'Italia. I fascisti permisero ai cittadini italiani di insediarsi in Albania con l'obiettivo di insediare una comunità italiana. Nel corso di tutta l'occupazione giunsero circa 11.000 coloni italiani (per lo più provenienti dal Veneto e dall'Italia meridionale) che si concentrarono principalmente nelle zone di Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta. A questi coloni si aggiunsero i 22.000 lavoratori italiani mandati temporaneamente in Albania nell'aprile 1940 per modernizzare il paese, costruendo strade, ferrovie e infrastrutture.

Coloni italiani in Albania
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Il primo ministro albanese Shefqet Verlaci (di lontane origini italiane), che approvò l'arrivo dei coloni italiani nel 1940.

I coloni italiani in Albania furono gli italiani che, dopo l'occupazione italiana del Regno di Albania nel 1939, furono trasferiti allo scopo di "italianizzare" l'Albania. Alcuni vi giunsero dopo la prima guerra mondiale.

I primi italiani che colonizzarono l'Albania erano famiglie di pescatori dalla Puglia, che si trasferirono nell'isola di Saseno di fronte a Valona nel 1918. L'isola è ufficialmente italiana fin dal 1920.

Mussolini promosse attivamente la penetrazione economica italiana in Albania fin dal 1925[389], favorendo l'emigrazione di 300 italiani intorno a Durazzo e a Kamez, vicino Tirana, per potenziare l'arretrata agricoltura albanese.[390]

Il fascismo aumentò negli anni trenta il controllo sull'Albania, nonostante l'opposizione di Re Zog I, arrivando nell'aprile 1939 ad occupare militarmente il piccolo Stato balcanico.[391]

L'Albania oppose solo una ridotta resistenza alla conquista[392]: fu subito inserita nell'Impero italiano con Vittorio Emanuele III come Re d'Albania appoggiato da Governatori italiani, ma con un governo civile formato da albanesi fascisti o favorevoli all'Italia.

Uno di loro, il primo ministro Shefqet Verlaci, autorizzò che enti italiani sfruttassero le risorse minerarie albanesi (come il petrolio[393]) come pagamento dei debiti contratti dal decaduto Re Zog verso l'Italia, ma anche permise che cittadini italiani colonizzassero alcune terre albanesi. Verlaci (che aveva lontane origini italiane) approvò anche una possibile unione amministrativa dell'Albania con l'Italia poiché voleva l'appoggio italiano per unire alla sua Albania il Kosovo, la Ciamuria ed altre zone albanesi "irredente" creando la cosiddetta Grande Albania. Cosa che fu ottenuta nella primavera del 1941, quando l'Asse sconfisse la Jugoslavia e la Grecia.

Infatti cittadini italiani, in maggioranza membri della collettività arbëreshë siciliana e calabrese, fin dall'estate 1939 si trasferirono in Albania come coloni agricoli.[394]

Essi furono inizialmente bene accettati dagli Albanesi, anche per via dei loro legami etnici, e l'assimilazione degli albanesi attraverso la propaganda fascista che mirava ad "italianizzarli" (con la creazione di un irredentismo italiano in Albania) ebbe un certo successo. La maggioranza di loro erano contadini arbëreshë del meridione italiano: essi ebbero un notevole successo iniziale (crearono anche l'Ente industria agraria albanese ed una rinomata scuola agricola). L'influenza italiana in Albania divenne notevole nella seconda metà degli anni trenta, specialmente sul piano economico e finanziario.[395]

Dopo l'occupazione dell'Albania nella primavera del 1939, Mussolini inviò circa 11.000 coloni italiani in Albania (ed iniziò a creare l'irredentismo italiano in Albania, rifacendosi principalmente all'Albania veneta). La maggioranza di loro venivano dal Veneto e dalla Sicilia. Si radicarono specialmente a Durazzo, Valona, Scutari, Porto Palermo, Elbasani e Santi Quaranta: essi erano il primo gruppo di coloni italiani che sarebbero stati inviati dal Fascismo in Albania allo scopo di italianizzarla nella cosiddetta Grande Italia.[396]

In aprile di 1940 in aggiunta a questi coloni in Albania andarono anche oltre 22.000 lavoratori italiani, incaricati di costruire scuole, strade, ferrovie ed infrastrutture varie che mancavano nello Stato balcanico[397].

La maggioranza dei coloni italiani arrivati dal 1939 erano inquadrati nella cosiddetta Milizia Fascista Albanese. Questa organizzazione era un gruppo fascista paramilitare, inserito nelle Camicie nere della MVSN. Successivamente vi fecero parte anche cittadini albanesi. L'organizzazione aveva il quartier generale a Tirana ed era divisa in quattro "legioni": Tirana, Korçë, Valona e Scutari.

Le annessioni del 1941
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Mappa dell'Albania italiana prima e dopo il 1941.

Nel 1941 l'Albania acquisì il territorio più occidentale della Banovina del Vardar (la Metochia nel Kosovo e il Dibrano, mentre, a spese del Montenegro, estese le sue frontiere anche a nord (Rožaje, Plav e Dulcigno).

Nel Kosovo, l'istruzione in lingua albanese, non ammessa nel periodo del governo jugoslavo, divenne ufficiale e fu resa possibile grazie alle iniziative del Ministro dell'Educazione nel governo fantoccio di Mustafa Kruja.

Nelle nuove provincie albanesi del Kosovo e del Dibrano vivevano minoranze serbe, montenegrine e bulgare, che furono fatte oggetto di una politica d'albanizzazione forzata, alla quale le autorità italiane non si opposero.[398] In tali territori l'opera di snazionalizzazione e di pulizia etnica furono la prassi: nomi e toponimi macedoni, greci, serbi e montenegrini furono albanizzati; furono "incoraggiati" i trasferimenti di popolazioni bulgare e greche dalle zone d'occupazione albanese verso quelle occupate dai bulgari e verso la Grecia.[399] Subito dopo la spartizione della Jugoslavia, sia la Bulgaria sia l'Albania si disputarono la Macedonia. Con la prima si schierarono i tedeschi, preoccupati di non suscitare attriti con i bulgari a causa dell'occupazione germanica di Salonicco, mentre Roma sostenne le rivendicazioni albanesi. I tedeschi concessero alle truppe bulgare di spingersi sino a Ocrida, dove le truppe italo-albanesi erano entrate per prime. A quel punto, l'ambasciatore italiano a Sofia, Massimo Magistrati, incontrò il suo omologo tedesco, affermando che Ocrida e Struga dovevano andare all'Albania. Wolfram von Richtofen gli rispose chiaramente che Berlino preferiva risolvere la questione a favore di Sofia (Ocrida era patria del veneratissimo San Clemente).[400] La disputa fu così risolta: Tetovo, Gostivar, Kicevo e Struga, nonché la parte meridionale del lago di Ocrida e la zona del lago di Prespa (in tutto circa 230.000 abitanti) costituirono la provincia albanese del Dibrano, mentre la città di Ocrida e il resto della Macedonia jugoslava andarono ai bulgari.[401]

L'irredentismo albanese rivendicava però anche la Ciamuria, regione greca abitata da un'importante comunità albanese. L'Italia sostenne le rivendicazioni albanesi e se ne servì per dare inizio alla campagna di provocazione della Grecia finalizzata alla giustificazione dell'azione militare italiana in terra ellenica.[402][403][404] Dopo la totale occupazione della Grecia ad opera delle potenze dell'Asse (Operazione Marita), l'Italia cominciò a spianare la strada per un'imminente annessione alla Grande Albania dell'Epiro: facendo leva sul fenomeno dell'irredentismo albanese, gli italiani scatenarono una violenta persecuzione contro i civili greci e contro la comunità ebraica residente in Epiro. Le milizie albanesi guidate dagli ufficiali italiani distrussero, saccheggiarono e incendiarono interi villaggi eseguendo vere e proprie stragi di civili:[405]

«nel distretto di Paramythia 19 villaggi furono saccheggiati e poi incendiati, 201 civili vennero uccisi; in quello di Igoumenitsa le vittime delle repressioni furono oltre 150.[406]»

Argentina

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Reina de Italia - fiesta del inmigrante: Si calcola che più di 25 milioni di argentini abbiano almeno un antenato italiano. È il più numeroso gruppo etnico del Paese.

«Gli italiani, si sa, furono una nazione di emigranti. In molti secoli, si sparsero in tutti e quattro gli angoli della terra. Solo in due paesi, tuttavia, essi costituiscono la maggioranza della popolazione: in Italia e in Argentina.»

In Argentina i discendenti di italiani sono più di 25 milioni, e gli italo-argentini costituiscono il 60,97% del totale della popolazione (ossia sono la maggioranza degli argentini). La comunità degli italo-argentini sarebbe inoltre, in termini assoluti, la seconda al mondo dopo quella italo-brasiliana[408] e seguita dagli italoamericani.

La componente di origine italiana, insieme a quella spagnola costituisce di fatto l'ossatura principale della società argentina. La cultura del Paese ha inoltre molte connessioni con quella italiana, anche riguardo alla lingua, agli usi e alle tradizioni[409].

Nel 1900, su richiesta del comitato di Buenos Aires della Dante Alighieri, viene introdotto l'italiano nella scuola secondaria; nel 1985, l'italiano è diventata seconda lingua obbligatoria nelle scuole argentine.

Gli italofoni sono circa 5 milioni (che rendono l'italiano la seconda lingua più parlata in Argentina dopo lo spagnolo).
Esistono inoltre nel paese diverse associazioni culturali italiane (tra queste 126 sedi della Società Dante Alighieri[410]) e un cospicuo numero di periodici in lingua italiana.

Austria

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Il trattato del Tirolo alla fine della seconda guerra mondiale stabilì che (oltre alla rinuncia austriaca all'Alto Adige) l'italiano - e non l'inglese, come negli altri Stati federati dell'Austria -sarebbe dovuto essere la prima lingua straniera insegnata nelle scuole della Carinzia e del Tirolo; attualmente una grossa parte della popolazione di questi due Stati è in grado di parlare italiano sia per via della prossimità geografica all'Italia sia per l'insegnamento scolastico. Pur non essendo una lingua storica del territorio, l'italiano è tuttavia utilizzato anche da molte attività commerciali (soprattutto con traduzioni scritte accanto al tedesco) per favorire gli scambi[411]. Innsbruck è anche sede del "Deutsch-Italianisches Gymnasium" (scuola superiore tedesco-italiana). Nel gennaio 2014 il governo dello Stato federale del Tirolo ha annunciato la propria intenzione di rendere la regione completamente bilingue, tedesca e italiana, entro il 2043.

I comuni a facilitazione linguistica (tedesco: Fazilitäten-Gemeinden) vennero stabiliti con le leggi dell'8 ottobre 1962 e del 2 agosto 1963. Questi comuni sono caratterizzati dall'unilinguismo dei servizi interni (ovvero gli impiegati tra loro e nei rapporti istituzionali continuano ad esprimersi in tedesco, come nel resto dell'Austria) ed un bilinguismo verso i cittadini (ovvero l'amministrazione deve esprimersi anche in italiano). In questi comuni i cittadini possono inoltre richiedere di ottenere i documenti amministrativi in italiano, previo il rispetto di normative di legge ben precise. Elenco dei Comuni:

Carinzia:

Tirolo:

Brasile

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Edifício Itália è un grattacielo (sinistra) costruito tra il 1956 e il 1965 dalla comunità italiana locale.
 
Tipica casa italiana settentrionale costruita con rocce a Nuova Venezia.
Popolazione nata in Italia a San Paolo[414]
Anno Numero % sulla popolazione della città
1886 5 717 13%
1893 45 457 35%
1900 75 000 31%
1910 130 000 33%
1916 187 540 37%
 
Comuni dove dialetto talian è coufficiale in Rio Grande do Sul. Lo stato ha una grande colonia di italiani.

Il Brasile, è la nazione, al di fuori dell'Italia, con il più alto numero di abitanti di origine italiana: lo è più del 18% sul totale dei brasiliani, ossia vi sono quasi 33 milioni di italo-brasiliani[415] (ma solo un quinto sono italofoni o conoscono parzialmente l'italiano e/o i suoi dialetti). È la più numerosa popolazione di oriundi italiani nel mondo.[416]

Infatti la più alta concentrazione di italiani e di discendenti di italiani al mondo, dopo l'Italia, si trova nello Stato di São Paulo, e nella sola città di San Paolo, se ne contano 6 000 000. Immigrati da ogni parte d'Europa arrivarono a San Paolo soprattutto tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento; tuttavia la comunità italiana è la più numerosa, diffusa in tutta la città, ed è anche considerata la maggiore concentrazione di oriundi italiani fuori dall'Italia. Solo nella città di San Paolo si stima che circa 6 milioni di persone abbiano almeno 1 ascendente italiano nella loro famiglia.[417] San Paolo ha più italiani di qualsiasi città italiana (il comune di Roma ha 2,9 milioni di abitanti e la città di Milano "solo" 1,3 milioni).[418] Inizialmente si raggrupparono in quartieri etnici, come Brás, Bixiga o Mooca, che ancora oggi mantengono un'influenza italiana. All'inizio del XX secolo, la lingua italiana era più parlata del portoghese in città. I dialetti e le lingue minoritarie d'Italia contribuirono alla creazione del dialetto paulistano attuale. San Paolo è la seconda città al mondo per consumo di pizza dopo New York. Già prima delle grandi migrazioni interne degli anni settanta, gli italofoni rappresentavano l'84% della popolazione totale della metropoli. L'italiano è la lingua madre per 4.050.000 brasiliani, ovvero il 2,07% della popolazione del Paese.[33]

Gli Stati del Brasile con la più alta presenza di Italo-brasiliani sono :

A Nuova Venezia nello stato di Santa Catarina gli abitanti di origine italiana costituisce il 95% della popolazione totale.[419]

Diverse persone importanti della società brasiliana sono di origini italiane. Il Brasile già ha avuto tre Presidenti della Repubblica di origine italiana: Pascoal Ranieri Mazzilli, Emílio Garrastazu Médici ed Itamar Franco.

Gli immigrati italiani si sono integrati facilmente nella società brasiliana. Circa il 14% degli oriundi parla l'italiano: oltre 4 milioni di italo-brasiliani.
Una minoranza di 500.000 persone ha come madrelingua una parlata veneta, nelle zone rurali dello stato di Rio Grande do Sul (nel Brasile del sud). La loro lingua è denominata Talian (pron. Taliàn), un dialetto veneto-brasiliano molto vicino alla lingua veneta, ma con influenze dal portoghese.

Nelle città brasiliane di Santa Teresa e Vila Velha, popolate soprattutto da discendenti di italiani, la lingua italiana è stata dichiarata "lingua etnica" e pertanto gode di uno status particolare riguardo al suo insegnamento ed alla sua considerazione.
Nel 2009 il talian è stato dichiarato parte del patrimonio linguistico negli Stati del Rio Grande do Sul[420] e di Santa Catarina.[421] e lingua co-ufficiale, insieme al portoghese, nel comune riograndense di Serafina Corrêa, la cui popolazione è al 90% di origine italiana.[422] Infine, nel 2014 il talian è stato dichiarato parte del patrimonio culturale del Brasile (Língua e referência cultural brasileira); secondo la stima divulgata in questa occasione, il veneto brasiliano sarebbe parlato da circa 500.000 persone in 133 città.[423]

Bulgaria

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Nell'ultimo ventennio in questo paese, così come in generale in tutta l'area dei Balcani, la lingua italiana sta assistendo a una diffusione esponenziale, le cui ragioni travalicano le tradizionali motivazioni culturali: l'italiano viene infatti appreso principalmente per ragioni di lavoro[424]. Dalla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, si è verificata una progressiva intensificazione delle relazioni commerciali, accompagnata da un costante aumento degli investimenti diretti delle piccole e medie imprese italiane sul suolo bulgaro: la natura medio-piccola delle imprese investitrici, che a differenza delle multinazionali non ricorrono all'uso dell'inglese, ma usano l'italiano come lingua veicolare, ha contribuito a incrementare la domanda di insegnamento della lingua italiana già dimostrata dagli istituti scolastici e universitari del paese[424]. Di fondamentale importanza si è rivelato anche il supporto del Ministero degli Affari Esteri, che dalla metà degli anni '90 ha concluso numerosi accordi bilaterali con scuole e università, e la Società Dante Alighieri, principale formatore degli insegnanti di italiano dell'Est Europa[424].

L'offerta di insegnamento della lingua italiana in Bulgaria è attualmente ricca e variegata, benché la concentrazione quasi esclusiva dell'offerta nei maggiori centri del paese - principalmente Sofia, Varna e Filippopoli- penalizzi la domanda localizzata nelle aree rurali del paese. Gli enti culturali italiani rispondono alla crescente domanda lavorativa di apprendimento dell'italiano organizzando corsi specifici: l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia è attualmente l'unico dell'Est Europa ad aver istituito corsi per il settore bancario e finanziario, e la Dante Alighieri ha ideato corsi a distanza per raggiungere più facilmente le aree rurali, organizzando dal 2008 corsi di italiano aziendale[424].

Nel campo della cooperazione scolastica tra il MAE e il Ministero dell'istruzione bulgara, iniziata nel 1992 e rinnovata nel 2006, le iniziative a favore dell'insegnamento della lingua italiana a tutti i livelli sono aumentate in modo rilevante, raggiungendo, nel complesso, circa 13.000 studenti, in 54 istituti, grazie a una rete di 250 insegnanti. In 48 di questi istituti, l'italiano è insegnato come seconda o terza lingua, mentre nei restanti 6 è attivo l'indirizzo specialistico con lo studio dell'italiano come prima lingua[424]. Nel 2005, presso l'Ambasciata d'Italia in Bulgaria, è stato istituito l'Ufficio Scuole per gestire e migliorare il complesso dell'offerta di insegnamento dell'italiano nel settore dell'istruzione. L'Ufficio controlla:

  • l'andamento delle sezioni di lingua italiana;
  • il coordinamento tra MAE e le singole scuole, nonché per l’invio di professori di ruolo dall’Italia e per i finanziamenti annuali;
  • il rilascio delle Dichiarazioni di valore, documenti ufficiali per la convalida del titolo di studio che ne permettono la spendibilità in Italia, sia per motivi di lavoro che di studio. Attualmente sono rilasciate circa 600 dichiarazioni di valore all’anno: di cui 250 sono utilizzate per studio e 350 per lavoro;
  • verifica dell'applicazione degli accordi culturali e scolastici stipulati[424].

Particolarmente attiva è poi anche la collaborazione interuniversitaria, definite da diversi protocolli di intesa e convenzioni stipulate tra i singoli atenei dei due paesi. Le tre università bulgare attivi su questo fronte sono l'Università San Clemente d'Ocrida di Sofia, la Nuova Università Bulgara e l’Università Paisii Hilendarski di Plovdiv, che hanno stipulato accordi, tra gli altri, con La Sapienza di Roma, l'ateneo Siena, con le università di Modena e Reggio Emilia, di Bari, di Torino, di Milano e di Firenze[424].

Croazia

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Tra le valli della Bosnia, in 150 case attorniate dal verde nei pressi di Prnjavor, da più di un secolo vive una comunità italiana. A Stivor possiedono tutti il passaporto italiano, nelle scuole si studia italiano, si leggono i giornali italiani e si vive con pensioni italiane.

Tra il 1881 e il 1882, ci fu un'alluvione del fiume Brenta. Parecchie famiglie della Valsugana rimasero senza abitazione e tante videro rovinate le loro attività economiche. Cosicché meditarono di emigrare in Bosnia. Con il trattato di Berlino (1878) l'Impero austro-ungarico assunse l'amministrazione della Bosnia, la quale rimase tuttavia territorio ottomano. Solo nel 1908 l'Impero austro-ungarico avrebbe annesso tutta la Bosnia, ma nel frattempo attuò una politica di ripopolamento della zona a discapito delle locali autorità turche.
Il Trentino era territorio dell'Impero Austro-Ungarico. Nel progetto di ripopolamento della Bosnia l'imperatore Francesco Giuseppe fece rientrare le famiglie della Valsugana, di Primiero, Aldeno e Cimone. Una parte si stabilì in Bosnia (320 persone circa) nei distretti di Prnjavor e Banja Luka; una parte si stabilì in Erzegovina, nei distretti di Konjic e Tuzla. Nell'area di Štivor si stabilirono le famiglie provenienti dalla Valsugana.
Verso la fine del 1882 la colonna di valsuganotti (da Caldonazzo, Levico, Roncegno, Mattarello, Ospedaletto, Legnano, ...) era partita alla volta della Bosnia. Nel 1882 i valsuganotti, dopo mesi di viaggio, arrivarono nel luogo che era stato loro destinato. Dopo aver fondato Štivor, nei pressi di Prnjavor, la comunità si integrò nel territorio circostante. Il paese nel corso del '900 seguì le sorti delle altre popolazioni della Bosnia. Le due guerre mondiali cambiarono notevolmente la situazione degli immigrati trentini in Bosnia. Da popolazioni dell'Impero divennero stranieri in terra di conquista. Negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, in base ad un accordo tra i rispettivi governi, una parte degli immigrati trentini in Bosnia ottenne la cittadinanza italiana per un anno, a condizione che rientrasse in Italia. Alcune famiglie approfittarono di questo accordo, mentre i trentini di Štivor e di Tuzla rimasero sul posto, o a causa della mancanza di informazioni o per la propaganda locale che sconsigliò il rientro in Italia. Tuttora il 92% della popolazione è di origine trentina. A Štivor nel 1991 il 73,13% della popolazione era di lingua italiana[425], il villaggio ospitava la sezione periferica della scuola di Šibovska, con lingua d'insegnamento italiana che registrava nel 1986 91 iscritti e otto insegnanti[426] Il 9 marzo del 1997 viene costituito il Circolo Trentini di Štivor, ossia un circolo per gli Štivorani rientrati in patria, con sede a Roncegno. La comunità di Štivor (quella presso Prnjavor) esiste tuttora e conserva una serie di rapporti sia con la Bosnia che con l'Italia. Vi abitano circa 270 persone, di cui tre quarti ha mantenuto l'uso del dialetto trentino. L'insegnamento della lingua italiana viene praticato a Štivor col sostegno delle associazioni dei Trentini nel mondo.

In Egitto l'italiano è una delle principali lingue insegnate nelle scuole, insieme all'inglese e al francese. L'italiano è inoltre largamente usato nel campo del turismo e nei resort gestiti da operatori italiani praticamente tutto il personale parla italiano.
Già nell'Egitto khedivale l'italiano era lingua franca, usata nell'amministrazione pubblica. Un tipografo di origine livornese, Pietro Michele Meratti, vi fondò nel 1828 il primo servizio di corrieri privati, la Posta Europea, poi assurto a monopolio pubblico. Le diciture delle prime serie di francobolli egiziani erano in italiano. Decine di migliaia di italiani, tra cui molti ebrei, abitavano il Cairo e Alessandria, dove i segni del "liberty alessandrino" sono ancora visibili.

In Egitto c'è una lunga familiarità con l'italiano, non solo in ambito culturale, ma anche nel mondo economico: nell'Ottocento furono gli italiani a realizzare il primo catasto, il primo censimento, il servizio postale, l'organizzazione assistenziale e ospedaliera, nel Novecento i grandi lavori pubblici, come quello della diga di Assuan, attirarono moltissimi nostri concittadini. Hanno dunque aperto la strada alla lingua italiana i soldi (tra cui quelli del turismo), il cinema e la televisione, il calcio, le canzoni, la moda e la cucina. La presenza degli italiani e della cultura italiana è di antica data, tanto che fino al 1876 la lingua ufficiale dell'amministrazione egiziana era l'italiano e Mohammad Alì, al potere in quegli anni, dette ordine che venisse tradotto Il Principe di Machiavelli e fosse compilato un vocabolario italiano-arabo.

Ad Alessandria d'Egitto nel XIX secolo c'era una grande comunità di italo-egiziani e l'italiano era la "lingua franca" della città.

L'intervento del 1882
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Nel 1875 il debito estero dell'Egitto costrinse Isma'il Pascià, successore di Sa'īd, a vendere per 4 milioni di sterline la quota del suo paese al Regno Unito, che così si assicurava il controllo della rotta delle Indie. Nel 1882, durante la guerra civile, vista l'irrefrenabile crisi egiziana e dopo lunghe consultazioni, i britannici proposero all'Italia di intervenire militarmente assieme all'azione di occupazione del Canale di Suez e dunque di spartirsi, di fatto, il protettorato sul paese nordafricano: forze anglo-italiane sbarcano in Egitto e le due flotte combinate compirono raid contro i principali porti egizi. Il 13 settembre 1882 Regno Unito e Regno d'Italia posero il paese sotto protettorato congiunto (Condominio Anglo-Italiano dell’Egitto), suddividendo così i possedimenti egiziani:

  • all'Italia spettarono gli insediamenti egiziani in Eritrea e Somalia;
  • al Regno Unito quelli posti sulla costa arabica del Mar Rosso;
  • il Sudan venne sottoposto al condominio anglo-italiano.
Relazioni fra i due Stati
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Il ruolo dell'Italia nelle relazioni economiche egiziane è stato sempre collegato al numero di italiani risiedenti nel paese. Le prime missioni a scopo educativo che Mohammed Ali organizzò furono dirette in Italia, per imparare l'arte della pittura. Mohammed Ali richiamò inoltre numerosi italiani da mettere al servizio del nascente stato egiziano: la ricerca del petrolio, la conquista del Sudan, l'ideazione e la costruzione della città di Khartum e la mappatura del delta del Nilo.

La corte reale di Ismāʿīl Pascià era formata prevalentemente da italiani. Lo stesso Ismāʿīl si avvalse di architetti italiani per progettare e costruire la maggior parte dei suoi palazzi, oltre che molti quartieri periferici del Cairo e il Teatro chedivale dell'Opera, che fu progettato dall'architetto italiano Pietro Avoscani e inaugurato dall'Aida di Giuseppe Verdi.

L'Italia, inoltre, fu la destinazione scelta per l'esilio dell'ultimo re d'Egitto, Faruk.

La comunità italiana in Egitto
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Filippo Tommaso Marinetti, italiano d'Egitto, nato ad Alessandria e fondatore del Futurismo

Quella italiana è la più antica comunità europea in Egitto e si sviluppò al massimo prima della seconda guerra mondiale, quando sfiorò le 80.000 persone. La presenza italiana in Egitto risale a tempi molto remoti, ma una comunità numerosa e ben inserita nella vita economica e sociale del paese si ebbe allorquando, sull'onda delle riforme messe in atto da Mohammed Ali, si crearono le premesse per un'emigrazione costante e continua.
All'emigrazione italiana in Egitto il maggior contributo venne dato, in un primo tempo, dagli israeliti di Toscana e dello Stato Pontificio. Poi vennero fin dal 1821 gli esuli politici, in gran parte massoni, che vi trovarono tranquillo asilo e costituirono un'élite di professionisti, tecnici, militari e artisti, élite che ebbe una notevole importanza nel processo di modernizzazione voluta da Mohammed Ali per la trasformazione dell'Egitto in uno Stato moderno.
La presenza in Egitto di questi esuli (in tutto 5.000 persone) ebbe anche importanti effetti duraturi nell'ambito della comunità italiana, come la nascita nel 1845 del primo giornale italiano in Egitto, Lo Spettatore Egiziano, e la creazione ad opera della Loggia Iside, nel 1858, di una scuola italiana ad Alessandria aperta non soltanto ai figli di italiani, ma anche agli egiziani. Alla morte di Mohammed Ali, nel 1849, la comunità italiana contava non meno di 10.000 persone. La lingua italiana veniva usata dal Governo, dal mondo degli affari, e nelle relazioni fra i Consoli stranieri. Il primo libro stampato in Egitto, nella famosa tipografia di Bulacco, fu un dizionario italiano-arabo commissionato dal Vicere' Mohammed Ali al suo autore, don Raffaele Zakkur.
A Risorgimento concluso, molti esuli scelsero di tornare in patria, mentre un discreto numero di essi rimase in Egitto e ad essi si aggiunse, intorno al 1860, una seconda ondata di emigranti di altre caratteristiche: ingegneri, tecnici ed operai attirati dai lavori in corso per la realizzazione del Canale di Suez. Molti dei quali, coinvolti in lavori successivi all'apertura del Canale, si stabilirono definitivamente nel paese.

Appena prima della seconda guerra mondiale la comunità italiana era il terzo gruppo etnico egiziano (la seconda comunità del paese per grandezza, appena dopo la comunità greca). Lo stesso Giuseppe Ungaretti nacque in Egitto. Sul giornale egiziano Al-Ahram, il 19 febbraio del 1933, fu pubblicato in prima pagina un articolo interamente dedicato agli italiani d'Egitto, scritto dallo storico Angelo Sammarco, che disse: "La gente di Venezia, Trieste, Genova, Pisa, Livorno, Napoli, i siciliani ed i dalmati continuano a vivere in Egitto nonostante le loro città natali siano in decadenza ed abbiano perso il loro status di centri marittimi". Sammarco, inoltre, poneva l'accento sul monopolio italiano delle esportazioni.

Le due maggiori comunità italiane erano quelle del Cairo (18.575 abitanti nel 1928) e di Alessandria d'Egitto (24.280 italo-egiziani nello stesso anno). Pur tendendo a concentrarsi in quartieri propri (come il quartiere veneziano del Cairo) od assieme ad altre comunità allofone, gli italiani d'Egitto hanno sempre mantenuto gli usi e i costumi d'Italia. Per gli italiani furono costruite otto scuole pubbliche e 7 scuole parrocchiali, supervisionate da un ufficiale inviato dal console italiano, per un totale di 1.500 studenti circa.

Gli italiani residenti in Egitto erano principalmente mercanti ed artigiani, ai quali si andò ad aggiungere col tempo un numero crescente di lavoratori.

Nella città di Alessandria d'Egitto, dove la comunità italiana era maggiore, sorsero, soprattutto durante il ventennio fascista, numerose associazioni filantropiche (addirittura 22), come l'Opera Nazionale, la Società degli Invalidi e veterani di Guerra, la Federazione dei Lavoratori Italiani, l'Ospedale Italiano Mussolini, il Club Italiano e l'Associazione Dante Alighieri. Furono fondati inoltre numerosi giornali in lingua italiana, fra cui L'Oriente ed Il Messaggero Egiziano.

La testimonianza della lunga permanenza e dell'integrazione di comunità italiane in Egitto resta a tutt'oggi nelle centinaia di termini italiani presenti nella parlata colloquiale egiziana (specialmente nelle grandi città costiere). Sammarco spiega ciò come "un risultato dello spirito di tolleranza delle nostre genti, della loro mancanza di un forte sentimento nazionalista o religioso che le spingesse all'isolamento, alla loro avversione a sentirsi superiori".

Francia

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Secondo una pubblicazione del Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges (CIRCE) dell'Università Sorbona - Parigi 3, oggi la comunità francese con ascendenze italiane è stimata intorno ai 4 milioni di individui (circa il 7% della popolazione totale)[427].

Prima lingua 799.521 ovvero l'1,19% della popolazione francese[428] |829,000[429]

962.593 italiani residenti in Francia

Giappone

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In Giappone la richiesta di apprendimento di italiano come lingua seconda è notevole: l'Ambasciata d'Italia a Tokio calcola circa 10.000 studenti frequentanti a vario titolo corsi strutturati di lingua italiana, a cui si aggiungono 350.000 studenti fruitori di corsi televisivi e radiofonici di lingua italiana offerti dal servizio radiotelevisivo pubblico giapponese, per un totale di 360.000 parlanti non madrelingua di vari livelli[430].

In campo universitario, circa 80 atenei giapponesi propongono corsi di lingua italiana: l'offerta è sviluppata soprattutto in facoltà linguistiche o umanistiche, dove i corsi si affiancano a studi di letteratura, arte e storia italiana, ma è presente anche in facoltà scientifiche, che coordinano i propri piani di studio con approfondimenti linguistici[430].

In Giappone è attivo l'Istituto Italiano di Cultura di Tokio, che insieme con la sua sezione di Kyoto organizza corsi di lingua e cultura italiana, offre servizi bibliotecari e di reperimento di materiali in lingua italiana, eroga borse di studio a studenti di italiano giapponesi. L'Istituto e la sua sezione offrono inoltre gli stessi servizi anche alla comunità italiana in Giappone[430].

A questa rete si aggiunge poi la Società Dante Alighieri, radicata tramite i Comitati di Tokio e Osaka e la sezione territoriale di Nagoya. Anche la Dante opera per la diffusione della lingua e della cultura italiane sia a favore della popolazione giapponese che della comunità italiana in Giappone, offrendo corsi di lingua per adulti e bambini, formando insegnanti di italiano e organizzando eventi culturali[430].

Gibilterra

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Si trovano evidenti molte tracce di una comunità genovese che si insediò a Gibilterra nel XVI secolo e che già ai primi del Settecento componeva quasi la metà della popolazione.

Questi genovesi (e liguri) si dedicarono ad attività commerciali, ma vi era anche un gruppo che abitava a La Caleta, dove era la maggioranza della popolazione, e che praticava attività di pesca d'alto mare.[431].

«Secondo il locale archivio storico, nel 1725, su una popolazione complessiva di 1.113 anime risultavano esserci 414 genovesi, 400 spagnoli, 137 ebrei della diaspora, 113 britannici e 49 tra portoghesi, olandesi e arabi... La fiducia degli inglesi nei confronti dei sudditi di San Giorgio divenne poi quasi proverbiale con l’istituzione della speciale “Guardia Genovese”, un corpo di armati ai quali il governatore britannico affidò parte dei compiti di controllo e di difesa del ristretto territorio coloniale.[432]»

Nel censimento del 1753 i genovesi erano il gruppo più numeroso di popolazione civile di Gibilterra e fino al 1830 l'Italiano fu usato -assieme all'inglese e spagnolo- nei manifesti ufficiali della colonia inglese.[433]

Nella seconda metà dell'Ottocento si radicarono a Gibilterra anche alcuni Siciliani, ma il grosso della comunità italiana di Gibilterra rimase ligure.

Il dialetto genovese è l'idioma più parlato a Gibilterra fin dal primo secolo dell'occupazione britannica.

Guatemala

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Grazie alla politica di diffusione della lingua e della cultura italiane attuato dal Ministero degli Esteri italiano, lo studio della lingua italiana ha avuto uno sviluppo tendenzialmente crescente nei paesi della in America Centrale e Meridionale, tra cui anche il Guatemala. Nel paese è in vigore un Accordo triennale di Cooperazione Culturale, convertito in legge nel 2006, che eroga un contributo a sostegno della creazione di cattedre di lingua italiana in scuole e università guatemalteche[434].
Con circa 4.400 studenti iscritti, l'italiano è la terza lingua straniera più studiata, dopo l'inglese e il francese[434]

Israele

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Oltre ad essere parlato dagli ebrei italiani, l'italiano è anche parlato in Israele da molti ebrei provenienti dalla Libia (una ex-colonia italiana) e da immigrati dalle altre colonie italiane (Eritrea, Etiopia e Somalia) come prima o seconda lingua Come risultato della crescente domanda, l'italiano è stato riconosciuto "strumento di cultura" e come tale a partire dall'anno scolastico 2010-2011 è stato introdotto come lingua facoltativa di studio nei licei e può diventare materia d'esame per la maturità.[435][436] La lingua e la cultura italiana sono così discipline facoltative in aggiunta alle tre lingue obbligatorie di studio in Israele: l'ebraico, l'arabo e l'inglese. Il lavoro preparatorio è durato molto a lungo e fu avviato nel 2006 dall'Istituto italiano di cultura di Tel Aviv. Il riconoscimento della lingua e della cultura italiana ha solide basi: sono circa 600 gli studenti israeliani che ogni anno si iscrivono nelle università italiane e fino al 2010 sono stati più di 15 mila quelli che lo hanno fatto.

Liechtenstein

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La lingua ufficiale del Liechtenstein è il tedesco (94,5%). La seconda lingua più parlata è invece l'italiano (1,51% della popolazione totale, 570 parlanti come prima lingua su 37.750 abitanti).[437]

Lussemburgo

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I primi italiani in Lussemburgo giunsero nel 1892 e a alla fine dell'Ottocento la comunità italiana era di solo 439 persone, ma già nel 1900 la comunità italiana salì a 7.000 persone e poi a 10.000 solo dieci anni dopo. Gli emigranti italiani hanno lavorato soprattutto nelle miniere e nell'industria siderurugica del Paese (come nel vicino Belgio) fino alla loro chiusura, tuttora la comunità italiana è impiegata nel terziario (soprattutto banche)[438].

Nel 1960, gli italiani costituivano il 37,8% di tutti gli stranieri residenti in Lussemburgo.[439] Nel 1970 gli italiani in Lussemburgo erano 23.490, ovvero ben il 6,9% dell'intera popolazione del Granducato.[439]

Uno studio sociolinguistico, intitolato Baleine bis, effettuato tra novembre e dicembre del 2004 su un campione di 1708 individui residenti in Lussemburgo, ha fatto luce sulle competenze linguistiche medie della popolazione del Graducato, stabilendo che il francese è la lingua più parlata (dal 99% degli intervistati) seguita, in ordine, dal lussemburghese (82%), dal tedesco (81%) dall'inglese (72%) dall'italiano (34%) dal portoghese (28%) dallo spagnolo (22%) e dal fiammingo (13%).[440]

Nella scuola secondaria, dopo tedesco, francese e lussemburghese, vengono insegnati inglese e latino, spagnolo o italiano.
Le persone e i lavoratori nati all'estero costituiscono il 40% della popolazione del Lussemburgo; le lingue più parlate da loro, dopo tedesco e francese, sono portoghese, italiano e inglese.[441]

Nel 1970, gli italiani emigrati in Lussemburgo erano 23.490 e rappresentavano il 6,9% degli abitanti complessivi. Nel censimento del 2011 il 6,2% dei lussemburghesi (28.561 persone) hanno dichiarato di parlare italiano a lavoro, scuola e/o a famiglia.

Macedonia

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Lo studio dell'italiano è da tempo in crescita in Macedonia, al punto che sin dalla metà degli anni 2000 la lingua italiana è la seconda lingua straniera studiata dopo quella inglese, davanti a tedesco, francese e russo[442][443]. Inserita dal 2003 nell'offerta formativa delle scuole medie del paese[442], negli anni successivi l'offerta di corsi di italiano si è allargata a tutto il ciclo dell'obbligo, dalle elementari alle superiori, e coinvolge oggi 26 istituti, tra pubblici e privati[443]. L'italiano è inoltre insegnato in quattro differenti atenei universitari: l'Università dei Santi Cirillo e Metodio, a Skopje, nella quale ha sede dal 1997 l'unica cattedra di italianistica del paese, l'Università Statale e l'Università Europea del Sud-Est a Tetovo e l'Università di Goce-Delcev a Stip[442][443]. Nel 2005, nella sola Università dei Santi Cirillo e Metodio, si contavano 400 studenti di italiano nei quattro anni di corso[442].

Montenegro

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A partire dal 1995 l'italiano è stato inserito come lingua straniera nel secondo ciclo della scuola dell'obbligo, ed è oggi insegnato in tutte le scuole superiori e come lingua facoltativa nelle scuole elementari.

Quando i Turchi conquistarono i Balcani nel XV secolo, anche il Montenegro cadde sotto il loro dominio diretto, con l'eccezione della parte costiera (denominata Albania Veneta) che, dal 1420 al 1797, rimase stabilmente in mano alla Repubblica di Venezia, mantenendo anche legami e caratteristiche veneziane tuttora presenti.[444] Durante il Congresso di Berlino del 1878, il paese ottenne il riconoscimento internazionale della sua indipendenza. Pochi anni dopo il Principe poté far sposare sua figlia Elena all'erede al trono d'Italia, il futuro Vittorio Emanuele III. Dall'inizio del Novecento fu notevole l'influenza dell'Italia anche dovuta al fatto che Nicola I re del Montenegro era suocero del Re d'Italia. Gli Italiani costruirono la prima parte moderna del porto di Antivari, ultimata nel 1909 e la ferrovia da Antivari a Virpazar di 41 km che conduce a Podgorica, la principale città del Montenegro. Il 30 agosto 1904 lo scienziato italiano Guglielmo Marconi effettuò un collegamento radio tra la città di Antivari e quella di Bari in Italia. Nel 1905 si costituì a Cettigne la Compagnia di Antivari, una società anonima a capitale italiano, per la costruzione del porto di Antivari, della navigazione sul lago di Scutari e delle linee navali e ferroviarie per le comunicazioni interne e con l'estero del Principato del Montenegro.

Romania

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In Romania ci sono decine di migliaia di aziende Italiane. L'italiano è studiato dalla scuola elementare all'università: se ne contano cinque licei bilingui – "Dante Alighieri" e "Ion Neculce" a Bucarest, "Transilvania" a Deva, capoluogo della provincia di Hunedoara, "George Baritiu" a Cluj-Napoca, capoluogo della provincia di Cluj (centro-ovest) e "Jean Louis Calderon" a Timisoara (ovest). L'italiano è studiato nei principali centri universitari di Bucarest, Costanza, Iasi, Cluj-Napoca, Timisoara. La lingua Italiana risulta molto facile e molti film e programmi Tv sono trasmessi in lingua Italiana senza doppiaggio. Le tradizioni che legano la Romania all'Italia vanno indietro nei millenni come dice il nome stesso "Romania".

Nella regione Moldova, nella parte Est del Paese, nelle scuole di una piccola comunità etnica locale verrà introdotto l'insegnamento della lingua italiana, come lingua madre. I Csà-¡ngà non sono certo di nazionalità italiana, ma una comunità di Ungheresi, discendenti di antenati provenienti dalla Transilvania, che conta circa 60 mila anime. La lingua madre che, nonostante tutte le polemiche, veniva riconosciuta essere l’ungherese. Con riferimento all'ingresso della Romania nell'Unione Europea e alla mobilità facilitata per i suoi cittadini, i direttori delle scuole locali (senza eccezione di persone di lingua e di identità rumena, grazie alla politica statale), propongono di sostituire queste lezioni di ungherese con lezioni di lingua italiana. L'italiano, al luogo delle lezioni di lingua madre, è stato scelto perché è utile, considerate ora le nuove possibilità di trasferimento all'interno dell’UE e considerato il numero già elevato di lavoratori di cittadinanza rumena (finora più o meno legali) presenti già in Italia. Insomma, l’Italia viene presentata alle famiglie contadine di Moldova come una specie di terra promessa, potente e benestante e in attesa di emigranti pronti all'assimilazione.

In Russia l'insegnamento della lingua italiana si colloca al secondo posto (dopo l'inglese), davanti a francese e tedesco.

L'interesse per lo studio della lingua italiana ha una lunga tradizione in Russia ed è motivato da interesse culturale, ma spesso anche dal desiderio di includere la conoscenza dell'italiano nel proprio curriculum a fini professionali. La presenza economica e commerciale italiana è un dato acquisito nella società russa e molti giovani ambiscono ad avere l'opportunità di lavorare per un'organizzazione o un'impresa italiana.[445]

Corsi di lingua sono offerti dall'Istituto Italiano di Cultura, mentre a livello accademico vi sono corsi di italiano a cura di lettori inviati dal Ministero degli Affari Esteri presso l'Università Lomonosov a Mosca, nonché presso l'Università di Stato di San Pietroburgo. Numerose altre Università russe offrono corsi accademici a cura di insegnanti locali: a Mosca l’Università Linguistica di Stato e l’Università per le Scienze Umanistiche.
I corsi di lingua offerti dall'Istituto Italiano di Cultura di Mosca e dalla Sezione di San Pietroburgo riscuotono negli ultimi anni un crescente successo, come dimostrato dall'incremento complessivo degli iscritti, da 1.100 nel 2007 ai 2.300 nel 2010.[445]
Molto attive nel territorio della Federazione anche le Società Dante Alighieri, le quali offrono corsi di Italiano ad opera di insegnanti qualificati, rilasciando certificazioni delle competenze linguistiche maturate attraverso specifici esami (PLIDA).[445]

Il Programma P.R.I.A., acronimo in russo per "programma di diffusione della lingua italiana in Russia", è nato ad opera dell'Ufficio Istruzione del Consolato generale d’Italia, con sede presso l'Ambasciata d’Italia a Mosca, affiancato da un gruppo di scuole russe desiderose di inserire l'italiano nel proprio percorso formativo. Il Programma P.R.I.A consiste in una costante opera di promozione della lingua italiana in tutto il territorio della federazione Russa, con conseguente individuazione delle scuole che intendono attivarne l’insegnamento come seconda o terza lingua straniera, in attesa di una possibile introduzione da parte del Ministero russo dell'Educazione e della Scienza dell'italiano anche come prima lingua. Nell'anno scolastico 2010-2011 si è avuto un incremento del numero delle scuole russe che aderiscono al P.R.I.A., attualmente circa 50, di cui una trentina a Mosca ed una ventina in altre città, quali San Pietroburgo, Ekaterinburg, Nizhnyi Novgorod, Samara, Rostov sul Don, Kazan, Krasnodar, Novosibirsk, Irkutsk, Vladivostok, ecc.[446]

La Scuola bilingue italo-russa n. 136 di Mosca, unica nel sistema formativo della Federazione, è la scuola in cui trova applicazione il Memorandum intergovernativo del 5 novembre 2003 sulla costituzione di sezioni bilingue presso scuole italiane e russe. È una delle scuole di maggiore prestigio, scelta dal Ministero russo dell'Educazione e della Scienza per concretizzare tale Accordo. Gli allievi della sezione bilingue seguono il normale percorso curriculare russo, ma dall’8ª alla 11ª classe, studiano direttamente in italiano discipline quali Storia, Filosofia, Geografia e Biologia, oltre ovviamente alla Lingua e Letteratura italiana. Al fine di garantire l'invio di personale madrelingua altamente qualificato, il Ministero degli Esteri italiano seleziona periodicamente i docenti attraverso uno specifico concorso. Il titolo conseguito dagli studenti della Scuola 136 consentirà loro di iscriversi presso un’Università italiana.[447]

A partire dal 2001 la lingua italiana è stata inserita nei programmi didattici delle scuole primarie e secondarie, e dal 2007 è uno degli idiomi inclusi nel "Concorso nazionale di lingue straniere", mentre Belgrado la scuola "Terzo Liceo" ha istituito una intera sezione sezione bilingue serbo-italiana.[448]. Dal 2009, poi, l'italiano è stato introdotto anche a livello universitario[449].

Turchia

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La cultura e la lingua italiana sono parti integranti del panorama storico e intellettuale della Turchia e di Istanbul, ormai da secoli. Diffusa attraverso il volgare dei mercanti e degli uomini d'affari genovesi e veneziani nel medioevo, la lingua italiana in Turchia è sempre stata, sin dagli anni dell’Impero Ottomano e poi nella Repubblica Turca, una presenza importante. Nel Settecento in Turchia l’italiano faceva da lingua intermediaria fra il russo e il turco.

Per quanto concerne le scuole italiane, la Società Operaia, costituita il 17 maggio 1863 da operai rifugiatisi a Istanbul, fonda nel 1885 la "Regia Scuola Elementare e Media" che, già nel primo anno d’attività, può contare su 125 iscrizioni. Da questa scuola ha origine il Liceo Statale IMI, ufficialmente riconosciuto nel 1888 dall’allora Primo Ministro del Governo Italiano Francesco Crispi. Qualche anno prima, precisamente nel 1870, le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, chiamate dal Console Generale per garantire l’istruzione ai bambini della comunità italiana, aprono un istituto al quale possono iscriversi solo studentesse e che inizialmente prevede i primi tre anni di scuola elementare. Sette anni dopo la sua fondazione, il ciclo d’istruzione primaria viene completato con l’apertura della quarta e della quinta elementare. Nel 1895 il Governo Italiano autorizza l’apertura di una Scuola Tecnica Commerciale che prevede inizialmente un corso di studi triennale, divenuto quadriennale nel 1900. Nel 1899 a Izmir, sede di un’altra fiorente comunità italiana, le Suore di Ivrea aprono la Scuola Italiana Elementare e Media. Nel 1909, infine, Bartolomeo Giustiniani, levantino discendente da una famigliaaristocratica italiana, dona un edificio alla Comunità Salesiana di Istanbul perché venga utilizzato come scuola. Lo stesso anno l’istituto inizia la propria attività educativa e nasce la Scuola Italiana Elementare di Arte e Mestieri.Dopo la proclamazione della Repubblica Turca, le scuole straniere operanti in Turchia prima del 30 ottobre 1914 vengono riconosciute e parificate alle istituzioni scolastiche turche.

Per avere un quadro storico più completo dell’insegnamento della lingua italiana in Turchia, occorre citare, naturalmente, altre cinque istituzioni. Innanzitutto gli Istituti Italiani di Cultura di Istanbul e di Ankara: il primo, fondato nel 1951, attiva corsi di lingua italiana dagli anni Cinquanta; l’altro, nato nel 1957, li attiva nel 1962. In secondo luogo occorre ricordare i Dipartimenti di Lingua e Filologia Italiana delle Università Statali di Ankara e di Istanbul, le cui attività didattiche iniziano, rispettivamente, nel 1960 e nel 1978. Infine il Conservatorio Statale Dokuz Eylül di Izmir, fondato nel 1954 e che apre corsi di lingua italiana dal 1983.

Italo-levantini
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Gli Italo-levantini sono radicati nel Mediterraneo orientale dai tempi delle crociate e delle Repubbliche marinare italiane.

Sono infatti una piccola comunità di discendenti dei coloni genovesi e veneziani (e in minor parte pisani, fiorentini e napoletani) che si trasferirono nei fondachi orientali delle repubbliche marinare, principalmente per commercio e controllo del traffico marittimo tra l'Italia e l'Asia.

Le loro principali caratteristiche sono quelle di avere mantenuto la fede cattolica pur in un paese prevalentemente musulmano, di continuare a parlare l'italiano tra loro e di non essersi minimamente mescolati (con matrimoni) con le locali popolazioni turche di religione musulmana.

«...l'origine della comunità risale alla quarta crociata (1204) ed è dunque la più antica colonia italiana al mondo,...essa fu anche la “magnifica comunità di Pera” (il quartiere genovese) fino al 1669 composta da aristocratici e da cavalieri;...(importante fu) il suo arricchirsi di nuova linfa italiana nel XIX secolo grazie ai patrioti del Risorgimento, agli artisti e agli specialisti chiamati a lavorare al Serraglio (di Istanbul)..[450]»

La Repubblica di Genova e la Repubblica di Venezia, ai tempi delle crociate, crearono numerose ed importanti colonie nei territori bizantini. Anche la Repubblica di Pisa, il Ducato di Amalfi, la Repubblica di Ancona[451], il Ducato di Gaeta ebbero colonie commerciali a Costantinopoli e in altri porti dell'Impero d'Oriente. Oltre quelle delle repubbliche marinare, vanno ricordate le colonie del Regno di Napoli.

Genova e la Venezia crearono a Costantinopoli popolosi "quartieri" di circa 60.000 abitanti. La presenza "latina", peraltro, si reintegrò dopo la Quarta crociata (1204), "sponsorizzata" dai veneziani, che portò alla conquista cattolica di Costantinopoli.

 
A Costantinopoli esistevano il "quartiere" genovese, veneziano, pisano ed amalfitano, situati di fronte a Pera

Vi erano colonie genovesi in Anatolia (Smirne, Trebisonda e altre), nell'Egeo (Chios, Mitilene e altre), in Palestina e Libano (Acri) e a Costantinopoli (Pera, Galata), come pure colonie veneziane a Creta, Rodi, Cipro e Negroponte.

«Alle "colonie" genovesi e veneziane distribuite nelle principali città greche e dell'Asia Minore, ma anche in altre parti dell'Impero d'Oriente, costituite da mercanti, artigiani e banchieri, facevano riscontro... l'esistenza di quartieri o anche solo di strade che i mercanti delle due repubbliche marinare avevano ottenuto come feudi nei principali centri commerciali dell' Impero ottomano. I più noti di tali gruppi sono quelli nell'Egeo, a Salonicco, a Chio, a Creta e, in Asia Minore, a Costantinopoli e a Smirne, per i quali già a fine ottocento si distingueva fra un nucleo immigrato di recente e quello "indigeno o storico", discendente dagli insediamenti genovesi e veneziani dell'epoca delle repubbliche marinare. L'importante comunità genovese e veneziana, che risiedeva dal XIV secolo a Istanbul nel quartiere di Galata, sarebbe stata ben riconoscibile agli occhi dei visitatori ancora alla fine del seicento. A questi gruppi andava sommato il contingente degli ebrei sefarditi giunti da Livorno nel Settecento, i francos, spesso sotto la protezione dei consoli francesi.[452]»

Dopo la conquista turca di Costantinopoli (1453), il problema principale di questi coloni e commercianti, così come per quelli di origine francese, provenzale, napoletana, catalana, anglo-sassone o mitteleuropea, residenti nell'Impero Ottomano, fu quello di definire i rapporti con lo Stato islamico, il quale si caratterizzava essenzialmente come un'istituzione teocratica. La soluzione obbligata fu quella di definire se stessi in base alla propria fede, e cioè la religione cristiana (cattolica), costituendo così un'unica entità culturale a prescindere dalla propria origine etnica: la nazione latina; in ciò furono assecondati dal costitursi di altre entità a base religiosa che si formarono nell'impero, e cioè la "nazione ebraica", quella "armena" e quella "greco-ortodossa" [453]. Per tale motivo furono frequenti i matrimoni tra i cittadini europei dell'Impero, accomunati dalla fede cattolica; di conseguenza, poiché in Italia i componenti della nazione latina furono complessivamente definiti "levantini", è più logico definire l'elemento di origine italiana come "italo-levantino", anziché "italo-turco".

Per quanto riguarda l'aspetto economico e produttivo, la nazione latina si adeguò di buon grado ai princìpi della divisione del lavoro ratione religionis, promossa dallo Stato ottomano; ciò gli consentì di proseguire le loro attività commerciali e di imporsi nel ruolo di detentori del commercio internazionale all'interno dell'Impero [454]. Anche la funzione del dragomanno, cioè dell'interprete di palazzo del sultano e dei gran visir, era riservata ai levantini, che gestivano in tal modo le relazioni internazionali ottomane [454].

Sin dal 1453, infatti, gli appartenenti alla nazione latina riuscirono progressivamente ad ottenere dai sultani quei privilegi derivanti dalle "capitolazioni", stipulate con gli Stati nazionali di origine, che li arricchirono commercialmente nei secoli successivi e li salvaguardarono come comunità[455]. Ciò consentì loro, in molte materie, di essere giudicati dai propri rappresentanti consolari e diplomatici, in base ai propri ordinamenti e non in base alla legge islamica.

Al fine di beneficiare di tale status, le famiglie latine, pertanto, curarono la conservazione di documenti notarili attestanti le loro origini e la cittadinanza. Ciò ha consentito ancor oggi, a molti studiosi, di ricostruirne la genealogia [456].

Con il Risorgimento riprese vigore l'uso dell'italiano ad Istanbul per via dei numerosi esuli italiani, ma anche dei moltissimi artisti e specialisti italiani che lavorarono per il sultano al Serraglio[457], tra cui il musicista Giuseppe Donizetti, fratello del più famoso Gaetano. Inoltre, in conseguenza dell'intervento del Regno di Sardegna a fianco dell'Impero Ottomano nella Guerra di Crimea (1853-56), la comunità si accrebbe di numero.

 
Famiglia italo-levantina (Costantinopoli, 1898)

«Nell'ottocento essa si sarebbe arricchita di nuovi apporti dalla penisola, soprattutto di esuli politici, ma anche di artigiani e tecnici dell'industria edilizia e cantieristica. Al loro arrivo fece seguito il consueto corredo di attività commerciali e alberghiere, nonché di un certo numero di professionisti che mostra la vitalità e la composita stratificazione sociale di una "colonia" che si arricchì precocemente di istituzioni tese a riaffermare la fisionomia nazionale. Già dall'inizio dell'ottocento operava un ospedale italiano, fondato dalla stessa casa Savoia, come riferiva un viaggiatore francese nel 1834; nel 1863 veniva inaugurata una scuola italiana, fra le prime del nuovo regno, cui ne sarebbero seguite altre sette e un giardino d'infanzia. Quello stesso anno nasceva anche una Società di mutuo soccorso che sarebbe divenuta il simbolo della comunità e nel 1888 veniva istituita una Società di beneficenza.[458]»

A fine ottocento, nella Turchia europea, gli italo-levantini erano circa 7.000, concentrati a Galata, cittadina "Genovese" divenuta quartiere di Istanbul. Inoltre a Smirne, agli inizi del novecento, vi era una colonia genovese-italiana di circa 6.000 persone[459]. In quei decenni, letterati come Willy Sperco iniziarono ad identificarsi come italo-levantini della Turchia, per differenziarsi dai "levantini" dell'Egitto (italo-egiziani) e del Libano (italo-libanesi)[460].

Ucraina

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La presenza di popolazioni italiane in Ucraina e Crimea ha una lunga storia che rimonta ai tempi dell'Impero romano e della Repubblica di Genova e di Venezia.

Italiani di Odessa
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La città di Odessa ha una storia strettamente legata all'Italia. Infatti gli italiani sono menzionati nel Duecento per la prima volta, quando sul territorio della città odierna fu ubicato l’ancoraggio delle navi genovesi chiamato "Ginestra", forse per la pianta di ginestra molto diffusa nelle steppe del Mar Nero. La nuova affluenza degli italiani nel Sud dell’Ucraina crebbe particolarmente con la fondazione di Odessa. Già nell'anno della sua fondazione ufficiale, il 10% della popolazione di Odessa era italiana.

A fine Settecento un abitante su dieci di Odessa era italiano;[461] all'inizio del 1800 risiedevano ad Odessa circa 800 italiani (il 10% della popolazione).

Agli inizi del Novecento la comunità italiana cominciò ad avere un ruolo importante nella vita pubblica e commerciale della città. La lingua italiana iniziò a diffondersi e con il passare del tempo entrò nella sfera delle comunicazioni degli uomini d’affari: conti, cambiali, assegni, contratti, corrispondenza commerciale, contabilità – tutto era scritto in italiano. Inoltre, il bisogno di conoscere le lingue straniere – tra cui l’italiano – portò all'insegnamento di russo, greco e italiano nella prima scuola di Odessa fondata nel 1800.

Man mano che la città si sviluppava la maggior parte del settore commerciale era detenuto da italiani: porto mercantile, negozi, panifici, tipografie, hotel e casinò, botteghe d'arte, architetti; l'italiano era così diffuso che divenne la seconda lingua più parlata dopo il russo.

All'inizio del XIX secolo la colonia italiana era composta in primo luogo da commercianti, marinai e militari in servizio nell'Armata russa. Principalmente erano napoletani, genovesi e livornesi. Seguirono rappresentanti dell’arte, artigiani, farmacisti e insegnanti di varie materie. Dal 1798 ad Odessa erano presenti i consoli di Napoli, della Sardegna e della Corsica. Successivamente il consolato di Sardegna fu trasformato in consolato italiano.

Ad Odessa gli italiani furono anche proprietari di panifici, fabbriche di pasta e gallette e più tardi nel periodo 1794-1802 sorsero le prime società commerciali di proprietà italiana. In seguito gli italiani diventarono titolari di ristoranti, caffetterie, pasticcerie, casinò, alberghi. Per esempio, il lussuoso locale Fanconi, caffetteria-pasticceria, fondata ad Odessa negli anni ‘70 del XIX secolo, conquistò un enorme prestigio.

I gioiellieri, gli scultori e i marmisti italiani furono celebri ad Odessa sin dalla sua fondazione. I cognomi italiani, ancora oggi, vengono spesso associati agli architetti. Molti edifici importanti di Odessa furono costruiti appunto da italiani; e non solo architetti ma anche appaltatori, costruttori, carpentieri ebbero una parte importante. Gli italiani inoltre giocarono una parte importante anche nell’avvio del teatro ad Odessa. Persino oggi, guardando il repertorio del teatro lirico e del balletto di Odessa, si mantiene il tributo alla tradizione italica.

L’insegnamento ampiamente praticato della lingua italiana contribuì alla comparsa di una serie di manuali e testi scolastici e si può sicuramente dire che Odessa procurò non solo per l’Ucraina ma anche per la Russia i mezzi di studio della lingua italiana.

Italiani di Crimea
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La Crimea era chiamata “Gazaria” dalla Repubblica di Genova, che aveva insediamenti a Caffa (Feodosia, l’antica Teodosia greca), a Soldaia (Sudak), a Cembalo (Balaklava) ed a Vosporo (Kertch). Ai suoi porti facevano capo i traffici che dalla foce del Don (insediamento di Tani) proseguivano poi per Trebisonda, Galata (a Pera in Costantinopoli) e quindi a Genova. Altra rotta importante portava a Costantinopoli costeggiando la Bulgaria, con gli insediamenti / scali di Lerici (ora Ilice) alla foce del Dnjepr e di Licostomo, Moncastro e, poco prima del Bosforo, di Mesembria. Tra le merci era particolarmente importante il grano, ma era fiorente anche il mercato degli schiavi (circassi, magiari, georgiani, etc) In particolare Caffa fu l’epicentro della presenza genovese in Crimea, qui vi fu un console della Repubblica sin dal 1281, la città poi fu conquistata e fortificata da Simon Boccanegra, primo Doge di Genova, nel 1348 . Difesa da una doppia cinta di mura, tuttora esistenti (costruite con merlature a beccatelli come la torre degli Embriaci dal Console Gottefredo Zoaglio, che fu inviato in questa città dopo esser stato console in Corsica e Podestà di Chiavari) era divisa in contrade , tra cui la contrada Bisagno. Nel 1376 i Genovesi coniavano già qui “aspri” di argento, con l’emblema del castello di S.Giorgio e con l’emblema del “Khan” che rendeva la moneta di facile circolazione nei territori tatari.

La colonia italiana in Crimea
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Si era stabilita in Crimea una colonia europea con una nutrita presenza italiana,in gran parte marinai ed agricoltori , costituitasi in due periodi successivi:

  • negli anni successivi al 1820 (regnante lo Zar Alessandro I°) di provenienza prevalentemente ligure
  • negli anni successivi al 1860 (regnante lo Zar Alessandro II°) di provenienza prevalentemente pugliese (in particolare da Bisceglie e da Trani).

Fu iniziativa degli Zar favorire l’immigrazione europea, per attuare lo sviluppo della marina mercantile e delle coltivazioni mediterranee, come la vite. Si formarono così prospere comunità italiane soprattutto nelle città di Mariupol, sul Mar d’Azov, e di Kertch, sullo stretto omonimo (ma anche a Feodosia con una forte presenza genovese e Odessa con mercanti provenienti da Livorno, Genova e Napoli).

Il primo flusso migratorio italiano giunse a Kerč' all'inizio dell'Ottocento. Nel 1820 in città abitarono già circa 30 famiglie italiane provenienti di varie regioni. Nel porto di Kerč' vennero regolarmente le navi italiani, funzionarono i consolati. Uno dei viceconsoli, Antonio Felice Garibaldi, fu addirittura lo zio dell'Eroe. Cominciando dal 1870 giunsero in Crimea, nel territorio di Kerč', emigrati italiani provenienti dall'Italia, soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, allettati dalla promessa di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre quasi vergini. Erano soprattutto agricoltori, marinai (pescatori, nostromi, piloti, capitani) ed addetti alla cantieristica navale. La città di Kerč si trova infatti sull'omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d'Azov. Qui costruirono nel 1840 una Chiesa cattolica romana, detta ancora oggi la chiesa degli Italiani. Gli Italiani si diffusero anche a Feodosia (l'antica colonia genovese di Caffa), Simferopoli, Odessa Mariupol ed in alcuni altri porti russi e ucraini del Mar Nero, soprattutto a Novorossijsk e Batumi.

Secondo il "Comitato statale ucraino per le nazionalità", gli Italiani sarebbero stati nel 1897 l'1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921. Alcune fonti parlano specificatamente di cinquemila persone.[462].

Nel 1920 la chiesa di Kerč ebbe un parroco italiano, una scuola elementare, una biblioteca, una sala riunioni, un club e una società cooperativa. Il giornale locale Kerčenskij Rabocij in quel periodo pubblicava regolarmente articoli in lingua italiana.

Italiani di Crimea oggi
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La popolazione degli italiani di Crimea è concentrata oggi soprattutto a Kerč, dove è stata costituita l'associazione "C.E.R.K.I.O." (Comunità degli Emigrati in Regione di Krimea - Italiani di Origine), i cui obiettivi sono:

  1. la salvaguardia e la promozione della conoscenza della lingua e della cultura italiana, attraverso corsi tenuti a titolo gratuito dagli stessi associati; presso la sede dell'associazione è stata anche allestita una biblioteca di volumi in italiano giunti in dono dall'Italia, si proiettano film in italiano e si tengono corsi di cucina italiana [463][464];
  2. il riconoscimento da parte delle autorità ucraine dello status di minoranza per poter usufruire di alcuni vantaggi;
  3. il consolidamento dei rapporti istituzionali con l'Italia, avviati già da tempo;
  4. la ricostruzione dell'albero genealogico degli italiani di Crimea.

Diffusione per emigrazione

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In altre nazioni, a causa della forte e prolungata emigrazione italiana nel mondo, esistono importanti comunità italiane (che hanno mantenuto una presenza significativa principalmente negli Stati Uniti,negli Stati Uniti Messicani, in Brasile, in Argentina, in Venezuela, in Uruguay, in Australia, in Canada, in Francia, in Germania, in Svizzera, in Belgio, in Cile e nel Regno Unito), che oggi cercano di recuperare e tramandare a figli e nipoti la loro cultura e lingua d'origine.

L'italiano ha influenzato pesantemente lo spagnolo parlato in Argentina e in Uruguay grazie alla forte immigrazione. Simile influenza, ma meno accentuata e limitata ad alcuni aspetti fonetici, viene registrata anche nel portoghese parlato a San Paolo e nel Brasile meridionale (in Rio Grande do Sul una varietà della Lingua veneta chiamata talian è diffusa nella regione montuosa dello stato).

Recentemente in Brasile l'italiano è stato riconosciuto "lingua etnica" della popolazione di Santa Teresa e di Vila Velha, due comuni dello stato dell'Espírito Santo, e come tale è insegnato come seconda lingua obbligatoria in tutte le scuole comunali.[465]

In Costa Rica, nell'America centrale, quella italiana è una delle più importanti lingue delle comunità di immigrati, dopo l'inglese. Viene parlata nell'area meridionale del Paese in alcune città come San Vito (fondata da immigranti italiani nel 1952) e altre comunità a Coto Brus, vicino il confine meridionale con Panama.[466]

Australia
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Popolazione con ascendenza italiana come percentuale della popolazione in Australia divisa geograficamente dalle "aree statistiche locali", secondo il censimento del 2011

La lingua italiana in Australia si è diffusa notevolmente a partire dal secondo dopoguerra, in virtù della massiccia emigrazione italiana. Già nel 1933, infatti, quella italiana divenne la comunità non anglo-celtica più numerosa d'Australia.[467]. La lingua italiana è stata da sempre la lingua comunitaria più diffusa ed è riuscita a mantenere il primato.

In Australia, nel 1983 si stimava che 555.300 individui (quasi il 4% della popolazione australiana) parlassero italiano come prima lingua;[468] l'italiano è al secondo posto (dopo l'inglese) tra le lingue più parlate in casa.
In Australia la lingua italiana è oggetto di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, oltre che nei corsi di lingua e cultura italiana. Durante gli anni '80 l'italiano divenne, in termini di numero di studenti, la lingua più studiata dopo l'inglese in Australia, con numero totale di studenti stimato tra i 230.000 e i 260.000 nel 1988 (Di Biase 1989:189). Il numero di studenti australiani che studiano italiano a scuola è salito a 272.070 nel 1991 e a 323.023 nel 2006. La popolarità dell'italiano nelle scuole australiane è salita alle stelle e la grande maggioranza degli studenti di italiano nelle scuole governative non è di origine italiana.[469]
Gli italo-australiani secondo il censimento del 2006 sono il quarto gruppo etnico australiano (con 850.000 persone, dei quali 199.124 sono emigrati della prima generazione) dopo inglesi, scozzesi e irlandesi.[470] Nel 2011 risiedevano nel Paese 916.121 cittadini di origine italiana (dato che conferma il primato italo-australiano, raggiunto nel 1933, di comunità non anglo-celtica più numerosa del Paese); tra questi, 185.402 sono nati in Italia.[471]

 
Mappa dei gruppi etnici maggioritari del Canada (2006)

     Canadese

     Inglese

     Francese

     Scozzese

     Tedesca

     Italiana

     Indigena

     Ucraina

     Indiana

     Inuit

Secondo il censimento del 1996 in Canada l'italiano è al terzo posto come lingua madre, con 694.000 parlanti (il 2,5% della popolazione), dopo l'inglese e il francese. L'italiano è più diffuso nelle aree metropolitane di Toronto, Montreal e Ottawa. Secondo il censimento del 2011, l'italiano nella zona di Toronto è parlato dal 3,5% della popolazione, pari a 195.000 persone, dato che ne fa la lingua più parlata dell'area urbana dopo l'inglese[472]. Sempre a Toronto, l'1,5% della popolazione dichiara di parlare italiano come prima lingua a casa.[473]

Si stima che gli italo-canadesi siano il quinto gruppo etnico più numeroso dopo i britannici, i franco-canadesi, quelli di origine irlandese e quelli di origine tedesca.[474] Nel censimento del 2016 1.587.970 canadesi hanno dichiarato di avere origini italiane, così da rappresentare il 4.6% della popolazione totale. Il reddito medio degli italocanadesi risulta superiore al reddito medio di tutto il Canada (34.871$ contro 31.757$) ed anche il tasso di disoccupazione registrato nella comunità è più basso (5,4%) rispetto alla media nazionale (7,4%).

La prima stazione radio multiculturale canadese fu fondata a Montreal nel 1962 e, nonostante il fondatore fu il polacco Casimir Stanczykowkski, molti dei suoi programmi furono in italiano. Nel 1966 Johnny Lombardi fondò una stazione radio simile a Toronto, questo fece sì che la stazione di Montreal diventò ben presto un baluardo esclusivo per i residenti italiani della città del Québec, anche se fu spesso criticata per le sue trasmissioni orientate soprattutto verso le generazioni più anziane, senza, per esempio, trasmettere le canzoni italiane in voga in quel periodo. A questo si ovviò con la creazione di un breve programma chiamato "Spazio ai giovani".
La prima stazione televisiva multiculturale fu fondata da Dan Iannuzzi ed iniziò le sue trasmissioni nel 1979. Un altro servizio televisivo in italiano fu fondato poco dopo, con il nome di Teleitalia, che include anche programmi acquistati dalla RAI.
Esiste anche una terza rete televisiva a Toronto chiamata Telelatino, che trasmette programmi sia in italiano che in spagnolo.

Il primo giornale in lingua italiana fu fondato a Montreal nel 1941 e si chiamava Il cittadino Canadese; nel 1950 Alfredo Gagliardi fondò, sempre a Montreal, Il Corriere italiano e, qualche anno dopo, Dan Iannuzzi fondò a Toronto il Corriere Canadese, unico giornale distribuito 7 giorni su 7. Altre riviste italocanadesi sono Insieme, L'Ora di Ottawa e Il Postino.

Uruguay
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Il Presidente italo-uruguaiano Gabriel Terra ottenne che la diga idroelettrica del lago artificiale "Rincón del Bonete", sul Rio Negro, fosse finanziata e parzialmente costruita principalmente dal governo italiano negli anni trenta
 
Alfredo Baldomir Ferrari, Presidente dell'Uruguay dal 1938 al 1943. Nel 1942 decretò l'obbligo di studiare l'italiano nelle scuole superiori dell'Uruguay.

In Uruguay gli italo-uruguaiani sono il 45% del totale della popolazione (ma gli italofoni solo un 7%). Nel 1976, gli uruguaiani di origini italiane erano oltre 1.300.000, circa il 45% della popolazione totale, inclusi gli italo-argentini residenti in Uruguay; le concentrazioni maggiori erano nella capitale Montevideo e nella città di Paysandú, dove circa il 65% della popolazione era di origine italiana.

Il presidente italo-uruguaiano Alfredo Baldomir Ferrari nel 1942 rese obbligatorio lo studio della lingua italiana nelle scuole superiori statali dell'Uruguay.

Questa normativa ha reso l'Uruguay l'unico Stato delle Americhe dove l'italiano per sessant'anni ha avuto uno status di ufficialità nella docenza locale pari a quella della lingua nazionale. A Montevideo esiste una scuola privata (Scuola italiana di Montevideo) intorno alla quale viene educato il ceto migliore della comunità italiana nella capitale. Attualmente vi sono anche progetti di aprire un'università italiana[475].

Questo fatto ha comportato una notevole diffusione della stampa italiana nell'Uruguay. Attualmente le più importanti pubblicazioni in italiano sono:

  • Il Corriere della Scuola, trimestrale (Montevideo, dal 1989), editore Adriana Testoni (Scuola italiana di Montevideo), direttore Giovanni Costanzelli. (Sito)
  • L'Eco d'Italia, settimanale (Montevideo, dal 1963), editore Alessandro Cario, direttore Stefano Casini. (Sito)
  • La gente d'Italia, quotidiano (Montevideo, 2005), editore Gruppo Editoriale Porps International Inc., direttore Domenico Porpiglia. (Sito)
  • Incontro, mensile (Montevideo, dal 1974), editore e direttore padre Salvatore F. Mazzitelli (Congregazione Scalabriniana).
  • Notiziario A.N.C.R.I., mensile (Montevideo, dal 1962), editore e direttore Giovanni Costanzelli (Associazione Ex Combattenti).
  • Spazio Italia, mensile (Montevideo, dal 1999), editore e direttore Laura Vera Righi (Associazione Italiana Gruppo Legami). (Sito)
 
Diffusione della lingua italiana negli Stati Uniti d'America secondo il censimento del 2000.
File:Italo-Americani negli Stati Uniti suddivisi per contee.gif
Distribuzione degli italoamericani negli Stati Uniti secondo il censimento del 2000
 
Gruppi etnici maggioritari nei diversi Stati d'America. Gli italoamericani sono il primo gruppo etnico in quattro Stati del nord-est: New Jersey, New York, Connecticut e Rhode Island:

     Tedeschi

     Americani

     Messicani

     Irlandesi

     Africani

     Italiani

     Inglesi

     Giapponesi

     Portoricani

Per quanto riguarda gli Stati Uniti l'italiano è al 3º posto tra le lingue più parlate in casa (1.808.289 parlanti) e rappresenta il 2° più largo mercato etnico del Paese dietro solamente al mercato ispanico.[476] Città con comunità parlanti italiano e siciliano includono Buffalo, Chicago, Miami, New York City, Philadelphia e St. Louis.
Il censimento del 1920 riportava 1.624.998 persone che parlavano italiano a casa come prima lingua (l'1,533% della popolazione totale degli USA), mentre nel 1930 gli italofoni erano saliti a 1.808.289 (solo per la popolazione nata all'estero).[477]
Negli Stati Uniti, gli Italoamericani costituiscono il sesto più grande gruppo etnico in America (il quarto di origine europea dopo Tedeschi, Irlandesi e Inglesi) con circa 18,1 milioni di abitanti (tuttavia, secondo alcune importanti associazioni culturali italo-americane, le persone che possiedono una qualche discendenza italiana nella loro famiglia sono stimate in oltre 20 milioni di persone),[478] pari al 6% della popolazione totale del Paese:

Nel Massachusetts (dove gli Italoamericani sono il 14,2% della popolazione) l'1,005% della popolazione al di sopra dei 5 anni parla abitualmente italiano a casa,[481] mentre nel Rhode Island (19,6% di italoamericani) la percentuale sale all'1,397%,[482] nel New Jersey (17,9% di italoamericani) all'1,481%,[483] nel Connecticut (19,3% di italoamericani) all'1,598%[484] e nello stato di New York (19,4% di italoamericani) all'1,658% (1 ogni 60 residenti).[485]
Secondo il censimento del 2000, l'italiano è la seconda lingua più parlata a casa, dopo l'inglese, in quattro contee statunitensi: Macomb (Michigan), Lawrence (Pennsylvania), Brooke (Virginia Occidentale) e Hancock (Virginia Occidentale); esso è diffuso in tutti e 51 gli Stati americani e parlato in 1290 contee, in 998 delle quali è tra le prime 10 lingue.[486]

L'italiano nelle contee Usa:
Posizione Contea Italiano % Numero di parlanti
Richmond, N.Y. 4,395% 18.190
Westchester, N.Y. 3,496% 30.040
Putnam, N.Y. 3,176% 2.815
Nassau, N.Y. 2,828% 35.305
Bergen, N.Y. 2,649% 21.960
Passaic, N.Y. 2,321% 10.500
Queens, N.Y. 2,127% 44.410
Schenectady, N.Y. 2,116% 2.905
Kings, N.Y. 2,104% 48.075
10° New Haven, Conn. 2,051% 15.820
11° Suffolk, N.Y. 1,933% 25.500
12° Middlesex, Conn. 1,896% 2.750
13° Fairfield, Conn. 1,741% 14.260
14° Macomb, Mich. 1,728% 12.735
15° Hudson, N.J. 1,693% 9.660
16° Suffolk, Mass. 1,629% 10.610
17° Litchfield, Conn. 1,605% 2.750
18° Morris, N.J. 1,598% 6.990
19° Washington, R.I. 1,597% 1.850
20° Providence, R.I. 1,595% 9.295
 
Il Jefferson Memorial a Washington, eretto in onore dell'italofilo Thomas Jefferson in stile palladiano-neoclassico italiano su imitazione del Pantheon di Roma
 
Little Italy a Manhattan dopo la vittoria della Nazionale italiana di calcio al Campionato mondiale di calcio 2006.
 
Italian Cultural and Community Center allo Houston Museum District.
 
Festa di San Gennaro a New York.
 
Alcuni venditori a Little Italy, durante la festa di san Gennaro.

Sebbene siano presenti negli Stati Uniti da oltre 140 anni (l'immigrazione massiccia negli USA cominciò intorno al 1880), gli italoamericani ancora si identificano strettamente con le loro radici italiane. Il numero di italoamericani è passato da 14.664.550 dal censimento del 1990 a 15.723.555 al censimento del 2000 (5,6% della popolazione), crescendo di oltre 1 milione di persone (+ 7%) in 10 anni e divenendo l'unico gruppo europeo la cui popolazione è aumentata rispetto al 1990 (infatti, il numero di americani di origine tedesca, irlandese, inglese e polacca è complessivamente sceso del 19% passando dai 128 milioni del 1990 ai 108 milioni del 2000); nel 2006 la popolazione italoamericana è passata a 17,8 milioni di persone (il 6% della popolazione),[487][488] con un incremento del 14% in sei anni. Nel censimento del 2016 tale numero risulta aumentato a circa 19.000.000 di italoamericani. Nel 2000 il 46,7% dei residenti di Johnston (Rhode Island) ha affermato di essere di ascendenza italiana; si tratta della più alta percentuale di italoamericani di qualunque città del Paese.[489]
Nel 1999 il reddito medio annuo di una famiglia italoamericana era pari $ 61.300, rispetto alla media nazionale di tutte le famiglie americane di $ 50.000.[490] Sempre nello stesso anno, tra gli italoamericani vi era una percentuale di diplomati (High School Graduate) del 29% (media nazionale: 28,5%), di laureati (College Graduate) del 18,5% (media nazionale: 15,5%) e di lauree magistrali (Master's Degree) del 7% (media nazionale: 6%).
A partire dagli anni novanta del Novecento una nuova ondata migratoria dall'Italia ha interessato gli Stati Uniti. Contrariamente a quanto avvenuto un secolo prima, in questo caso si è trattato di un'emigrazione di professionisti e intellettuali attratti dalle maggiori opportunità di lavoro nelle università e nelle imprese americane. È un'emigrazione diversa rispetto al passato, con forti legami con l'Italia (favoriti dalle migliori opportunità di viaggio e anche dalle nuove tecnologie di comunicazione) e una maggior propensione all'uso della lingua italiana. Nel 2000 la concessione del diritto di voto agli italiani residenti all'estero e il riconoscimento della doppia cittadinanza hanno grandemente favorito i legami con l'Italia ed aperto un nuovo capitolo nelle relazioni tra gli italoamericani e l'Italia. L'istituzione poi nel 2005 dell'AP Italian Language and Culture Exam per gli studenti delle scuole superiori negli Stati Uniti ha fortemente stimolato il mantenimento e l'apprendimento della lingua italiana tra le nuove generazioni di italoamericani; attualmente sono circa 2.500 i ragazzi/e che ogni anno negli Stati Uniti affrontano e superano l'esame.[491]

Da tempo gli stilisti italiani e le grandi marche della moda italiane (Armani, Gucci, Ferragamo, Valentino, Versace, ecc.) si sono assicurati una presenza e conquistati un ruolo di assoluto primo piano anche nel mercato statunitense. Lo stesso si può dire dell'industria alimentare italiana, i cui prodotti tipici (pizza, pasta, vino, olio d'oliva, ecc.) sono ormai usciti dall'ambito nostalgico "etnico" per diventare parte della "nuova" dieta americana. Nuovi settori si sono aperti alla presenza italiana, come quello aerospaziale; ben otto sono gli astronauti italoamericani a prendere parte a missioni nello spazio a partire dagli anni novanta. Due nuovi premi Nobel, Riccardo Giacconi (Fisica, 2002) e Mario Capecchi (Medicina, 2007), si aggiungono alla lista dei cinque conquistati negli decenni precedenti da ricercatori italoamericani. Nel 2008 si è costituita la ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation) a rappresentare le migliaia di professori e ricercatori italiani oggi presenti ad ogni livello e in ogni settore del sistema universitario e di ricerca americano. Il 2013 è dichiarato "Anno della cultura italiana negli Stati Uniti" con un'ampia serie di iniziative.

Continua la presenza italiana nelle arti, nello spettacolo e nello sport. Alla fine degli anni novanta grande sensazione provocò anche negli Stati Uniti l'uscita del film La vita è bella di Roberto Benigni, premiato nel 1999 con tre Oscar inclusi quelli per miglior film straniero e miglior attore protagonista. Martin Scorsese vince l'Oscar al miglior regista nel 2007, Mauro Fiore l'Oscar alla migliore fotografia nel 2010, e Milena Canonero l'Oscar ai migliori costumi nel 2007 e 2015. Nella musica classica la tradizione d'eccellenza continua con artisti come Riccardo Muti, direttore della Chicago Symphony Orchestra, e Fabio Luisi, direttore principale della Metropolitan Opera. In ambito più leggero, se Andrea Bocelli è l'unico cantante italiano ad avere uno status di star negli Stati Uniti, Eros Ramazzotti e Zucchero Fornaciari sono tra quelli più presenti sul mercato americano. Nel 2006 la vittoria della Nazionale italiana di calcio al Campionato mondiale in Germania è salutata con manifestazioni pubbliche di giubilo da parte delle comunità italoamericane in tutte le maggiori città americane.

Si consolida la presenza degli italo-americani nella vita pubblica americana. Sindaco di New York dal 1934 al 1945, Fiorello La Guardia è nipote per ramo materno del famoso rabbino italiano Samuel David Luzzatto. Mentre alle donne in Italia il voto restava ancora precluso fino al 1946, Anne Brancato nel 1932 divenne la prima donna italoamericana eletta in un parlamento statale, quello della Pennsylvania. Nel 1942 Charles Poletti fu il primo politico dichiaratamente italoamericano a ricoprire la carica di governatore, sia pure per un solo mese, di uno Stato dell'Unione, lo Stato di New York. Dopo di lui, dal 1983 al 1994 Mario Cuomo è governatore democratico dello Stato. Nel 1994 viene sconfitto da un altro uomo politico di origini italiane George Pataki, che restò in carica fino al 2008. Dal 2011 il figlio di Mario Cuomo, Andrew Cuomo è l'attuale governatore dello Stato. Altri Stati importanti hanno avuto o hanno tuttora come governatori dei politici italoamericani. John Pastore fu governatore del Rhode Island (1945-50), Foster J. Furcolo del Massachusetts (1957-61); Albert Rosellini dello Stato di Washington (1957-65), Michael DiSalle dell'Ohio (1959-63); Christopher Del Sesto del Rhode Island (1959-61); John A. Notte del Rhode Island (1961-63); John A. Volpe del Massachusetts (1961-63; 1965-69); Phillip W. Noel del Rhode Island (1973-77); Ella T. Grasso del Connecticut (1975-80) e James Florio del New Jersey (1990-94). John Baldacci è stato governatore del Maine dal 2003 al 2011 e Joe Manchin quello della Virginia Occidentale dal 2005 al 2010. Anche l'attuale governatore repubblicano del New Jersey Chris Christie ha origini italiani da parte di madre. Si amplia la lista dei sindaci italoamericani delle grandi città con Thomas L. J. D'Alesandro, Jr. a Baltimora nel 1947-59; Vincent Impellitteri a New York nel 1950-53; Anthony Celebrezze a Cleveland nel 1953-62; Victor H. Schiro a New Orleans nel 1961-76; Joseph Alioto a San Francisco nel 1968-76; Frank Fasi a Honolulu nel 1969-81 e 1985-94; Frank Rizzo a Filadelfia nel 1972-80; George Moscone a San Francisco nel 1976-78; e Richard Caliguiri a Pittsburgh nel 1977-88. John Pastore (D-R.I.) è il primo senatore italoamericano, dal 1950 al 1976.
Fino agli anni sessanta, gli italoamericani erano un buon bacino elettorale per il Partito Democratico statunitense. Più di recente, secondo un'indagine, una buona metà di loro vota per i Repubblicani. La prima donna italoamericana ad essere eletta alla Camera è Ella Grasso (D-Conn.), dal 1970 al 1975. Nel 1984 l'italo-americana Geraldine Ferraro divenne la prima donna americana ed essere candidata alla Vicepresidenza degli Stati Uniti. Nel 1986 il presidente Ronald Reagan nominò Antonin Scalia, di tendenze conservatrici, come membro della Corte Suprema, primo giudice italoamericano a raggiungere i vertici del sistema costituzionale americano. Dal 1994 al 2001 Rudolph Giuliani è il sindaco di New York, guadagnandosi notorietà internazionale per la coraggiosa gestione della crisi dell'11 settembre. Nel 1995, Mary Landrieu (D-La.) diviene la prima donna italoamericana eletta al Senato. Dal 2007 al 2011 la democratica Nancy Pelosi (nata D'Alesandro) è Presidente (Speaker) della Camera dei rappresentanti; è la prima italoamericana e in assoluto la prima donna a ricoprire questa carica nella storia del Parlamento americano. Nel 2009 l'italo-canadese Sergio Marchionne è protagonista di un accordo tra FIAT e Chrysler cui si è dato merito di aver salvato e rilanciato l'industria automobilistica americana.
Nel 2013 Bill De Blasio nipote di emigranti italiani viene eletto sindaco di New York: è il quarto sindaco italoamericano della Grande Mela dopo Fiorello La Guardia (1934–45), Vincent Impellitteri (1950–53) e Rudolph Giuliani (1994–2001),[492] nonché il più alto sindaco della storia di New York con la sua statura di 1,96 m.[493][494]
Oggi la Italian American Congressional Delegation (IACD) del 113º Congresso americano include 5 senatori e 36 rappresentanti della Camera, i quali dichiarano le proprie origini italiane. Ne sono associati un centinaio di altri deputati da distretti dopo c'è una forte presenza italoamericana. La Delegation, presieduta dal democratico Bill Pascrell e dal repubblicano Pat Tiberi, funziona come punto di riferimento degli interessi della comunità italoamericana nei suoi rapporti con le istituzioni politiche americane.[495]

Venezuela
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Aree del Venezuela dove la comunità italiana è concentrata

In Venezuela la lingua più diffusa, dopo quella ufficiale (lo spagnolo), è l'italiano, insegnato anche in molte scuole del paese e sostenuto dalla presenza della Società Dante Alighieri, con sede, per il Venezuela, a Caracas. Tale lingua è anche intesa, se non parlata, da molti venezuelani che non hanno ascendenze italiane ma che per ragioni familiari, di studio o di lavoro sono entrati in contatto con la comunità italiana, massicciamente presente soprattutto in alcune importanti città della zona centro-settentrionale del paese (Caracas, Valencia, Maracay, ecc.).

Attualmente la lingua italiana nel Venezuela sta influenzando con modismi e prestiti lo spagnolo venezuelano e viene studiata con interesse sempre maggiore da molti italo-venezuelani delle nuove generazioni.

L'italiano come lingua acquisita o riacquisita è largamente diffuso in Venezuela: recenti studi stimano circa 200.000 studenti di italiano nel Paese.[496]

L'insegnamento della lingua italiana è garantito dalla presenza di un numero consistente di scuole ed istituzioni private venezuelane, presso le quali sono attivi corsi di lingua e letteratura italiana. Analoghi corsi sono organizzati con il finanziamento del Ministero degli Affari Esteri e delle Associazioni Regionali[497].

Dall'anno scolastico 2001-2002 la disciplina Lingua Italiana è obbligatoria nelle scuole italovenezuelane. Il numero massimo di ore settimanali fissato per l'italiano è di cinque, e non vi è nessun'altra materia presente in tutti gli ordini e gradi di scuola venezuelana per la quale l'ordinamento locale preveda un orario superiore, nemmeno lo spagnolo; inoltre, fatto ancora più eccezionale, la disciplina viene integrata organicamente in tutte le tappe della formazione scolastica pre-universitaria, dal prescolar (scuola materna) all'ultimo anno del bachillerato, o Ciclo Difersificado (media superiore)[498].

Il Governo Italiano si è reso promotore nel 2002 di un provvedimento normativo che ha imposto l'obbligatorietà dell'insegnamento dell'italiano come seconda lingua in un consistente numero di Istituti Scolastici pubblici e privati del Paese[497].

Gli Italo-venezuelani occupano un posto di assoluto rilievo nell'attuale società venezuelana. Secondo l'Ambasciata italiana, dagli anni sessanta circa 1/3 delle industrie venezuelane, non collegate all'attività petrolifera, sono di proprietà e/o amministrate da italiani e loro discendenti [499].

Nella comunità italiana, la più importante del Paese insieme a quella spagnola, si annoverano Presidenti della Repubblica (Jaime Lusinchi e Raúl Leoni), imprenditori (fra cui Giacomo Clerico, l'ingegnere Delfino, che con la sua "Constructora Delpre" ha edificato a Caracas le torri del Parque Central, fra i più alti grattacieli del Sudamerica, e Filippo Sindoni, grande industriale pastario e dolciario), finanzieri (Pompeo D'Ambrosio), campioni sportivi (come Johnny Cecotto), artisti e uomini di spettacolo (Franco De Vita e Renny Ottolina), modelle internazionali (Daniela Di Giacomo) e altre personalità.

Cittadini italiani residenti all'estero

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Dal sito del Ministero degli esteri,[500] risultano presenti forti comunità di cittadini italiani residenti all'estero; queste cifre indicano solo i cittadini italiani residenti (presumibilmente tutti, o quasi, italofoni) e non tutti gli italofoni presenti nei diversi paesi (vengono riportate solo le comunità con oltre 2.000 residenti):

In particolare è significativo il dato del Principato di Monaco e di San Marino, dove i cittadini italiani costituiscono oltre il 20% della popolazione residente totale; entrambi questi Stati si trovano all'interno dell'Italia e hanno come unica lingua ufficiale l'italiano.
In totale, i cittadini italiani all'estero sono, al 1° gennaio 2021, 5.652.080.

Gli immigrati residenti in Italia sono invece 5.788.875, ovvero l'8,50% della popolazione nazionale.

Discendenti di emigrati italiani

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Secondo le stime sul numero di discendenti di emigrati italiani all'estero, vi sono nel mondo circa 81 milioni di discendenti diretti di italiani che parlano un minimo di lingua italiana.[501] Degli oltre 25.000.000 Italiani emigrati tra il 1876 e il 1976 appena 7.000.000 circa possono considerarsi espatriati in maniera definitiva; il resto si limitò a un soggiorno variabilmente lungo all'estero prima di un ritorno definitivo in patria.[502]

Strumenti di promozione della lingua italiana nel mondo

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Accademia della Crusca

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L'Accademia della Crusca si propone in particolare l'obiettivo di fare acquisire e diffondere nella società italiana, specialmente nella scuola e all'estero, la conoscenza storica della lingua nazionale. È inoltre membro fondatore della Federazione Europea delle Istituzioni Linguistiche Nazionali (EFNIL).
Come evidenziato nello statuto, l'accademia si occupa di promuovere lo studio della lingua italiana a fini storico-linguistici, lessicografici ed etimologici. L'attività scientifica dell'Accademia si svolge in tre campi principali:

  1. il Centro studi di filologia italiana, che promuove lo studio e l'edizione critica degli antichi testi e degli scrittori italiani;
  2. il Centro di studi di lessicografia italiana, che si occupa di studi sul lessico italiano e della compilazione di opere lessicografiche;
  3. il Centro di studi di grammatica italiana, addetto allo studio della grammatica storica, descrittiva e normativa della lingua italiana.

Opera del Vocabolario Italiano

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L'Opera del Vocabolario Italiano è l'istituto del CNR che ha il compito di elaborare il Vocabolario Storico Italiano. È membro fondatore della Federazione Europea delle Istituzioni Linguistiche Nazionali (EFNIL).

Comunità radiotelevisiva italofona

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La diffusione della lingua italiana nel mondo è promossa anche con l'ausilio di programmi radiotelevisivi, di cui si occupano la Comunità radiotelevisiva italofona (CRI)[503] e Rai Internazionale[504], che promuovono notiziari, canali tematici, programmi radio e riviste elettroniche di portata internazionale in italiano, per permettere alla comunità italofona di fruire di uno spazio comune di informazione e confronto in lingua italiana.

Costituita il 3 aprile 1985 quale collaborazione istituzionale tra radiotelevisioni di servizio pubblico – Rai, Rtsi, TMC, Radio Vaticana, San Marino Rtv e Televisione Tunisina – la Comunità radiotelevisiva italofona nasce come strumento di valorizzazione della lingua italiana. Oggi la sua struttura articolata può essere illustrata da uno schema in tre cerchi: il primo cerchio è formato dai soci fondatori; il secondo comprende tutti i media “osservatori”, registrati; il terzo cerchio, infine, include gli “amici”, cioè quel quadro ambientale che favorisce l’humus di crescita della Comunità.

Società Dante Alighieri

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La Società Dante Alighieri nasce nel 1889 grazie a un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci e viene eretta Ente Morale con R. Decreto del 18 luglio 1893, n. 347; con d.l. n. 186 del 27 luglio 2004 è assimilata, per struttura e finalità, alle ONLUS. Il suo scopo primario, come recita l’articolo 1 dello Statuto sociale, è quello di “tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà italiana”. Per il conseguimento di queste finalità, la “Dante Alighieri” si è affidata e si affida tuttora all’aiuto costante e generoso di oltre 500 Comitati, di cui 416 attivi in Africa, America, Europa, Asia e Oceania.

I comitati realizzano corsi di lingua italiana e manifestazioni culturali di vario genere, dall'arte figurativa alla musica, dallo sport al cinema, dal teatro alla moda, fino alla letteratura. Per mezzo dei Comitati all'estero, inoltre, la "Dante Alighieri" istituisce scuole, biblioteche, diffonde libri e pubblicazioni, promuove conferenze, escursioni culturali e manifestazioni artistiche e musicali, assegna premi e borse di studio.

Fonetica

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Fonologia dell'italiano.

Oltre alla sua gradevolezza e la sua cantabilità, alcuni studi hanno dimostrato che l'italiano è la lingua più chiara da sentire in caso di disturbi telefonici o in ambienti rumorosi[505].

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema vocalico italiano.
fonema parole
[a] nave, galassia
[e] pianéta, réte
[ɛ] sfèra, lèttera
[i] mito, riso
[o] órdine, scóntro
[ɔ] òrca, bucòlico
[u] numero, nulla

Consonanti

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Tra parentesi quadre gli allofoni secondari di /n/ ([ɱ] e [ŋ]), /k/ ([c]) e /ɡ/ ([ɟ]).

Bilabiali Labiodentali Alveolari Postalveolare Palatali Velari Labiovelari
Nasali m [ɱ] n ɲ [ŋ]
Occlusive p b t d [c] [ɟ] k ɡ
Affricate ʦ ʣ ʧ ʤ
Fricative f v s z ʃ
Approssimanti j w
Vibranti r
Laterali l ʎ

Alfabeto

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La lingua italiana usa l'alfabeto italiano costituito da 21 lettere; al quale si aggiungono 5 lettere, tradizionalmente definite straniere, 'j' 'k', 'w', 'x', 'y', con cui forma l'alfabeto latino. X e j erano lettere utilizzate nell'italiano antico soprattutto nei toponimi (Jesi, Jesolo) e in alcuni cognomi come Lo Jacono e Bixio, o come varianti grafiche di scrittura (ad es. in Pirandello gioja invece di gioia). Esistono accenti grafici sulle vocali: in particolare quello acuto (´) solo sulla e e raramente sulla o (una grafia ricercata li esigerebbe anche su i e u dal momento che sono sempre "vocali chiuse") e quello grave (') su tutte le altre. Il circonflesso (^) serve per indicare la contrazione di due vocali, in particolare due /i/. Si è soliti indicarlo soprattutto nei (pochi) casi in cui vi possa essere ambiguità di tipo omografico. Per esempio la parola "geni" può riferirsi sia a delle menti brillanti (al singolare: "genio") sia ai nostri caratteri ereditari (al singolare: "gene"). Scritta "genî" non può che riferirsi al primo significato. L'accento grafico è obbligatorio sulle parole tronche (o ossitone o meglio ancora "ultimali"), che hanno cioè l'accento sull'ultima sillaba e finiscono per vocale. Altrove l'accento grafico è facoltativo, ma utile per distinguere parole altrimenti omografe (àncora - ancóra).

Premi Nobel per la letteratura di lingua italiana

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Dati economici

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Quote di mercato sulle esportazioni mondiali Germania 9,3% Stati Uniti 8,7% Cina 7,9% Giappone 5,3% Italia 4,7% Francia 4,1% Regno Unito 3,3% Canada 3,2% Spagna 1,8%

Quota mondiale dell'export italiano: 4,7% Quota di mercato dell'Italia nel commercio mondiale di merci Export Italia/Export mondiale: 4,7% Entrate Italia/Entrate mondiali: 7,5%

Quote del PIL (PPA) mondiale: Stati Uniti 18,0 Cina 15,2 India 6,4 Giappone 4,0 Germania 2,9 Italia 2,7 Regno Unito 2,6 Russia 2,5 Brasile 2,4 Francia 2,3 Corea del Sud 1,8 Indonesia 1,6

Quota nel Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale, %

Mondo 100 1 Stati Uniti 21,35 2 Cina 10,26 3 Giappone 8,36 4 Italia 5,14 5 Germania 5,13 5,2 6 Francia 3,95 7 Brasile 3,53 8 Gran Bretagna 3,46 9 India 2,7 10 Federazione Russa 2,65 11 Canada 2,47 12 Australia 2,16 13 Spagna 2,11 14 Messico 1,65 15 Repubblica di Corea 1,59 16 Indonesia 1,21 17 Paesi Bassi 1,19 18 Turchia 1,1 19 Svizzera 0,94 20 Arabia Saudita 0,85

a Casa Bianca resta nelle mani di un George W. Bush e di un'amministrazione repubblicana disposti ad accettare le politiche «parallele» dell'alleato italiano in cambio della collaborazione a livello internazionale, dell'impegno in Iraq e Afghanistan e degli stretti rapporti intessuti con Israele.

Casa Savoia

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Savoia
 
FERT FERT FERT
StatoSavoia, Regno di Sardegna, Regno d'Italia (con Eritrea, Somalia e Libia), Spagna, Croazia, Albania, Etiopia
Titoli  Duca di Savoia

  Re di Sicilia
  Re di Sardegna
  Re d'Italia
  Re di Spagna
  Imperatore d'Etiopia
  Re d'Albania
  Re di Croazia
  Re di Cipro
  Re d'Armenia
  Re di Gerusalemme

FondatoreUmberto I Biancamano
Ultimo sovranoUmberto II d'Italia
Attuale capoVittorio Emanuele di Savoia o Amedeo di Savoia-Aosta (disputa in corso, vedi qui)
Data di fondazione1003
EtniaItaliana
Rami cadettiSavoia-Carignano

Savoia-Aosta
Savoia-Genova (estinti dal 1996)
Savoia-Acaia (estinti nel 1418)
Savoia-Nemours (estinti nel 1659)
Savoia-Soissons (estinti nel 1734)

Stemma della famiglia Savoia
 
Blasonatura
Di rosso alla croce d'argento.

Casa Savoia è la casa reale del Regno d'Italia e degli altri reami in unione personale con l'Italia. Fondata nel 1003, è la più antica famiglia reale del mondo.
I Savoia si sono attestati come dinastia reale europea sin dalla fine del X secolo nel territorio del Regno di Borgogna, dove venne infeudata della Contea di Savoia, eretta in Ducato nel XV secolo. Nello stesso secolo, estintasi la linea legittima dei Lusignano, ottenne la Corona titolare dei regni crociati di Cipro, Gerusalemme e Armenia, con il conseguente aumento di prestigio presso le corti europee.

Nel XVI secolo circa spostò i suoi interessi territoriali ed economici dalle regioni alpine verso la penisola italiana (come testimoniato dallo spostamento della capitale del ducato da Ciamberì a Torino nel 1563). Agli inizi del XVIII secolo, a conclusione della guerra di successione spagnola, ottenne l'effettiva dignità regia, dapprima sul Regno di Sicilia (1713), dopo pochi anni (1720) scambiato con quello di Sardegna.

Nel XIX secolo si pose a capo del movimento di unificazione nazionale italiano, che condusse alla proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861. Da questa data la storia della Casa si confonde con quella d'Italia.

Inoltre, dal 1870 al 1873 il duca Amedeo di Savoia-Aosta fu Re di Spagna col nome di Amedeo I di Spagna.

Durante il regime totalitario di Benito Mussolini, la dinastia ottenne formalmente con Vittorio Emanuele III le corone di Etiopia (1936) ed Albania (1939) in unione personale, mentre nel 1941, col Duca Aimone di Savoia-Aosta, anche la corona di Croazia.

Inoltre, in seguito ad dopo la sconfitta degli Asburgo al termine della prima guerra mondiale Volendo mantenere la monarchia, dato che la corona rappresentava l'unità e l'indipendenza dello stato, al termine della prima guerra mondiale gli ungheresi trovarono una soluzione di compromesso nominando un reggente nella persona dell'ammiraglio Miklós Horthy, in attesa della futura salita al trono di qualche re che non fosse un Asburgo, dinastia contro la quale le potenze vincitrici della guerra avevano posto il veto. In seguito ad incontri fra alti esponenti politici ungheresi ed italiani affinché un Savoia salisso sul trono di Budapest, venne deciso che Amedeo di Savoia-Aosta cingesse la corona d'Ungheria.[507]

Ducato di Savoia

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Nel 1032 il regno di Borgogna entrò a far parte del Sacro Romano Impero e nel 1077 l'imperatore investì il conte di Savoia del Bugei (Bugey) e del Val Romei (Valromey). Nel 1272 i Savoia ricevettero in dote anche la Bressa (Bresse), e successivamente il duca di Borgogna cedette loro anche il Revermonte (Revermont). Questi ingrandimenti territoriali portarono i Savoia a scontrarsi con le mire espansionistiche del Delfinato.
Nel 1349 Filippo VI acquistò il Delfinato da Umberto II de la Tour-du-Pin, Delfino del Viennois, rimasto senza quattrini e senza eredi. Il conte Amedeo VI di Savoia, che vantava diritti sulle terre del vicino che erano state da sempre oggetto di contese fra i Signori del Viennois ed i Savoia, attaccò nel 1353 la zona di Gex e sconfisse il Delfino di Vienne a Bâtie des Abrets nel 1354.[156][157] Il re di Francia, all'inizio della guerra dei cento anni, preferì venire a patti con i Savoia, per occuparsi della minaccia inglese.[508] Con il Trattato di Parigi del 5 gennaio 1355, che fissava i confini fra la contea di Savoia e il Delfinato. Il conte Amedeo VI di Savoia ottenne le signorie del Fossignì (Faucigny), appartenenti ai Faucigny, già vassalli dei conti di Ginevra poi dei Delfini del Viennois dal XIII secolo, con il Beaufortain (territorio appartenuto ai Faucigny dal XIII secolo), il che consentiva ai Savoia di collegare la loro contea al Chiablese; la zona di Valbona (Valbonne), con la signoria di Monluello (Montluel), il castello di Mirabello (Miribel), Borgo San Cristoforo (Bourg-Saint-Christophe), Pérouges e San-Maurizio-de-Gourdans (Saint-Maurice-de-Gourdans); le signorie di Varey e San Maurizio nel Bugei (Saint-Maurice en Bugey); le signorie di Santonai nella Bressa (Santonay dans la Bresse) e quella di d'Anton nel Delfinato[509] la baronia della regione di Gez (Gex). Il trattato fissò definitivamente al Rodano ed alla Guiers i confini fra Delfinato e Contea di Savoia.
Amedeo, dopo aver firmato con il re di Francia Giovanni il Buono ed il figlio Carlo (futuro re con il nome di Carlo V di Francia) il vantaggioso Trattato di Parigi, sposò nel 1355 Bona di Borbone (13411403), figlia di Pietro I di Borbone e di Isabella di Valois,[510] donna energica e capace, che resse lo stato nei lunghi periodi in cui il marito si assentava per le guerre, che videro i Savoia improntarsi specialmente in Italia: Umberto II di Borgogna aveva infatti ceduto il Delfinato di Vienne, che i Savoia cercavano da tempo di strappare alla Francia, avversario davvero troppo potente. Il trattato stabiliva i confini fra il Delfinato e la contea di Savoia, concedendo a quest'ultima ampi territori nelle zone oltre lo spartiacque alpino.
Il Trattato di Parigi aveva fatto di Amedeo un alleato della Francia contro l'Inghilterra (oltre che cognato del futuro Carlo V di Francia): così Amedeo VI vide l'unica possibilità di espansione per la sua contea nelle terre italiane. Insieme al Monferrato, che al tempo conosceva un periodo particolarmente florido, divise le terre angioine della cosiddetta contea del Piemonte. Ad una fortunata politica estera in Piemonte dunque, che portò all'annessione di Cuneo, Santhià e Biella, Amedeo affiancò una saggia politica interna. Riuscì ad assumersi la tutela del figlio del cugino Giacomo di Savoia-Acaia e di Margherita di Baujeu, Amedeo di Savoia-Acaia, mettendo fine alla ribellione dello stesso Giacomo. Sotto il suo governo il Piemonte conobbe un periodo di splendore e di gloria mai visti prima dai tempi di Arduino d'Ivrea. La fama di questo valoroso conte, valicò i confini italiani: Amedeo partecipò alle guerre in Oriente (1358-1372 circa), combattendo Bulgari e Turchi per conto del cugino Giovanni V Paleologo (caduto in mani nemiche e liberato), per cui riconquisterà Gallipoli, ed in seguito rivendicherà anche il trono dell'impero bizantino. Combatté anche per l'antipapa Clemente VII, tra l'altro savoiardo. Rinomato in tutta Europa per il suo valore e per la sua saggezza, Amedeo VI fu anche arbitro nelle contese delle guerre di allora: decisivo fu il suo intervento nella Guerra di Chioggia per la stipula di un trattato tra Genova e Venezia, la pace di Torino. Accorso in aiuto del re Luigi II d'Angiò di Napoli, morì di peste a Campobasso il 1º marzo 1383; venne sepolto nell'Abbazia di Altacomba, dove tuttora i suoi resti riposano insieme a quelli di altri rappresentanti Savoia.

Nel 1077 il conte Amedeo II di Savoia ricevette dall'imperatore Enrico IV la conferma dei suoi diritti sulla signoria del Bugey. I Savoia ingrandirono successivamente i loro domini sulla regione: nel 1272 ottennero la Bresse in dote e poi il Revermont dal ducato di Borgogna. Questo espansionismo pose i Savoia in urto con il Delfinato che mirava a conquistare le stesse terre: ne derivò una guerra durata mezzo secolo, che portò alla costruzione di molti castelli[511]. I Trattati di Parigi (1354-1355) posero fine alla guerra, lasciando ai Savoia tutti i territori contesi sulla riva destra del Rodano. Il Bugei conservò sempre una certa autonomia[512]. Alla morte di Margherita d'Asburgo, erede di Filiberto II di Savoia, Francesco I di Francia, in qualità di nipote dei Savoia, rivendicò ed occupò i domini sabaudi nel 1536. Con la pace di Cateau Cambrésis del 1559 i territori vennero tuttavia restituiti ai Savoia[511]

Risale alla fine del 1100 con il possesso di una piccola parte del Vaud (regione sopra il lago di Ginevra o Lemano) la prima presenza in loco dei Savoia. I confini poi si estesero a tutto il Vaud, a Ginevra stessa (i Savoia sono conti di Ginevra, loro anche il bel castello di Chillon sul lago omonimo) e al Basso Vallese (sotto il percorso del Rodano che si immette nel lago). L'indipendenza di Ginevra (che a partire dall' XI secolo era governata dal proprio vescovo, che era principe del Sacro Romano Impero) fu sempre minacciata dai duchi di Savoia, i cui territori circondavano completamente il territorio vescovile. I Savoia cercarono più volte di impadronirsi della città con l'aiuto dei "Mammelucchi" fra il XIII ed il XVII secolo. Il conte di Savoia si impadronì nel 1250 del castello di Bourg-de-Four.[513] Alla metà del XIII secolo, i mercanti e gli artigiani si raggruppano per lottare contro la potenza feudale del vescovo. Questo movimento viene favorito dalle fiere di Ginevra che, a partire dalla metà del XIII secolo, portano ai cittadini l'esempio dei comuni liberi italiani e la prosperità che permette di imporre la loro volontà al vescovo. A partire dalla fine del secolo, il conte di Savoia si collega al potere episcopale. Nel 1285, i cittadini nominano dieci procuratori o sindaci per essere rappresentati. La decisione è annullata dal vescovo il 29 settembre ma, il 1º ottobre, il conte Amedeo V di Savoia concede loro delle lettere patenti che garantiscono la sicurezza dei mercanti che si recano alle fiere[514].

Lo sbocco sul mare da tanto sognato venne conquistato nel 1388 da Amedeo VII di Savoia che, grazie alla presa di Cuneo da parte del Conte Verde, riuscì a penetrare in Provenza, approfittando delle lotte intestine in quelle terre, arrivando infine a Nizza; poiché molte terre provenzali erano dei Angiò-Durazzo, che avevano da anni promesso di restituire le somme impegnate da Amedeo VI nell'impresa in cui morì per difendere il Regno di Napoli senza mai restituire quelle somme, il Conte Rosso vedeva nella sua occupazione armata un riparo del debito pregresso.
Nizza entrò ufficialmente a far parte dei domini dei Savoia per mezzo della Dedizione di San Ponzio il 28 settembre 1388, con cui Amedeo VII di Savoia negoziò con Giovanni Grimaldi barone di Boglio (governatore di Nizza e della Provenza Orientale) il passaggio del Nizzardo e della valle dell'Ubaia (Vallée de l'Ubaye) ai domini sabaudi, con il nome di Terre Nuove di Provenza. Le Terre Nuove presero poi il nome di Contea di Nizza nel 1526, anche se in questo contesto il termine "contea" venne impiegato in senso amministrativo e non feudale. Amedeo VII entrò in Nizza lo stesso 28 settembre 1388: dopo i consueti festeggiamenti, nominò i Grimaldi come governatori sabaudi della città e signori di vari feudi adiacenti.

Nel 1388, le truppe di Amedeo VII di Savoia conquistarono Barcellonetta (Barcelonnette) e la valle dell'Ubaia (Vallée de l'Ubaye) venne annessa al ducato di Savoia.

Il Ducato di Savoia nasce nel 1416 in seguito all'assegnazione del titolo ducale da parte di Sigismondo di Lussemburgo al conte Amedeo VIII di Savoia.

All'inizio del XV secolo Amedeo VIII di Savoia incorporò il Piemonte, acquistò il Ginevrino, annesse Vercelli e ottenne il Monferrato; si adoperò inoltre per l'unità legislativa dei domini. Particolarmente rilevante, del governo di Amedeo VIII, fu la creazione, nell'agosto 1424, del Principato di Piemonte, la cui gestione venne affidata al primogenito della casata, come titolo onorifico: il duca lasciò dunque le terre, in gran parte costituite dal vecchio dominio dei Savoia-Acaia, annesse al ducato nel 1418, al figlio Amedeo, che però si spense prematuramente nel 1431. Titolo e successione vennero attribuite al figlio secondogenito Ludovico.

 
Gli stati italiani nel 1494

Uomo colto e raffinato, il duca Amedeo diede grande impulso all'arte (lavorò al suo seguito, tra gli altri, il celebre Giacomo Jaquerio), alla letteratura e all'architettura, favorendo l'ingresso del Piemonte nell'arte italiana.

Nazioni che sono in unione personale con l'Italia

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Per la sua prestanza fisica e il "cipiglio da valoroso"[515] fin dagli esordi Nero ha incarnato «una bellezza maschile molto "americana"»[515], segnalandosi infatti all'attenzione di John Huston che gli affida il ruolo di Abele nel kolossal La Bibbia (1966). La sua fama è principalmente legata[516] ai ruoli cult di due pistoleri degli spaghetti western in Django (1966) e in Keoma (1976), intervallando pellicole appartenenti al filone del giallo politico italiano, quali Il giorno della civetta (premiato col David di Donatello 1968 per miglior attore protagonista), Il delitto Matteotti (1973) e Marcia trionfale (1976).

In carriera ha interpretato un'ampia gamma di personaggi, spesso molto diversi tra loro: dall'operaio proletario al boss mafioso, dal protagonista di commedie all'italiana a quello di pellicole di impronta più drammatica, utilizzando con disinvoltura anche numerosissimi dialetti, sia meridionali sia settentrionali.

Inizia la sua carriera lavorando in teatro e per mantenersi, grazie alla sua prestanza fisica (è alto 193 cm), lavora come buttafuori.

Trade Mark

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  • Smooth, commanding, deeply melodic basso voice
  • Towering height and muscular physique
  • Unique skill at imitating voices
  • Ability to change his voice, and be unrecognizable in a variety of animated roles
  • Sarcastic humorous deliveries while remaining completely stonefaced
  • Known for improvising dialogue
  • Intense physical and mental preparation for roles
  • Tall frame with an imposing physical presence
  • Known for playing different nationalities: an American in Il mondo perduto - Jurassic Park (1997), a German in Il grande Lebowski (1998), an Italian in _The Brother's Grimm (2005)_ and Prison Break (2005), a French in Chocolat (2000), and a Russian in Armageddon - Giudizio finale (1998), Bad Boys II (2003), Educazione siberiana (2013), John Wick - Capitolo 2 (2017) and _American Gods (2017)_.

Greased back hair

Height: 6' 4½" (1,94 m) Weight: 234 lbs (106 kg)

Aristocratic manner and a distinctive silky voice

Often played purring, sinister villains Skill at delivering cutting lines Deep smooth voice

  1. ^ Si indica con questo termine la lingua "ideale", caratterizzata dall'uso della grammatica e dei tempi verbali classici, in maniera omogenea e senza variazioni regionali, provinciali, o sociali della pronuncia. Recentemente questo italiano è stato spesso definito standard.
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  7. ^ a b Villa, cit., p. 9.
  8. ^ Il ruolo del fiorentino trecentesco nella formazione dell'italiano è tanto importante che in alcuni casi gli storici della lingua descrivono questa fase già come "italiano antico" e non come "volgare fiorentino". In particolare, sceglie questa soluzione fin dal titolo la Grammatica dell'italiano antico a cura di Giampaolo Salvi e Lorenzo Renzi (Bologna, il Mulino, 2010), che «descrive il fiorentino del Duecento, prima fase documentata della lingua italiana, e dei primi del Trecento» (p. 7).
  9. ^ Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 303.
  10. ^ Espressione utilizzata dal Manzoni nell'introduzione alla sua ultima stesura de I promessi sposi, a indicare il suo intento di ripulire il proprio linguaggio dalle forme dialettiali e provinciali.
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  80. ^ Sardegna tra tante lingue, autori Roberto bolognesi e Wilbert heeringa, Ed. Condaghes, 2005
  81. ^ Manlio Brigaglia, Sardegna isola del silenzio, su www.mclink.it, Italo Innocenti Edizioni. URL consultato il 28 febbraio 2011.. Manlio Brigaglia rileva che se ai tempi di Giulio Cesare, un cittadino romano, prima di partire per un breve viaggio avesse chiesto alla moglie di preparargli una bisaccia, avrebbe detto «pone mihi tres panes in bertula» e cioè, pressappoco, la stessa frase che è tuttora in uso nel sardo corrente («pònemi tres panes in bèrtula»)
  82. ^ Giovanni Lupinu, Alessandro Mongili, Anna Oppo, Riccardo Spiga, Sabrina Perra, Matteo Valdes, Le lingue dei Sardi, una ricerca sociolinguistica (PDF), su www.sardegnacultura.it, Regione Autonoma della Sardegna. URL consultato il 1º marzo 2011.
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  85. ^ Archivio Cassinense Perg. Caps. XI, n. 11 " e "TOLA P., Codice Diplomatico della Sardegna, I, Sassari, 1984, p. 153
  86. ^ In nomine Domini amen. Ego iudice Mariano de Lacon fazo ista carta ad onore de omnes homines de Pisas pro xu toloneu ci mi pecterunt: e ego donolislu pro ca lis so ego amicu caru e itsos a mimi; ci nullu imperatore ci lu aet potestare istu locu de non (n)apat comiatu de leuarelis toloneu in placitu: de non occidere pisanu ingratis: e ccausa ipsoro ci lis aem leuare ingratis, de facerlis iustitia inperatore ci nce aet exere intu locu...
  87. ^ In nomine de Pater et Filiu et Sanctu Ispiritu. Ego iudigi Salusi de Lacunu cun muiere mea donna (Ad)elasia, uoluntate de Donnu Deu potestando parte de KKaralis, assolbu llu Arresmundu, priori de sanctu Saturru, a fagiri si carta in co bolit. Et ego Arresmundu, l(eba)nd(u) ass(o)ltura daba (su) donnu miu iudegi Salusi de Lacunu, ki mi illu castigit Donnu Deu balaus (a)nnus rt bonus et a issi et a (muiere) sua, fazzu mi carta pro kertu ki fegi cun isus de Maara pro su saltu ubi si (.... ....)ari zizimi (..) Maara, ki est de sanctu Saturru. Intrei in kertu cun isus de Maara ca mi machelaa(nt) in issu saltu miu (et canpa)niarunt si megu, c'auea cun istimonius bonus ki furunt armadus a iurari, pro cantu kertàà cun, ca fuit totu de sanctu Sat(ur)ru su saltu. Et derunt mi in issu canpaniu daa petra de mama et filia derectu a ssu runcu terra de Gosantini de Baniu et derectu a bruncu d'argillas e derectu a piskina d'arenas e leuat cabizali derectu a sa bia de carru de su mudeglu et clonpit a su cabizali de uentu dextru de ssa doméstia de donnigellu Cumitayet leuet tuduy su cabizali et essit a ssas zinnigas de moori de silba, lassandu a manca serriu et clonpit deretu a ssu pizariu de sellas, ubi posirus sa dìì su tremini et leuat sa bia maiori de genna (de sa) terra al(ba et) lebat su moori (...) a sa terra de sanctu Saturru, lassandu lla issa a manca et lebat su moori lassandu a (manca) sas cortis d'oriinas de(....)si. Et apirus cummentu in su campaniu, ki fegir(us), d'arari issus sas terras ipsoru ki sunt in su saltu miu et (ll)u castiari s(u) saltu et issus hominis mius de Sinnay arari sas terras mias et issas terras issoru ki sunt in saltu de ssus et issus castiari su saltu(u i)ssoru. Custu fegirus plagendu mi a mimi et a issus homi(nis) mius de Sinnay et de totu billa de Maara. Istimonius ki furunt a ssegari su saltu de pari (et) a poniri sus treminis, donnu Cumita de Lacun, ki fut curatori de Canpitanu, Cumita d'Orrù (.......)du, A. Sufreri et Iohanni de Serra, filiu de su curatori, Petru Soriga et Gosantini Toccu Mullina, M(........)gi Calcaniu de Pirri, C. de Solanas, C. Pullu de Dergei, Iorgi Cabra de Kerarius, Iorgi Sartoris, Laurenz(.....)ius, G. Toccu de Kerarius et P. Marzu de Quartu iossu et prebiteru Albuki de Kibullas et P. de zZippari et M. Gregu, M. de Sogus de Palma et G. Corsu de sancta Ilia et A. Carena, G. Artea de Palma et Oliueri de Kkarda (....) pisanu et issu gonpanioni. Et sunt istimonius de logu Arzzoccu de Maroniu et Gonnari de Laco(n) mancosu et Trogotori Dezzori de Dolia. Et est facta custa carta abendu si lla iudegi a manu sua sa curatoria de Canpitanu pro logu salbadori (et) ki ll'(aet) deuertere, apat anathema (daba) Pater et Filiu et Sanctu Ispiritu, daba XII Appostolos et IIII Euangelistas, XVI Prophetas, XXIV Seniores, CCC(XVIII) Sanctus Patris et sorti apat cun Iuda in ifernum inferiori. Siat et F. I. A. T.
  88. ^ E inper(a)tor(e) ki l ati kastikari ista delegantzia e fagere kantu narat ista carta siat benedittu...
  89. ^ Ego Benedictus operaius de Santa Maria de Pisas Ki la fatho custa carta cum voluntate di Domino e de Santa Maria e de Santa Simplichi e de indice Barusone de Gallul e de sa muliere donna Elene de Laccu Reina appit kertu piscupu Bernardu de Kivita, cum Iovanne operariu e mecum e cum Previtero Monte Magno Kercate nocus pro Santa Maria de vignolas... et pro sa doma de VillaAlba e de Gisalle cum omnia pertinentia is soro.... essende facta custa campania cun sii Piscupu a boluntate de pare torraremus su Piscupu sa domo de Gisalle pro omnia sua e de sos clericos suos, e issa domo de Villa Alba, pro precu Kindoli mandarun sos consolos, e nois demus illi duas ankillas, ki farmi cojuvatas, suna cun servo suo in loco de rnola, e sattera in templo cun servii de malu sennu: a suna naran Maria Trivillo, a sattera jorgia Furchille, suna fuit de sa domo de Villa Alba, e sattera fuit de Santu Petru de Surake ....... Testes Judike Barusone, Episcopu Jovanni de Galtellì, e Prite Petru I upu e Gosantine Troppis e prite Marchu e prite Natale e prite Gosantino Gulpio e prite Gomita Gatta e prite Comita Prias e Gerardu de Conettu ........ e atteros rneta testes. Anno dom.milles.centes.septuag.tertio
  90. ^ Vois messer N. electu potestate assu regimentu dessa terra de Sassari daue su altu Cumone de Janna azes jurare a sancta dei evangelia, qui fina assu termen a bois ordinatu bene et lejalmente azes facher su offitiu potestaria in sa dicta terra de Sassari...
  91. ^ Qui, ad esempio, è riportato un passaggio sulla pena assegnata al reato di stupro: XXI CAPIDULU - De chi levarit per forza mygeri coyada. - Volemus ed ordinamus chi si alcun homini levarit per forza mugeri coyada, over alcun'attera femina, chi esserit jurada, o isponxellarit alcuna virgini per forza, e dessas dittas causas esserit legittimamenti binchidu, siat iuygadu chi paghit pro sa coyada liras chimbicentas; e si non pagat infra dies bindighi, de chi hat a esser juygadu, siat illi segad'uno pee pro moda ch'illu perdat. E pro sa bagadìa siat juygadu chi paghit liras ducentas, e siat ancu tenudu pro leva­rilla pro mugeri, si est senza maridu, e placchiat assa femina; e si nolla levat pro mugeri, siat ancu tentu pro coyarilla secundu sa condicioni dessa femina, ed issa qualidadi dess'homini. E si cussas caussas issu non podit fagheri a dies bindighi de chi hat a esser juygadu, seghintilli unu pee per modu ch'illu perdat. E pro sa virgini paghit sa simili pena; e si non hadi dae hui pagari, seghintilli unu pee, ut supra. (trad. di Francesco Cesare Casula ne La Carta de Logu del Regno di Arborea: XXI - CAPITOLO VENTUNESIMO. Di chi violentasse una donna sposata. Vogliamo ed ordiniamo che se un uomo violenta una donna maritata, o una qualsiasi sposa promessa, o una vergine, ed è dichiarato legittimamen­te colpevole, sia condannato a pagare per la donna sposata lire cinquecen­to; e se non paga entro quindici giorni dal giudizio gli sia amputato un piede. Per la nubile, sia condannato a pagare duecento lire e sia tenuto a sposarla, se è senza marito (=promesso sposo) e se piace alla donna. Se non la sposa (perché lei non è consenziente), sia tenuto a farla accasare (munendola di dote) secondo la condizione (sociale) della donna e la qua­lità (= il rango) dell'uomo. E se non è in grado di assolvere ai suddetti òneri entro quindici giorni dal giudizio, gli sia amputato un piede. Per la vergine, sia condannato a pagare la stessa cifra sennò gli sia amputato un piede come detto sopra.)
  92. ^ Testo completo
  93. ^ De Vulgari Eloquentia, parafrasi e note a cura di Sergio Cecchin. Edizione di riferimento: Opere minori di Dante Alighieri, vol. II, UTET, Torino 1986: «...Eliminiamo anche i Sardi (che non sono Italiani, ma sembrano accomunabili agli Italiani) perché essi soli appaiono privi di un volgare loro proprio e imitano la "gramatica" come le scimmie imitano gli uomini: dicono infatti "domus nova" e "dominus meus".»
  94. ^ Dantis Alagherii De Vulgari Eloquentia Liber Primus, The Latin Library: Sardos etiam, qui non Latii sunt sed Latiis associandi videntur, eiciamus, quoniam soli sine proprio vulgari esse videntur, gramaticam tanquam simie homines imitantes: nam domus nova et dominus meus locuntur. (Lib. I, XI, 7)»
  95. ^ Marinella Lőrinczi, La casa del signore. La lingua sarda nel De vulgari eloquentia
  96. ^ Leopold Wagner, Max. La lingua sarda, a cura di Giulio Paulis - Ilisso, pp.78
  97. ^ Le sarde, una langue normale - Jean-Pierre Cavaillé
  98. ^ [...]Ciononostante le due opere dello Spano sono di straordinaria importanza, in quanto aprirono in Sardegna la discussione sul "problema della lingua sarda", quella che sarebbe dovuta essere la lingua unificata ed unificante, che si sarebbe dovuta imporre in tutta l'isola sulle particolarità dei singoli dialetti e suddialetti, la lingua della nazione sarda, con la quale la Sardegna intendeva inserirsi tra le altre nazioni europee, quelle che nell'Ottocento avevano già raggiunto o stavano per raggiungere la loro attuazione politica e culturale, compresa la nazione italiana. E proprio sulla falsariga di quanto era stato teorizzato ed anche attuato a favore della nazione italiana, che nell'Ottocento stava per portare a termine il processo di unificazione linguistica, elevando il dialetto fiorentino e toscano al ruolo di "lingua nazionale", chiamandolo "italiano illustre", anche in Sardegna l'auspicata "lingua nazionale sarda" fu denominata "sardo illustre". Massimo Pittau, Grammatica del sardo illustre, Nuoro, pp. 11-12
  99. ^ Un arxipèlag invisible: la relació impossible de Sardenya i Còrsega sota nacionalismes, segles XVIII-XX - Marcel Farinelli, Universitat Pompeu Fabra. Institut Universitari d'Història Jaume Vicens i Vives, pp.285
  100. ^ Matteo Madau - Dizionario Biografico Treccani
  101. ^ Sa limba tocare solet inue sa dente dolet - Maurizio Virdis
  102. ^ S'italianu in Sardigna? Impostu a òbligu de lege cun Boginu - LimbaSarda 2.0
  103. ^ La "limba" proibita nella Sardegna del Settecento (da "Ritorneremo", una storia tramandata oralmente) - MeiloguNotizie.net
  104. ^ È noto che ancora nel 1943, all'allora principe Umberto, la regina parlava in francese: Luciano Regolo, Il re Signore, Simonelli, p. 432, mentre il re gli parlava in piemontese.
  105. ^ [...]È tanto nativa per me la lingua italiana, come la latina, francese o altre forestiere che solo s'imparano in parte colla grammatica, uso e frequente lezione de' libri, ma non si possiede appieno[...] diceva infatti tale Andrea Manca Dell'Arca, agronomo sassarese della fine del Settecento (Ricordi di Santu Lussurgiu di Francesco Maria Porcu In Santu Lussurgiu dalle Origini alla "Grande Guerra" - Grafiche editoriali Solinas - Nuoro, 2005)
  106. ^ Una innovazione in materia di incivilimento della Sardegna e d'istruzione pubblica, che sotto vari aspetti sarebbe importantissima, si è quella di proibire severamente in ogni atto pubblico civile non meno che nelle funzioni ecclesiastiche, tranne le prediche, l'uso dei dialetti sardi, prescrivendo l'esclusivo impiego della lingua italiana… È necessario inoltre scemare l'uso del dialetto sardo ed introdurre quello della lingua italiana anche per altri non men forti motivi; ossia per incivilire alquanto quella nazione, sì affinché vi siano più universalmente comprese le istruzioni e gli ordini del Governo… (Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, 1848 - Carlo Baudi di Vesme)
  107. ^ Lingua sarda: dall'interramento alla resurrezione? - Il Manifesto Sardo
  108. ^ Marco Oggianu, Paradiso turistico o la lenta morte di un popolo?, su gfbv.it, 21 dicembre 2006. URL consultato il 24 febbraio 2008.
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  110. ^ Lingua e musica in Sardegna - Sardegnamondo, su sardegnamondo.blog.tiscali.it.
  111. ^ La lingua sarda a rischio estinzione - Disterraus sardus, su emigratisardi.com.
  112. ^ I giudici della Cassazione: “Il sardo non è una vera lingua, è solamente un dialetto”. aMpI: “gravissimo attacco alla lingua del popolo sardo” - Il Minuto Notizie Mediterranee (23/07/2012), su ilminuto.info.
  113. ^ Cosa, lis dolet? - Novas de s'Isportellu linguìsticu sovra-comunale de Planàrgia e Montiferru otzidentale (in risposta ad un articolo di Claudio Giovanardi, professore e direttore del dipartimento di italianistica)
  114. ^ “Il sardo è un dialetto”: campagna di boicottaggio contro l'editore Giunti
  115. ^ Conferenza di Francesco Casula sulla Lingua sarda: sfatare i più diffusi pregiudizi sulla lingua sarda
  116. ^ Sa limba sarda - Giovanna Tonzanu
  117. ^ La lingua sarda oggi: bilinguismo, problemi di identità culturale e realtà scolastica, Maurizio Virdis (Università di Cagliari), su francopiga.it.
  118. ^ Quando muore una lingua si oscura il cielo: da "Lettera a un giovane sardo" dell'antropologo Bachisio Bandinu
  119. ^ A riprova di questa tendenza discriminatoria che tuttora persiste a livello politico e sociale, il popolino soleva chiamare il sardo sa limba de su famine (la lingua della fame), impedendo, in molti casi, l'opera della sua trasmissione intergenerazionale.
  120. ^ Il ruolo della lingua sarda nelle scuole e nelle università sarde (Institut für Linguistik/Romanistik)
  121. ^ È interessante notare come nella questione linguistica sarda possa, per certi versi, sussistere un parallelismo con l'Irlanda, in cui un similare fenomeno ha assunto il nome di circolo vizioso dell'Irish Gaeltacht (Cfr. Edwards 1985). Difatti in Irlanda, all'abbassamento di prestigio del gaelico verificatosi quando esso risultò parlato in aree socialmente ed economicamente depresse, si aggiunse l'emigrazione da tali aree verso quelle urbane e ritenute economicamente più avanzate, nelle quali l'idioma maggioritario (l'inglese) sarebbe stato destinato a sopraffare e prevalere su quello minoritario degli emigranti.
  122. ^ Damien Simonis, Sardinia, Lonely Planet Publications, 2003, pp. 240-241, ISBN 978-1-74059-033-4.
  123. ^ La Nuova Sardegna, 04/11/10, Per salvare i segni dell'identità - di Paolo Coretti
  124. ^ Ai docenti di sardo lezioni in italiano, Sardegna 24 - Cultura, su sardegna24.net.
  125. ^ La situazione sociolinguistica della Sardegna settentrionale, Mauro Maxia
  126. ^ Stima su un campione di 2715 interviste: Anna Oppo, Le lingue dei sardi
  127. ^ (SL) AA.VV., Slovenski zgodovinski atlas, Lubiana, Nova revija, 2011, p. 168, ISBN 978-961-6580-89-2.
  128. ^ Pavel Strajn, La comunità sommersa – Gli Sloveni in Italia dalla A alla Ž, prefazione di Gaetano Arfè, 2ª ed., Trieste, Editoriale Stampa Triestina, 1992 [1989], ISBN 88-7174-031-9.
  129. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adr.
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  131. ^ Alojz Zidar (op. cit.), Il popolo sloveno ricorda e accusa.
  132. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata. L'italianizzazione forzata dei cognomi, nomi e toponimi nella "Venezia Giulia" dal 1919 al 1945, con gli elenchi delle province di Trieste, Gorizia, Istria ed i dati dei primi 5 300 decreti, Trieste, Eugenio Parovel Editore, 1985. Dell'argomento tratta anche Miro Tasso, Un onomasticidio di Stato, Trieste, Mladika, 2010. Boris Pahor, Necropoli, Roma, Fazi Editore, 2008. Alois Lasciac, invece (Erinnerungen aus meiner Beamtencarriere in Österreich in den Jahren 1881-1918, Trieste, Tipografia Editoriale Libraria, 1939), ricorda la precedente situazione di prevaricazione slava sui cognomi italiani.
  133. ^ Barbara Bertoncin, Intervista a Miro Tasso, in Una città, n. 185, giugno 2011. URL consultato l'8 aprile 2015.
  134. ^ Circola ancora una sorta di barzelletta per cui nel 1922 Ettore Tolomei, incaricato di indicare i corrispondenti italiani dei toponimi tedeschi, fu inviato a visitare diverse località altoatesine su un'automobile guidata da un autista locale. Entrando nell'abitato di Sterzing, il gerarca si rivolse all'autista facendo apprezzamenti sulla bella cittadina e chiedendone il nome. L'autista, non avendo capito quanto richiesto da Tolomei, rispose in tedesco: «Wie bitte?» («Come, scusi?»). Così, da queste due parole, Tolomei avrebbe ricavato l'italianizzato Vipiteno per Sterzing. In realtà il toponimo Vipiteno riprende semplicemente il Vipitenum romano.
  135. ^ Jacopo Cavalli, Reliquie ladine, raccolte in Muggia d'Istria, con appendice sul dialetto tergestino, Trieste, 1893, p. 38, SBN IT\ICCU\RAV\0820606.
  136. ^ a b Raoul Pupo, Il lungo esodo - Istria: le persecuzioni, le foibe, l'esilio, Milano, Rizzoli, 2005, p. 2, ISBN 88-17-00562-2.
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  138. ^ Si veda di C. A. Nallino il fascicolo edito dal Ministero italiano delle Colonie (Norme per la trascrizione italiana e la grafia araba dei nomi propri geografici della Tripolitania e della Cirenaica, Rapporti e monografie coloniali, n. 2, febbraio 1915).
  139. ^ Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "Dexter High/Sandbox", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2010, ISBN 978-88-397-1478-7.
  140. ^ Nicola Duberti, Alta Val Tanaro
  141. ^ "Saggio sui dialetti Gallo-italici" di B. Biondelli
  142. ^ [1]
  143. ^ a b c R.D. 20 marzo 1940, n. 249
  144. ^ R.D. 12 aprile 1939, n. 925
  145. ^ a b c R.D. 21 giugno 1940, n. 912
  146. ^ Il nome del paese è in piemontese (Venàus), il nome del paese in francese invece è Vénaux.
  147. ^ La Vallée d'Aoste : enclave francophone au sud-est du Mont Blanc.
  148. ^ Le français : langue officielle des Valdôtains (36)
  149. ^ Une Vallée d’Aoste bilingue dans une Europe plurilingue, Fondation Émile Chanoux.
  150. ^ Regio Decreto Legge 2 gennaio 1927, n. 1
  151. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae af R.D. 22 luglio 1939, n. 1442
  152. ^ R.D. 28 marzo 1929, n. 614
  153. ^ R.D. 7 marzo 1929, n. 442
  154. ^ R.D. 28 febbraio 1929, n. 313
  155. ^ fonte: Elio Riccarand, Storia della Valle d'Aosta contemporanea 1919-1945, Aosta, Stylos e Istituto Storico della Resistenza in Valle d'Aosta, 2000.
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  159. ^ (FR) J.-J. Vernier, Études historiques et géographiques sur la Savoie, Le Livre d'Histoire - Res Universis, 1896, edizione 1993, p. 53, ISBN 2-7428-0039-5, ISSN 0993-7129 (WC · ACNP).;
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  166. ^ [2]
  167. ^ Per i riferimenti si vedano: Dell'itinerario d'Italia e sue più notabili curiosità di ogni specie di Alessandro Maggioni, Arcangelo Sartori editore, Ancona 1832, Vol. I pag. 281; Nouveau guide du voyageur en Italie, Paris 1841, Maison (successaur de M. Audin) Editeur des Itinéraires Europeens de Richard, pag. 63; Miscellanea di storia italiana, Fratelli Bocca Editori, Torino 1870, Vol. X pag. 847; The maritime Alps and their seaboard, by the author of "Vera" di Charlotte Louisa H. Dempster, Longmans Green & Co, London 1885, pag. 227; Essai sur la toponymie de la Provence di Charles Rostaing, éd. d'Artrey, Paris 1950, pag. 131.
  168. ^ Cfr. "Grassa" in Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, vol. XI, G. Maspero librajo e Cassone e Marzorati tipografi, Torino 1843, p. 861.
  169. ^ Cfr. "Grassa" in Pietro Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, libro XXVI, vol. IV, in Monumenta historiae patriae, Augustae Taurinorum e Regio Typographeo, 1839.
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  171. ^ Storia di Genova, di Teofilo Ossian De Negri, Giunti Editore 2003
  172. ^ Cfr. "San Paolo di Venza" in Pietro Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, libro XXVI, vol. IV, p. 1710, in Historiae Patriae Monumenta, Augustae Taurinorum e Regio Typographeo, 1839.
  173. ^ P. Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, ed. C. Gazzera, Torino 1839, Vol. V pag. 482
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  175. ^ Cfr. "Venza" in Pietro Gioffredo, Storia delle Alpi marittime, libro XXVI, vol. IV, p. 2122, in Historiae Patriae Monumenta, Augustae Taurinorum e Regio Typographeo, 1839.
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  288. ^ Inquadrati nella 1ª Flottiglia Aeroplani del Battaglione Specialisti del Genio. La spedizione italiana comprendeva nove aeroplani, nove hangar prefabbricati e dieci piloti, dei quali cinque effettivi con brevetto superiore e cinque di riserva con brevetto semplice. Le forze aeree schieravano inoltre anche un contingente di palloni frenati da osservazione del tipo Draken (sei esemplari) e dirigibili. Cfr. Vincenzo Lioy, L'Italia in Africa, l'opera dell'Aeronautica, Roma, 1964 e La Campagna in Libia del 1911
  289. ^ Tripolitania e Cirenaica erano due regioni simili per ambiente e civiltà, che pur facendo parte per secoli dell'Africa settentrionale araba e musulmana avevano avuto vicende distinte, perché la Tripolitania gravitava verso la Tunisia, la Cirenaica verso l'Egitto. Annesse all'Italia nel novembre 1911, fino al 1934 ebbero amministrazioni separate. Il nome «Libia» è un'"invenzione" italiana (nell'antichità designava l'Africa settentrionale a ovest dell'Egitto).
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  299. ^ Graziani, "... lasciare le popolazioni nei loro territori di origine e dare ampia libertà di azione alle truppe per scovare e annientare i ribelli ovunque si trovassero. Non mi sfuggivano le tragiche conseguenze cui avrebbe condotto questo metodo perché conoscendo a fondo l'ignoranza delle popolazioni beduine, e l'opera su di essa compiuta dalla propaganda senussita, ritenevo che esse sarebbero state indotte a persistere nell'errore e a continuare a rifornire le masse armate di viveri, uomini, armi, donde sarebbe derivato lo sterminio pressoché totale delle popolazioni beduine della Cirenaica ... La seconda via era quella di mettere le popolazioni in grado di non aver contatto con i ribelli ossia supplire con un intervento coattivo del Governo alla loro ignoranza e deficiente responsabilità risparmiandole agli orrori della guerra ... sarebbe stato meglio far sopportare a questa i disagi e le ristrettezze del concentramento ... anziché esporle allo sterminio. Questo spirito umanitario divenne oggetto di campagna diffamatrice nei confronti dell'Italia accusata di vilipendio e di offesa alla religione perché abbatteva i suoi templi, di atrocità e di ogni genere e perfino del getto dall'alto degli aeroplani di gente musulmana! Nulla di più spudorato ... Oggi quelle popolazioni a rischio sterminio sono avviate a raggiungere quel livello di vita civile ed economica che ingentilirà i loro costumi nobiliterà i loro cuori e costituirà il primo fattore della loro felicità. Marsa el Brega, Agheila, Sidi hamed el Magrum oggi hanno l'aspetto di piccoli villaggi."
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Evolution

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Nanismo insulare

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Scheletro di un elefante nano di Creta

Il nanismo insulare è il processo di riduzione delle dimensioni di grossi animali (quasi sempre mammiferi), che avviene quando il loro pool genetico viene ristretto a causa di inincrocio, come accade ad esempio sulle isole, ma anche in foreste inaccessibili, valli isolate od oasi nel deserto. Questa tendenza all'incrocio diminuisce la variabilità ed aumenta le possibilità di avere malattie genetiche dovute a alleli recessivi.

Sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare questo processo: la più plausibile è quella secondo la quale le minori dimensioni consentono di sopravvivere in ambienti con risorse limitate, come lo possono essere, per l'appunto, le isole.

Gigantismo insulare

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Aquila di Haast mentre attacca dei moa

Il gigantismo insulare è un fenomeno biologico che consiste nel continuo aumento di stazza di una specie animale o vegetale col passare delle, qualora questa si venga a trovare in un habitat isolato. La taglia maggiore assicura un certo vantaggio nella lotta per la sopravvivenza (regola di Bergmann). Di solito, i grossi erbivori sono anche più lenti, ma la grossa taglia impedisce a molti predatori di cacciarli; inoltre, negli ambienti insulari, tali predatori sono spesso totalmente assenti. Quindi, il fenomeno del gigantismo insulare, più che alle scarse risorse offerte dall'isola (come il nanismo insulare) è dovuto all'assenza di fattori che inibiscano il raggiungimento di grandi dimensioni. Con l'arrivo dell'uomo e di nuovi predatori al suo seguito (cani, gatti, ratti, maiali), la maggior parte degli animali che presentavano questa caratteristica si sono estinti.

Al contrario del nanismo insulare, il gigantismo insulare conta numerosi esempi in tutte le classi animali, e non solo in mammiferi ed uccelli.

Regola di Bergmann

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La regola di Bergmann è un principio ecologico che afferma che la massa corporea aumenta a temperature più frdde. In figura i dati che dimostrano tale regola nelle alci svedesi.[1]

La Regola di Bergmann è una regola ecogeografica di zoologia che mette in relazione la latitudine a cui ci si trova con la massa raggiungibile da determinati animali[2], in particolare asserisce che nell'ambito di una stessa specie, la massa corporea è direttamente proporzionale alla latitudine ed inversamente proporzionale alla temperatura.

La regola prende il nome dal biologo tedesco Christian Bergmann, che per primo la formulò nel 1847: essa è più facilmente applicabile ad organismi endotermi (mammiferi ed uccelli), ma recenti studi hanno dimostrato la sua veridicità anche in rapporto ad organismi ectotermici[3].
La spiegazione che Bergmann diede alla sua legge fu che gli animali di maggiori dimensioni hanno un rapporto superficie/volume minore rispetto agli animali di piccole dimensioni, quindi disperdono il calore molto più lentamente e si trovano avvantaggiati nei climi più temperati, mentre gli animali di piccole dimensioni sopravvivono meglio in climi caldi e secchi, dove la loro capacità di disperdere velocemente il calore è d'indubbio vantaggio.
Questo dualismo non è vero in assoluto, poiché vi sono casi anche abbastanza importanti di grandi animali che vivono in ambienti desertici, come ad esempio l'elefante africano: in questi casi, vengono utilizzate particolari strutture o comportamenti per ottimizzare gli scompensi, come ad esempio le grandi orecchie per disperdere il calore.

Per l'uomo, la regola si dimostra valida fino ad un certo punto, poiché intervengono altri fattori come ad esempio la dieta locale od eventuali emigrazioni od immigrazioni. Ad esempio, si può dire che gli abitanti dell'Asia settentrionale siano più alti di quelli del Sud-est Asiatico: gli Inuit del Circolo Polare Artico hanno corpi grossi e compatti per meglio resistere alle temperature glaciali (regola di Allen), mentre i pigmei dell'Africa centrale hanno corpi piccoli ed allungati[senza fonte]. La regola non si dimostra più valida per l'uomo nei tempi moderni, in quanto gli esseri umani sono in grado, ad esempio, di fabbricare vestiti per meglio resistere ai climi freddi, cosa che invece gli animali non possono fare.

Doppiaggio

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Di seguito sono riportati i doppiatori che hanno prestato la voce ai principali personaggi del videogioco:

Personaggio Doppiatore originale Doppiatore italiano
Iden Versio Janina Gavankar Patrizia Mottola
Del Meeko T.J. Ramini
Gideon Hask Paul Blackthorne
Ammiraglio Garrick Versio Anthony Skordi Gianni Gaude
Lando Calrissian Billy Dee Williams Marco Balzarotti
Kylo Ren Matthew Wood e Roger Craig Smith
Darth Vader Matt Sloan Marco Balbi
Darth Maul Sam Witwer Claudio Moneta

Il doppiaggio italiano è stato realizzato dalla Synthesis International di Milano.

It's war!

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Guerra
parte delle guerre
Data10 maggio – 25 giugno (46 giorni)
LuogoFrancia
Esitoschiacciante vittoria tedesca sancita dal trattato di Francoforte
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
144 divisioni
13.974 cannoni
3.383 carri
4.469 aeroplani[4]
13.974 pezzi d'artiglieria
Totale: 3.300.000 soldati
492.585 soldati
417.366 uomini della
7.378 cannoni
2.445 carri[5]
3.578 aeroplani[4]
7.738 pezzi d'artiglieria
Totale: 909.951 uomini
Perdite
138.871 morti
143.000 feriti
2.000.000 prigionieri
2.233 aeroplani persi
1.875 blindati
28.208 morti
88.488 feriti
Totale: 116.696 perdite
1.236 aeroplani persi
795 carri distrutti
21.000 civili francesi, 6.000 civili belgi e 2.500 civili olandesi morti
10.000.000 civili olandesi, belgi, lussemburghesi e francesi deportati o rifugiati
Voci di guerre presenti su Wikipedia
Operazione Entebbe
parte Conflitto Arabo-Israeliano
 
La torre di controllo del vecchio terminal dell'aeroporto di Entebbe
Data4 luglio 1976
Luogoaeroporto di Entebbe,   Uganda
Esitomissione riuscita, 102 su 106 ostaggi liberati
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
29 commando    13 dirottatori
  100 + soldati ugandesi
Perdite
un militare feritoDirottatori:
  6 dirottatori uccisi
    7 dirottatori uccisi
Uganda:
45 soldati ugandesi uccisi[6]
30 aerei distrutti[7]
2 ostaggi uccisi durante il raid
7 ostaggi feriti
Voci di crisi presenti su Wikipedia
Quattro giornate di Napoli
parte della Resistenza italiana nella Seconda guerra mondiale
 
Napoli, distruzioni in città; nell'immagine, le macerie delle abitazioni che si affacciavano su via Nuova Marina, nell'area portuale napoletana.
Data27 - 30 settembre 1943
LuogoNapoli
CausaInsurrezione della popolazione contro l'occupazione nazi-fascista
EsitoVittoria delle formazioni partigiane
Schieramenti
  Popolazione di Napoli
  Militari fedeli al Regno del Sud
  Germania
  Repubblica sociale italiana
Effettivi
oltre 30.000circa 8.000
Perdite
168 morti
162 feriti
(di cui 75 invalidi permanenti)
54 morti
140 morti civili
19 morti non identificati
Voci di rivolte presenti su Wikipedia
Cinque giornate di Milano
parte del Risorgimento
 
Episodio delle cinque giornate di Baldassare Verazzi. Si noti la scritta "W Pio IX" sul muro alla destra dell'uomo intento a mirare col fucile e il suo cappello "alla calabrese".
Data18-22 marzo 1848
LuogoMilano, allora parte del Regno Lombardo-Veneto
EsitoVittoria degli insorti e liberazione della città dagli austriaci.
Schieramenti
  Insorti milanesi  Impero austriaco
Comandanti
Effettivi
sconosciutiinizialmente 8.000, saliti poi a 18.000/20.000[8]
Perdite
409–424 morti [9][10]
Di cui 43 donne
e bambini

600+ feriti [10]
181 morti [11]
Inclusi 5 ufficiali
235 feriti [10]
Inclusi 4 ufficiali
150–180 prigionieri [11]
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  1. ^ Geographical and latitudinal variation in growth patterns and adult body size of Swedish moose (Alces alces), in Oecologia, vol. 102, n. 4, June 1995, pp. 433–442, DOI:10.1007/BF00341355.
  2. ^ Tim M. Blackburn; Kevin J. Gaston; Natasha Loder (1999) "Geographic Gradients in Body Size: A Clarification of Bergmann's Rule" Diversity and Distributions 5(4): 165-174
  3. ^ Miguel Á. Olalla-Tárraga, Miguel Á. Rodríguez, Bradford A. Hawkins (2006) "Broad-scale patterns of body size in squamate reptiles of Europe and North America" Journal of Biogeography 33 (5) , 781–793 doi:10.1111/j.1365-2699.2006.01435.x
  4. ^ a b Karl-Heinz Frieser: Blitzkrieg-Legende. 2. Auflage, München 1996, S. 57.
  5. ^ Maier and Falla 1991, p. 279.
  6. ^ Entebbe: The Most Daring Raid of Israel's Special Forces, The Rosen Publishing Group, 2011, by Simon Dunstan, p. 58
  7. ^ Brzoska, Michael; Pearson, Frederic S. Arms and Warfare: Escalation, De-escalation, and Negotiation, Univ. of S. Carolina Press (1994) p. 203
  8. ^ Scardigli 2011, p. 86; gli austriaci erano 14.000 secondo Montanelli, Cervi 1980.
  9. ^ Paul Ginsborg, Daniele Manin and the Venetian revolution of 1848–49, Bristol, 1979.
  10. ^ a b c Wilhelm Rüstow, Der italienische Krieg von 1848 und 1849, Zürich, 1862.
  11. ^ a b Wilhelm Meyer-Ott, Wilhelm Rüstow, Die Kriegerischen Ereignisse in Italien in den Jahren 1848 und 1849, Zürich, 1850.